CACCIACONTI, Ascanio, detto lo Strafalcione
Di professione ottonaio, fu accolto nel 1534 nella Congrega dei Rozzi di Siena, il celebre sodalizio di artigiani autodidatti costituito nel 1531 sul tronco di una solida tradizione di teatro popolare senese (i cosiddetti Pre-Rozzi).
L'opera del C. si presenta aperta a un gusto di varia sperimentazione: dalla favola mitologica (La travolta, modernizzazione parodistica del mito di Anfitrione e Alcmena) alla commedia di impianto tipicamente rinascimentale (come dovette essere L'incognito, forse perduta), dalla pastorale (Pelagrilli) alla commedia villanesca (Filastoppa,Calzagallina). Ma se in questa sollecita disponibilità a tentare forme drammaturgiche diverse il C. sembra riallacciarsi alla produzione dei Pre-Rozzi, sempre pronti a uno sperimentalismo tanto immediato quanto superficiale, la prova migliore di sé egli riesce poi a fornirla proprio in quei testi in cui la struttura teatrale appare costruita sulla misura scenica del personaggio del villano, secondo una direzione di ricerca che è tipica della Congrega, e soprattutto degli autori più significativi di essa.
Lo stesso Pelagrilli conta, come pastorale, solo in quanto si prospetta potenzialmente come antipastorale, solo in quanto vale a far maturare, ancora dentro lo schema pastorale, un germe di commedia villanesca. Se il contadino Pelagrilli è ancora ipotizzato in una condizione di dipendenza dal pastore Lucio, come in tante pastorali dei Pre-Rozzi, il suo contegno verso il pastore non è affatto di indifferenza o, peggio, di astiosa insofferenza; egli ha una sua precisa azione integrativa, una sua preoccupata attenzione per la infelice vicenda d'amore, del padrone. Un compito, questo, duplicato dall'altro contadino Beccafonghi nei confronti della ninfa Mamilia. D'altra parte, la differenza fra questi villani e quelli dei Pre-Rozzi non si esaurisce in un difforme atteggiamento nei confronti del pastore o della ninfa, meno rancoroso e più comprensivo, ma si consuma definitivamente a un più profondo livello che è quello della funzionalità del personaggio all'interno della favola: i villani-servi dei Pre-Rozzi si risolvono nel guardare l'armento e nel preparare la cena ai pastori che vivono una loro personale, privata, storia amorosa; Pelagrilli e Beccafonghi hanno invece una autentica responsabilità dirigente, che tanto più risalta sullo sfondo della non-azione del pastore e della ninfa, che nulla fanno per determinare il proprio destino e tutto rimettono alla iniziativa trascendente degli dei. Ma sono proprio i due contadini a determinare le scelte operative delle divinità. Sono Pelagrilli e Beccafonghi a convincere Diana a rendere la vita alla ninfa, trasformata in fonte dalla dea, irata per il suo innamoramento. I due villani si pongono come i veri protagonisti della vicenda pastorale; la condizione subalterna di Pelagrilli non lo condanna affatto a una parte di comparsa, bensì mette in risalto ancor più la sua azione dirigente. Con il loro dinamismo i villani conquistano, d'altra parte, uno spazio scenico che era negato agli sbiaditi villani-servi delle pastorali dei Pre-Rozzi. Nel loro attivismo frenetico è la premessa della liberazione del personaggio del contadino, della commedia villanesca. Già qui, pur entro l'organismo pastorale, affiora qualche accenno più pungente all'urgere di una materia diversa, tutta propria del contadino, irriducibile a uno schema culturale precostituito. Se l'acqua del Lete ha fatto obliare la ninfa al pastore, Beccafonghi chiede dolorosamente: "En che mo' mi farebbe escir di mente / queste gran carestie che sono state / ch'ho venduto ogni cosa e non ho niente?". Il villano contrappone polemicamente la pienezza della propria realtà alla vaghezza di un amore pastorale tanto proclamato quanto facilmente svanito; denuncia la volontà di recitare la sua commedia e tenta di sottrarre spazio recitativo al pastore. Beccafonghi e Pelagrilli devono riferire a Lucio una comunicazione della ninfa, ma fra l'annuncio e l'esplicazione di essa si inserisce una digressione dei due villani che, per stabilire il tempo preciso in cui la ninfa venne ad abitare in quella zona, rievocano piccoli fatti della loro esistenza (la steccaia, il mulino, l'aia, la morte di Mariotto). Non è soltanto un meccanismo psicologico tipico del modo di raccontare contadino, attraverso particolari e divagazioni inutili; è piuttosto il tentativo di opporre alla storia del pastore una storia villanesca, da cui quello non può che rimanere estraniato, ansioso solo di conoscere il contenuto del messaggio, e quindi giustamente indispettito da tale contegno ("Che baia? / Che monta poi questo disputamento?").
Il porsi del contadino al centro dell'attenzione del C. non significa tuttavia, per ciò stesso, un istintivo atteggiamento di simpatia per il villano. Significa piuttosto, semplicemente, la possibilità di un complesso e mobile svolgimento che potrà forse registrare, nel suo punto apogetico, un moto di solidarietà, ma che nel suo grado primo non può che denunciare un intento di divertimento e di satira, sia pure non cattiva. Nel Calzagallina quattro contadini hanno litigato fra di loro per futili motivi (due di essi hanno promesso una esibizione canora, ma si sono poi fatti aspettare invano dagli altri due, assieme alle loro donne), e si accingono pertanto a battersi in regolare duello "ne lo steccato", posti però su asini anziché su cavalli, e per di più a due a due per cavalcatura. Lo schema cavalleresco, sovrapposto all'umile realtà contadina, sortisce effetti di sicura vena comica, destinata a diventare tanto più irrefrenabile nel momento in cui i contadini tendono, dopo l'euforia iniziale, a fare precipitosamente marcia indietro. Nel secondo atto, dinanzi al duello ormai imminente, scoppia infatti il grande tema della paura che dimezza le file di ciascun campo dei contendenti. Ma le balestre distribuite dal vicario per lo scontro fra i due superstiti sono truccate; le frecce non partono, e il vicario ne approfitta per gridare al "miracol che resolvere / vuol questa guerra in pace; e chi la vieta / non sarà prete mai che 'l possi assolvere". Siamo, com'è evidente, se non nel dominio della beffa antivillanesca, certo nel pieno della giocosa commedia dei villani.
In quest'area di divertita commedia rusticana sembra attirata anche un'altra opera del C., la Filastoppa. Billincocco, il protagonista, è un baldo contadinotto, esuberante di forze e di giovinezza, ansioso di sposarsi, cui è promessa, ad opera del campagnolo paraninfo Pasquale, la giovane Filastoppa, già incinta di diversi mesi. Proprio mentre il giovane sta infilandole l'anello, la ragazza è colta dalle doglie: la futura suocera fa credere al giovane che la figlia ha avuto un semplice malessere, e lo spedisce "ratto ratto" a Siena a comprare "un poco d'onguento". Billincocco - commenta Pasquale - "gli arà 'n un tratto la moglie e gli allievi". La commedia sembra così risolversi nel quadro della tradizionale burla antivillanesca, ma in realtà qualcosa si è introdotto nel meccanismo teatrale, suscettibile di modificare il tono dominante: la gravidanza di Filastoppa dovrebbe essere soltanto una occasione, una situazione casuale per edificarvi sopra l'inganno teso al giovane. In questa prospettiva non interesserebbe molto sapere chi sia stato l'uomo che ha approfittato di Filastoppa, ma ecco come la madre rievoca a Pasquale la passata relazione: "Egli ha più di tre anni che la tenne / pratica di quel prete maladetto, / che gli venga un barbon, che mai ci venne! / D'allotta in qua sempre stati 'n un letto / sian tutti insieme". Su quel "prete maladetto" si addensa una carica di chiusa polemica che non sembrerebbe essenziale ai fini della vicenda; e qualcosa di cupo è egualmente in quello scorcio di letto in cui si giacciono unitamente madre figlia e amante. La figura del religioso viene a incidere così profondamente sul destino di questi villani; il prete è un vero protagonista, anche se fisicamente assente dalla scena. Ma tutto ciò non può che determinare, sia pure insensibilmente, uno spostarsi dell'attenzione dell'autore, che dal facile bersaglio polemico antivillanesco passa a una più sottile ma acre protesta antiecclesiastica. Dal Pelagrilli al Calzagallina alla Filastoppa si disegna e si articola un grafico che è in fondo alla base dell'intera produzione dei Rozzi, e in particolare del più grande dei Rozzi, il Fumoso: il concentrarsi dell'impegno drammaturgico sulla figura del villano, e il passaggio da un atteggiamento di ilare burla antivillanesca a un contegno di più solidale comprensione della realtà contadina.
Opere. Manca un'edizione moderna delle commedie del Cacciaconti. Occorre pertanto rifarsi alle stampe cinquecentesche: Bel Corpo, Siena 1544 (un esemplare alla Biblioteca dell'università dell'Illinois); Pelagrilli, Siena 1544(un esemplare alla Biblioteca comunale di Siena); Angitia (o Agnitia), Siena 1545(introvabile allo stato attuale delle ricerche); La travolta, Siena 1545(un esemplare alla Biblioteca Apostolica Vaticana); Filastoppa, Siena 1545(un esemplare alla Biblioteca comunale di Siena); Calzagallina, Siena 1551(ma nel colophon: 1550; un esemplare alla Biblioteca comunale di Siena); Comedia nuova rusticale, Siena s.d. (introvabile); L'incognito (registrata ms., forse rimasta sempre inedita e attualmente introvabile; se ne ha notizia da una lettera diretta dal C. alla Congrega contenente l'elenco dei personaggi e il solo prologo).
Bibl.: C. Mazzi, La Congrega dei Rozzi di Siena nel secolo XVI, Firenze 1882, II, pp. 113-122, 252, 256; R. Alonge, Il teatro dei Rozzi di Siena, Firenze 1967, particolarmente pp. 47, 54-61, 72-75, 81-85.