CACCIAFRONTE (Cacciaforte, Cazafronte, Cazinfrontus, Sordi), Giovanni, beato
Nacque a Cremona, probabilmente verso il 1125.
Le più antiche testimonianze sulla sua vita lo dicono di nobile stirpe e ricordano il nome della madre, Berta, che alcuni vorrebbero della famiglia dei Persici. Del padre non si conosce con sicurezza il nome: secondo una tradizione non verificabile sarebbe stato Evangelista dei Sordi, ma non manca il dubbio che questo nome sia stato attribuito al C. per la confusione con un Giovanni Sordi, piacentino, che fu vescovo di Vicenza nel XIV secolo (A. Schiavo, pp. 25-28). Nei documenti, tuttavia, egli è sempre ricordato con il nome che gli venne dal patrigno, Adamo Cacciafronte.
Poveri di notizie, che non siano di carattere soltanto agiografico ed edificante, i suoi primi anni; incerto è anche se sia stato ascritto tra i canonici della Chiesa cremonese. In giovane età vestì l'abito benedettino nel monastero di S. Lorenzo in Cremona, dove rimase probabilmente fino al 1152, allorché fu preposto al convento annesso alla chiesa di S. Vittore, dipendente dall'abbazia di S. Lorenzo, dove vivevano sei monaci con facoltà di eleggersi un priore. Poi, forse nel 1155, divenne abate di S. Lorenzo e ricoprì questa carica fino al 1159; le inquisizioni ordinate da Onorio III nel 1223 in vista di un processo di canonizzazione documentano la sua sagace amministrazione dei considerevoli beni del monastero e le sue opere di beneficenza. In questo frattempo la madre, rimasta vedova, si ritirò presso la comunità femminile che faceva capo a S. Lorenzo. Erano gli anni nei quali la Chiesa era travagliata dalle lotte tra papa Alessandro III e Federico I, e il C. svolse un'intensa attività di predicazione in favore del papa contro le pretese imperiali. Le fonti, a tale proposito, ricordano pubbliche dispute del C. con Anselmo da Dovara; per questa ragione egli fu esiliato dall'imperiale Cremona e si ritirò in un eremo ai confini tra il Cremonese e il Mantovano, sulle rive dell'Oglio. Non è noto quale attività abbia promosso o esplicato durante questo ritiro: le fonti attribuiscono a lui l'aver indotto la sua città, nel marzo del 1167, ad abbandonare il partito imperiale per passare al pontefice. In seguito a questi eventi Alessandro III donò, forse come ricompensa, all'abbazia di S. Lorenzo il monastero di Ulmineto (Olmeneta).
È probabile che il C. sia tornato a Cremona e vi sia rimasto fino a quando fu chiamato a reggere la diocesi di Mantova, sede dello scismatico Garsidonio (o Graziodoro): in un documento del 1174 egli risulta già insignito di tale titolo (Schiavo, pp. 261 s.; e, per i documenti del 1174 e 1176, F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia. La Lombardia, II, 2, Bergamo 1932, pp. 280-282), e in questa veste si presentò al convegno di Venezia del 1177(Historia Ducum Veneticorum, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XIV, Hannoverae 1881, p. 85; Mon. Germ. Rist., Legum sectio IV, I, Hannoverae 1891 p. 368).Nei preliminari della pace, concordati ad Anagni, era previsto che Garsidonio potesse tornare alla sua sede mantovana e che il C. venisse trasferito a Trento o in altra sede (G. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, XXII, Venetiis 1778, col. 195; Mon. Germ. Hist., Leges, cit., pp. 352, 364);in realtà questa assegnazione non avvenne e del C. mancano notizie fino al 1179, allorché i documenti lo dicono vescovo di Vicenza, sede che, dopo la morte di Ariberto, risulta ancora vacante il 22 genn. 1178(P. F. Kehr, Italia Pontificia, VII, 1, Berolini 1923, p. 130, n. 20).Il suo episcopato fu caratterizzato da un costante impegno nella riorganizzazione del patrimonio ecclesiastico disperso e sconvolto per le lotte politiche, e da un'assidua attività pastorale. Mentre incrementava il culto e la devozione popolare (a sue spese fece riattare la strada che conduce alla basilica dei SS. Fortunato e Felice, fuori porta Castello), svolgeva opera di predicazione contro gli eretici, e forse nell'ambito di questa sua attività va vista la fondazione di una scuola di teologia per la formazione del clero, alla quale chiamò un teologo dalla Lombardia. Nel 1179 investì Melioranza, crocifero e rettore della chiesa di S. Croce, appartenente agli ospitalieri che qui avevano un ospizio, della chiesa e delle rendite di San Quirico di Valdagno, riservandosi i diritti spirituali (Schiavo, p. 263). Il 30 luglio 1180 era a Roma, davanti ad Alessandro III, insieme a Romolo, maestro della scuola di Aquileia, come rappresentante del patriarca aquileiense, Ulderico, per comporre una vecchia questione che questi aveva con il patriarca di Grado, Enrico Dandolo (Schiavo, pp. 264-268).Nell'agosto del 1183 fua Verona, dove arbitrò una controversia tra i canonici di quella cattedrale, che volevano edificare la chiesa di S. Paolo, e i templari che vi si opponevano (G. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, II, Verona 1749, p. 395).
Il C. cadde vittima delle discordie tra guelfi e ghibellini: questi, comandati da Uguccione dei Conti di Vicenza, avevano avuto il predominio fino al 1180, ma poi il partito guelfo, che faceva capo a Guido Vivaro, ebbe il sopravvento e bandì i notabili della parte avversa. Forse per vendetta, o in seguito al suo tentativo di recuperare i beni della Chiesa usurpati durante le lotte tra pontefice e imperatore, il C. venne ucciso a tradimento nella piazza, mentre si recava a visitare la nuova scuola da lui fondata: era, secondo la tradizione, il 16 marzo 1184 (nell'agosto di quell'anno la sede vicentina risulta vacante).
La voce popolare attribuì la responsabilità dell'uccisione a un certo Pietro, che alcuni vogliono bolognese, vassallo di Pietramala, oggi Priabona, nel territorio di Malo; una tradizione univoca e molto incerta fa il nome di un Pietro Zannarinis, ma i documenti pontifici indicano come responsabili un gruppo di vassalli che poi furono privati dei benefizi. Un loro tentativo di rientrare in possesso dei feudi perduti sotto Celestino III e Innocenzo III non ebbe successo (Innocentii III Regest. Lib. I, ep. 57, in Migne, Patrologia Latina, CCXIV, col. 50). Il corpo, tumulato nel coro della cattedrale, fu poi trasferito nella cappella di S. Maria Incoronata. Il C. divenne protettore della Confraternita del Gonfalone. A ricordo della sua morte sulla piazza fu eretta una colonna, poi rimossa. Ben presto il C. fu oggetto di culto: nel 1223 il vescovo Gilberto ne chiedeva la canonizzazione e il 5aprile di quell'anno Onorio III incaricava il vescovo di Padova, Giordano, con il priore di S. Maria in Vanzo di Padova, Gioacchino, e il priore di S. Spirito in Verona, Alberto, di accertarsi dei miracoli che si attribuivano al C. e di documentarsi sul culto che gli era tributato (Regesta Honorii III, a cura di P. Pressutti, II, Romae 1895, ep. 4283, p. 122; Schiavo, pp. 270 s.). Per loro richiesta nei giorni 7, 8 e 9nov. 1223 il vescovo di Cremona, Omobono, iniziava le prime indagini che proseguivano poi, nel gennaio dell'anno successivo, a Vicenza. Il testo di tali inquisizioni, che costituiscono la fonte precipua per la vita del C., unitamente a una serie di testimonianze sui miracoli, è stato pubblicato, prima dal Sordi e poi dallo Schiavo, da una copia del 1764. Il processo non ebbe seguito e solo nel 1824 la Sacra Congregazione dei Riti approvò il culto del Cacciafronte.
Fonti e Bibl.: F. Barbarano de' Mironi, Historia ecclesiastica... di Vicenza, II, Vicenza 1652, pp. 5-11; B. Pagliarino, Croniche di Vicenza, Vicenza 1663, pp. 22 s.; Acta Sanctorum Martii, II, d. 16, Antverpiae 1678, pp. 490-498; F. Sordi, Vita del beato G. Sordi vescovo e martire di Vicenza, Cesena 1765; G. Labus, Vite dei due santi cremonesi G. de' Sordi Cacciafronte ed Eusebio abate, Milano 1825, pp. 5-30; A. Schiavo, Della vita e dei tempi del b. G. C., Vicenza 1866; G. Mantese, Mem. stor. della Chiesa vicentina, II, Vicenza [1954], pp. 189 ss.; Bibliotheca Sanctorum, III, pp. 626-28.