Cacume
. Già presso gli antichi commentatori si sviluppò la contesa sul C. ricordato da D. in Pg IV 26 Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, / montasi su in Bismantova e 'n Cacume / con esso i piè; ma qui convien ch'om voli. Pietro, Buti, Landino e Vellutello intendono C. come monte della Campania, quindi come quarto dei luoghi usati da D. per meglio rendere l'idea dell'asprezza della prima salita incontrata nell'Antipurgatorio. Benvenuto, il Venturi e il Lombardi, quest'ultimo in pungente polemica con il Landino e con il Vellutello, intendono invece C. come cima di Bismantova, leggendo evidentemente il verso senza la congiunzione tra i due luoghi.
La questione è aperta anche tra gli studiosi moderni. In molti commenti (Torraca, Del Lungo, Casini-Barbi, Mattalia) C. è inteso come cima di Bismantova; a ciò si può obiettare, pur accettando che D. definisca cacume la tabulare vetta di Bismantova (chiama così anche la piatta sommità del Purgatorio, in Pd XVII 113), che la grande maggioranza dei codici (Petrocchi, ad l.) consigliano la lezione con la congiunzione e (secondo V. Rossi, il rapporto tra i codici che riportano la congiunzione e gli altri è di oltre cento a trenta, o poco più). Si deve quindi accettare il verso con la congiunzione, e intendere il C. come Monte Cacume (o Caccume), nel gruppo dei Lepini, visibile oltretutto anche da Anagni, ove probabilmente D. si recò. Né molto probanti appaiono le obiezioni del Bassermann (Orme 621-625); il quale basa la sua posizione, contro l'interpretazione di C. come monte, sul fatto che i pendii del Monte C. non offrono l'idea di inaccessibilità, che il monte è facilmente accessibile fin sulla cima, e che il suo aspetto è poco atto a colpire la fantasia. A ciò si può obiettare che D. potrebbe aver avuto una conoscenza indiretta del monte, o potrebbe averlo osservato da lontano ricavandone l'idea di un'asperità maggiore di quella reale.
In definitiva, pur non potendosi del tutto respingere l'interpretazione di C. come vetta di Bismantova, tenendo conto dei codici, del fatto che D. può aver avuto idea di un Monte Cacume aspro e poco accessibile, e del fatto infine che il verso precedente (25) può, con la sua doppia citazione, richiedere un binomio anche in quello in discussione, appare opportuno considerare C. come luogo a sé stante, quarto di quelli citati nella terzina. Secondo E. Ricci, " Dante ha riportato una sua impressione visiva del Cacume, intendendo porre l'accento non sulla reale inaccessibilità del monte, ma sullo stupore che la sua vista desta al viandante ".
Bibl. - G.A. Venturi, recens. al commento alla Commedia, di T. Casini, in " Rassegna Emiliana " II (1889) 55; ID., Appunti danteschi, in " Biblioteca delle Scuole italiane " n.s., VI (1894) 16; ID., recens. a Scartazzini, Enciclopedia, in " Scuola secondaria italiana " I (1897) 22; V. Rossi, recens. a Dantes Spuren in Italien (Heidelberg 1897), in " Bull. " V (1897) 41-44; F. D'Ovidio, in " Rass. critica lett. ital. " IV (1899) 209-212; A. Rondani, in " Gazzetta di Parma " 13 giu. 1904, 28 giu. 1904, 29 giu. 1904; R. Renier, in " Giorn. stor. " LII (1908) 415-421; A. Bertoldi, in Nostra Maggior Musa, Firenze 1921; E. Ricci, D. e la Ciociaria, Roma 1965, 71-81.