CADORE (A. T., 24-25-26)
Benché il nome Cadore non sia in uso nella toponomastica ufficiale se non nell'appellativo di sette comuni (Lozzo di Cadore, Pieve di Cadore, San Pietro di Cadore, San Stefano di Cadore, San Vito di Cadore, Selva di Cadore, Valle di Cadore) del soppresso circondario cui appunto era a capo Pieve di Cadore, tuttavia il nome stesso è universalmente noto per indicare una regione storica, la quale ha anche limiti naturali abbastanza ben definiti per quanto oggi, in relazione con lo sviluppo turistico, si tenda ad attribuirle una maggiore estensione, comprendendovi valli vicine che propriamente non ne fecero mai parte. L'origine del nome risale all'antichità classica, ed è collegata al nome degli antichi Catubrini nominati nell'epigrafe sepolcrale di Marco Carminio scoperta a Belluno nel 1888 e che pare risalga al sec. II dell'era cristiana. Non possiamo dire quali fossero i limiti del loro territorio. I Catubrini, dei quali M. Carminio aveva il patronato erano ascritti alla tribù Claudia e dovevano essere affini alle popolazioni alpine dalle quali discesero gli attuali Ladini. Ladino infatti è, nel suo fondo, il dialetto che tuttora si parla nelle valli del Cadore, benché in grado maggiore o minore vi si sia sovrapposto il veneto. Solamente nel 929 Cadubrium appare, in un diploma di Berengario. Pochi decennî più tardi, in un diploma di Ottone II è nominato il Comitatus Cadubriae, da tempo immemorabile diviso in subregioní tradizionali.
Si chiama Oltrechiusa quel tronco della valle del Boite che si estende a monte della stretta, un tempo fortificata, di Venas, sino al confine con l'Ampezzo, là dove la cima Marcora e il Beccolungo formano il restringimento che divide l'Oltrechiusa dalla conca di Cortina. Comelico è la valle del torrente Pàdola, cui gli scisti paleozoici, che formano il suolo vestito di verdissime praterie, conferiscono una fisionomia tutta propria; Oltrepiave è il territorio di Vigo, Lorenzago, Laggio e Pelos sulla sinistra del fiume, distinto dal resto del Cadore per il fatto che in nessun altro punto lungo la parete sinistra della valle plavense, del resto breve e alquanto sterile, si trovano abitati permanenti di pari importanza. E finalmente Valle d'Auronzo è il nome col quale si comprendono alcune borgate che sorgono allineate sui terrazzi di sinistra dell'Ansiei a monte della strada di S. Caterina. Benché situata nel tronco più alto della valle del Piave, Sappada tiene una posizione storica distinta dal Cadore: sorta da una colonia tedesca medievale, non fece mai parte della comunità cadorina; fu però inchiusa nel circondario di Pieve di Cadore. Ma solo arbitrariamente si comprenderebbero nel Cadore lo Zoldano (valle di Maé) e l'Agordino (valle del Cordevole) e il bacino Feltrino-Bellunese che hanno sempre formato piccole individualità geografico-storiche distinte. Per la qual cosa, anche prescindendo da una qualche maggiore ampiezza che pare abbia avuto in epoca molto lontana verso NE. e verso E., la regione storica che si chiama Cadore è effettivamente formata dall'alto bacino della Piave a monte della borgata di Termine e dei territorî contigui che costituiscono l'Oltremonti, vale a dire, nominatamente, la val Fiorentina che è affluente del Cordevole col comune di Selva del Cadore e parte della valle del Rutorto affluente del Maé, cioè il comune di Zoppé. Inoltre appartengono pure al Cadore le due piccole valli del Rio Popena e del Rin Bianco che a settentrione di Misurina col Rin Nero vanno a formare la Rienza, subaffluente dell'Adige. Appartengono anche alla parte cadorina della provincia di Belluno brevi parti degli alti bacini dei torrenti Ongara e Lumiei, appartenenti al bacino idrografico del Tagliamento e le stesse sorgenti di questo fiume e inoltre gli alti versanti orientali delle Prealpi Carniche fra Cima Laste 2555 m. e Cima Cadìn 2385 m., che fanno parte del bacino idrografico della Livenza.
Entro i limiti così definiti, il Cadore giace quasi tutto subito a ponente del meridiano di Roma (Monte Mario) che passa per la Villa Piccola di Auronzo. Solo la parte NE., cioè l'Oltrepiave e il Comelico, stanno a oriente del detto meridiano, per modo che il monte Cadìn, a NE di Sappada, si trova a 0° 18′ di longitudine orientale, mentre l'estremo punto occidentale nel comune di Selva di Cadore è a 0° 26′ ovest rispetto allo stesso meridiano. La cima Vanscuro è il punto più settentrionale (46° 40′ 45 ′′) e il monte Borgà quello più meridionale (46° 17′ 35″ N.). La rete idrografica delle Dolomiti ha una disposizione divergente da un'area centrale: nel Cadore scendono i corsi d'acqua diretti verso SE.; la vena collettrice - la Piave - scorre alla periferia orientale delle Dolomiti e ne risulta un bacino idrografico asimmetrico, per la maggiore lunghezza e importanza degli affluenti di destra in confronto di quelli di sinistra. Ne viene pure che il Cadore è assai più esteso sulla destra del fiume che non sulla sinistra, in modo che comprende notevoli parti delle Alpi Zoldane, delle Ampezzane e delle Alpi di Sesto e una, assai minore, delle Carniche. I terreni secondarî, in prevalenza triassici, formano tali montagne e sono in notevole parte dolomitici, cioè provengono da rocce formate dall'attività di corallarî. Su quell'antico mare dominava un clima caldo e non mancavano manifestazioni vulcaniche, assai vive specialmente nella parte occidentale delle Dolomiti. Ai terreni triassici si sovrappongono i terreni giurassici e cretacici; questi appariscono a formare soltanto alcune delle cime più alte. L'enorme pila calcareo-dolomitica, la quale arriva spesso alla potenza di 1500 m. e in gran parte giace orizzontale, dall'erosione delle acque correnti (che si esercitò specialmente sui terreni di sedimento meno resistenti, deposti fra una scogliera corallina e l'altra) venne disgiunta in rilievi ripidi ed isolati, alla cui base, nel fondo delle alti valli della Piave e del Boite, stanno le formazioni meno recenti del Trias. E poiché spesso alle rocce dure si alternano le rocce tenere e le dolomie si sgretolano secondo piani verticali, alle pareti rocciose succedono pendii dolci come gradini e le vette culminano in torrioni, guglie e pinnacoli di forma prismatica, che si arrossano vivamente quando il sole è già tramontato o non è ancora spuntato. Un buon numero di gruppi supera il limite delle nevi; tuttavia, a causa della frequenza delle forme ripide, non si ha quello sviluppo glaciale che potrebbe aspettarsi. Dalle maggiori altezze (Civetta m. 3210, Pelmo m. 3160, Antelao m. 3263, che è la massima altezza del Cadore, Froppa delle Marmarole 2932, Sorapìs m. 3020, Popéra m. 3092, Cristallo m. 3216) i ghiacciai non scendono mai sino alle valli e occupano qualche circo, qualche spianata sotto le cime o altre particolarità topografiche delle parti culminanti: le loro fronti sono a 2200-2300 metri.
Alla notevole altezza corrisponde un clima montano con inverno freddo e secco ed estate fresca e, per la situazione verso la periferia meridionale delle Alpi, le piogge sono abbondanti (specialmente in primavera e in autunno) e raggiungono in alcuni luoghi i 1700 mm. annui. In relazione con l'altezza e con la notevole piovosità, la vite si arresta alla soglia del Cadore. Col crescere dell'altezza, i terreni coltivati si riducono ad aree ristrette, mentre aumentano le superficie a prato. Le colture si fanno intorno ai centri permanentemente abitati che sono situati di solito sui ripiani o sul fondo stesso delle valli e anche intorno ai cosiddetti stavoli che sono dimore temporanee e pascoli, al disopra dei villaggi permanenti, frequentati nelle mezze stagioni. Sopra la zona degli stavoli sta quella delle cascine sugli elemti pascoli estivi, per l'alpeggio del bestiame.
Le coltivazioni (v. belluno) vanno riducendosi con l'altezza non solo riguardo allo spazio, ma anche rispetto al numero delle specie vegetali. Il mais intorno ai villaggi più elevati cede il posto ad altre colture: il suo limite altimetrico, piuttosto basso, dipende da ragioni di convenienza economica. E benché si coltivino l'orzo, la segala e il grano saraceno, i sativi hanno frequentemente il carattere di orti piuttosto che di campi. Anche il modo di lavorare il terreno, con la zappa, richiama l'orticoltura. Di rado i pendii sono intagliati da ripiani artificiali per la coltivazione, e l'empirismo tradizionale è seguito dalla grande maggioranza dei coltivatori, per i quali non occorre dar troppe cure ai prodotti della terra, che corrono l'alea delle soverchie piogge estive e delle brinate già verificantisi in settembre. Accanto alla praticoltura con l'allevamento del bestiame e la lavorazione del latte (si contano oltre 7000 bovini ed oltre 6000 pecore e capre) hanno grande importanza economica i magnifici boschi, dei quali le abbondanti precipitazioni atmosferiche formano l'alimento indispensabile. L'area boschiva dove prevalgono le conifere si può valutare a 490 kmq Dalla selvicoltura necessariamente ebbe origine, più che una vera industria, la prima lavorazione del legname per renderlo commerciabile. Panconi ed assi si ricavano nelle segherie situate in punti opportuni nel fondo delle valli, dove i tronchi mondati, detti taglie, gettati nel fiume e da questo trasportati a valle, vengono raccolti nei cidoli e successivamente avviati all'opificio.
Né può essere passata sotto silenzio l'importanza delle miniere, per quanto non tutte quelle della provincia di Belluno sieno comprese nei confini del Cadore. Infatti esse si trovano anche nell'Agordino e nello Zoldano, cioè in prevalenza lungo la linea di dislocazione Valsugana-Comelico. Fra quelle ancora attive è particolarmente notevole la miniera di valle Imperina nel territorio agordino, di Rivamonte nel Sottochiusa, donde, sin dal sec. XV, si estrae la pirite cuprifera che, al contatto fra gli scisti e i terreni permici e triassici, forma un ammasso valutato 1764 mc. L'estrazione attuale frutta in media, nel corso di un anno, 40.000 tonnellate di minerale. Un'altra miniera metallifera che fu in attività è quella nell'alta valle d'Auronzo, sul versante occidentale del monte Rosiano, costituito di dolomie e di calcari raibliani che contengono galena, blenda e calamina. In passato, come risulta dall'investitura del 1675, vi si estraeva anche galena argentifera, donde venne il nome d'Argentiera; fu in attività dal 1922. Gli stessi minerali si trovano nella valle di Auronzo al Pian di Barco, nei terreni infraraibliani del monte di Ajarnola; dal 1922 si produssero 5500 tonnellate di blenda e 50 di galena. Potrebbe poi con profitto essere messa in attività la miniera cinabrifera di Vallalta nella valle superiore del Mis, che fu attiva fino al 1879. Né si deve dimenticare che i giacimenti ferriferi esistenti nelle valli del Mis, del Cordevole, del Maé e del Boite avevano dato origine ad una piccola industria che fu ridotta quasi al nulla dalla grande industria moderna. Allo sviluppo di una nuova attività industriale si sono opposte finora le difficoltà delle comunicazioni, la scarsezza delle materie prime e l'emigrazione. Fonte rilevante di guadagno è il gran numero di villeggianti.
La popolazione del Cadore è presentemente di 47 mila abitanti, viventi, in maggioranza, agglomerati in villaggi e borgate che sorgono nelle valli, sui terrazzi alluvîonali, sui ripiani morenici, talvolta ad altezze notevolmente superiori al fondo valle, com'è il caso di Pieve di Cadore e di Calalzo rispetto all'alveo della Piave. In circostanze favorevoli di terreno o di comunicazioni, le sedi permanenti si elevano alquanto al disopra dei 1000 m., com'è il caso dei centri del Comelico (Danta 1396 m., Candide 1210 m.) e dell'oltremonti (Zoppé 1461 m., Pescul 1415 m., Selva di Cadore 1317 m.). Pieve, centro politico ed economico del Cadore sin da tempo lontano, si costituì alla base di un dosso arrotondato sovrastante alla Piave, là dove la vallata di questo fiume comunica con quella del Boite per mezzo dell'alveo glaciale di Tai. Più sotto, al punto di confluenza, si formò invece Perarolo. Alcuni agglomeramenti umani del Cadore sono borgate multiple costituite da più villaggi distinti, per modo che accanto al nome generale che li comprende tutti, vi è anche un nome particolare, come la Villa Grande e la Villa Piccola di Auronzo e le omonime che formano Lorenzago. Solo un recente sviluppo edilizio ha pressoché unito in un unico abitato i villaggi che, in passato, maggiormente separati, ebbero anche maggiore autonomia di vita, come attestano, per esempio, le usanze pastorali delle ville di Auronzo che tuttora dispongono di due distinti pascoli comunali per le loro capre. Riguardo ai centri abitati è notevole il fatto che le case non sono coerenti le une alle altre, anche se allineate lungo la strada, ma sempre separate, anche se, in seguito a incendî, purtroppo abbastanza frequenti, alle vecchie abitazioni di legname sono state sostituite case di muratura. Il tipo di queste ultime è caratteristico: hanno base quadrata o solo rettangolare, sono a più piani e servono alla dimora di più famiglie: a un corridoio o a una sala mediana corrisponde una finestra centrale nella facciata, munita di terrazzino o solo di balaustrata. Il tetto è frequentemente materiato di assicelle (scàndole).
V. tavv. XLV e XLVI.
Bibl.: G. Ciani, Storia del popolo cadorino, I, Padova 1856; II, Ceneda 1862; E. Moretti, I giacimenti di minerali di ferro nelle Alpi Dolomitiche, in La miniera italiana, 1927; F. Musoni, Il bacino plavense, in Ann. del R. Ist. tecnico di Udine, XX-XXII; F. Zadra, Il Cadore, Tolmezzo 1915.
Storia. - Fra il V e il VII secolo, il territorio cadorino rimane incorporato, come unità territoriale, nel ducato friulano longobardo. Ai Longobardi il Cadore pare passasse al tempo di Gisulfo duca del Friuli; ad essi successero i Franchi, e il Cadore continuò a far parte, come comitato, della marca friulana. Ma l'imperatore Ottone staccò la regione del Friuli e l'aggregò al marchesato di Carinzia; poi con lo sfaldarsi del ducato bavarese (974), il Cadore costituì una contea separata. Da Corrado II fu aggregato al patriarcato aquileiese, e da questo infeudato nella famiglia dei Caminesi, da Guecello (1138) a Rizzardo (1335). Sotto il governo dei Caminesi, rappresentato nella terra da villici o villiti, in seguito detti podestà, ebbe proprio statuto (1235), il quale tuttavia non faceva che consacrare il secolare ordinamento in viciniae, in fabulae ed in regulae, sopravvivenza della vecchia struttura pagense. Rimaneva così ai Cadorini una certa libertà locale. Sui campi di Sacile (1335) era restaurata la dominazione di Lodovico il Bavaro, che nel 1342 infeudava il Cadore al figlio, marchese di Brandeburgo e conte del Tirolo: ma tale dominio non poteva durare oltre il suo autore (1347). Il patriarca Bertrando riscattava con le armi, aiutato dai Cadorini, il vecchio feudo dei marchesi di Brandeburgo, legandolo politicamente alle vicende del patriarcato, ma rispettandone l'ordine amministrativo e sociale del sistema regoliere accentrato attorno alla Pieve. Venezia lo ereditò con l'acquisto del patriarcato friulano (1420) e gli conservò una esteriore autonomia amministrativa rispettando privilegi e diritti di lunga data, fonte di litigi interni periodicamente risorgenti. I litigi massimi sorgevano tuttavia - per questione di confine - fra le comunità di Ampezzo, Auronzo e Comelico superiore con i vicini comuni tirolesi. Venezia, che aveva fortificato saldamente le due ali estreme del confine alpino, quella di Val d'Adige e dell'Isonzo, non protesse egualmente la via degli altipiani, dei Sette comuni e del Cadore. Per questa si riversò l'esercito di Massimiliano imperatore nel febbraio-marzo del 1508; ma l'invasore fu respinto dall'Alviano (battaglia di Rusecco, 2 marzo). Nel luglio 1509, nuova invasione di Massimiliano: e questa volta la resistenza è fatta soprattutto dai Cadorini, che infine nella battaglia di Vallesella (novembre 1509) costringono il capitano imperiale Anhalt alla ritirata. Nuova, tenace resistenza degli abitanti nel 1511-12, finché la pace del 1512 tra Massimiliano e Venezia pose fine alle lotte.
Da allora, sino al 1797, il Cadore rimase tranquillo: diviso nelle dieci centurie di Venas, Valle, Pieve, Domegge, Oltrepiave, Auronzo, Comelico superiore, Comelico inferiore, San Vito e Pescul (sino al 1511 c'era, decima centuria, Ampezzo, e mancava Pescul; dal 1511, dichiaratasi Cortina per i Tedeschi, e staccatasi dalla comiunità cadorina, si fecero della centuria di S. Vito le due di S. Vito e Pescul), che racchiudevano 27 comuni, o regole. Il governo della regione era esercitato dal Consiglio della Comunità, composto del capitano veneto e di 19 consiglieri scelti dalle centurie, che eleggevano un vicario, per l'amministrazione della giustizia, quattro consoli per assistere il vicario, due sindaci, per convocare il consiglio e presentargli le proposte, e alti ufficiali per il disbrigo delle faccende comuni. Lo statuto della comunità era quello dei Caminesi.
Occupato dai Francesi nel maggio 1797, il Cadore fu diviso in 6 Cantoni: Pieve, Campitello (Comelico), Lozzo, Vodo, Selva e Forni; poi dal 16 giugno il Feltrino, il Bellunese e il Cadore furono uniti in un solo distretto. Con la pace di Campoformio il Cadore passava all'Austria, che lo riotteneva con la pace di Lunéville, dopo la nuova invasione francese del gennaio 1801; ma la pace di Presburgo assegnava la regione al regno italico, e dal maggio 1806 Feltre, Belluno e Cadore vennero uniti nel dipartimento del Piave. E cominciarono le innovazioni: fu sciolto nel 1807 il consiglio della comunità cadorina, venne abrogato (lo statuto, sostituito dal codice napoleonico. Nel 1809 i Francesi inseguono le truppe dell'arciduca Giovanni anche nelle valli cadorine. Col 1815 di nuovo gli Austriaci s'insediano sulla terra: viene costituita la vice-prefettura del Cadore, divisa nei distretti di Pieve e Auronzo e le 27 regole vennero raggruppate in 20 comuni (che salirono poi a 22). Nel 1848 la deputazione comunale di Pieve prese l'iniziativa della rivoluzione e il 1 aprile a Pieve, presenti i rappresentanti di tutti i comuni cadorini, venne ricostituita l'antica comunità cadorina; si aderì al governo provvisorio di Venezia, si approntarono le armi, si costituirono cinque corpi íranchi di militi. A capo della difesa veníva posto Pier Fortunato Calvi. E fu dalla fine d'aprile alla fine di maggio una lotta eroica, ad oltranza: combattuta specialmente a Venas (2 maggio), alla Tovanella (7 maggio), a Rivalgo-Runovo (8 maggio), al passo della Morte (24 maggio), a Rindimera (28 maggio). Ma il 4 giugno la resistenza divenne impossibile; il Calvi, giunto a Pieve, dovette sciogliere le sue truppe.
Bibl.: Ronzon, Il Cadore descritto e illustrato, Venezia 1877; Nani Mocenigo, Del castello di Cadore, Venezia 1884; Ferro e Giomo, L'archivio antico della Comunità del Cadore, Venezia 1912; Brentari, Guida del Cadore e valle di Zoldo, Torino 1902; Talamini, Una pagina di storia a proposito della lite fra due comuni, Venezia 1907; G.L. Andrich, Statuta de Cadubrio per illos de Camino (1245), in Nuovo archivio veneto, n. s., I, p. 333; Bailo, Documenti relativi alla difesa del Cadore nel 1848, Treviso 1884.
Le operazioni nel Cadore durante la guerra mondiale. - La zona Cadorina, dalla Croda Grande al M. Paralba, venne, all'inizio della guerra 1915-18, affidata alla 4ª armata (comandata, fino a tutto il settembre 1915 dal generale Luigi Nava, e poi dal generale Mario Nicolis di Robilant). Compito assegnato all'armata era di espugnare gli sbarramenti austriaci esistenti nella zona, e cioè le fortificazioni di La Corte e Valparola, che chiudevano l'accesso alle valli di Livinallongo e di Abbadia, e quelle di Landro, di Plätzwiese e di Sexten, che impedivano di scendere nella Val Pusteria e recidere l'arteria ferroviaria, che univa il Trentino all'Austria. La zona era divisa in due grandi settori dalla valle del Boite e dalla conca di Cortina d'Ampezzo: nel settore est operava il I corpo d'armata; in quello ovest, il IX.
Tutta la zona presentava ardue difficoltà alle operazioni militari per le sue caratteristiche nettamente montane: subito ad est della conca di Cortina, infatti, si erge il gruppo imponente del Cristallo e del Cristallino, da cui si svolge una serie ininterrotta di cime piu o meno alte, costituente l'antico confine: ad ovest altre cime e cuspidi rocciose frastagliano il cielo tra i due massicci poderosi delle Tofane e della Marmolada. Sapientemente, poi, il nemico aveva utilizzato il terreno, abbandonando a noi quelle ristrette zone che non gli sarebbe riuscito facile difendere, e tracciando invece le sue difese sopra una linea che gli offriva dappertutto posizioni dominanti e naturalmente forti. Ogni strada importante, inoltre, era sbarrata, ogni valico sorvegliato dall'alto, ogni valle infilata allo sbocco da un'altura ergentesi come a guardia; così, il Col di Lana in Val Cordevole, il Sasso di Stria in Val Costeana, il Son Pauses in Val Boite, il M. Piana in Valle Ansiei.
Fin dai primi giorni della guerra, occupata la conca di Cortina d'Ampezzo, le truppe del I corpo d'armata attaccarono le difese di Son Pauses e del M. Piana, ma si vide subito che con i mezzi di cui si disponeva non sarebbe stato possibile aver ragione di quelle posizioni. Cadde invece in nostre mani cima Palombino, nell'alta Val Padola. Le truppe del IX corpo occuparono i passi Ombretta e Ombrettola, in Val San Pellegrino, il passo Falzarego, e la cima Bois in Val Costeana; sulle pendici del Col di Lana, a Sasso di Stria e sul piccolo Lagazuoi urtarono in una decisa resistenza. Il 5 luglio ebbe inizio il primo attacco agli sbarramenti avversarî ma con questo e con quelli dell'agosto e dell'ottobre si ottenero solo vantaggi locali: più importanti quelli conseguiti nella zona a nord di Lavaredo e nella conca del Bacher Bach; nel gruppo del Cristallo, che fu quasi interamente strappato al nemico; sulle Tofane, ove riuscimmo a occupare la cima della Tofana 1ª (m. 3220), la forcella tra la Tofana 1ª e 2ª e la cima Falzarego; sul Col di Lana, infine, la cui vetta fu raggiunta dalle truppe della 18ª divisione il 7 novembre, ma poi riperduta.
Per insistere nel grande progetto di isolare il saliente tridentino, mediante il dominio della ferrovia di Val Pusteria, sarebbe stato necessario impegnare la quasi totalità delle nostre truppe da montagna e un nucleo poderoso di artiglierie, e dare inoltre a quelle operazioni un carattere di importanza precipua, ciò che non era consentito dalla nostra situazione sulla fronte Giulia e dai disegni del comando supremo. Le azioni, quindi, che nel 1916 e 1917 si svolsero nella zona del Cadore, se pure non prive di importanza, ebbero carattere soprattutto locale e furono dirette più che altro a migliorare la nostra situazione difensiva. Tra le più importanti ricorderemo la espugnazione del Passo della Sentinella nell'alta Val Padola (16 aprile 1916); la conquista del Col di Lana (18 aprile 1916) effettuata mediante una poderosa mina fatta scoppiare sotto la cima, e le successive operazioni del IX corpo d'armata nella zona Lana-Settsass e in quella di Val Travenanzes-M. Lagazuoi, che valsero a darci il possesso di qualche altra importante posizione: p. es., del Dente del Sief (2i maggio), e del cosiddetto Castelletto della Tofana 1ª fatto saltare anch'esso con una mina (13 luglio 1916). La guerra di mine in questo settore ebbe largo campo di azione, da una parte e dall'altra; sul Piccolo Lagazuoi, ad es., il nemico più di una volta fece esplodere delle mine sotto le nostre posizioni.
Degne di menzione, infine, sono le operazioni che la 17ª divisione condusse all'ala sinistra della 4ª armata nei mesi dal luglio all'ottobre 1916, insieme con altre truppe operanti all'ala destra della 1a (nucleo Ferrari), per la conquista della linea montuosa a sud-est del fiume Avisio. Alle truppe della 17ª divisione si dovette la conquista del Passo di Rolle, di Cima Cavallazza e del Passo di Colbricon (20 luglio), di Cima Stradon (26 luglio), della seconda cima del Colbricon (2 ottobre) e della cima di Costabella (5 ottobre). Altre operazioni di rilievo non si ebbero nella zona del Cadore fino al novembre 1917, allorché in seguito agli avvenimenti sulla fronte Giulia (Caporetto) la 4ª armata ebbe ordine di ripiegare nel settore tra Brenta e Piave (M. Grappa).