CAELATOR
Era a Roma, in senso stretto, colui che incideva col cesello (caelum) ogni materiale duro, come pietra, avorio, legno, vetro, ma soprattutto metallo; in senso lato e proprio dell'uso, era soprattutto l'artefice del metallo, sia che lo incidesse o lo lavorasse a sbalzo e a rilievo o anche vi incrostasse altri materiali (pietre preziose, altri metalli, smalti). È obiettivamente reale la definizione di Quintiliano: caelatura quae auro, argento, aere, ferro opera efficit (Inst. orat., II, 21, 8). Dalle mani del c. uscivano le suppellettili di lusso della mensa e della casa (argenteria, vasa caelata, potoria ed escaria), ministerium, candelabri, bracieri, oggetti del mundus femminile, interi mobili di piccole proporzioni (monopodia, tavolini, armadietti), gli oggetti dei templi (di culto e votivi), figurette e ornamenti da applicarsi a oggetti diversi (sigilla, emblèmata o crustae), gioielli. Una testimonianza del I sec. d. C. farebbe pensare che la caelatura avesse anche scopo non artistico: un militare caelator chorographiarius, forse incisore di tavole itinerarie o topografiche (Epigraphica, vii, 1945, p. 35).
Si trovano le specificazioni di caelator anaglyptarius (C. I. L., iv, 235, 2; II, 2243; vi, 168), caelator argentarius (C. I. L., viii, 2106) caelator vasc(u)larius (C. I. L., 10, 3749) (v. vascularius). La sua attività poteva anche essere quella dell'aerarius (v.), dell'argentarius (v.), dell'aurifex (v.), del corinthiarius (v.), del vascularius (v.). Ma, mentre questi mestieri, che prendono il nome dalla materia o dal tipo di oggetti trattati, possono comprendere anche l'attività commerciale, il C. è sempre solo un artefice. Il C. lavora perciò spesso alle dipendenze di altri, specialmente alle dipendenze dell'argentarius.
Per questa ragione fa parte dei collegi degli argentarii; non si sono trovate tracce di collegi di soli caelatores, che probabilmente non costituivano un gruppo omogeneo, ma erano volta a volta o elementi complementari degli aerarii, degli argentarii, degli aurifices, o, più raramente, artisti verî e proprî. Plinio osservava che i caelatores avevano raggiunto l'eccellenza soprattutto nel lavorare l'argento, e non l'oro (Plin., Nat. hist., xxxiii, 154). È impossibile riassumere la situazione sociale di questi artefici, che non solo variò nelle varie epoche con il mutare dei rapporti tra le varie classi sociali, e che fu diversa nelle varie parti dell'Impero di diversa tradizione e livello di romanizzazione, ma anche dovette essere profondamente diversa da persona a persona, perché, con il medesimo nome, si indicava tanto l'artista creatore del modello, quanto l'esecutore degli esemplari ripetuti forse centinaia di volte. Si può solo esporre una serie di notizie vere, anche se troppo spesso isolate. Artigiani liberi operavano in Roma e in Italia nell'epoca anteriore alle conquiste dell'Italia meridionale e della Grecia, continuatori dell'arte toreutica etrusca, se non etruschi essi stessi. Di alcuni si leggono le firme su oggetti del mundus muliebre; quella di Novios Plautios sulla Cista Ficoroni (Roma, Museo di Villa Giulia) è considerata la più antica firma su oggetto eseguito a Roma (inizio III sec. a. C.); l'iscrizione Novios Plautios med Romai fecid Dindia Macolnia fileai dedit etrusca nella forma alla 1° persona, con l'indicazione del nome della committente e di quella della persona cui era destinata, testimonia sia l'importanza, quindi il valore dell'oggetto, in un ambiente ancora relativamente povero e di costumi assai semplici, sia l'importanza e la dignità dell'artefice.
Ma già alla fine del III sec., con l'aumentare dell'influenza della Magna Grecia, con la presa di Siracusa (212 a. C.) e poi di Taranto (209 a. C.), e poi sempre di più nel secolo seguente, con la serie di vittorie in Grecia (200-146 a. C.), con la costituzione della provincia d'Asia (132 a. C.), l'enorme afflusso non solo di opere, ma di artisti greci prigionieri, portò una vera rivoluzione nella composizione della mano d'opera artistica, per quanto sia probabile che ancora buona parte degli esecutori sia stata locale, forse influenzata, forse addestrata da maestri greci ed orientali. Ma lo schiavo, in quanto tale, aveva un padrone, che era un ricco e raramente, nei primi tempi, un artigiano dello stesso mestiere. Il c. schiavo diventa così una delle varie fonti di guadagno di un consolare o di un cavaliere romano, più raramente rimane l'artefice che lavora esclusivamente per pochi ricchissimi padroni e poi per gli imperatori. Nell'enorme officina che Verre aprì nell'ex-palazzo reale di Siracusa, per attare alle sue suppellettili i mucchi di emblemata fatti strappare sistematicamente dagli oggetti di metallo pregiato di tutti i signori della Sicilia, lavoravano, accanto agli artefici suoi schiavi, i caelatores e i vascularii convocati da tutta la provincia (Cic., Verr., iv, 24); la notizia ciceroniana mostra come un governatore di provincia potesse convocare d'autorità, mediante editto, una determinata categoria di lavoratori, che erano quindi professionalmente individuabili. Possedere uno schiavo curvus caelator assieme a un secondo, che sia uno svelto pittore, qui multas facies pingit cito, sarebbe nei voti dell'interlocutore di Giovenale (Sat., ix, 145-146) se avesse solo la speranza che la Fortuna volesse toglierlo dalla miseria. III e il II sec. d. C. (Giovenale scrive dal 100 al 130 d. C.) sono l'epoca forse non tanto di maggior moda della toreutica, poiché l'amore per il vasellame e gli oggetti di metallo fu caratteristico di tutta la civiltà antica, ma della sua maggiore diffusione, dovuta alla più diffusa ricchezza e maggiore abbondanza di metallo pregiato, e quindi fu l'epoca in cui esistette una maggiore quantità di operai dell'ars Mentoris, come per antonomasia gli autori chiamano ora la caelatura (Varrone, Properzio, Marziale, Giovenale; v. caelatura).
Le descrizioni di oggetti cesellati, veri o immaginati, sono frequenti nei poeti, che danno spesso anche il nome dei cesellatori. Talvolta questi nomi corrispondono ad artisti la cui esistenza ci è nota, talvolta non sappiamo dire se designino artisti rimastici ignoti, o amatori di alto rango sociale, o se siano mere finzioni del mito o del poeta.
Caelatores fanno parte delle familiae di schiavi e di liberti imperiali (cfr. C. I. L., vi, 37750 a), lavorano in proprio e hanno ricordato sull'iscrizione funeraria il proprio indirizzo (C. I. L., vi, 9221, de sacra via), analogamente ad altre specialità, soprattutto dell'oreficeria (v. aurifex, argentarius). Agli altissimi prezzi, raggiunti soprattutto dalla toreutica antica greca ed ellenistica, e tipici della fine della Repubblica e principio dell'Impero, che hanno del favoloso e che furono sempre un'eccezione, tale appunto da costituire oggetto di cronaca, corrisponde ora un regolare mercato, coperto in massima parte dalla produzione locale. I prezzi dei diversi oggetti furono oramai proporzionati all'intrinseco valore ed al grado di perfezione nella lavorazione secondo la moda del tempo.
Gli artefici, secondo la tipica organizzazione del lavoro romano, raggiunsero alti gradi di specializzazione; Plinio allude ai varî tipi della caelatura (furriana, clodiana, gratiana) che presero probabilmente il nome dai proprietarî di diverse officine; un'iscrizione sepolcrale, fatta da un patrono al suo liberto, lo loda, oltre che per l'obbedienza e l'onestà, per l'abilità nella caelatura clodiana (C. L. L., vi, 9222). Questo patrono, che nell'iscrizione al suo defunto operaio dimentica di scrivere il proprio nome, doveva essere un padrone di officina di oggetti preziosi, forse un gioielliere. In un'iscrizione di Pompei un c. ricordato subito prima di un gemmarius (v.) (C. I. L., iv, 8505) fa pensare. ad altro lavorante di oreficeria, piuttosto che di toreutica; crustarius è chiamato da Plinio l'artista Teucer (Nat. hist., xxxiii, 157). D'altra parte abbiamo testimonianze di personalità più complesse, verosimilmente veri artisti, che non si limitavano ad essere buoni caelatores: c. e scultore quel C. Avianus Evander, ex-schiavo ateniese di Marco Antonio e poi di Augusto e quindi affrancato, secondo lo scolio ad Orazio di Porfirione (ad Horat. Sat., I, 3, 90); c., aerarius e statuarius Zenodoros, l'artista greco che operava nell'Avernia donde fu chiamato a Roma da Nerone (Plin., Nat. hist., xxxiv, 45); c. e scultore Pasiteles, di cui Plinio racconta che, espertissimo nella cesellatura. e nella scultura di bronzo e di marmo, sempre faceva prima il modello di creta (Nat. hist., xxxv, 156).
Fuori di Roma e fuori d'Italia lavoravano sia artigiani ed artisti locali, che più che dai nomi delle iscrizioni sono testimoniati da produzione con caratteristiche locali, sia artigiani ed artisti migranti, la cui produzione mostra una generale uniformità in tutte le parti dell'Impero. Artisti locali si servivano inoltre molto spesso di modelli di gesso, di calchi, fatti venire dai centri di maggior produzione.
Ma già nel II sec. comincia l'industrializzazione di molta produzione artigianale, e tra essa anche di quella degli oggetti di metallo: vere e proprie fabbriche, per lo più lontane dalle città, dai centri di consumo, sorgono nelle campagne, nelle villae: è l'inizio della decadenza della caelatura; infatti la parola c., si fa rara negli autori; la usa per ultimo Porfirione (III sec. d. C.); non esiste nel Corpus Iuris, non si legge nelle iscrizioni sicuramente posteriori al II sec.; più frequentemente si trova invece il nome aerarius.
Caelatores
Nell'elenco che segue sono compresi i caelatores delle iscrizioni, quelli noti dai testi letterarî, e firme di toreuti.
Abbreviazioni: ing. = ingenuus; lib. = liberto; ser. = schiavo; p. = peregrinus; iscr. fun. = iscrizione funeraria; iscr. v. = iscrizione votiva.
Alcimedon? (Verg., Egl., iii, 36-47)
Alexander (toreuta, Sardi, Année épigraphique, 1933, 255).
Amiantus (lib. di Germanico, I sec. d. C., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 4528).
Apollonius ateniese (firma su erma, Ercolano, Keibel, Inscriptiones Graecae Siciliae et Italiae, 712).
C. Avianus Evander (lib., età di Augusto, Schol. Porphyr., Horat., Sat., i, 3, 90).
M. Canuleius Zosimus (lib. di altro artefice, Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9222).
Cèlatus (v. aerarius).
Chirisophos (p.?, I sec. d. C., firme su coppe, Nordiske Fortisminder, ii, 3, 1923, p. 119 ss.) (v. cheirisophos).
P. Cincius Salvius (lib., Roma, firma su cippo, C. I. L., vi, 29794).
Cintusmus (v. aerarius).
M. Domitius Polygnos (lib.?, firma su specchio, Dessau, Inscriptiones Latinae selectae, 8620).
L. Furius Diomedes (lib., Roma, I sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 9221).
Hedystrachides (Roma, età di Pompeo, Plin., Nat. hist., xxxiii, 156).
Manios (v. aurifex).
Parthenios (Iuv., Sat., xii, 44).
Pasiteles (v.) (p., poi citt., età di Cicerone, Plin., Nat. hist., xxxiii, 39, 156; Cic., De divin., i, 36, 79).
Novios Plautios (v.) (ing., Roma, III sec. a. C., firma su cista, C. I. L., 12, 2, 561 = xiv, 4112).
Polyanthes (Melos, firma su statua di bronzo, Overbeck, Schriftquellen, 2294).
Poseidonios di Efeso (p., Roma, età di Pompeo, Plin., Nat. hist., xxxiii, 156; xxxiv, 91).
Priscus (ser., Pompei, iscr. parietaria, C. I. L., iv, 8505).
Pytheas (Plin., Nat. hist., xxxiii, 156).
Romulianus (firma su statuetta di bronzo, Pannonia, Année épigraph., 1944, 129).
Sabinus (ser.?, firma su skỳphos, Mon. Piot, v, 1899, p. 82, n. i6).
Tenatius Primio (ing., chorographiarius, Verona, I sec. d. C., iscr. fun., Epigraphica, vii, 1945, p. 35 ss.).
Teucer (crustarius, Plin., Nat. hist., xxxiii, 157).
Q. (Turb)anius Mercurius? (toreuticensis?, lib., Salona, iscr. fun., Ephemeris epigraph., iv, 301).
C. Valerius (Diop)hanes (lib., Spagna, iscr. fun., C. L L., ii, 2243).
C. Valerius Zephyrus (lib. del preced., C. I. L., ii, 2243).
Vitulus (v. argentarius).
Vibius Philipus (ing;, Preneste, firma su specchio, C. I. L., xiv, 4098).
Zenodorus (statuario chiamato dall'Avernia, ove lavorava, a Roma da Nerone, Plin., Nat. hist., xxxiv, 45-7).
Zopyrus (Roma, età di Pompeo, Plin., Nat. hist., xxxiii, 156).
Bibl.: J. Sillig, Catalogus artificum sive architecti, statuarii, sculptores, pictores, caelatores, et scalptores, Dresda-Lipsia 1827; J. Overbeck, Schriftquellen, Lipsia 1868, p. 417 ss.; E. Saglio, in Dict. Ant., II, 1887, p. 778 ss., s. v. Caelatura (articolo sopratt. tecnologico); H. Brunn, Geschichte der griechischen Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 269 ss.; E. Loewy, in E. De Ruggiero, Diz., II, 1922, p. 3 ss., s. v.; G. Ricci, Relazioni artistico-commerciali tra Roma (Italia) e la Grecia negli ultimi secoli della Repubblica e nel primo dell'Impero, in Antichità, II, Roma 1950, p. 33 ss. (con elenco degli artisti, App. p. 80); J. M. C. Toynbee, Some Notes on Artists in the Roman World, Bruxelles 1951, p. 51 ss.