CAFFÈ (fr. e sp. café; ted. Kaffee; ingl. coffee)
Con questo nome si indicano tanto le piante di alcune specie del genere Coffea, appartenente alla famiglia delle Rubiacee, quanto i loro semi che costituiscono la ben nota droga, e anche la bevanda che con questi si prepara.
Il nome deriva dalla pronunzia turca qahvé dell'arabo qahwah, che dapprima significava "vino" (o forse, in genere, bevanda eccitante) e poi, verso la fine del sec. XIV, fu esteso, originariamente nel Yemen, alla bevanda preparata con i chicchi del caffè. È da notare che in arabo il vocabolo è applicato solo alla bevanda, non mai alla pianta od ai frutti e semi (bunn). La connessione, spesso affermata in Europa, fra il nome qahwah e la denominazione Caffa (Kafā) della regione a sud dell'Abissinia donde la pianta è originaria, è da escludere per gravi ragioni filologiche e storiche.
La specie più pregiata, più anticamente nota e più estesamente coltivata, il caffè tipico, è la C. arabica L. È un alberetto che raggiunge 6-8 m. di altezza allo stato selvatico, ma molto meno nelle colture; le foglie sono opposte, subcoriacee, ovato-acute, a margine ondulato, verde scuro e lucide nella pagina superiore, pallide di sotto, lunghe circa 12 cm. e larghe circa 6, brevemente picciolate, accompagnate da piccole stipole interpeziolari ovato-acuminate. Il caffè ha una ricca fioritura, i fiori piccoli bianchi odorosi sono riuniti in cime composte contratte formanti glomeruli all'ascella delle foglie, constano di un calice gamosepalo corto a 5 denti appena pronunziati, di una corolla ipocrateriforme a lungo tubo e con lembo diviso in 4-5 o più lobi ovato-lanceolati acuti, di 5 stami attaccati alla gola della corolla, di un ovario infero biloculare sormontato da uno stilo exerto che si divide all'apice in due stimmi ricurvi. Il frutto è una drupa ovoide, a maturità vermiglia, che ha l'aspetto e il nome di ciliegia; la polpa avvolge due noccioli sottili di consistenza pergamenacea pianoconvessi affrontati per le facce piane, su ognuna delle quali è un solco longitudinale; ciascun nocciolo contiene un seme (grano o chicco di caffè) che riproduce la forma e il solco del nocciolo stesso, e che, coperto da un sottile tegumento argenteo, è costituito da un albume corneo molto sviluppato e da un piccolo embrione eccentrico.
Il caffè pare sia originario d'Abissinia e di qualche altra regione dell'Africa orientale, dove cresce spontaneo all'altitudine di 1000-1300 m. e donde nel sec. XIV sarebbe stato trasportato nell'Arabia di sud-ovest; da qui si è poi esteso alle Indie e a tutti i paesi del vecchio e del nuovo mondo nei quali ne è possibile la coltivazione. Nel Brasile, oggi il maggior produttore, fu introdotto nel 1723, ma la coltivazione assunse grande importanza dal 1810 in poi.
L'uso della bevanda di caffè fu introdotto in Europa nella seconda metà del sec. XVI dai Veneziani; oggidì è largamente diffuso e in continuo aumento presso tutti i popoli più o meno civili, meno che nella Cina e nel Giappone, dove si fa invece grande uso di tè; anche in Inghilterra e in Russia, per lo stesso motivo, il consumo del caffè è piuttosto limitato.
Coltivazione. - Il caffè è una pianta tropicale, ma non di quelle che esigono le più alte temperature, esso può prosperare nelle regioni che abbiano una media annua tra 15° e 25° ed in cui la minima non discenda sotto i 5° né la massima superi i 30°; si coltiva anche in taluni paesi dove sopporta di tanto in tanto qualche gelata, ma ne soffre. Discordanti sono le opinioni circa il minimo sufficiente di pioggia per una coltura rimuneratrice; si può solo dire che sono necessarî una precipitazione annua piuttosto elevata ed un alternarsi di stagione piovosa e stagione secca, ma questa interrotta da qualche pioggia. Il caffè nei varî paesi del mondo si coltiva ad altitudini assai variabili: da circa 200 m. in talune località brasiliane, fino a 2200 m. e più nel Venezuela, in Ceylon tra 800 e 1200, in Giava fra 300 e 1700, nel Brasile in generale tra 500 e 1000; in massima si ritengono più pregevoli i caffè provenienti da stazioni elevate. È stato molto discusso se sia necessario ombreggiare le piantagioni con alberi di alto fusto, ciò che si usa in talune regioni, per es. a Giava, mentre in altre regioni come generalmente al Brasile non si segue questa pratica; si è anche sostenuto essere preferibile, anziché ombreggiare le piante, difenderle dai raggi del sole con copertura morta il terreno; è da ritenere che l'ombreggiamento o il soleggiamento abbiano valore relativo secondo la temperatura e l'umidità e che quindi l'uno o l'altro sia preferibile secondo le località. Il caffè non è particolarmente esigente nei riguardi della natura del suolo e ogni terreno che non abbia particolari difetti può convenirgli, le qualità fisiche di questo hanno maggiore importanza di quelle chimiche, il miglior terreno è quello profondo e permeabile e che abbia una certa proporzione di humus; le rinomate terras roxas del Brasile, adattissime per la coltivazione del caffe, provengono dalla decomposizione di rocce granitiche, sono poverissime di calce e raggiungono profondità veramente straordinarie, talvolta perfino oltre 20 m.
Il caffè si moltiplica per semi, messi in vivaio quando sono ancora ben freschi, poiché perdono molto presto la facoltà germinativa; le piantine si collocano a dimora a circa un anno di età. Con opportune potature e cimature periodiche si regola lo sviluppo delle piante, impedendo che si elevino troppo in altezza. Agli alberi vecchi in via di esaurimento si fa una potatura di ringiovanimento, tagliando il tronco poco sopra terra e conservando 2 o 3 rigetti. Il caffè comincia a produrre verso i 4 anni, è in piena resa a 7-8 anni e vi si mantiene per 15-20 anni; nel Brasile si stima che gli alberi siano esauriti fra i 30 e i 40 anni.
Come tutte le piante coltivate, il caffè è soggetto a molte malattie, dovute a parassiti animali e vegetali. Il più grave e più diffuso è la Hemileia vastatrix Barckley, fungo microscopico della famiglia delle Uredinee che attacca le foglie e determina l'intristimento e la morte della pianta; apparve dapprima verso il 1870, a Ceylon, donde si diffuse negli altri paesi produttori di caffè d'Asia, d'Africa e d'Oceania; esso ha fatto enormi devastazioni, in taluni paesi le piantagioni sono state addirittura abbandonate, in qualche luogo alla Coffea arabica si sono sostituite la C. liberica e la C. robusta, ritenute resistenti, ma anche queste sono state più o meno attaccate; l'America ne è immune.
La fioritura del caffè avviene in generale verso la fine della stagione secca e si svolge per un periodo di 2-3 mesi e più, conseguentemente la maturazione delle ciliegie, che coincide con il principio della nuova stagione secca, non è simultanea. Nei paesi in cui la preparazione del caffè è più accurata e si producono qualità fini la raccolta si protrae per un periodo lungo quanto quello della maturazione, ripassando più volte le medesime piante e staccando ogni volta, una ad una dai rami le ciliegie mature; in altri paesi, come ordinariamente nel Brasile, la raccolta si fa in una volta sola, scegliendo il momento di generale maturazione e raccogliendo allora tutte le ciliegie mature o già secche o ancora immature. In ogni caso la raccolta è l'operazione più importante e più costosa dell'azienda caffeiera, richiedendo moltissima mano d'opera, che in gran parte è prestata da donne, e che non sempre si trova in quantità suffici ente.
La produzione del caffé non è costante, anzi la diversità delle condizioni climatiche nelle varie annate si fa sentire fortemente su di essa, che perciò varia entro assai larghi limiti. La resa media per ettaro dei tre raccolti 1924-25, 1925-26 e 1926-27 è stata in quintali di caffè mercantile: nel Brasile 4,1, nella Bolivia 3,8, nella Colombia 6,4, in Ceylon 2,1, nelle Indie Olandesi 4,1, nell'Indocina 1,4, nel Congo Belga 2,6, nel Madagascar 1,8, nelllAustralia 4,6.
Forme commerciali. - Le numerose varietà di caffè che si trovano in commercio portano nomi che presero in origine dai paesi di produzione o dai porti d'imbarco; e in realtà il prodotto d'un paese presenta, in confronto a quello d'un altro, differenze più o meno accentuate di forma, di grandezza, di colore, di aroma, ecc. Così, per ricordare solo alcune delle varietà più note, si sono avuti: il Moka (proveniente dal Yemen), caratterizzato dai grani piccoli, tondeggianti, giallo-verdastro pallido, semitrasparente, di odore aromatico che ricorda quello del tè; il Bourbon ovale, appuntito; il Martinica a semi grandi, tozzi, appiattiti, con solco largo, verdastri o verde-grigiastri; il Portorico ovale, allungato, a base leggermente concava e con solco molto incavato, verde più o meno cupo e tendente all'azzurrognolo; il Colombia ovale, allungato, con solco strettissimo ad una estremità e allargantesi verso l'altra; il Giava, a grani più grossi di quelli di tutte le altre varietà di C. arabica, arrotondati od oblunghi, di colore bruno-giallastro caratteristico; e cento altre, di cui non è agevole indicare con poche parole caratteri.
Oggi tuttavia troppo spesso la denominazione non corrisponde più alla reale provenienza della merce; in luogo delle varietà naturali si sono formati dei tipi commerciali fittizî di caffè distinti da caratteri puramente estrinseci, senza alcun rapporto con la provenienza né con le qualità intrinseche della droga, quali gusto, profumo, tenore in caffeina, ecc. Mentre son queste le qualità veramente apprezzabili d'un buon caffè il commercio invece si basa sulle qualità esteriori, apparenti. Data la variabilità dei caratteri morfologici che presentano i grani anche di una medesima partita, i caffè greggi di qualsiasi provenienza, considerati come materia prima, mediante cernite e confronti accurati vengono separati o riuniti secondo la forma e la grandezza, indi variamente manipolati e infine denominati secondo i tipi stabiliti che rappresentano, imitanti le varietà naturali d'una volta.
Dal punto di vista della qualità poi i caffè di ogni provenienza vengono divisi e suddivisi in varî tipi con svariate denominazioni, secondo gli usi locali dei paesi di produzione o con i criterî del commercio europeo; da qualche tempo però è generalmente adottata la classifica usata alla borsa di New York.
I paesi produttori di caffè possono dividersi in quattro gruppi: l'America spagnola dal Messico al Paraguay con le Antille; il Brasile, che costituisce parte a sé; le Indie; l'Africa con l'Arabia di sud-ovest.
La produzione e il consumo mondiale del caffè risultano dalla tabella a pag. 262.
Il Brasile da solo fornisce i 23 della produzione mondiale del caffè, e nello stesso tempo il caffè costituisce il maggior fattore della attività agricola, industriale e commerciale di quel paese. Nel Brasile, in grazia delle condizioni ambientali singolarmente favorevoli, il caffè prospera mirabilmente; il facile e rapido arricchimento dei piantatori nei primi tempi fu tale che tutti vollero diventare fazendeiros e le plantagioni si estesero smisuratamente, ma l'ascesa vertiginosa della produzione, mentre il consumo mondiale cresceva costantemente ma lentamente, doveva condurre al precipizio dei prezzi. Tra la fine del secolo scorso e i primi anni del presente, il paese subì una crisi economica spaventosa e per salvare la fortuna nazionale dall'imminente rovina, intervenne direttamente lo stato, lanciandosi nella grande operazione finanziaria nota col nome di "valorizzazione del caffè" (v. in seguito).
Il caffè nelle colonie italiane. - Delle colonie italiane quella in cui si pratica la coltivazione del caffè è l'Eritrea. Quivi il caffè cresce ottimamente nella regione detta delle "pendici orientali", all'altitudine di 1100-1800 m., senza bisogno di irrigazione né di ombreggiamento. Questa regione dell'Eritrea è una larga striscia parallela al mar Rosso, che sta fra il ciglione dell'altipiano centrale e le vaste regioni pianeggianti orientali; essa gode del beneficio di due stagioni di pioggia e in gran parte possiede tutti i requisiti naturali necessarî alla coltivazione del caffè La superficie attualmente determinata come idonea per tale coltura ha l'estensione di 5-6 mila ettari, ma è da ritenere che essa possa ancora estendersi lateralmente nelle contrade finitime di analoghe condizioni climatiche o, previa ricerca di varietà opportune, anche in zone più basse o più alte. Belle piante di caffè vi sono anche presso Cheren, ma irrigue. Da pochi anni questa coltura, uscita dal periodo della sperimentazione, è entrata in quello della pratica agraria e, sebbene ancora limitatissima, pure dà risultati assai incoraggianti. Secondo le statistiche dell'istituto internazionale di agricoltura, nella campagna 1924-25 la produzione di caffè in Eritrea fu di q. 60, nel 1925-26 q. 150, nel 1926-27 q. 165, nel 1927-28 q. 200; la resa nel raccolto 1925-26 fu di q. 5 per ettaro.
Diboscato e scassato il terreno, le piantine di1-2 anni vengono poste a distanza di 2 m. in quadro (2500 per ettaro); l'Ufficio agrario distribuisce ai coltivatori piantine allevate nei suoi vivai. Dato il forte pendio dei terreni, questi vanno sistemati a ripiani, e in taluni luoghi la piantagione viene protetta con frangiventi perché non sia disturbata la fiorituta; a tal uopo sono stati usati l'Eucaliptus corynocalyx F. Muell, e la Casuarina equisetifolia L. Le cure culturali consistono in due zappature all'anno. A tre anni le piante entrano in fruttificazione; la fioritura ha luogo nei mesi di giugno-agosto, la maturazione in dicembre-gennaio. Le spese d'impianto si possono calcolare in 3-5 mìla lire all'ettaro. Il prezzo del caffè sul luogo di produzione nel 1929 è stato di L. 10-11 per kg.; la buccia venduta sul posto agl'indigeni, che ne fanno il loro infuso, è sufficiente a coprire le spese di coltivazione. Le razze di caffè che si coltivano nell'Eritrea sono la Ennaria, che si è mostrata la più adatta, il Moka, l'Harrar Zeghiè e il Long Berry.
Il caffè è largamente coltivato nell'interno dell'Abissinia, specialmente nei territorî Galla, nell'Harrar, nel Goggiam. Il trattamento doganale di favore, oltre a stimolare la coltura in colonia, attira commercio di transito dall'interno dell'Abissinia e dal Yemen nel porto di Massaua, nei limiti della quantità annua stabilita.
Nella Somalia italiana, lungo il Giuba e a Genale, si è sperimentato il caffè in coltura irrigua e all'ombra del cocco; le piante hanno buon aspetto vegetativo e buono sembra anche il prodotto.
Altre specie di caffè. - Oltre alla C. arabica L., parecchie altre specie del genere Coffea sono state sperimentate per la produzione dei semi, talune come più adatte a certe condizioni di clima, altre come più resistenti alle malattie. Ma le sole la cui coltura abbia acquistato una certa importanza, sempre però assai piccola in confronto a quella della C. arabica, sono la C. liberica Hiern e la C. robusta Lind. La prima, coltivata da antico tempo in Liberia, si va ora estendendo; è specie nettamente distinta dalla C. arabica, con albero più forte e più alto, foglie e fiori molto più grandi, frutti e di conseguenza semi grandi circa il doppio che in quella, prospera a temperature più elevate e ad altitudini più basse, è più longeva e più fruttifera; la preparazione dei semi è alquanto più difficoltosa che nella C. arabica. La C. robusta è più affine alla C. arabica, della quale può considerarsi come una spiccata varietà; la sua coltura ha preso importanza nelle Indie olandesi perché più resistente alla Hemileia; dà prodotto abbondante e di buona qualità. Si sono anche creati degli ibridi tra la C. arabica e ciascuna delle due specie suddette.
Sofisticazioni e surrogati. - Oltre alle artificiose modificazioni di aspetto e sostituzioni di qualità, di cui sopra si è fatto cenno, il caffè è soggetto a numerose sofisticazioni: trattamenti per aumentarne il peso mediante assorbimento d'acqua o rivestimento con strati di sostanze pesanti, esaurimento dei principî attivi, cioè principalmente estrazione della caffeina; si giunge perfino a fabbricare caffè crudo e torrefatto del tutto falso, con pasta di farina o di altre sostanze, mediante stampi che le dànno la forma di chicchi, i quali poi vengono colorati e lucidati.
Dalle falsificazioni bisogna distinguere i succedanei o surrogati, che si vendono e si usano come tali, e vanno in commercio generalmente torrefatti e macinati; sono innumerevoli, prendono nomi o dalla materia della quale sono formati o nomi di fantasia, e dànno luogo a industrie e commerci ragguardevoli. Fra i più comuni sono: il "caffè di cicoria", comparso fin dal 1829, preparato dalle radici del Cichorium intybus L., quelli ottenuti scaldando sino a caramellizzare lo zucchero, il glucosio, il melasso, quelli preparati con orzo, malto d'orzo ed altri cereali, come frumento, segala, grano turco. Se ne fabbricano anche da frutti zuccherini, quali fichi, datteri, carrube, da semi di leguminose o nostrane, come lupini, ceci, fagioli, astragalo, o esotiche, quali soia, arachide, Cassia occidentalis L., Parkia biglobosa Benth., Gymnocladus canadensis Lam., dalle ghiande, dalle castagne, dalle castagne d'India, dai noccioli di datteri. Si utilizzano anche per la fabbricazione dei surrogati le bucce del caffè vero, i cascami delle varie lavorazioni ed i fondi residuati dalla preparazione dell'infuso. È infine da notare che anche i surrogati sono talvolta oggetto di falsificazione (v. caffeina).
L'industria del caffe. - Il caffè è un prodotto oltremodo delicato, perché se non è messo in lavorazione, entro 4 o 5 ore dopo che è stato colto fermenta subito e diventa acido: uno degli elementi più importanti per la lavorazione del caffè è l'acqua. Secondo che se ne ha a disposizione oppure no, si seguono delle lavorazioni diverse e che dànno al caffè un aspetto del tutto diverso: si ha cioè la lavorazione a secco, che dà i cosiddetti caffè "naturali" chiamati all'origine corrientes; la lavorazione con acqua dà invece i cosiddetti "lavati" o lavados, che sono di gran lunga superiori in rendimento e gusto.
Il sistema secco è maggiormente diffuso. Il caffè appena colto viene raccolto nelle aziende annesse alle grandi piantagioni e disteso nei terreiros o patios, cortili immensi, dove le ciliegie vengono distese in uno strato di qualche centimetro e lasciate seccare al sole, finché pericarpo e mesacarpo si rattrappiscono, formando un guscio duro e coriaceo. Si rimescola la massa per avere un'azione eguale su tutto il frutto e quando questo è ben secco, si raccoglie, si pone in vagoncini e si riporta nell'azienda, dove viene lavorato con varie macchine: dapprima si passa attraverso stacci, per liberarlo dalla terra più grossa e dalle impurità, come anche per dividere i grani secondo la grandezza. Il prodotto selezionato viene posto nelle macchine che levano il guscio coriaceo e che sono mulini rotondi con grandi ruote che schiacciano il prodotto e dànno naturalmente un caffè meno eguale (sistema vecchio), oppure sono tamburi rotanti, che hanno internamente dei cucchiai dagli orli taglientissimi che tolgono il guscio esterno al prodotto che vi passa attraverso. Quello che si ottiene è già caffè, ma contiene una quantità d'impurità: residui dei gusci, polvere, terra, pezzetti di legno e ferro. All'uscire dai tamburi si fa perciò passare il prodotto per mezzo di una forte corrente d'aria, prima sopra una calamita, per asportare i pezzetti di ferro; poi attraverso diversi stacci: s'immettono correnti d'aria laterali che liberano abbastanza bene il prodotto, e lo si fa salire e ricadere con delle turbine. Dopo di questo il caffè arriva alle classificadoras, macchine cioè che classificano il caffè secondo la grossezza. Esse sono costituite o da diversi crivelli obliqui o orizzontali paralleli, oppure da un filo di rame o di ferro, avvolto ad elica cilindrica, con interstizî diversi. Siccome questo cilindro ruota lentamente, il caffè che entra da un lato cade, secondo la propria grandezza, per uno degli spazî in un orifizio e quindi nei sacchi sottostanti. Il caffè così ottenuto viene ancora liberato a mano da donne, dei grani marci, neri, ecc. Si ha così finalmente il caffè, pronto per l'esportazione. I sottoprodotti della lavorazione, e cioè i gusci, vengono cremati lentamente e adoperati o come concime oppure nella lavorazione del sapone per il loro alto contenuto di potassa.
Il procedimento per via umida è molto più costoso e difficile ed è legato alla condizione che ci sia molta acqua nelle vicinanze, perché altrimenti la ciliegia si guasta. Quando questa è matura, viene raccolta in grandi serbatoi, che vengono riempiti d'acqua. L'acqua trasporta la ciliegia, attraverso diversi stacci generalmente cilindrici, nelle chancadoras, simili ai tamburi descritti sopra, dove pericarpo e mesocarpo vengono asportati meccanicamente. Di lì il prodotto viene posto per circa 36 ore nelle pile di fermentazione dove i resti dello strato zuccherino si macerano e vengono lavati dall'acqua corrente, che trasporta il prodotto attraverso canali stretti e apparecchi di lavaggio, dove il frutto viene rimescolato e lavato adeguatamente per levargli quanto più possibile lo strato zuccherino: di lì il prodotto è posto a seccare al sole per 3 giorni. Occorre una grande abilità per saper dare al caffè il colore che viene richiesto dai consumatori. Nei patios si secca il caffè in pergamino lasciandogli una certa umidità, ciò che dà uno speciale color verde. Questa operazione che si chiama "dare il punto", richiede anni ed anni di pratica. Se non c'è sole, cosa che avviene abbastanza spesso, perché i caffè lavati vengono prodotti in gran parte nelle montagne dove, nella stagione del raccolto, piove o il cielo è coperto, il pergamino, invece d'essere seccato al sole, viene posto negli essiccatoi (ingl. dryers, sp. secadoras), tamburi lunghissimi, rotanti orizzontalmente e che vengono riscaldati o col vapore o con l'elettricità: il caffè vi si secca in circa 48 ore. Si ottiene cosi un prodotto che non si distingue esteriormente in nessun modo da quello seccato sui cortili; mentre però su questi avviene un fenomeno di nitrificazione delle sostanze eteree, negli essiccatoi ha luogo invece un fenomeno di ossidazione; ci vogliono dei palati molto fini per poter sentire la differenza. Il pergamino così ottenuto viene fatto passare attraverso diverse macchine, simili a quelle per la lavorazione dei caffè naturali, per liberare il prodotto dal pergamino e dalle varie impurità. Solo che qui il caffè ottenuto viene passato spesse volte pure per la brilladora, un tubo di bronzo dove è data al caffè quella pulitura e lucentezza, che è richiesta dai consumatori e che spesse volte è prodotta con l'applicazione di cera. I sottoprodotti di questa lavorazione, come il mesocarpo e pericarpo, vengono seccati e utilizzati come concime; mentre il pergamino serve a riscaldare i forni delle macchine, oppure si tenta di farne delle mattonelle per l'edilizia.
Accanto a questa lavorazione, che diremo principale, ce ne sono varie sussidiarie, come la lavorazione del caffè finito e cioè la liberazione dai grani neri fatta però solo in piccola parte per via meccanica. Più importante è lo scegliere i diversi tipi di caffi, passandoli per i diversi stacci e formandone ciò che in commercio si vende per "crivello 18" ecc., e lo smistamento del cosiddetto perla, in certi paesi chiamato erroneamente moka, cioè di quei grani rotondi che crescono soli in un frutto. Il perla si scevera dall'altro caffè, detto "piatto", che è derivato dai frutti in cui crescono due grani, facendolo passare per larghi nastri rotanti lentamente in senso obliquo; il perla, essendo rotondo, scivola giù, mentre l'altro caffè rimane sul nastro sulla parte piatta.
Le esigenze dei consumatori con l'estendersi del commercio del caffè hanno fatto sorgere anche degl'impianti industriali nei principali porti d'importazione e ciò tanto per migliorare e conservare meglio il prodotto, molto delicato per natura, durante il trasporto e poterlo consegnare al consumatore nella sua forma migliore, quanto per dare un aspetto più bello a certe qualità basse ed aumentarne con ciò la commerciabilità. Sono sorte così a Londra, Amsterdam, Amburgo, Trieste, ecc. le cosiddette mondature, dove vengono portati i caffè in pergamino che vengono principalmente dal Centro America: vengono sgusciati qui in maniera identica a quella che si fa nel paese di produzione, quando il caffè in pergamino viene portato dai cortili nelle aziende: vi sono dei compratori che pagano un prezzo elevato per avere una merce dal colorito intenso verde o verde-blu e dall'aspetto vitreo o cereo, che si perde nei trasporti lunghi dai centri di produzione a quelli di consumo oppure per mancanza di attrezzatura nei primi. Questi procedimenti non portano a migliorare l'articolo, ne cambiano solo l'aspetto, col tingere il caffè nelle diverse gradazioni del verde o del giallo, dando pure al taglio un colore generalmente bianco per imitare l'aspetto del caffè di qualità superiore: sono queste le cosiddette macchinazioni, in cui il caffè viene trattato dapprima con acqua, oppure talvolta con olio, poi fatto asciugare, indi lavorato con segatura di legno e con colori di varia natura. Simili macchinazioni non alterano le qualità intrinseche della merce, ma solo l'aspetto. Molti stati però le considerano nocive alla salute e proibiscono l'importazione del caffè così macchinato.
Il caffè pronto viene direttamente venduto al consumatore, oppure passa alle grandi imprese di tostatura. Qui il caffè viene posto in ampî recipienti che hanno un movimento rotatorio per dare al prodotto contenutovi una torrefazione uniforme; il caffè perde in questa operazione circa 20% del suo peso, ed aumenta di 15-25% in volume. Viene poi posto a raffreddarsi in un ambiente aperto e, macinato, passa al consumo diretto. Nella torrefazione l'aspetto e il peso si prestano a varî artifizî: tanto con l'imbevere di acqua il caffè appena tostato, che è molto idrofilo, quanto con lo spargerlo di una sostanza zuccherina o di certe resine e mastici (ciò che in termine tecnico si dice calcinare il caffè).
Connesse con la tostatura in grande sono le cosiddette miscele di varie provenienze di caffè che vengono fatte e che rappresentano in diversi paesi i tipi standard delle grandi tostature. Così negli Stati Uniti, in Germania, ecc., dove le marche sono registrate, si fa sempre il possibile per mantenere inalterato lo stesso tipo di miscela; cosa non facile con le variazioni alle quali il caffè soggiace come ogni altro prodotto agricolo.
Essendo il caffè soggetto, in molti stati, ad alti dazi doganali è sorta in molti punti franchi l'industria di arrostirlo fino a un punto da non mutarne l'aspetto esterno, sì da poterlo importare nello stato quale caffè naturale, essendo già alterate le sue qualità intrinseche ed avendo perduto anche circa il 10% del suo peso. Questa frode va solo a scapito del fisco.
Infine si sviluppa, specialmente in Germania, l'industria del caffè senza caffeina, il cui prodotto, pure non essendo uguale all'altro per forza, aroma, ecc. dà pure un risultato discreto ed ha avuto abbastanza fortuna, specialmente per le persone ammalate, alle quali il caffè allo stato puro arrecherebbe danno alla salute.
Bibl.: Van Delden Laern, La culture du café, L'Aia 1885; E. Raoul e E. Darolles, Culture du caféier, Parigi 1897; B Belli, Il caffè, Milano 1910; I. Baldrati, La coltivazione del caffè in Eritrea,in Agricoltura coloniale, VIII, Firenze 1914; W.H. Ukers, All about Coffee, New York 1922; A. Ramos, O café no Brasil e no estrangeiro, Rio de Janeiro 1923; W.H. Ukers,Cofee merchandising, New York 1924; L. Valerio, Caffè e derivati, Milano 1927. Per notizie storico-geografiche v. C. Ritter, Vergleichende Erdkunde von Arabien, 2ª ed., II, Berlino 1846-47, p. 535-608; C. van Arendonk, kahwa, in Encycl. de l'Islām, II (1924), p. 671-676; Institut Internat. d'Agriculture, Notes bibliographiques sur le café, 1924-1929, ecc., Roma 1929.
Valorizzazione del caffè. - Il Brasile (particolarmente lo stato di San Paolo) che è il più forte produttore del mondo e per la cui economia il caffè ha un'enorme importanza, si è proposto da tempo di regolare il mercato mondiale in modo da sostenere i prezzi. La produzione dello stato di San Paolo presenta fortissime variazioni in dipendenza dalle vicende atmosferiche dell'annata; e siccome il caffè può conservarsi abbastanza facilmente per parecchi anni, è naturale la tendenza da parte dei produttori a cercare un finanziamento per riportare alle annate magre gli eccessi di produzione. Quando poi, al principio del sec. XX, stimolate dagli alti prezzi del periodo 1889-95 le piantagioni furono largamente estese e la produzione aumentò con ritmo più celere del consumo, i produttori di quello stato prima e poi anche il governo federale del Brasile intervennero con una serie di misure note sotto il nome di "valorizzazione del caffè". Questi interventi presentano molti punti di somiglianza con quelli contemporanei del governo italiano per lo zolfo e gli agrumi e con quelli posteriori di altri governi, a favore dei produttori di zucchero, di cotone e di cereali. L'intervento consistette nel finanziare talvolta anche nel comprare, l'eccesso di produzione che non si poteva o non si voleva vendere. L'intervento statale fu iniziato nel 1907-08 ed ebbe alterne vicende di accumulazione e liquidazione di stocks.
Così, il caffè ritirato dal mercato durante la guerra poté essere liquidato con vantaggio, sia perché nel giugno 1918 due geli fortissimi danneggiarono gravemente le piante, sia perché, con l'armistizio, dagli Stati Uniti e dagli altri paesi affluirono le richieste di compra e il caffè subì un fortissimo rialzo. Poco dopo però, la depressione mondiale colpì anche il caffè, e nel 1921-22 si ebbero nuovi interventi per i quali furono ritirati dal mercato oltre 4.000.000 di sacchi. Nel 1922, i governi degli stati brasiliani interessati decisero di adottare una politica continuativa di regolazione del mercato fondata su tre punti principali: limitazione delle spedizioni ai porti brasiliani di esportazione, credito ai produttori e propaganda per l'aumento del consumo. La quantità di caffè immessa nei porti in ciascun mese doveva essere eguale a quella esportata nel mese immediatamente precedente e gli stocks nei varî porti non dovevano superare le cifre seguenti: Santos 1.200.000 sacchi, Rio de Janeiro 360.000, Victoria 150.000 Paranaguá 50.000, Bahia 60.000, Recife 50.000. Il caffè, consegnato dai produttori, doveva essere concentrato in appositi magazzini regolatori (che già nel 1925 avevano la capacità di 4.500.000 sacchi) per essere inoltrato ai porti secondo l'ordine di precedenza dei depositi. I produttori ricevevano anticipazioni sui documenti di spedizione oppure sulle fedi di deposito emesse dai magazzini. Inoltre il governo federale aveva facoltà di regolare e limitare a determinate cifre le esportazioni ai mercati esteri ed anche quelle da uno all'altro stato del Brasile; però di questa facoltà non era stato fatto uso fino al 1929. Si concedevano ai piantatori anticipazioni sulla futura produzione e prestiti ipotecarî a moderato saggio d'interesse. Per lo stato di San Paolo l'azione sopraccennata è svolta dall'Istituto del caffè appositamente creato. Dapprima il finanziamento era compiuto da una speciale sezione dell'Istituto col provento di prestiti per l'ammontare di 10.000.000 di sterline fatti allo stato di San Paolo da finanzieri inglesi e garantiti da una tassa di 1 milreis oro per sacco di caffè trasportato entro il territorio dello stato: mentre alla propaganda si provvedeva col provento di un'altra tassa, di 200 reis carta per sacco sul caffè esportato. In seguito, il finanziamento fu affidato alla Banca dello stato di San Paolo, i maggiori azionisti della quale sono l'Istituto del caffè e lo stato di San Paolo; anch'essa trae la maggior parte delle proprie disponibilità da prestiti esteri garantiti dall'istituto oppure dallo stato. L'Istituto non poté impedire che il prezzo del caffè ribassasse del 57% fra il 1919 ed il 1930, mentre i suoi stocks invenduti aumentavano da 8.785.000 a 23.000.000 di sacchi. Nel 1930 fu annunciato che la valorizzazione sarebbe stata gradualmente abbandonata.
Una delle maggiori obbiezioni contro questa politica di sostegno del mercato è che i produttori non brasiliani di caffe se ne sono giovati senza partecipare ai gravi oneri da essa imposti allo stato brasiliano.