CAFFIERI
. Famiglia di scultori del Seicento e del Settecento, di origine italiana. Il capostipite Daniele, ingegnere del papa Urbano VIII, nacque a Sorrento nel 1603, e morì nel 1639. Suo figlio, Filippo (1634-1716), nacque a Roma e fu nel novero dei moltissimi Italiani chiamati in Francia durante il periodo del cardinale Mazarino. Già educato all'arte in patria giunse a Parigi nel 1660, e come scultore in legno lavorò a lungo sotto la direzione del Le Brun nella decorazione dei palazzi e dei castelli reali, eseguendo mobili, intagli, porte, ornamentazioni e rivestimenti di legno. Abile e rapido lavorò anche per alcune chiese di Parigi e più tardi fu impiegato a Dunkerque come disegnatore e scultore di navi. Due figli di Filippo, Francesco Carlo e Giacomo, continuarono l'arte paterna. Francesco Carlo (1667-1729) lavorò prima a Versailles, e poi successe al padre come scultore della Marina a Dunkerque, e più tardi a Brest. Giacomo (1678-1755) lavorò molto per la corte, lasciò alcuni busti di bronzo, ma soprattutto si dedicò all'arte della mobilia. È opera sua, in collaborazione col figlio Filippo, l'armatura di bronzo dorato della famosa sfera di Passemant (1753), e un orologio con molteplici indicazioni astronomiche, oggi nel castello di Versailles. Giacomo fu padre di Filippo e di Gian Giacomo, i due artisti più noti della famiglia. Filippo (1713-1774), omonimo dell'avo e allievo del padre, di questo rimase a lungo collaboratore: ancor oggi si è incerti se attribuire al padre o al figlio alcuni mobili che recano semplicemente la firma Caffieri. Successe al padre nei servigi della corte; lavorò la croce e i candelieri per un altare di Notre-Dame di Parigi, andati distrutti, mentre si conserva un'altra sua croce nella Cattedrale di Bayeux. Fonditore e cesellatore di rarissima abilità, eseguì soprattutto ricche ornamentazioni di bronzo per mobili. Gian Giacomo (1725-1792) è uno dei più grandi scultori del Settecento francese. Ricevuta la prima educazione nella casa paterna, quindi allievo di Giovanni Battista Lemoyne, nel 1748 vinse il concorso del prix de Rome. A Roma rimase dal 1749 al 1753, ma viaggiò anche per l'Italia, trattenendosi soprattutto a Napoli. Nel 1752, modellò in stucco il gruppo della SS. Trinità sull'altar maggiore di S. Luigi dei Francesi, opera che rispecchia l'educazione ricevuta in Francia, con influssi italiani diretti e indiretti. A Roma poté assimilare gli esempî del Bernini, e si deve forse a ciò se, tornato in patria, divenne soprattutto un eccellente ritrattista, continuatore del Lemoyne e precursore del Houdon, cioè nella piena tradizione berniniana, senza perdere perciò la sua personalità. A Parigi lavorò molto, esponendo al Salon ininterrottamente dal 1757 al 1789 con rapida e meritata fortuna.
Fu soprattutto un grande ritrattista, e ai suoi busti, di marmo e di terracotta, è affidata per la massima parte la sua fama. Dotato di una profonda penetrazione del vero, sa indovinare, al di là degli atteggiamenti, i caratteri e i moti dell'animo che raccoglie poi in composizioni dove alla vita si associa un compiuto organismo decorativo. Dal 1775 in poi eseguì otto busti per il teatro della Comédie Française: il primo, quello di Piron, gli ha valso grande lode. È del 1783 quello meraviglioso di Rotrou, e del 1787 quello pure assai noto di Rousseau. Fra le molte sue opere vanno ricordate anche le statue di Corneille (1779) e di Molière (1787), oggi nel Palazzo dell'Institut, e uno dei capolavori degli ultimi anni, il busto dell'astronomo padre Pingré (1788), il cui bozzetto originale è alla Biblioteca di Sainte-Geneviève.
Bibl.: J. Guiffrey, Les Caffiéri sculpteurs et fondeurs ciseleurs, Parigi 1877; L. Gonse, La sculpture française, Parigi 1895, pp. 223-228; S. Lami, Dictionnaire des sculpteurs de l'école française sous le règne del Louis XIV, parigi 1906, pagine 70-74; id, Dictionnaire des scultpeurs de l'école française au XVIII siècle, I, Parigi 1910, pp. 150-162; C. de Mandach, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, Lipsia 1911 (con la bibl. precedente); A. Boinet, Les bustes de C. à la bibliothèque Sainte-Geneviève, in Gaz. des Beaux-Arts, I (1921), pp. 133-46; id., Deux bustes inconnus de J.-J. C., in Bull. Soc. de l'Hist. de l'Art Français, 1919; P. Vitry, La sculpture français dans la seconde moitié du VIII siècle, in A. Michel, Histoire de l'art, VII, ii, Parigi 1924, pp. 570-74; R. de Felice, Le mobilier au XVIIIe siècle, ibid., pp. 860-62; A. Bertini-Calosso, Il classicismo di Gian Lorenzo Bernini e l'arte francese, in L'Arte, XXIV (1921), pp. 241-56.