CAGLIARI
(lat. Carales, Karales, Karali, Castrum Caralis)
Città della Sardegna meridionale, capoluogo della regione, posta al centro del golfo omonimo.Menzionata da Pausania (Periégesis, X, 17, 9), che la ritiene fondata dai Cartaginesi, e da Claudiano (De bello Gildonico, 520), che la celebra come "a Tyrio fundata potenti", la città di C. occupò un sito interessato da insediamenti fin da epoche preistoriche e protostoriche e conobbe la sua prima fase urbana a opera dei Fenici probabilmente sin dall'800 a.C. circa. La topografia dell'insediamento fenicio-punico resta ipotetica: la città bassa doveva gravitare intorno al porto-mercato (nella zona dell'od. piazza del Carmine), mentre l'acropoli corrisponderebbe al quartiere storico di Castello. Conquistata dai Romani, Carales fu elevata a municipium forse da Cesare, nel 46 a.C., o da Ottaviano, prima del 27 a.C., intitolata ufficialmente municipium Iulium e iscritta alla tribù Quirina; fu sede dei governatori, del conventus e dell'archivio amministrativo della provincia. Sede vescovile con certezza dal 314, anno in cui il vescovo Quintasius sottoscrisse al concilio di Arles, passata nell'orbita di Bisanzio dopo ca. otto decenni di dominazione vandala, con Giustiniano C. tornò a essere il capoluogo dell'isola, accogliendo la residenza del praeses, cui spettava il governo civile, passato più tardi insieme a quello militare nelle mani dello hýpatos o arconte (Boscolo, 1978). Con l'affrancamento politico da Bisanzio e la divisione dell'isola in quattro giudicati, C. divenne la sede ufficiale del giudicato omonimo, sino alla conquista pisana del 1258. Nel 1327 la città passò sotto il dominio aragonese.Gli studi più recenti sembrerebbero confermare per il periodo romano la tesi di una città 'concentrica' nel senso di "un insieme di aggregati perfettamente legati alla configurazione planovolumetrica del suolo e a diverse specializzazioni produttive con distinti approdi che si articolavano lungo un'ampia rada" (Mongiu, 1986). Il centro politico-religioso (forum-capitolium) si vuole forse ubicato nei pressi dell'od. piazza del Carmine e affiancato da due aree periferiche, limitate rispettivamente a E e a O da necropoli. Il confine settentrionale era segnato dall'anfiteatro aperto nelle pendici occidentali del colle di Castello. Nel nucleo urbano centrale sembra rilevarsi attraverso i dati archeologici una massiccia ristrutturazione con un radicale cambiamento del volto della città a partire dal sec. 4° sino a tutto il 6°; nel settore orientale, scavi condotti in passato e ancora recentemente testimoniano la presenza dei resti della 'cittadella' vescovile e giudicale di Santa Igia, un insediamento venutosi a creare intorno alla cattedrale dedicata a s. Cecilia e sviluppatosi nei secoli dell'Alto Medioevo anche a causa delle incursioni arabe, che spinsero parte della popolazione nella più sicura area lagunare. La 'cittadella', con ogni probabilità fortificata - sono attestate dediche ai ss. Michele (probabili preesistenze nel castello omonimo) e Longino, di carattere prettamente militare -, fu distrutta dai Pisani nel 1258 (Pani Ermini, 1986; 1992). Le indagini archeologiche nel quartiere di Marina e nelle aree a esso contermini segnalano la presenza di torri cronologicamente ascritte ai secoli altomedievali, definendo così una continuità di insediamento in tale settore, come del resto indica la qualifica di civitas a esso attribuita alla fine dell'11° secolo. Non è ancora noto se ed eventualmente in che misura il quartiere di Castello potesse far parte dell'ambito urbano in età romana o in un periodo comunque precedente l'incastellamento pisano, se lo fosse divenuto nell'Alto Medioevo, come sembrerebbe logico supporre anche sulla base della sua posizione altimetrica. Nel settore orientale della città, occupato in età romana e altomedievale dalla vasta area funeraria attestata nella collina di Bonaria, ove restano cubicoli con pitture del sec. 4° (ciclo di Giona, nave-Chiesa, Risurrezione di Lazzaro; Pani Ermini, 1966-1967; 1989), sorse alla fine del medesimo secolo o agli inizi del seguente il martyrium di S. Saturno o S. Saturnino. La primitiva aula a pianta basilicale - scoperta nelle recenti indagini archeologiche e connessa forse a un ambiente per il battesimo - fu sostituita nella tarda età giustinianea dall'impianto con corpo cupolato centrale, ancor oggi esistente e costituito da quattro piloni sorreggenti archivolti per l'imposta della cupola raccordata a sua volta al quadrato di base per mezzo di scuffie, dal quale partivano i quattro bracci a croce. L'edificio cultuale, costruito in opera isodoma secondo l'unità di misura del piede giustinianeo, era arricchito da elementi architettonici ascrivibili alla medesima matrice culturale. La presenza del santuario martiriale favorì la formazione di un vasto complesso funerario con mausolei e oratori nei quali le fonti seicentesche testimoniano la presenza di pavimenti musivi; fra questi edifici funerari rimangono ancora visibili quelli sottostanti la vicina chiesa di S. Lucifero, ove si vuole ubicata la sepoltura del vescovo cagliaritano, fiero difensore dell'ortodossia contro l'eresia ariana. Il martyrium di S. Saturno subì, nel corso dei secoli dell'Alto Medioevo, parziali interventi che ne mutarono in parte l'icnografia e fu ricostruito totalmente nei suoi bracci a opera di maestranze incaricate dai monaci di Saint-Victor di Marsiglia, entrati in possesso per donazione del santuario cagliaritano (Pani Ermini, 1982-1984; 1992).Non è nota la precisa ubicazione del più antico monastero, fondato da Fulgenzio di Ruspe, esule in Sardegna all'inizio del sec. 6°, "iuxta basilicam sancti martyris Saturnini", né quella del più tardo cenobio dei monaci vittorini indicato nel sec. 17° nei pressi della chiesa.Tra i fenomeni più rilevanti e ancora oggetto di studio deve ascriversi l'insediamento in grotta nelle pendici soprastanti il quartiere di Stampace, con due sopravvivenze cultuali nelle chiese di S. Efisio e di S. Reparata. Nella medesima zona, immediatamente al di fuori di una porta urbica, si trova ancor oggi la chiesa di S. Michele, sorta sul luogo di un edificio precedente, forse di culto ariano e riconsacrato nel sec. 9° dal pontefice Leone IV (Pani Ermini, 1988).L. Pani ErminiLa distruzione della cittadella di Santa Igia avvenne nel 1258 a opera dei Pisani, dal sec. 11° presenti in Sardegna con interessi commerciali, assieme all'Opera di S. Maria, e dal 1217 insediatisi nel colle di Castello, dove la nuova fondazione prese il nome di Castel di Castro (Putzulu, 1976). Fu questo il fulcro urbano più importante dopo gli avvenimenti del 1258, quando la resa di Santa Igia determinò la fine di fatto del giudicato di C. e il trasferimento in Castello dell'episcopio. È da credere che l'amministrazione pisana e l'arcivescovo di C. abbiano subito intrapreso, rispettivamente, il potenziamento delle fortificazioni urbane e la costruzione dell'episcopio con ampliamento della preesistente chiesa di S. Maria, elevata a cattedrale. Un'epigrafe data al 1293 la torre che sormonta la porta di S. Michele, avanzo unico delle mura del borgo di Stampace; in Castello le opere di fortificazione si conclusero con le tre torri erette su progetto di Giovanni Capula (torre di S. Pancrazio, 1305; torre dell'Elefante e torre dell'Aquila, ora distrutta, 1307). La cattedrale di S. Maria era in corso di ampliamento il 9 giugno 1326, quando Castel di Castro si consegnò definitivamente all'infante Alfonso e alla corona d'Aragona, per essere evacuato e ripopolato in prevalenza da catalani.Dalla relazione della visita effettuata a C. da Federico Visconti, primate di Pisa, in qualità di legato pontificio (1236), emergono i caratteri urbanistici di stampo pisano che la città storica ancora conserva nella caratteristica dicotomia fra le c.d. appendici (Stampace, Marina, Villanova) e il quartiere alto (Castello), cinto da mura e organizzato nella forma a fuso, secondo un sistema viario di tre direttrici parallele e convergenti alle opposte estremità, verso il porto e verso il castello di S. Michele, che proteggeva l'accesso alla città dall'entroterra. Più o meno al centro del fuso, strapiombante sul costone orientale del colle, si trova la chiesa di S. Maria di Castello, della quale si ha notizia documentaria forse fin dal 1226, sicuramente nel 1254 e nel 1255 (Giarrizzo, 1928). L'edificio romanico aveva impianto basilicale, con aula scandita in tre navate da quattro colonne per parte e con coperture lignee. Assurta a cattedrale dopo la distruzione di Santa Igia nel 1258, fu ampliata con l'inserto di un transetto, del quale restano in vista due porzioni del paramento esterno con relative porte, nei rispettivi fianchi occidentali dei bracci. Lungo il muro orientale ancora si aprono, ai lati del coro, due cappelle trecentesche ma stilisticamente diverse: alla maestranza di educazione gotico-italiana, che già aveva costruito ante 1326 il transetto, a cui si deve la cappella 'pisana' con pianta quadrata (a sinistra del presbiterio), dovette subentrare l'architetto di educazione gotico-catalana, che di lì a pochi anni progettò la cappella simmetrica a destra, 'aragonese' o 'della Sacra Spina', con pianta semiottagonale e volta a ombrello con serraglia gemmata. Dal 1312 la cattedrale accoglie il pergamo di Guglielmo (1159-1162), già nel duomo di Pisa (Scano, 1907).All'interno della cinta muraria di Castello si trova anche il Mus. Archeologico Naz., che annovera nelle sue raccolte numerose lapidi medievali e cospicue serie di reperti altomedievali, sia marmorei (plutei e altri elementi di arredo liturgico o di decorazione architettonica) sia bronzei (soprattutto fibbie da cintura) o in altro materiale (Museo Archeologico Nazionale, 1981).Della ricostruzione romanica di S. Saturno restano il braccio orientale trinavato e absidato, con relative coperture a crociera e a botte scandita da doubleaux, e i muri perimetrali del braccio occidentale, oggi a cielo aperto, ritmati da robuste lesene con capitelli gradonati, come i doubleaux di gusto e tecnica provenzale, dovuti a maestranze al servizio dei Vittorini. Assieme a S. Saturno, i monaci di Marsiglia ebbero in dono dai giudici di C. diverse altre chiese, fra cui S. Pietro dei Pescatori, identificabile con l'edificio attualmente in piedi alla periferia orientale della zona circumlagunare di Santa Igia, dove erano inoltre le chiese, ora distrutte, di S. Paolo, S. Cecilia e S. Maria di Cluso (Capra, 1907). S. Pietro dei Pescatori (detto così perché sede del gremio) conserva l'abside protoromanica (fine sec. 11°), tipicamente vittorina nella rastremazione del semicilindro con catino rientrante nell'estradosso, mentre la facciata è di ricostruzione tardoduecentesca. All'attività edilizia delle maestranze vittorine può ascriversi a C. anche la chiesa di S. Pancrazio, in seguito intitolata a s. Lorenzo e poi alla Madonna di Buoncammino, posta nella periferia alta di Castello, databile ai primi del sec. 12° per la singolare aula a due navate divise da basse arcate su tozzi pilastri (Virdis, 1962).Dai pochi avanzi trasferiti, come l'archeggiatura pensile di una fiancata, non può ricavarsi l'ubicazione esatta né il tipo planimetrico di un'altra chiesa romanica, S. Vetrano, che denominava una zona alla periferia orientale della città, dove è superstite la chiesa di S. Alenixedda, stilisticamente assegnabile alla fine del 13° secolo. L'edificio, mononavato e senza abside, conserva la facciata, scandita verticalmente da sottili lesene polistile, collegate da archetti trilobi lungo il terminale a capanna, che apre al centro un portale a ogiva sormontato da rosone.La storia dell'insediamento dei Francescani a C. nel sec. 13° informa della chiesa romanico-vittorina di S. Maria del Porto (più tardi intitolata a s. Bardilio), concessa ai frati dell'Osservanza nel 1229, i quali vi attuarono modifiche chiaramente improntate al Gotico italiano, di cui conservano la memoria soltanto fotografie e disegni. Di S. Francesco (eretto in Stampace fra il 1274 e il 1285), oltre a immagini e rilievi, rimangono il portale marmoreo, ora nella facciata del santuario della Mercede sul colle di Bonaria, poche strutture incorporate in moderne costruzioni e significativi elementi di ornati architettonici, che portano ad attribuire alla stessa maestranza anche l'ampliamento gotico del duomo di C. (Delogu, 1953). Caratteri simili permettono di individuarne derivazioni sia nel transetto della cattedrale di Oristano sia in una serie di edifici chiesastici che documentano per tutto il Trecento l'influsso italiano in Sardegna. A C., invece, era già in atto la fioritura gotico-catalana, per tempo avviata con l'erezione sul colle di Bonaria, tenuto dagli Aragonesi ancora durante l'assedio di Castello (1324-1325), di una chiesa precisamente esemplata sulla Cappella Palatina di Barcellona (Serra, 1955-1957) e poi con la fabbrica di nuove parrocchiali nelle appendici di Villanova (S. Giacomo, ante 1334) e di Marina (S. Eulalia, ante 1371), che preparano la ricostruzione, entro il primo quarto del sec. 15°, in forme del Gotico fiorito, della chiesa (distrutta nei bombardamenti del 1943) e del chiostro di S. Domenico.R. Serra
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