CALAMIDE (Κάλαμις)
Scultore greco che sarebbe fiorito nel sec. V a. C., e avrebbe avuto grande importanza nella storia dell'arte di quel periodo. La tradizione scritta che lo riguarda è frammentaria e contraddittoria. Un relativo accordo fra gli studiosi si ha solo nell'ammettere che siano esistiti due artisti di questo nome, fra i quali andrebbero ripartite le opere ricordate e i giudizî espressi dagli scrittori antichi. La ricostruzione dell'individualità storica e artistica di C. che pare più attendibile, e che negli elementi fondamentali coincide con le convinzioni più diverse, è la seguente:
1. Calamide senior. - Fu forse di origine milesia; artisticamente ebbe educazione peloponnesiaca, e in particolare argiva; nato intorno al 510 a. C., fu attivo fra il 490 e il 445 a. C. Fra le opere ricordate dagli antichi sono certo sue: una statua del peloponnesiaco Ifito, che pare facesse parte di un donario dedicato dai Focesi a Delfi, e da lui eseguito prima del 480 a. C. in collaborazione con l'argivo Aristomedonte; l'Afrodite Sosandra, già nei Propilei dell'Acropoli ateniese, dedicata da Callia, figlio di Ipponico, di poco posteriore al 480 a. C. e della quale è stata trovata la base originale; l'Apollo Alexikakos, pure ad Atene, probabilmente della stessa epoca; l'Atena Nike dedicata dai Mantinei ad Olimpia poco dopo il 480 a. C.; un Apollo colossale, in origine ad Apollonia sul Ponto, poi a Roma in Campidoglio, fatto fra il 480 e il 460; dei cavalli fatti ad Olimpia per incarico di Gerone di Siracusa fra il 466 e il 464 a. C., i quali facevano gruppo con un carro dell'egineta Onata; uno Zeus Ammone dedicato da Pindaro a Tebe e un Ermete con il montone a Tȧnagra, ambedue del 460 a. C. circa; una statua di Ermione a Delfi, fatta per incarico degli Spartani, del 450 a. C.; un coro di fanciulli dedicato dagli Agrigentini ad Olimpia fra il 450 e il 448 a. C. Tutte le date sono più o meno ipotetiche ed approssimative. A queste opere così databili si deve aggiungere una quadriga in collaborazione con l'ateniese Prassitele senior a Olimpia; un Asclepio giovanetto, in oro ed avorio, a Sicione; una figura che pare fosse chiamata l'ἀλγουμένη, cioè "l'afflitta" e bighe e quadrighe ricordate genericamente da Plinio (Nat. Hist., XXIV, 71). C., secondo la tradizione tecnica peloponnesiaca, lavorò esclusivamente il bronzo, salvo il caso dell'Asclepio di Sicione in oro ed avorio, tecnica anche questa propria, a quel tempo, dei peloponnesiaci.
Di queste opere sembra possibile identificare in copie romane solo due, in base alla descrizione degli antichi e ad altri dati monumentali. La descrizione della Sosandra-Afrodite dei Propilei fatta da Luciano corrisponde a un famoso tipo statuario conservato in molte repliche, la migliore delle quali è al museo di Berlino (fig. 1), e infatti la pianta dei piedi coincide esattamente con gli incassi per la saldatura del bronzo originale, conservati sulla base trovata ai Propilei. È vero che sulla base di una minuscola replica del tipo, ora a New York, fu graffito in epoca tarda il nome Europa, ma la popolarità del tipo in epoca romana, testimoniata dalle molte repliche grandi e piccole, esclude si tratti di una divinità così peregrina. Quello piuttosto è il nome della mortale sulla cui tomba fu collocata la statuetta.
L'Ermete di Tanagra, stando alla descrizione di Luciano e alle monete imperiali di Tanagra, si dovrebbe riconoscere nel Crioforo Barracco, ma questo è certo di una generazione anteriore a C e attribuibile per confronti stilistici allo scultore beota Socrate. Invece le terrecotte votive trovate a Tanagra dicono che la statua di culto della prima metà del sec. V a. C. corrispondeva al cosiddetto Focione della sala della Biga in Vaticano, il quale per il trattamento del nudo e del panneggio rientra perfettamente nello stile di C. Questa statua in epoca augustea sarebbe stata portata a Roma, dove fu riprodotta dall'incisore Dioscuride in una gemma, e al suo posto, nel tempio di Tanagra, sarebbe stata collocata o ricollocata la più antica statua di Socrate. Per confronto stilistico con queste due opere, varie altre se ne possono attribuire a C., fra le quali eccellono il tipo di Apollo noto coi nomi di Choiseul-Gouffier o dell'omphalos, dalle due copie migliori, identificabile con l'Alexikakos di Atene (fig. 2), e la cosiddetta Estia Ciustiniani del Museo Torlonia di Roma, forse una Era eseguita per il santuario di Argo. Anche il grande bronzo tratto dal mare di Grecia in questi ultimi anni, presso il capo Artemisio (v. bronzo, vol. VII, figura a p 938), si ricollega all'arte di Calamide.
In base a queste opere possiamo dire che C. fu effettivamente uno dei massimi artisti dello stile severo. Con lui il problema dell'armonia della figura umana, e cioè del suo giusto impianto e dei complessi movimenti che derivano al torso dalla diversa ponderazione, fece passi decisivi. Per questo ed anche per le proporzioni egli è il necessario predecessore di Policleto. Singolarissima è la soluzione da lui data al panneggio. Dal lato ideale C. prepara e prelude i tipi divini di Fīdia. Intermediario fra la generazione artistica di Canaco sicionio e di Agelada argivo da una parte, e quella di Fidia ateniese e di Policleto argivo dall'altra, contemporaneo dei grandi pittori Micone e Polignoto, C. visse e operò in uno dei momenti più importanti dello sviluppo della scultura greca, quello che ha il suo massimo saggio nelle sculture del tempio di Zeus, ad Olimpia, alle quali forse non è estranea l'opera sua personale. Con la figura artistica di Calamide così ricomposta coincidono i giudizî che gli antichi diedero dell'arte sua (Cic., Brutus, 18, 70; Quintil., Inst. Orat., XII, 10, 7; Plin. Nat. Hist., XXXIV, 71, Calamide è ricordato anche in Properzio III, 9, 10 e in Ovidio, Ex Ponto, IV, 1, 33).
2. Calamide iunior. - Può darsi che discendesse dal primo, ma non vi sono elementi per affermarlo. Fu maestro di un Prassiade ateniese, che lavorò fra il 370 e il 350 a. C., e forse fu collaboratore del grande Scopa. La sua attività va dunque collocata sulla fine del sec. V e nei primi decennî del IV. Da Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 36) risulta che fu scultore e toreuta. Sono certo opere sue delle tazze d'argento a rilievi, e un Apollo che in epoca imperiale era a Roma negli orti Serviliani. Probabilmente suo, almeno a giudicare dal tipo riprodotto sulle monete di quella città, era anche un Dioniso a Tanagra: evoluto e raffinnato come non si addice al C. maggiore. Potrebbe infine essere sua la statua di una delle Semnai che sull'Areopago di Atene faceva gruppo con altre due di Scopa, ma i testi che la ricordano sono troppo incerti. Tutte queste sculture, a differenza di quelle del primo C., erano in marmo. Ma finora nessuna ne è stata identificata.
Dionigi di Alicarnasso e Gregorio di Nazianzo ci dicono che alla sua arte mancava quel che di augusto proprio delle opere del primo C., e che si distingueva invece per la sua esilità e grazia. Questo carattere minuto, grazioso e ricercato di C., la sua affinità con Callimaco (fine del sec. V), l'essere stato maestro dell'ateniese Prassiade, la predilezione per il marmo e l'assenza di opere sue nel Peloponneso, fanno pensare che, anche se discendente dal primo C., egli abbia vissuto e operato nell'ambiente ateniese.
Bibl.: Oltre alle opere gen. sulla scultura greca sono da vedere: E. Reisch, in Jahreshefte d. österr. arch. Inst., IX (1906), p. 199 segg.; Fr. Studniczka, in Abhandl. d. k. sächs. Gesell. d. Wiss., XXV (1907), 4; A. Furtwängler, in Sitzungsber. d. k. B. Akad. zu München, hist. Kl., II (1907), p. 157 segg.; J. Six, in Jahrbuch d. deutsch. archäol. Inst., XXX (1915), p. 74 segg.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, col. 1532 segg.; C. Anti, in Atti del R. Istituto veneto (1922-23), LXXXI, ii, p. 1105 segg.; M. Bieber, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIX, Lipsia 1926, p. 453 segg.; W. Amelung, in Jahrbuch d. deutsch. archäol. Inst., XLI (1926), p. 247 segg.