CALATA (da calare; fr. quai, débarcadère; sp. muelle; ted. Werft; ingl. wharf)
Il Guglielmotti (Vocabolario marino e militare) considera come calata "tutto quello spazio di terreno a pendio per il quale, dal piano circostante, si scende dolcemente abbasso sino al livello del mare, massime per agevolare l'imbarco e lo sbarco delle cose e delle persone. Pendio per lo più murato". La definizione si riferisce alle condizioni vigenti nei porti antichi. Da essa comunque emergono le caratteristiche della calata moderna: una zona di terreno "compresa fra il ciglio dei muri di sponda e la cinta doganale" dentro la quale si "devono svolgere tutte le operazioni commerciali e tutte le manovre per far passare la merce dalla nave al carro e viceversa". La zona è a contatto col mare mediante un muro di sponda, che sostiene il terrapieno e contemporaneamente consente, secondo i fondali, le rispettive lunghezze della calata e della nave e la frequenza del traffico, l'accosto di sicurezza. Bisogna peraltro avvertire che nell'uso comune - probabilmente per la persistenza delle antiche terminologie locali pur dopo il completamento delle opere attuali - vengono spesso adoperati come sinonimi i due termini banchine e calate. L'ampiezza di queste ultime è naturalmente in relazione col genere del traffico che s'incanala per il porto (non si può dare, al riguardo, una regola fissa): traffico che a sua volta determina la scelta e le proporzioni dell'arredamento che su di esso deve sorgere: tettoie, capannoni, vie carraie, attrezzatura meccanica, ecc. Il piano delle calate va stabilito ad un'altezza sul mare tale da riuscire conveniente alle navi accostate per eseguire le operazioni sia con i mezzi di bordo sia con l'arredamento portuale (nei porti italiani tale quota oscilla fra metri 2,30 e metri 3,00; in genere non conviene scendere al disotto di m. 2,50 data la tendenza all'aumento nelle dimensioni delle navi); i fondali lungo le calate devono essere adeguati alle dimensioni delle navi che più frequentano il porto: fino al 1910 il massimo tirante d'acqua era di m. 10 per le calate ove operano i transatlantici e di m. 9 per le altre; oggi si tende a raggiungere i m. 11 (si può ritenere il fondale di m. 10 o poco più come sufficiente per i porti italiani frequentati da transatlantici; m. 7-9 per gli altri). Esiste un rapporto fra sviluppo lineare di calate e superficie degli specchi d'acqua al cui servizio esse sono destinate (compreso ordinariamente fra 100 e 250 m. di lunghezza per ogni ettaro di superficie acquea). Esiste anche un altro rapporto fra sviluppo delle calate e intensità del traffico, che vale a precisare il grado di utilizzazione di esse e a dare norma sicura per giudicare se un determinato porto funzioni regolarmente o se esso sia congestionato. Su questi e altri argomenti inerenti alle calate, come sul regime giuridico di esse, vedi anche la voce Porto. La costruzione di esse rientra nell'art. 5 della legge 16 luglio 1884, n. 2518 (serie III) che ha carattere enunciativo ma non tassativo.
Bibl.: F. Bastiani, Lavori ed impianti portuali, Milano 1926; E. Coen Cagli, Lezioni di costruzioni marittime, Padova 1928.