CALCIO - I CLUB
Aberdeen
Il fondatore e primo manager dell'Aberdeen fu un arbitro, Jimmy Philip: lo fondò il 16 marzo 1903 e continuò a occuparsene fino al 1924. Due sono le epoche d'oro dell'Aberdeen: una nel secondo dopoguerra e l'altra negli anni Ottanta. La prima corrisponde alla conquista della prima Coppa di Lega (1946) e della prima Coppa di Scozia (1947), entrambe legate al manager Dave Halliday. In precedenza, l'Aberdeen non era mai riuscito a costituire una vera minaccia per le due 'grandi' del calcio scozzese, Celtic e Rangers di Glasgow. Contro il Celtic, il 24 aprile 1937, l'Aberdeen aveva perso una finale di Coppa di Scozia davanti al pubblico record di 146.433 paganti.
Il periodo di massimo splendore della squadra scozzese è, però, quello di Alex Ferguson (1978-1986), che, prima di lasciare l'Aberdeen per il Manchester United, portò i 'Dons' a vincere tre Campionati scozzesi e, soprattutto, la Coppa delle Coppe: nella finale di Göteborg, l'11 maggio 1983, i gol di Black e Hewitt sconfissero il mito delle merengues del Real Madrid. Nel dicembre dello stesso anno arrivò anche la Supercoppa Europea, vinta contro l'Amburgo. Gli anni Novanta e l'inizio del Duemila sono invece stati duri per l'Aberdeen, tornato ai livelli di una squadra di provincia.
Luca Valdiserri
Presidente: Stewart Milne
Colori sociali: bianco-rosso
Stadio: Pittodrie Stadium (22.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 4 Campionati (1955, 1980, 1984, 1985), 7 Coppe di Scozia (1947, 1970, 1982, 1983, 1984, 1986, 1990), 6 Coppe di Lega scozzese (1946, 1955, 1976, 1985, 1989, 1995)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1983), 1 Supercoppa Europea (1983)
Giocatori più rappresentativi: W. Lennie, Strachan, Archibald, Leighton, Hewitt
Giocatore con il maggior numero di presenze: W. Miller (556)
Giocatore con il maggior numero di gol: Harper (199)
Allenatori più rappresentativi: Halliday, Ferguson
Ajax
L'Ajax è intitolato al personaggio omerico Aiace Telamonio, figlio di Telamone, re di Salamina, dopo Achille il più valoroso eroe greco della guerra di Troia. Il club nasce nel cuore di Amsterdam, il 18 marzo 1900, presso il caffè-ristorante East India; per approdare alla serie A olandese impiega undici anni. Il suo primo trofeo è la Coppa d'Olanda nel 1917, vince il primo Campionato nel 1918 e deve il primo ciclo positivo ‒ cinque titoli fra il 1931 e il 1939 ‒ a un tecnico inglese, Jack Reynolds. Fra i soci e i giocatori figurano molti elementi di religione ebraica e per questo motivo, durante l'occupazione nazista, la società rischia di scomparire.
L'Ajax che si aggiudica il Campionato del 1947 ha tra i suoi giocatori, nel ruolo di centravanti, Rinus Michels, che dalla metà degli anni Sessanta sarà l'allenatore capace di proiettare la squadra nel mito. Michels può contare su un presidente, Jaap van Praag, che cerca di esaudire ogni sua richiesta e, soprattutto, su un ragazzo mingherlino, Johan Cruijff, che porta sulla maglia un numero singolare, il 14, perché a 14 anni ha vinto il suo primo torneo. L'Ajax di van Praag, Michels e Cruijff cambia il calcio e lo rende 'totale', nel senso che i difensori devono saper attaccare, gli attaccanti difendere e i centrocampisti fare l'una e l'altra cosa. Cruijff è la gemma di uno straordinario vivaio: dietro a lui emergono Stuy, Suurbier, Blankenburg, il poderoso Hulshoff, Krol, Neeskens, Haan, Gerrie Muhren, Rep e Keizer. Quell'Ajax, dallo stile rivoluzionario dentro e fuori campo (mogli al seguito, bagni di gruppo nelle piscine degli hotel), segna un'epoca. Cruijff 'firma' cinque Campionati, tre Coppe d'Olanda, tre Coppe dei Campioni consecutive dal 1971 al 1973 (2-0 al Panathinaikos, 2-0 all'Inter, 1-0 alla Juventus), due Supercoppe Europee e una Coppa Intercontinentale. Dopo la prima Coppa dei Campioni, Michels emigra a Barcellona. Lo sostituisce il romeno Stephan Kovacs, che perfeziona il disegno tattico. In Catalogna si trasferisce anche Cruijff. Questa, a ben vedere, è un'altra peculiarità dell'Ajax: un rapporto sempre più stretto fra creazione e vendita di talenti. Gli esempi non mancano: Marco Van Basten e Frank Rijkaard, i fratelli Witschge, Dennis Bergkamp, Marc Overmars, Aaron Winter, tutti formati, impiegati al meglio e poi ceduti.
L'Ajax di Cruijff era composto prevalentemente da giocatori bianchi; l'Ajax di Louis Van Gaal, allenatore di un altro ciclo strepitoso, è caratterizzato invece dalla presenza di numerosi calciatori di colore. Un segno dei tempi: l'Africa e il Suriname, l'ex Guayana olandese, sono mercati fertili e a buon prezzo. Nel 1995, i 'lancieri' dell'Ajax fanno piazza pulita: Campionato, Supercoppa Olandese, Champions League, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale. Sfugge loro soltanto la Coppa nazionale. Nella formazione che conquista a Vienna la Champions League contro il Milan di Fabio Capello, gli elementi di colore sono addirittura sette: Reiziger, Rijkaard, Seedorf, Kanu, Finidi, Davids, Kluivert.
Non sempre l'Ajax moderno è all'altezza del suo passato. Infatti, la cosiddetta sentenza Bosman del 15 dicembre 1995, stabilendo che il giocatore comunitario, a fine contratto, è libero di trasferirsi a indennizzo zero, ha messo in discussione il caposaldo operativo su cui la società dell'Ajax si fondava: crescere il campione, utilizzarlo e sistemarlo all'estero a peso d'oro. L'essersi quotato in Borsa, l'aver edificato uno stadio fra i più moderni (l'Amsterdam ArenA, 250 miliardi di lire, 51.000 spettatori), l'aver dilatato il merchandising non sono state misure sufficienti a riprodurre totalmente le condizioni tecniche di un tempo. Anche se l'Ajax è tornato a vincere il Campionato e la Coppa nel 2002 e rimane di gran lunga la squadra più tifata d'Olanda e una delle più famose d'Europa e del mondo, certamente non è più ai livelli di forza e competitività di un tempo.
Denominazione e sede: Amsterdamsche Football Club Ajax, Amsterdam
Anno di fondazione: 1900
Presidente: Michael van Praag
Direttore generale: Arie van Eijden
Colori sociali: bianco-rosso
Stadio: Amsterdam ArenA (51.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 28 Campionati (1918, 1919, 1931, 1932, 1934, 1937, 1939, 1947, 1957, 1960, 1966, 1967, 1968, 1970, 1972, 1973, 1977, 1979, 1980, 1982, 1983, 1985, 1990, 1994, 1995, 1996, 1998, 2002), 15 Coppe d'Olanda (1917, 1943, 1961, 1967, 1970, 1971, 1972, 1979, 1983, 1986, 1987, 1993, 1998, 1999, 2002), 3 Supercoppe Olandesi (1993, 1994, 1995)
Vittorie internazionali: 4 Coppe dei Campioni/ Champions League (1971, 1972, 1973, 1995), 1 Coppa delle Coppe (1987), 1 Coppa UEFA (1992), 3 Supercoppe Europee (1972, 1973, 1995), 2 Coppe Intercontinentali (1972, 1995)
Giocatori più rappresentativi: Cruijff, Haan, Hulshoff, Krol, Neeskens, Van Basten, Rijkaard, Kluivert, Davids, Litmanen
Giocatori con il maggior numero di presenze: Swart (463), Suurbier (393), Blind (372)
Giocatori con il maggior numero di gol: Van Reenen (273), Cruijff (205), Swart (175)
Allenatori più rappresentativi: Reynolds, Michels, Kovacs, Ivic, Cruijff, Van Gaal
Amburgo
Per gli italiani, il nome dell'Amburgo è soprattutto legato a quello del suo centrocampista Felix Magath e alla finale di Coppa dei Campioni, giocata ad Atene il 25 maggio 1983, nella quale l'Amburgo sconfisse la Juventus. Per i tedeschi, invece, il campione storico della squadra è Uwe Seeler, che vi ha trascorso vent'anni e ha segnato il maggior numero di gol. Seeler è stato il giocatore più amato non solo dagli amburghesi ma da tutti i tedeschi, avendo disputato con la maglia della Germania ben quattro Mondiali.
L'Amburgo deriva da una doppia fusione: la prima risale al 29 settembre 1887, quando si unirono lo Hohenfelder Sport Club e la Wandsbek-Maruienthaler, dando vita allo Sport Club Germania; la seconda avvenne il 1° giugno 1919, quando si fusero lo Sport Club, l'Hamburg Football Club e il Falke 1906. Quel giorno nacque l'Hamburger Sport Verein, la prima squadra al mondo che abbia rifiutato un titolo nazionale, quello del 1922. In quella occasione, dopo due finali concluse in parità con il Norimberga ‒ la seconda delle quali finita con gli avversari ridotti in sette uomini per infortuni ed espulsioni ‒ l'Amburgo riteneva che il titolo gli appartenesse di diritto e, quando la Federazione stabilì invece che dovesse essere giocata una terza gara a Jena, non accettò e restò a casa.
Con il debutto di Uwe Seeler (era il 5 agosto 1953 e il ragazzo non aveva ancora compiuto 17 anni), per l'Amburgo iniziò l'ascesa verso l'élite del calcio europeo. Dal 1968 al 1983 giocò sei finali di Coppe internazionali, vincendone due, una delle quali la già citata Coppa dei Campioni del 1983 contro la Juventus. Quella sera non giocava Kevin Keegan, acquistato a peso d'oro dal Liverpool. Il campione inglese con la maglia dell'Amburgo aveva vinto per due volte di seguito il Pallone d'oro (1978 e 1979), ma dopo la finale di Coppa dei Campioni persa contro il Nottingham (1980) era tornato in Gran Bretagna. L'allenatore del 'riscatto' era un formidabile stratega austriaco, Ernst Happel, che nei primi anni Settanta, con il Feyenoord, aveva contribuito alla rivoluzione del calcio olandese. Entrò nell'Amburgo nel 1981, nello stesso periodo in cui stava chiudendo la carriera Franz Beckenbauer, reduce dalle ultime esibizioni americane. In due anni Happel costruì una squadra senza individualità di spicco (i migliori erano il terzino d'attacco Kaltz, l'attaccante Hrubesch e il centrocampista Magath), ma con un collettivo fortissimo. Nella finale di Coppa dei Campioni del 1983 con la Juventus scelse Rolff per marcare Platini e vinse. Quello stesso anno, Happel si assicurò anche il Campionato. L'Amburgo perse però contro il Grêmio la successiva Coppa Intercontinentale e da quel momento uscì dalla ribalta internazionale.
Anno di fondazione: 1887 (1919)
Presidente: Werner Hackmann
Direttore generale: Bernd Wehmeyer
Colori sociali: blu-bianco-nero
Stadio: Volksparkstadion (52.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 6 Campionati (1923, 1928, 1960, 1979, 1982, 1983), 3 Coppe di Germania (1963, 1976, 1987),
1 Coppa di Lega (1973)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1977), 1 Coppa dei Campioni (1983)
Giocatori più rappresentativi: Seeler, Kaltz, Hrubesch, Von Heesen, Beckenbauer, Keegan, Rolff, Magath, Stein, Doll
Giocatori con il maggior numero di presenze: Kaltz (581), Von Heesen (368), Jakobs (323)
Giocatori con il maggior numero di gol: Seeler (137), Von Heesen (99), Hrubesch (96)
Allenatori più rappresentativi: Happel, Zebec, Magath
Anderlecht
Fondato il 27 maggio 1908 da tredici calciatori in una sala del Café Concordia di Rue d'Aumale a Bruxelles, l'Anderlecht, dopo una fase di avvio 'agitata', arriva nel 1921 in prima divisione, senza tuttavia rimanervi con continuità. Anche se già nel 1933 si guadagna l'appellativo di Royal, l'anno della svolta è il 1935, quando conosce la promozione definitiva. Della formazione base fa parte il difensore Constant Vanden Stock, l'uomo che, una volta divenuto presidente, cambierà la storia del club. È però nel dopoguerra che l'Anderlecht si afferma ai massimi livelli, grazie all'acquisto dell'attaccante Jef Mermans, pagato 125.000 franchi, una cifra altissima per l'epoca. Nel 1946-47 Mermans, segnando 39 gol su 112, porta la squadra alla conquista del suo primo Campionato.
Durante gli anni Cinquanta il valore del club si consolida con la vittoria di sei titoli nazionali. L'impatto in Coppa dei Campioni è invece durissimo: una sconfitta all'esordio (1955) contro gli ungheresi del Voros Lobogo, poi divenuto MTK Budapest (6-3 all'andata, 4-1 al ritorno) e una disfatta totale, il 26 settembre 1956, nell'edizione successiva a Old Trafford, in casa del Manchester United (10-0 per gli inglesi).
Negli anni Sessanta le fortune dell'Anderlecht sono legate soprattutto a Paul Van Himst, il più completo fra i suoi numeri 10 e il miglior giocatore belga di ogni tempo (81 presenze e 30 gol in nazionale). Con Van Himst arrivano otto vittorie in Campionato e quattro Coppe del Belgio fra il 1962 e il 1974. Nel 1964 l'Anderlecht, anche grazie a un colpo di fortuna (sorteggio con moneta dopo la 'bella' a Zurigo), elimina il Bologna dalla Coppa dei Campioni. Il 30 settembre dello stesso anno il commissario tecnico della nazionale belga, Constant Vanden Stock ‒ che poi, nel 1971, diventerà presidente della squadra ‒, convoca e fa giocare l'intero Anderlecht in una partita contro la nazionale olandese (finita 1-0 per l'Olanda).
Nel 1975 Van Himst passa al RWD Molenbeek e per l'Anderlecht inizia il periodo dei grandi giocatori olandesi. Il presidente Vanden Stock ingaggia Rob Rensenbrink, mentre Arie Haan sostituisce Van Himst e Hans Croon diventa allenatore. Grazie a loro e a un gruppo di giovani di talento (Ludo Coeck, Franky Vercauteren e François Van der Elst), arriva il primo trofeo europeo: la Coppa delle Coppe del 1976, conquistata battendo in finale il West Ham per 4-2. Anche nei due anni seguenti l'Anderlecht arriva alla finale di Coppa delle Coppe: nel 1977 viene sconfitto dall'Amburgo, mentre nel 1978 travolge l'Austria Vienna per 4-0. L'allenatore è Raymond Goethals, che punta tutto su pressing, fuorigioco, organizzazione. La squadra conquista anche due Supercoppe Europee, la prima nel 1976 contro il Bayern Monaco e la seconda nel 1978 contro il Liverpool.
Nel 1981 l'Anderlecht, guidata da Tomislav Ivic, che affida la squadra a Juan Lozano, vince nuovamente il Campionato e in Coppa dei Campioni elimina la Juventus (nel corso della partita il portiere Munaron causa un grave incidente a Bettega, rompendogli il ginocchio). Il 1983 è l'anno della Coppa UEFA, vinta battendo in finale il Benfica allenato da Sven Goran Eriksson; l'allenatore è Paul Van Himst. È la fase dell'Anderlecht danese, con Morten Olsen, Per Frimann, Kenneth Brylle. Il talento vero è però Vincenzino Scifo, che poi passerà all'Inter e al Torino. Alla partecipazione all'edizione 1984 della Coppa UEFA è legata la grave macchia di un episodio di corruzione arbitrale. Lo confessa a distanza di anni, nel 1992, Roger Vanden Stock, figlio di Constant, appena subentrato al padre nella presidenza della squadra. All'Anderlecht viene comminato, in conseguenza dell'ammissione, un anno di squalifica dalle Coppe.
Oggi l'Anderlecht è tornato in alto, avendo conquistato i Campionati del 2000 e del 2001.
Presidente: Roger Vanden Stock
Direttore generale: Alain Courtois
Stadio: Constant Vanden Stock (28.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 26 Campionati (1947, 1949, 1950, 1951, 1954, 1955, 1956, 1959, 1962, 1964, 1965, 1966, 1967, 1968, 1972, 1974, 1981, 1985, 1986, 1987, 1991, 1993, 1994, 1995, 2000, 2001), 8 Coppe del Belgio (1965, 1972, 1973, 1975, 1976, 1988, 1989, 1994), 5 Supercoppe del Belgio (1985, 1988, 1994, 1995, 2000)
Vittorie internazionali: 2 Coppe delle Coppe (1976, 1978), 1 Coppa UEFA (1983), 2 Supercoppe Europee (1976, 1978)
Giocatori più rappresentativi: Mermans, Van Himst, Rensenbrink, Coeck, Vercauteren, Van der Elst, M. Olsen, Frimann, Brylle, Scifo
Giocatore con il maggior numero di presenze: Van Himst (460)
Giocatore con maggior numero di gol: Mermans (249)
Allenatori più rappresentativi: Croon, Goethals, Ivic, Van Himst, Anthuenis
Argentinos Juniors
La Asociación Atlética Argentinos Juniors nasce il 15 agosto 1904. La prima maglietta, a strisce verticali biancocelesti, viene presto cambiata in quella definitiva, tutta rossa, che vale ai giocatori il soprannome di bichos colorados, "insetti rossi". Squadra dalle risorse modeste ma dalla tradizione di bel gioco, nel 1960 arriva seconda in Campionato, due punti sotto l'Independiente. In quello stesso 1960 nasce Diego Armando Maradona, l'emblema della squadra dal giorno del suo esordio (il 20 ottobre 1976, a 16 anni ancora non compiuti) fino a quando, nel gennaio 1981, passerà al Boca Juniors. Curiosamente, però, è solamente quando va via Dieguito che l'Argentinos vince, nel Campionato Metropolitano 1984, il suo primo titolo con Roberto Saporiti, un allenatore che faceva del bel gioco la sua bandiera. La stessa squadra conquista poi ‒ con José Yudica in panchina al posto di Saporiti ‒ la Coppa Libertadores nel 1985 e sfiora, al termine di un'esaltante partita finita 2-2 ai tempi supplementari e persa ai rigori, la vittoria nella Coppa Intercontinentale contro la Juventus. Claudio Borghi, grande protagonista in campo internazionale, nel 1986 è il primo acquisto del Milan di Berlusconi, ma non riesce a confermare in Europa l'eccezionale talento dimostrato nell'Argentinos. Maradona e Borghi prima, Redondo e la nuova stella Riquelme poi, testimoniano la bontà di un vivaio che forse non ha eguali al mondo.
〈aut>Matteo Dotto〈/aut>
Denominazione e sede: Asociación Atlética Argentinos Juniors, Buenos Aires
Anno di fondazione: 1904
Presidente: Luis Segura
Stadio: in costruzione; è utilizzato lo stadio 'Caballito-Ricardo Etcheverry' del Ferrocarril Oeste (24.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 2 Campionati (Metropolitano 1984, Nacional 1985)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Libertadores (1985), 1 Coppa Interamericana (1985)
Giocatori più rappresentativi: Maradona, Batista, Pasculli, Borghi, Vidallé, Videla, Caceres, Dertycia, Redondo, Sorin
Giocatori con il maggior numero di presenze: Batista (272), Domenech (245), Urchevick (238)
Giocatori con il maggior numero di gol: Maradona (116), Pasculli (87), Moreno (80)
Allenatori più rappresentativi: Labruna, Saporiti, Yudica, Mareque, Veiga, Sosa
Arsenal
È il Royal Arsenal di Woolwich, a est di Londra, a dare il nome alla squadra, i cui giocatori verranno chiamati gunners, "cannonieri", dal cannone dello stemma. La squadra di calcio nasce, nel 1886, da una colletta fra gli operai dell'arsenale, con il nome di Dial Square. Poi, nel 1891, il nome diventa Woolwich Arsenal e quindi Arsenal, primo club inglese a iscriversi, nel 1893, alla lega professionistica. Subito si accende la rivalità con gli altri sodalizi cittadini, come il Chelsea e il Tottenham Hotspur. Poiché l'Arsenal era svantaggiato dalla sede periferica, nel 1913 la società decide di trasferirsi a Highbury, a nord-est della capitale, a due passi dal campo del Tottenham, e lì, nel luogo in cui sorgeva un seminario, viene costruito il mitico stadio Highbury.
L'uomo che cambia la storia dell'Arsenal è l'allenatore Herbert Chapman, il padre del 'sistema'. Nato nel 1873, giocatore mediocre, squalificato a Leeds per uno scandalo di pagamenti in nero, Chapman, dopo aver scontato la pena, porta l'Huddersfield Town a vincere due Campionati e una Coppa d'Inghilterra. Arriva all'Arsenal nel 1925 ed esordisce nel peggiore dei modi, perdendo 0-7 con il Newcastle. La sconfitta, unita alla modifica della regola del fuorigioco, lo spinge a cambiare tattica. Per puntellare la difesa, accentua il concetto di marcatura e arretra il centromediano (Jack Buttler) fra i due terzini, affinché possa occuparsi del centravanti avversario; dispone il centrocampo a quadrilatero; riduce l'attacco a due ali e una punta centrale. È appunto questo il Chapman-system, noto anche come 'sistema' o 'WM': farà scuola in Europa e porterà l'Arsenal a dominare gli anni Trenta, vincendo la Coppa d'Inghilterra nel 1930, primo trofeo in assoluto, e i titoli del 1931, 1933 e 1934. Alla morte, improvvisa, di Chapman subentra George Allison, un radiocronista che, seguendone le direttive, conquista un'altra Coppa nel 1936 e altri due Campionati, nel 1935 e nel 1938 (con un clamoroso 8-1 al Liverpool). L'Arsenal diventa, in pratica, la nazionale inglese: il portiere Moss, i terzini Male e Hapgood, il trio d'attacco Bowden, Drake, Bastin. La famosa amichevole del 14 novembre 1934, Inghilterra-Italia 3-2, darà inizio alla leggenda dei 'leoni (azzurri) di Highbury'.
Tom Whittaker, braccio destro di Chapman, firma i titoli del 1948 e del 1953. Poi dovranno passare diciotto anni per arrivare all'ottava vittoria in Campionato (1971) e altri diciotto per la nona (1989). Memorabile la sfida del 26 maggio 1989 tra Liverpool e Arsenal, su cui si incentra il romanzo Fever pitch (Febbre a 90°) dello scrittore inglese Nick Hornby: è una sorta di spareggio, il Liverpool può perdere 1-0, ma l'Arsenal deve vincere 2-0. E 2-0 è il risultato finale: gol di Alan Smith e, nel recupero, altro gol di Michael Thomas.
La prima doppietta Campionato-Coppa risale al 1971, la seconda al 1998. Nel 1994, arriva la Coppa delle Coppe a spese del Parma (1-0, Smith). I 'cannonieri' non alimentano solo le pagine sportive: George Graham, responsabile tecnico dal 1986 al 1995, è stato coinvolto in un giro di tangenti; Paul Merson, attaccante, ha avuto problemi di droga; Tony Adams, il capitano, ha raccontato in un libro tutti i suoi eccessi di bevitore. Se un grande Arsenal del passato è stato irlandese (Jennings, O'Leary, Stapleton, Brady), quello attuale è francese (dall'allenatore, Arsène Wenger, in carica dal settembre 1996, ai giocatori Vieira, Pires, Wiltord, Henry) e comunque multinazionale e multietnico. Anche grazie alla penna di Nick Hornby, il primo e più autorevole dei suoi fans, l'Arsenal attraversa un periodo di grandissimo successo: ha moltiplicato il numero dei tifosi fra le donne e gli intellettuali, ha ristrutturato Highbury ‒ presto emigrerà in uno stadio nuovo di zecca ‒ è ai vertici delle competizioni nazionali ed è autorevole in Europa.
Denominazione e sede: Arsenal Football Club, Londra
Anno di fondazione: 1886
Presidente: Peter Hill-Wood
Direttore generale: Keith Edelman
Colori sociali: rosso-bianco
Stadio: Highbury (38.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 12 Campionati (1931, 1933, 1934, 1935, 1938, 1948, 1953, 1971, 1989, 1991, 1998, 2002), 2 Coppe di Lega (1987, 1993), 8 Coppe d'Inghilterra (1930, 1936, 1950, 1971, 1979, 1993, 1998, 2002)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1994), 1 Coppa delle Fiere (1970)
Giocatori più rappresentativi: Hapgood, Drake, Bastin, Jennings, Brady, O'Leary, I. Wright, Adams, Vieira, Henry
Giocatore con il maggior numero di presenze: O'Leary (558)
Giocatore con il maggior numero di gol: Bastin (150)
Allenatori più rappresentativi: Chapman, Allison, Whittaker, B. Wright, Graham, Wenger
Aston Villa
Le origini dell'Aston Villa risalgono all'inverno 1874, quando alcuni soci della squadra di cricket del Villa Wesleyan Church di Aston, Birmingham, si chiesero come impiegare i mesi freddi nei quali non potevano giocare il loro sport preferito. Decisero per il calcio, pur se tra mille difficoltà. Per disputare la prima partita, infatti, dovettero accordarsi con l'Aston Brook St. Mary's: un tempo a rugby e un tempo a calcio, sempre in 15 contro 15. La squadra decollò grazie a un operaio scozzese di 21 anni, George Ramsay, arrivato a Birmingham in cerca di lavoro. Divenne giocatore e poi manager della società, convincendo gli altri soci ad affittare un terreno da un macellaio dei sobborghi per 5 sterline l'anno e costruire il primo stadio.
L'Aston Villa ha dominato il calcio inglese della fine dell'Ottocento e dei primi anni del Novecento, poi ha passato un lunghissimo periodo buio, con pochissime soddisfazioni, fino allo scudetto del 1981, seguito l'anno dopo, a Rotterdam il 26 maggio, dalla vittoria sui favoritissimi tedeschi del Bayern Monaco nella finale di Coppa dei Campioni. Questa la formazione: Rimmer (sostituito da Spink al 10′), Swain, Williams, Evans, McNaught, Mortimer, Bremner, Cowans, Morley, Shaw e Withe (autore del gol decisivo al 67′).
Anno di fondazione: 1874
Presidente: Herbert Douglas Ellis
Colori sociali: granata-azzurro
Stadio: Villa Park (39.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 7 Campionati (1894, 1896, 1897, 1899, 1900, 1910, 1981), 7 Coppe d'Inghilterra: (1887, 1895, 1897, 1905, 1913, 1920, 1957), 5 Coppe di Lega (1961, 1975, 1977, 1994, 1996)
Vittorie internazionali: 1 Coppa dei Campioni (1982), 1 Supercoppa Europea (1982)
Giocatori più rappresentativi: B. Little, Morley, Spink, Hampton
Giocatore con il maggior numero di presenze: Aitken (561)
Giocatore con il maggior numero di gol: Hampton (215)
Atlético Madrid
La sua matrice è basca: nasce, infatti, il 26 aprile 1903 con il nome di Athletic de Madrid, come succursale madrilena dell'Athletic di Bilbao. Diventa indipendente nel 1907. Nel 1939 si fonde con la squadra del Ministero dell'Aviazione assumendo la denominazione di Atlético Aviación. Nel 1947 il sodalizio si scioglie e il nome del club diventa definitivamente Atlético de Madrid. Le sue vicende vengono a intrecciarsi con quelle della storia ‒ calcistica e non ‒ della capitale spagnola. Tratto caratteristico della squadra è il forte orgoglio di appartenenza dei tifosi e dei calciatori, alle prese con la 'dittatura' leggendaria del Real Madrid.
Sul finire degli anni Novanta, i destini finanziari del club si confondono con le disavventure giudiziarie del suo maggior azionista e presidente, l'intraprendente Gil y Gil, sindaco di Marbella, inquisito per fondi neri dalla magistratura del suo paese. Così, dopo la conquista della Liga nel 1996, dopo il tentativo di oscurare il Real attraverso l'acquisto del centravanti Vieri dalla Juventus e dopo l'arrivo in panchina dell'ex commissario tecnico azzurro Arrigo Sacchi, l'Atlético conosce un deciso ridimensionamento, testimoniato dalla retrocessione in serie B e dalla partenza dei suoi uomini migliori, Vieri e José Mari, Chamot e Jugovic.
Denominazione e sede: Club Atlético de Madrid, Madrid
Anno di fondazione: 1903
Presidente: Jesús Gil y Gil
Direttore generale: Miguel Ángel Gil Marin
Stadio: Vicente Calderón (57.000 spettatori)
Colori sociali: bianco-rosso
Vittorie nazionali: 9 Campionati (1940, 1941, 1950, 1951, 1966, 1970, 1973, 1977, 1996), 9 Coppe di Spagna (1960, 1961, 1965, 1972, 1976, 1985, 1991, 1992, 1996), 1 Supercoppa Spagnola (1985)
Vittoria internazionale: 1 Coppa delle Coppe (1962), 1 Coppa Intercontinentale (1974)
Giocatori più rappresentativi: Escudero, Peiró, Schuster, Futre
Giocatore con il maggior numero di presenze: Adelardo (399)
Giocatore con il maggior numero di gol: Escudero (150)
Allenatori più rappresentativi: Helenio Herrera, Zamora, Ranieri, Sacchi
Atlético Nacional Medellín
Nato nel 1942 come Unión Indulana, il club ha assunto nel 1947 il nome di Atlético Municipal e nel 1951 quello definitivo di Atlético Nacional (salvo una parentesi tra il 1958 e il 1959 in cui fu chiamato Independiente Nacional, in seguito alla fusione con l'Independiente di Medellín). I calciatori sono soprannominati, per via dei colori sociali, los verdolagas.
La politica di non dare spazio ai giocatori stranieri, puntando sui giovani colombiani, è sempre stata motivo di grande orgoglio per la società e i tifosi. La squadra è considerata, un po' come in Italia la Juventus, la 'fidanzata' del calcio colombiano, anche se ha attraversato momenti di grande difficoltà, come quando è stata coinvolta in una denuncia per traffico di droga o quando è stato ucciso, nel corso di una lite, uno dei suoi calciatori più prestigiosi, Andrés Escobar, che si era reso responsabile di un autogol durante la partita Colombia-Stati Uniti ai Mondiali del 1994.
L'Atlético Nacional vinse il suo primo Campionato nel 1954, quando era guidato dall'argentino Fernando Paternoster. Tornò in auge negli anni Settanta, affermandosi come una delle maggiori squadre colombiane: vinse infatti altri due titoli nazionali, nel 1973 e 1976. Decisivo fu l'ingaggio di un altro allenatore argentino, Oswaldo Juán Zubeldía. A livello mondiale, il nome della squadra è tuttavia legato al tecnico Francisco Maturana, che nel 1989 la portò all'unica vittoria in Coppa Libertadores e, nello stesso anno, a sfidare il Milan di Arrigo Sacchi nell'Intercontinentale. Quello fu il Nacional più grande della storia, con René Higuita (uno dei portieri più spettacolari del mondo), Alexis García, Leonel Alvárez, John Jairo Trellez e il goleador a sorpresa Alveiro Usuriaga.
Sergio Rizzo
Denominazione e sede: Club Atlético Nacional, Medellín
Anno di fondazione: 1942
Colori sociali: verde-bianco
Stadio: Atanasio Girardot (52.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 7 campionati (1954, 1973, 1976, 1981, 1991, 1994, 1999)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Libertadores (1989), 2 Coppe Interamericane (1990, 1997), 2 Coppe Merconorte (1998, 2000)
Giocatori più rappresentativi: Alexis García, Leonel Alvarez, Trellez, Usuriaga, Andrés Escobar, Higuita, Ivan Córdoba, Asprilla, Rincón
Giocatori con il maggior numero di gol: Aristizabal (119), Trellez (116), Santa (90)
Allenatori più rappresentativi: Paternoster, López Fretes, Zubeldía, Cubilla, Maturana
Barcellona
Il 'barcellonismo' non è una semplice passione sportiva: è una fede. Il Barcellona non è solo un club con 103.845 soci, è il simbolo di una terra, la Catalogna, fiera della sua autonomia, ed è anche per questa forte connotazione nazionalistica che il 'Barça' è nemico giurato di quel Real Madrid che, per tradizione, rappresenta la Spagna centralista ed ex franchista: la squadra di una regione contro la squadra di uno Stato.
Il Barcellona nasce il 29 novembre 1899, per iniziativa di un contabile svizzero, Hans 'Joan' Gamper. I regolamenti vigenti impediscono agli stranieri di iscriversi ai sodalizi locali. Per questo, Gamper è costretto a crearne uno. Come colori, sceglie il blu e il granata, i celeberrimi azulgrana. In attesa di un vero e proprio Campionato, il Barcellona fa incetta di Coppe di Spagna (otto fra il 1910 e il 1928). Il girone unico viene solennemente inaugurato nella stagione 1928-29. Trascinati da José Samitier, formidabile centravanti, i catalani si aggiudicano l'edizione inaugurale, in seguito a un entusiasmante scontro diretto con il Real. Sedici anni dopo, Samitier sarà di nuovo campeon in qualità di allenatore, un record eguagliato soltanto da Johan Cruijff.
Il Barcellona, a differenza dell'Espanyol, l'altra squadra cittadina, è geloso della propria identità. Non sarà mai 'Real'. Il periodo della Guerra Civile segna un crollo di soci e di ambizioni. Nel corso di una tournée americana, molti titolari scelgono l'esilio. Bisogna attendere il 1944 perché la società torni a espandersi. Fra il 1945 e il 1949, infatti, il Barcellona vince tre Campionati con la firma di César Rodriguez, più semplicemente 'César', raffinato goleador. Il Barcellona diventa la squadra de las cinco Copas, avendo vinto due Campionati e tre Coppe di Spagna nel triennio 1951-53. Tra i suoi leggendari giocatori: il portiere Ramallets e, soprattutto, Ladislao Kubala, ungherese, il solo calciatore al mondo, con Alfredo Di Stefano, ad aver servito tre nazionali: ungherese, cecoslovacca, spagnola. Di Stefano, invece, non gioca nel Barcellona e finisce al Real. Alle ramblas si consolano con l'inaugurazione del monumentale stadio Camp Nou e con l'avvento di un 'mago' un po' argentino, un po' francese e un po' marocchino: Helenio Herrera. Nel 1959, grazie a lui la squadra centra la doppietta Campionato-Coppa; nel 1960, vince un altro Campionato. Di fronte ha il Real delle cinque consecutive Coppe dei Campioni, la squadra di Di Stefano, Puskas, Gento. Tuttavia, neppure i catalani sono da sottovalutare: a Kubala e a Luisito Suarez si aggiungono in attacco due esuli della mitica Honvéd di Budapest, Kocsis e Czibor, il cannoniere brasiliano Evaristo e l'eclettico Tejada.
Se il Real è la squadra del secolo, il Barcellona è l'unica società sempre presente nelle Coppe europee. Dai fasti herreriani al nono titolo trascorrono quattordici anni. Il 'nuovo rinascimento' viene attuato dai maestri olandesi: Rinus Michels in panchina, Johan Cruijff in campo. Si tratta degli esponenti dell'Ajax, l'essenza del calcio totale. La loro vittoria in Campionato è ancora ricordata, e lo sarà sempre, per lo strabiliante 5-0 che, il 17 febbraio 1974, inflissero al Real nella sua reggia. Ma Cruijff resta legato al mito del Barça soprattutto per il suo mandato di allenatore (1988-96): quattro Campionati, due Coppe del Re, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea e, finalmente, quella Coppa dei Campioni soltanto sfiorata nelle finali del 1961 a Berna (3-2 per il Benfica) e del 1986 a Siviglia (Steaua vittorioso ai rigori). La rivincita si celebra a Wembley, nel maggio 1992: il Barcellona batte la Sampdoria per 1-0, grazie al gol folgorante, nei tempi supplementari, dell'olandese Ronald Koeman. La compagine di Cruijff è una squadra da sogno ed è il prodotto di una 'ricetta' infallibile che combina tre ingredienti: vivaio (Ferrer, Sergi, Amor, Guardiola), campioni (Koeman, Stoichkov, Miki Laudrup, Romario), intercambiabilità dei ruoli. Poi Cruijff rompe con il presidente dei presidenti, Josep Lluís Núñez, imprenditore edile di Barcellona, fanatico religioso, in carica dal 1978 al 2000, quando gli subentra Joan Gaspart. Un altro olandese proveniente dall'Ajax raccoglie il testimone di Cruijff: Aloysius Van Gaal, che ottiene due vittorie in Campionato, ma fa pessime figure in Europa. I tifosi non lo amano: la sua squadra è troppo Ajax e troppo poco Barça, negli uomini e nello stile. Rivaldo (che nel 1999 vince il Pallone d'oro e viene eletto giocatore dell'anno dalla FIFA) è l'ultimo grande campione.
Il Barcellona è stato la squadra di Cruijff, ma anche quella di Diego Maradona e Ronaldo, di Schuster e Simonsen, di Neeskens, Lineker, Stoichkov e Romario, di Luis Figo, ceduto poi al Real dopo aver giurato eterno amore al Barcellona. Maradona vi approda all'indomani dei Mondiali spagnoli: non ha ancora 22 anni e vi resta due temporadas. Ronaldo gioca nella squadra una sola estate, nella stagione 1996-97, segnando 34 gol in 37 partite. Poi c'è Enrique Castro, detto 'Quini', centravanti, rapito nella sua abitazione da malviventi comuni il 1° marzo 1981 e rilasciato, a Saragozza, ventiquattro giorni dopo. Il primo Barça del Terzo Millennio ha sostituito in corsa l'allenatore Serra Ferrer con una vecchia gloria, Carles Rexach.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Fútbol Club Barcelona, Barcellona
Anno di fondazione: 1899
Presidente: Joan Gaspart
Direttore generale: Antón Parera
Colori sociali: blu-granata
Stadio: Camp Nou (98.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 16 Campionati (1929, 1945, 1948, 1949, 1952, 1953, 1959, 1960, 1974, 1985, 1991, 1992, 1993, 1994, 1998, 1999), 24 Coppe di Spagna (1910, 1912, 1913, 1920, 1922, 1925, 1926, 1928, 1942, 1951, 1952, 1953, 1957, 1959, 1963, 1968, 1971, 1978, 1981, 1983, 1988, 1990, 1997, 1998), 2 Coppe di Lega (1983, 1986), 5 Supercoppe Spagnole (1983, 1991, 1992, 1994, 1996)
Vittorie internazionali: 1 Coppa dei Campioni (1992), 4 Coppe delle Coppe (1979, 1982, 1989, 1997), 3 Coppe delle Fiere (1958, 1960, 1966), 2 Supercoppe Europee (1992, 1997)
Giocatori più rappresentativi: Alcantara, César, Zamora, Kubala, Suarez, Cruijff, Neeskens, Maradona, Ronaldo, Figo
Giocatori con il maggior numero di presenze: Migueli (391), Rexach (328), Amor (311)
Giocatori con il maggior numero di gol: Alcantara (356), César Rodriguez (294)
Allenatori più rappresentativi: Michels, Helenio Herrera, Venables, Cruijff, B. Robson, Van Gaal
Bayer Leverkusen
La nascita della squadra risale al 15 giugno 1904, ma il Bayer Leverkusen assume l'importanza e il prestigio internazionale che ha oggi soltanto dopo la fusione fra il Turn-und-Spielverein e lo Sportvereinigung Bayer 04 Leverkusen, che avviene nel 1984. Prima di quella data, il Turn è una squadra di scarso valore della periferia di Colonia; quattro anni dopo, invece, il Bayer Leverkusen conquista il primo, e per ora unico, trofeo internazionale della sua storia: la Coppa UEFA. In quella occasione, perde a Barcellona la prima finale contro l'Espanyol per 0-3, quindi rimonta a Leverkusen con il punteggio di 3-0 e alla fine supera gli spagnoli ai calci di rigore. Della squadra vincitrice, guidata da Erick Ribbeck, fa parte anche l'anziano Rolff, che è stato il marcatore di Platini nella finale di Coppa dei Campioni vinta dall'Amburgo contro la Juventus nel 1983. L'uomo-simbolo della squadra è il cannoniere Ulf Kirsten. Il 20 ottobre 2000 il Bayer Leverkusen finisce al centro dell'attenzione del calcio europeo per il caso Daum, l'allenatore trovato positivo per assunzione di cocaina a un controllo antidoping. Dopo la sua espulsione, la squadra è affidata prima alla guida di Rudi Völler, ex giocatore della Roma, poi a quella dell'ex commissario tecnico della nazionale tedesca Berti Vogts, e infine a quella di Klaus Toppmöller, che nel 2002 la conduce alle finali di Coppa di Germania e di Champions League.
Denominazione e sede: Bayer 04 Leverkusen, Leverkusen
Anno di fondazione: 1904
Presidente: Werner Wenning
Direttore generale: Reiner Calmund
Colori sociali: rosso-nero
Stadio: BayArena (25.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 1 Coppa di Germania (1993)
Vittorie internazionali: 1 Coppa UEFA (1988)
Giocatori più rappresentativi: Kirsten, Vollborn, Waas, Tita, Jorginho, Emerson, Paulo Sergio, Völler, Cha-Bum, Schuster
Giocatori con il maggior numero di presenze: Vollborn (401), Horste (332), Kirsten (315)
Giocatori con il maggior numero di gol: Kirsten (170), Waas (72)
Allenatori più rappresentativi: Ribbeck, Stepanovic, Michels, Daum, Völler, Vogts, Toppmöller
Bayern monaco
Il Fussball Club Bayern München nasce la sera del 27 febbraio 1900, presso il ristorante Gisela di Schwabing, nel cuore del quartiere dei divertimenti di Monaco. Protagonisti, diciotto fuoriusciti della MTV 1879 (Münchner Turn Verein), stanchi dell'attenzione prevalente riservata agli esercizi ginnici. La quota associativa è un marco per i soci fondatori e due marchi per i nuovi iscritti. Il tirocinio è laborioso. La società che oggi, in patria, detiene tutti i record in materia di trofei, ed è il simbolo indiscusso del potere bavarese, sino agli anni Sessanta non raccoglie che uno striminzito bottino: un Campionato nel 1932, una Coppa nel 1957. Poi arriva, improvvisa e folgorante, la serie dei successi: 16 vittorie in Campionato in 32 anni tra il 1969 e il 2001, 9 Coppe di Germania tra il 1966 e il 2000. Con la Juventus e l'Ajax, inoltre, il Bayern è il solo club ad aver vinto tutte e tre le Coppe d'Europa (Campioni, Coppe, UEFA). Nessuna squadra tedesca vanta il suo bacino d'utenza. L'ultimo censimento parla di 10 milioni di fan e di almeno 1500 fan club, in Germania e in altri 23 paesi, dal Camerun alla Thailandia. In Italia ce ne sono 18: 16 in Alto Adige, uno a Trieste, uno ad Aci Castello (Catania). L'82% dei tifosi del Bayern, però, non è di Monaco: il cuore della città, infatti, continua a battere, soprattutto, per l'altra squadra cittadina, il '1860'.
A partire dalla stagione 1963-64, anche la Germania adotta il girone unico, la Bundesliga. Alla prima edizione, il Bayern non viene iscritto dalla Federazione, che gli preferisce i concittadini del Monaco 1860. Ce la farà al terzo tentativo e da quel momento tutte le altre formazioni tedesche dovranno fare i conti con il Bayern. La squadra si forgia attorno a un gruppo di campioni incomparabili, tra cui Franz Beckenbauer, che con Sepp Maier e Gerd Müller trascina il Bayern nel mito. Il Monaco 1860 è il primo club ad accorgersi del talento di Beckenbauer, il futuro 'Kaiser' Franz, che però, colpito con un pugno da un giocatore avversario durante una partita proprio contro il Monaco 1860, giura di non vestire mai la maglia di quella squadra. Centrocampista, battitore libero, titolare a 18 anni: il Bayern ha trovato in Beckenbauer il suo 'radar'. Maier è il portiere, Gerd Müller il centravanti dalla mira infallibile (365 gol in 427 partite): lo chiamano der Dicker, "il ciccione". E poi Schwarzenbeck, la guardia del corpo di Beckenbauer, Breitner, il 'fluidificante maoista', Roth, l'uomo delle emergenze, Hoeness, il fantasista.
Comincia una nuova era, con le vittorie in Campionato e in Coppa di Germania e, soprattutto, con la consacrazione internazionale. Dopo la Coppa delle Coppe del 1967, il Bayern vince le tre Coppe dei Campioni consecutive del 1974, 1975 e 1976: 4-0 all'Atlético Madrid (dopo la conclusione, 1-1, della prima finale), 2-0 al Leeds, 1-0 al St.-Étienne. I bavaresi spodestano il calcio totale dell'Ajax e, non paghi, scortano la Germania al titolo europeo del 1972 e alla corona mondiale del 1974: la media è di sei titolari su undici.
Karl Heinz Rummenigge e Lothar Matthäus aggiornano la storia del calcio. Il Bayern non è rivoluzione, è conservazione. Fra gli allenatori, meritano un cenno il croato Zlatko Cajkovski, l'architetto del ciclo, e Udo Lattek, il tecnico più vincente del Bayern: sei Campionati, con due triplette (1972-1973-1974 e 1985-1986-1987), una Coppa dei Campioni (la prima) e tre Coppe di Germania. Anche Giovanni Trapattoni lascia al Bayern un titolo nazionale (nel 1997).
La grandezza del Bayern risiede nella sua 'filosofia', che può essere compendiata nel detto "mai il passo più lungo della gamba". Ancora oggi l'acquisto record è il terzino francese Sagnol, pagato 16 miliardi di lire al Monaco. Secondo questa impostazione, per cui del giocatore conta la personalità, non il nome, gli investimenti sono sempre stati mirati e l'organigramma aperto alle vecchie glorie. Per questo, e non per altro, sono arrivate altre tre vittorie consecutive in Campionato (1999, 2000, 2001, l'ultima delle quali all'ultimissimo minuto) e soprattutto, a 25 anni dalla terza, dopo tre finali andate male, la quarta Coppa dei Campioni/Champions League, ai rigori sul Valencia a San Siro, con Oliver Kahn nel ruolo di Sepp Maier e uno stuolo di elementi riciclati: Effenberg, Elber, Paulo Sergio. Allenatore, il pragmatico Ottmar Hitzfeld. Nell'ambito di un budget di 250 miliardi di lire, solo un terzo, 85 miliardi, viene assorbito dagli stipendi dei giocatori. Nel mondo, soltanto il Manchester United produce una maggiore ricchezza calcistica. Delle tre 'B' che caratterizzano la Baviera ‒ Bayern, BMW, Bier ‒ il club di football rimane visceralmente legato al potere politico della regione, dove governano, dal dopoguerra, i conservatori della CSU. Edmund Stoiber, Minister Präsident della Baviera, siede anche nel consiglio ristretto della società. Beckenbauer resta il filo conduttore.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Fussball Club Bayern München, Monaco di Baviera
Anno di fondazione: 1900
Presidente: Franz Beckenbauer
Direttore generale: Uli Hoeness
Colori sociali: rosso-bianco-blu
Stadio: Olympiastadion (69.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 17 Campionati (1932, 1969, 1972, 1973, 1974, 1980, 1981, 1985, 1986, 1987, 1989, 1990, 1994, 1997, 1999, 2000, 2001), 10 Coppe di Germania (1957, 1966, 1967, 1969, 1971, 1982, 1984, 1986, 1998, 2000), 3 Supercoppe Tedesche (1983, 1987, 1990), 4 Coppe di Lega (1997, 1998, 1999, 2000)
Vittorie internazionali: 4 Coppe dei Campioni/Champions League (1974, 1975, 1976, 2001), 1 Coppa delle Coppe (1967), 1 Coppa UEFA (1996), 2 Coppe Intercontinentali (1976, 2001)
Giocatori più rappresentativi: Beckenbauer, G. Müller, Maier, Breitner, Hoeness, Rummenigge, Matthäus, Brehme, Effenberg, Kahn
Giocatori con il maggior numero di presenze: Maier (473), G. Müller (427), Schwarzenbeck (416)
Giocatori con il maggior numero di gol: G. Müller (365), Rummenigge (162), Wohlfarth (119)
Allenatori più rappresentativi: Cajkovski, Zebec, Lattek, Heynckes, Trapattoni, Hitzfeld
Benfica
Il 28 febbraio 1904, presso la Farmacia Franco in Rua de Belém, un gruppo di appassionati fonda lo Sport Lisboa, un piccolo sodalizio polisportivo. Ne è promotore Cosme Damião. Il calcio è una delle discipline praticate, non l'unica. Nel 1908, lo Sport Lisboa confluisce nel Grupo Sport Benfica, dal nome del quartiere in cui opera. Nasce, così, lo Sport Lisboa e Benfica, l'attuale Benfica. Come motto viene scelto E pluribus unum, "da molti uno solo", e come colore il rosso, perché dà allegria. Il primo titolo ufficiale arriva nel 1942. L'allenatore è l'ungherese Janos Biri, che vince il Campionato anche nel 1943 e nel 1945, mentre l'inglese Ted Smith è il protagonista della successiva vittoria, quella del 1950.
Il Benfica moderno decolla quando alla presidenza sale Joaquim Ferreira Bogalho. Due le sue mosse chiave: l'inaugurazione dell'Estádio da Luz, un impianto capace di ospitare oltre 70.000 spettatori, un capitale da far fruttare, e soprattutto l'assunzione del brasiliano Otto Gloria come responsabile tecnico. In quel momento, la società più forte di Lisbona è lo Sporting. Otto Gloria crea una struttura agile e competitiva, riorganizza la società e la squadra; con lui, la sezione calcistica diventa la colonna portante dell'intera polisportiva. Pezzo dopo pezzo, costruisce una formazione destinata a lasciare il segno. Recluta giovani in gamba che vanno ad affiancarsi a un centravanti formidabile come José Aguas, già capocannoniere nella stagione 1951-52 con 28 gol. Il portiere Alberto Costa Pereira e il regista Mario Esteves Coluña, entrambi originari del Mozambico, sono due felici scoperte dell'allenatore. Otto Gloria nell'arco di sei stagioni conquista tre Campionati e altrettante Coppe, centrando entrambi gli obiettivi sia nel 1955 sia nel 1957. Gli succede l'ungherese Bela Guttmann, 'zingaro' del calcio, un impasto di scuola danubiana e malizia latina. In quegli anni l'Europa calcistica è dominata dal Real Madrid, che si è assicurato le prime cinque Coppe dei Campioni, dal 1956 al 1960. Il Benfica di Guttmann riesce a strappare la Coppa al Real, aggiudicandosi due edizioni consecutive, nel 1961 (3-2 al Barcellona) e nel 1962 (5-3 al Real). Quest'ultima finale, disputata ad Amsterdam, è decisa dal più grande giocatore che abbia mai indossato la maglia del Benfica e della nazionale portoghese: Eusebio, detto la 'pantera nera'. Come Costa Pereira e Coluña, proviene dal Mozambico. Dal 1961 al 1975 Eusebio trascina il Benfica alla conquista di dieci Campionati e cinque Coppe del Portogallo e della Coppa dei Campioni del 1962, impreziosita da una brillante doppietta. Nessun Benfica sarà più forte di questo che può contare su campioni di primo piano come Eusebio, Coluña, José Augusto, Simoes, Aguas, Costa Pereira. Perde altre cinque finali di Coppa dei Campioni (due con il Milan, una con l'Inter, una con il Manchester United e una con il PSV Eindhoven), ma resterà per sempre un modello di gioco e di stile.
Il Benfica di oggi è, invece, tutta un'altra cosa: il logorio e i debiti l'hanno travolto; il Porto, lo Sporting e persino il Boavista l'hanno scalzato dai vertici del calcio portoghese; la vittoria in Campionato manca dal 1994. Per risollevare le disastrate finanze ha dovuto vendere i suoi 'gioielli', da Paulo Sousa a Rui Costa. Il suo penultimo presidente, João Vale e Azevedo, è finito agli arresti domiciliari per peculato, truffa e malversazioni unite ai danni del club. Nei sedicesimi di finale della Coppa UEFA 1999-2000, il Benfica ha subito dagli spagnoli del Celta Vigo la più umiliante sconfitta della sua storia (7-0). Non solo: per mancanza di fondi sono state smantellate alcune delle sezioni del club più ricche di praticanti e più care ai tifosi (ciclismo, atletica leggera, nuoto, pallamano). Non gli è rimasto che un record: quello di essere, sempre e comunque, la squadra più radicata nel cuore del paese.
Denominazione e sede: Sport Lisboa e Benfica, Lisbona
Anno di fondazione: 1904
Direttore generale: Antonio Simões
Colori sociali: rosso-bianco
Stadio: Estádio da Luz (78.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campeonatos de Portugal (1930, 1931, 1935), 3 Campeonatos da Primeira Liga (1936, 1937, 1938), 27 Campionati nazionali (1942, 1943, 1945, 1950, 1955, 1957, 1960, 1961, 1963, 1964, 1965, 1967, 1968, 1969, 1971, 1972, 1973, 1975, 1976, 1977, 1981, 1983, 1984, 1987, 1989, 1991, 1994), 23 Coppe del Portogallo (1940, 1943, 1944, 1949, 1951, 1952, 1953, 1955, 1957, 1959, 1962, 1964, 1969, 1970, 1972, 1980, 1981, 1983, 1985, 1986, 1987,1993, 1996), 3 Supercoppe del Portogallo (1980, 1985, 1989)
Vittorie internazionali: 2 Coppe dei Campioni (1961, 1962)
Giocatori più rappresentativi: Eusebio, Coluña, Aguas, Costa Pereira, Simoes, José Augusto, Torres, Nené, Paulo Sousa, Rui Costa
Giocatore con il maggior numero di presenze: Nené (421)
Giocatore con il maggior numero di gol: Eusebio (317)
Allenatori più rappresentativi: Biri, Gloria, Guttmann, Eriksson, Toni
Boca Juniors
Il Boca Juniors nacque il 3 aprile 1905 per impulso di un gruppo di studenti e amici di origine italiana, più precisamente ligure. In Argentina il Boca viene chiamato ancora oggi el equipo xeneize, "la squadra genovese", a causa della provenienza dei fondatori, attestata chiaramente dai loro cognomi: Brichetto, Carrega, Canevaro, Moltedo, Baglietto (Estebán, primo presidente del club). Del resto la Boca era il quartiere dei genovesi emigrati in Argentina, che replicavano negli angiporti di Buenos Aires gli usi e costumi del centro storico e dei carruggi della vecchia Genova. Anche la caratteristica maglia del Boca, di colore blu con fascia orizzontale gialla sul petto, ha un'origine per così dire 'portuale': nel primo anno di vita, infatti, i giocatori del Boca vestivano camicioni biancocelesti, abbinamento però troppo diffuso, in quanto si rifaceva ai colori della bandiera argentina. Così i dirigenti decisero di cambiare e la scelta, per evitare discussioni, venne affidata al caso: su proposta di Juan Brichetto, uno dei fondatori, si stabilì che la squadra avrebbe assunto i colori della bandiera della prima nave che fosse transitata in porto. Il passaggio di una nave svedese determinò l'accoppiata giallo-blu.
Dopo gli esordi a livello poco più che scolastico, il Boca comincia ad affermarsi nella seconda metà degli anni Dieci. Nel 1919 vince il suo primo Campionato (in seguito verranno però riconosciuti solo quelli giocati a partire dal 1931, anno dell'introduzione del professionismo) e in quel periodo trova anche il suo primo idolo: l'ala destra Pedro Bleo Fournal, più famoso come 'Calomino' dal cognome della famiglia (genovese) che lo adotta. In stretto dialetto ligure dalle tribune si alza il grido "daguela forte, Calumin", un invito a sprigionare tutta la potenza del suo destro. Un problema di cataratta costringe Calomino al ritiro nel 1924, un anno prima della tournée che vede il Boca esibirsi con successo in Europa. Nello stesso periodo comincia la rivalità con l'altra squadra di Buenos Aires, il River Plate (primo derby nel 1913, prima vittoria del Boca nel 1918), mentre ci si avvia verso il professionismo. Nel 1930 il Boca vince l'ultimo titolo amatoriale e l'anno successivo apre con una vittoria in Campionato la nuova era del calcio argentino.
Gli anni Trenta vedono il Boca protagonista, con tre Campionati vinti e un formidabile terzetto offensivo composto dal paraguaiano Delfin Benitez Caceres e dai locali Roberto Cherro e Francisco Varallo, detto 'Pancho', massimo goleador nella storia del Boca. La tradizione di grandi cannonieri prosegue negli anni Quaranta grazie a Jaime Sarlanga e a Mario Boyé, detto 'el Atomico', fugace stella del Genoa nel dopoguerra. Proprio nel 1940, il 25 maggio, in concomitanza con la festa dell'Indipendenza dell'Argentina, viene inaugurato lo stadio della Bombonera, attuale 'casa' del Boca, ristrutturato nel 1996 sotto la presidenza di Mauricio Macri. È qui che si rinnova il fortissimo legame che lega la squadra alla tifoseria, considerata la Numero Doce, il "dodicesimo giocatore", che nella buona come nella cattiva sorte fa sentire il suo incessante appoggio. I suoi idoli sono spesso simboli più della grinta che della tecnica. Esistono ovviamente eccezioni, come quella rappresentata da Angel Clemente Rojas, detto 'Rojitas', genio del dribbling e re in gialloblu degli anni Sessanta. Da lui il testimone del giocatore più amato passa, a metà degli anni Settanta, all'eccentrico portiere Hugo Gatti, detto Loco, il "matto". Nel 1981 il ventenne Diego Armando Maradona corona il sogno di vestire la maglia xeneize: con lui il Boca vince il Campionato Metropolitano. Nessuna vittoria ma solo applausi accolgono invece Dieguito, ormai in là con gli anni, quando chiude la carriera nel club, giocando dal 1995 al 1997. Intanto soltanto un anno è sufficiente a Gabriel Batistuta per diventare un idolo, nel 1991, prima di esplodere con la Selección in quella Coppa America che gli vale il trasferimento in Italia.
A due allenatori, con esperienze peraltro negative nel calcio italiano, sono invece legati i momenti di maggior splendore internazionale del Boca. Nel giro di quattordici mesi, tra il 1977 e il 1978, con Juan Carlos Lorenzo in panchina e sotto la presidenza di Alberto José Armando, per ventidue anni numero uno del club, il Boca vince per la prima volta la Coppa Libertadores, conquista l'Intercontinentale e poi fa il bis nella Libertadores. Fa ancor meglio Carlos Bianchi che nel giro di sole tre stagioni vince tre Campionati (Apertura 1998, Clausura 1999 e Apertura 2000), due edizioni della Libertadores (2000 e 2001) e una Coppa Intercontinentale (2000). Sul campo tra i protagonisti figuravano gli ultimi tre grandi idoli del Boca: il bomber Martin Palermo, che dopo la doppietta intercontinentale al Real Madrid è passato al Villareal, in Spagna; il portiere colombiano Oscar Cordoba, ora al Perugia, eroe nelle sfide ai rigori che hanno deciso i trionfi nella Libertadores contro il Palmeiras e i messicani del Cruz Azul; il fantasista Juan Roman Riquelme, da molti indicato come il vero erede di Maradona.
Matteo Dotto
Denominazione e sede: Club Atlético Boca Juniors, Buenos Aires
Anno di fondazione: 1905
Presidente: Mauricio Macri
Colori sociali: giallo-blu
Stadio: La Bombonera-Dr. Camilo Cichero (60.200 spettatori)
Vittorie nazionali: 7 Campionati amatoriali (1919, 1920, 1923, 1924, 1925 ad honorem, 1926, 1930), 19 Campionati (1931, 1934, 1935, 1940, 1943, 1944, 1954, 1962, 1964, 1965, Nacional 1969, Nacional 1970, Metropolitano 1976, Nacional 1976, Metropolitano 1981, Apertura 1992, Apertura 1998, Clausura 1999, Apertura 2000)
Vittorie internazionali: 4 Coppe Libertadores (1977, 1978, 2000, 2001), 2 Coppe Intercontinentali (1977, 2000), 1 Supercoppa Sudamericana (1989), 1 Recopa Sudamericana (1989), 1 Coppa Master Supercopa (1992), 1 Copa de Oro 'Nicolas Leoz' (1993)
Giocatori più rappresentativi: Varallo, Boyé, Mouzo, Gatti, Marzolini, Rattin, Maradona, Batistuta, Caniggia, Palermo
Giocatori con il maggior numero di presenze: Mouzo (396), Gatti (381), Marzolini (366)
Giocatori con il maggior numero di gol: Varallo (181), Sarlanga (115), Boyè (111)
Allenatori più rappresentativi: Di Stefano, Dominguez, Lorenzo, Marzolini, Washington Tabarez, Bianchi
Bologna
Il Bologna nasce in una birreria della città il 3 ottobre 1909. Il suo primo campo è Piazza d'Armi, ai Prati di Caprara. L'allenatore dei primi successi è un austriaco, Hermann Felsner, che assume la guida del Bologna dopo la Prima guerra mondiale, vi rimane fino al 1931, e vi torna poi nel 1939. Sul campo dello Sterlino, dove la squadra si trasferisce dopo aver giocato anche su quello della Cesoia, viene costruita l'impresa del primo scudetto. È un evento che dalla cronaca sportiva passa a quella nera. Nel giugno 1925, si gioca la prima finale fra il Bologna e il Genoa: i liguri vincono in Emilia, gli emiliani in Liguria. Protagonista assoluto è 'Angiolino' Schiavio, il più grande giocatore del Bologna di tutti i tempi. Nella prima partita di spareggio, a Milano, il Genoa non si presenta ai supplementari perché si ritiene penalizzato dalle decisioni dell'arbitro Giovanni Mauro. La Federazione ordina una quarta partita che si gioca a Torino e finisce 1-1, ma prima della gara i tifosi delle due squadre si scontrano alla stazione di Porta Nuova: vengono sparati colpi di pistola e il giorno dopo interviene perfino il Parlamento. La quinta gara viene disputata di nuovo a Torino, il 9 agosto, ma Genoa e Bologna vengono informate solo la sera precedente sull'orario (le 7,15 del mattino) e sul campo (il 'Forza e Coraggio') della partita. Il Bologna vince 2-0.
Nel maggio 1927 si inaugura lo stadio Littoriale, l'attuale Dall'Ara, e nel 1929, sempre con Felsner in panchina e Schiavio in campo, arriva il secondo scudetto. Inizia l'epoca d'oro del Bologna, che dal 1932 al 1941 vince altri quattro Campionati, due Coppe dell'Europa centrale e il Torneo dell'Esposizione di Parigi. L'artefice di quel Bologna, ovvero dello "squadrone che tremare il mondo fa", è il presidente Renato Dall'Ara che guiderà la società per trent'anni, dal 1934 al 1964; Arpad Veisz (allontanato in seguito alla promulgazione delle leggi razziali) e Felsner sono gli allenatori. Arrivano a Bologna i più grandi giocatori del momento, dal cannoniere Reguzzoni a Biavati e Monzeglio, da Ceresoli a Montesanto, da Puricelli al trio uruguayano Andreolo-Sansone-Fedullo.
Dopo la guerra, la ripresa è difficile. Il Bologna riesce a vincere solo una Mitropa Cup, nel 1961. Torna grande sotto la guida di Fulvio Bernardini: nel 1964 vince lo scudetto, al termine di una stagione quanto mai controversa. La squadra presenta Negri in porta, Janich libero, Fogli e Bulgarelli a centrocampo, Haller e Nielsen in attacco. È in testa al Campionato quando, il 4 marzo 1964, la Federcalcio annuncia che cinque giocatori rossoblu (Fogli, Pascutti, Pavinato, Perani e Tumburus) sono risultati positivi al controllo antidoping, dopo la vittoria sul Torino. La commissione giudicante assolve i giocatori, ma sanziona il Bologna, dandogli partita persa e un punto di penalizzazione, e squalifica per diciotto mesi Bernardini. Tre avvocati bolognesi chiedono l'intervento della magistratura ordinaria e questa, a seguito di una controanalisi, scagiona società e allenatore. La vicenda resterà comunque, per sempre, un mistero. Con la restituzione dei tre punti, il Bologna torna primo in classifica insieme all'Inter. Il 7 giugno 1964 si gioca all'Olimpico il primo, e per ora unico, spareggio-scudetto del calcio italiano. Il Bologna vince 2-0, segnano Fogli e Nielsen. Quattro giorni prima è morto Dall'Ara, stroncato da un infarto.
Nei successivi trentacinque anni le pagine nere sono molto più numerose dei successi. Dopo una serie di stagioni senza grandi risultati, con all'attivo appena due Coppe Italia, nel 1980-81 la squadra viene penalizzata di cinque punti per la vicenda del calcio-scommesse. Nella stagione successiva arriva la prima retrocessione in serie B e l'anno seguente il Bologna scende addirittura in C1.
Il ritorno in serie B è immediato, ma occorreranno alcuni anni per risalire nella massima divisione (1987-88), risultato conseguito anche grazie alla fiducia accordata dal presidente Corioni a un allenatore fino ad allora poco noto, Luigi Maifredi. Dopo un paio di stagioni a buon livello, però, dal 1990-91 ricominciano le disavventure, sia tecniche sia societarie: la squadra subisce di nuovo una doppia retrocessione nel giro di poco tempo, mentre la società, dopo diversi avvicendamenti alla sua guida, conosce addirittura il fallimento nel 1993. Il rilancio coincide con l'arrivo alla presidenza di Giuseppe Gazzoni Frascara: il Bologna ottiene, tra il 1995 e il 1996, due promozioni consecutive e negli anni seguenti, sotto la guida di Renzo Ulivieri e successivamente di Carlo Mazzone, può annoverare tra gli obiettivi raggiunti una dignitosa presenza in serie A e il ritorno in campo internazionale, con la Coppa Intertoto e la semifinale di Coppa UEFA 1998-99. Nella stagione 2001-02 il presidente Gazzoni, socio di maggioranza del Bologna, si dimette in seguito alla contestazione dei tifosi e lascia l'incarico a Renato Cipollini.
Denominazione e sede: Bologna 1909 Football Club, Bologna
Presidente: Renato Cipollini
Colori sociali: rosso-blu
Stadio: Renato Dall'Ara (40.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 7 Campionati (1925, 1929, 1936, 1937, 1939, 1941, 1964), 2 Coppe Italia (1970, 1974)
Vittorie internazionali: 3 Coppe d'Europa centrale/Mitropa (1932, 1934, 1961), 1 Torneo dell'Esposizione di Parigi (1937), 1 Intertoto (1998)
Giocatori più rappresentativi: Schiavio, Biavati, Reguzzoni, Cappello, Pascutti, Bulgarelli, Haller, Nielsen, Savoldi, Signori
Giocatori con il maggior numero di presenze: Bulgarelli (392), Reguzzoni (378), Roversi (341)
Giocatori con il maggior numero di gol: Reguzzoni (145), Pascutti (130), Schiavio (108)
Allenatori più rappresentativi: Felsner, Bernardini, Viani, Carniglia, Maifredi, Ulivieri
Borussia Dortmund
È stato il primo club tedesco a vincere una competizione europea (finale di Coppa delle Coppe 1966, 2-1 al Liverpool). Due anni prima (15 e 29 aprile 1964), il Borussia, campione della Germania Ovest, era stato eliminato in semifinale di Coppa dei Campioni, sconfitto dall'Inter, dopo due accese sfide (2-2 in Germania e 2-0 a Milano). Era il Borussia del portiere Tilkowski, del regista Konietzka, di Brungs, grande e prolifico attaccante, erede della squadra capace di vincere due Campionati consecutivi, nel 1956 e nel 1957.
Dovranno passare trentun anni per ritrovare il Borussia in Coppa dei Campioni. Siamo negli anni Novanta quando il club arriva a rappresentare la miglior espressione del calcio tedesco, soppiantando l'egemonia del Bayern. L'uomo che fa rinascere la squadra, insieme con il presidente, l'avvocato Gerd Niebaum, è Ottmar Hitzfeld, nato il 12 gennaio 1948. Hitzfeld arriva a Dortmund il 1° luglio 1991 e vi resta come allenatore fino al 30 giugno 1997, per poi concedersi un anno da alto dirigente (con Nevio Scala allenatore) e passare quindi, nel 1998, al Bayern, dove confermerà le sue qualità di uomo vincente. I suoi inizi nel Borussia non sono facili, lo spogliatoio è diviso e sede di continui litigi, le vittorie vengono soltanto sfiorate: secondo posto in Bundesliga nel 1992, finale in Coppa UEFA contro la Juventus 12 mesi dopo (con doppia sconfitta all'andata e al ritorno), quarto posto in Bundesliga nel 1994 ed eliminazione nei quarti di finale di Coppa UEFA contro l'Inter. Tuttavia Hitzfeld non si deprime, ridisegna ogni volta la squadra, mettendo insieme soprattutto quei campioni che l'Italia sembra avere scartato: Reuter, laterale destro di sostanza, il difensore brasiliano Julio César, lo stopper Kohler e Möller, giunti dalla Juventus (così come farà nel 1996 il centrocampista Paulo Sousa), e Riedle, 'l'ariete d'attacco', scartato dalla Lazio. Gli uomini ai quali Hitzfeld si affida sono Michael Zorc, classe 1962, centrocampista con il senso del gol, una vita in giallonero, 'il signor Borussia', e Matthias Sammer, che abbandona l'Inter, per la grande nostalgia di casa, solo sei mesi dopo essersi presentato a Milano. Hitzfeld lo fa giocare in un ruolo diverso, non più centrocampista ma libero, e Sammer vince due volte il titolo di miglior giocatore della Bundesliga (riconoscimento che nessun giocatore dell'ex Germania Est aveva mai conquistato), il titolo europeo con la Germania, nonché il Pallone d'oro nel 1996. Poiché il Borussia più che una passione è quasi una religione, i tifosi seguono passo dopo passo la crescita della squadra: il Westfalenstadion torna a essere gremito da una folla in grado di intimidire chiunque e Hitzfeld vede premiato il suo lavoro con due accoppiate consecutive: Bundesliga e Supercoppa di Germania nel 1995 e nel 1996. Se il primo assalto alla Champions League è negativo, il secondo è vincente. Il Borussia arriva in finale, a Monaco di Baviera, contro la Juventus e vince 3-1. È il 28 maggio 1997. Hitzfeld si rende conto che è il momento di farsi da parte, preferisce fare il supermanager e lascia il posto a Nevio Scala. A Dortmund sono convinti che il tecnico italiano possa avere lo stesso successo ottenuto da Trapattoni al Bayern (primo in Campionato nel 1997). Scala parte bene e a dicembre torna da Tokyo con la Coppa Intercontinentale. Poi il Borussia si perde, pur riuscendo a eliminare nei quarti di Champions League proprio il Bayern. A fine stagione, sia Hitzfeld sia Scala lasciano la squadra.
Si prospettano tempi difficili, e il Borussia paga una crisi generazionale inevitabile, finendo nella zona mediobassa della classifica. Sarà Matthias Sammer a dare impulso alla sua rinascita, prendendo in mano la squadra come allenatore all'inizio della stagione 2000-01 e riportandola a traguardi importanti in patria e in Europa. Il successo è tale che i dirigenti moltiplicano l'entità degli investimenti.
Anno di fondazione: 1909
Presidente: Gerd Niebaum
Colori sociali: giallo-nero
Stadio: Westfalenstadion (68.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 6 Campionati (1956, 1957, 1963, 1995, 1996, 2002), 2 Coppe di Germania (1965, 1989), 3 Supercoppe Tedesche (1989, 1995, 1996), 1 Coppa di Lega (1997)
Vittorie internazionali: 1 Champions League (1997), 1 Coppa Intercontinentale (1997), 1 Coppa delle Coppe (1966)
Giocatori più rappresentativi: Tilkowski, Konietzka, Brungs, Reuter, Julio Cesar, Möller, Paulo Sousa, Riedle, Zorc, Sammer
Giocatore con il maggior numero di presenze: Zorc (463)
Giocatore con il maggior numero di gol: Burgsmuller (135)
Allenatori più rappresentativi: Hitzfeld, Scala, Sammer
Borussia Mönchengladbach
La squadra della piccola città tedesca al confine olandese è tornata nella massima serie alla fine della stagione 2000-01, con la speranza di raggiungere nuovamente i livelli degli anni Settanta, quando aveva conosciuto un decennio di assoluto splendore. Allora vinse moltissimo, in Germania e in Europa, anche se, a giudizio dei critici, raccolse meno di quello che il suo calcio spumeggiante avrebbe meritato. Quella squadra straordinaria ebbe due maestri ‒ Hennes Weisweiler e Udo Lattek ‒ e numerosi fuoriclasse, capeggiati da Günther Netzer: Vogts, Simonsen (Pallone d'oro 1977), Bonhof, Stielike, Wimmer e Heynckes. Tra il 1970 e il 1980 la società riuscì a vincere ben cinque Campionati, due Coppe UEFA, una Coppa di Germania, una Supercoppa Tedesca e disputò altre tre finali europee (una di Coppa dei Campioni, due di Coppa UEFA). È rimasta famosa nella storia del calcio europeo la partita di Coppa dei Campioni 1971-72 giocata in casa dal Borussia contro l'Inter, durante la quale una lattina colpì il centravanti avversario Boninsegna; la gara finì con un incredibile 7-1, ma ne fu decisa la ripetizione e alla fine passò l'Inter.
Al di fuori del 'decennio d'oro' il Borussia Mönchengladbach ha avuto solo piccole soddisfazioni: due Coppe di Germania, nel 1960 e nel 1995.
Denominazione e sede: Fussball Club Borussia Mönchengladbach, Mönchengladbach
Anno di fondazione: 1900
Presidente: Adalbert Jordan
Direttore generale: Siegfried Sollner
Colori sociali: verde-bianco-nero
Stadio: Bokelberg (34.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 5 Campionati (1970, 1971, 1975, 1976, 1977), 3 Coppe di Germania (1960, 1973, 1995), 1 Supercoppa Tedesca (1977)
Vittorie internazionali: 2 Coppe UEFA (1975, 1979)
Giocatori più rappresentativi: Netzer, Vogts, Bonhof, Stielike, Wimmer, Heynckes, Simonsen
Giocatori con il maggior numero di presenze: Kamps (456), Vogts (419), Wimmer (366)
Giocatori con il maggior numero di gol: Heynckes (195), Laumen (97), Netzer (82)
Allenatori più rappresentativi: Weisweiler, Lattek
Botafogo
Il club viene fondato il 12 agosto 1904 da un gruppo di giovani studenti del Colégio Alfredo Gomes di Rio de Janeiro. Pensano di chiamarlo Eletre Clube, ma poi si lasciano convincere da una donna di nome Francisca Texeira de Oliveira a usare il nome del barrio dove vivono, e il club viene quindi battezzato Botafogo Futebol Clube. Nel 1942, dalla fusione del Botafogo Futebol Clube e del Club de Regatas Botafogo, nasce il Botafogo de Futebol e Regatas, che è l'attuale denominazione ufficiale della società.
Nel 1907 la squadra vince il suo primo Campionato carioca, successo replicato tre anni dopo quando autore di 22 reti è l'interno destro Abelardo de Lamare, la prima stella del club. Negli anni Trenta, all'epoca del passaggio del calcio brasiliano verso il professionismo, il Botafogo si aggiudica l'ultimo Campionato carioca dilettantistico e apre l'era del nuovo calcio vincendo tre Campionati consecutivi. Il centravanti Carvalho Leite è l'idolo dei tifosi di quel periodo.
Nel 1957, con la vittoria sul Fluminense (6-2) nella finale del Campionato carioca, inizia il periodo più bello della storia del Botagofo, che durerà fino al 1968. Sono gli anni di Garrincha, geniale ala destra, di Didí, classico regista, di Amarildo, veloce interno sinistro, di Nilton Santos, raffinato terzino sinistro. La bacheca del club si arricchisce di cinque Campionati carioca, tre Tornei Rio-São Paulo e una Taça Brasil. Protagonisti dei due Campionati carioca del 1967 e del 1968 sono il centrocampista Gerson e l'attaccante Jairzinho, qualche anno più tardi campioni del mondo.
Inizia quindi un lungo periodo oscuro che si interrompe con la conquista dei titoli carioca del 1989 e del 1990. Gli anni Novanta sono caratterizzati da vittorie alternate a sconfitte. Nel 1993 il Botafogo vince la Coppa Conmebol, battendo gli uruguayani del Peñarol, e nel 1995 il primo titolo di campione brasiliano, superando in finale il Santos con i gol di Tulio 'Maravilha' e della 'pantera nera' Donizete. Da allora la squadra è in crisi. I tempi di Garrincha e Didí, di Gerson e Nilton Santos, di Quarentinha, di Amarildo, di Carlos Alberto, di Jairzinho, di Manga, di Heleno de Freitas e Leonidas appaiono ormai molto lontani.
Denominazione e sede: Botafogo de Futebol e Regatas, Rio de Janeiro
Anno di fondazione: 1904
Presidente: Mauro Ney Palmeiro
Direttore generale: Antonio Rodrigues
Stadio: Caio Martins (12.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 1 Campionato brasiliano (1995), 1 Taça Brasil (1968), 4 Tornei Rio-São Paulo (1962, 1964, 1966, 1998), 17 Campionati carioca (1907, 1910, 1912, 1930, 1932, 1933, 1934, 1935, 1948, 1957, 1961, 1962, 1967, 1968, 1989, 1990, 1997)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Conmebol (1993)
Giocatori più rappresentativi: Leite, de Freitas, Santos, Garrincha, Quarentinha, Didì, Zagallo, Manga, Jairzinho, Gerson, Mendonça
Giocatore con il maggior numero di presenze: Santos (719)
Giocatore con il maggior numero di gol: Quarentinha (308)
Allenatori più rappresentativi: Rodrigues, Zezé, Moreira, Saldanha, Zagallo, Espinosa, Autori
Cagliari
La lunga storia del Cagliari comincia nell'agosto 1920 per iniziativa di un professore del locale ateneo, Giuseppe Fichera. L'atto di fondazione coincide con la prima partita di calcio sull'isola, tra una squadra di universitari cagliaritani e i marinai di una nave inglese in sosta nel porto; teatro della sfida la Piazza d'Armi antistante la facoltà di ingegneria.
Il Cagliari Football Club diventa, nel 1934, l'Unione Sportiva Cagliari, sciolta durante il periodo bellico e ricostituita subito dopo la liberazione, quando viene ammessa in serie B. Nel 1954 la prima illusione della serie A, svanita dopo uno spareggio romano contro la Pro Patria (0-2); dieci anni più tardi, la prima promozione. Siamo nel 1964 e il Cagliari ha ormai un'altra dimensione, grazie alla lungimiranza del presidente Enrico Rocca, alla bravura del vicepresidente e general manager Andrea Arrica, ai contributi della Regione e a quelli, più consistenti, delle società petrolifere che hanno nel frattempo effettuato massicci investimenti in Sardegna.
Raggiunta la serie A con la guida tecnica di Arturo Silvestri, il Cagliari comincia la scalata allo storico scudetto del 1970. I principali motivi del successo sono la disinvoltura di Arrica sul mercato, la crescita di un campione come Gigi Riva (che è acquistato da Arrica nel 1963 dal Legnano e non vorrà più lasciare la Sardegna, nonostante le offerte di club prestigiosi come Inter e Juventus) e la nomina, nel 1966, di Manlio Scopigno come allenatore, abile sia nel motivare i suoi calciatori sia nello sdrammatizzare le situazioni difficili. Gli uomini guida della squadra (Riva, Albertosi, Domenghini, Cera) sono gli stessi che costituiranno l'ossatura della grande nazionale azzurra dei Mondiali del Messico nel 1970.
Da allora il Cagliari oscilla tra una 'sofferta' serie A e una buona serie B, toccando il punto più basso della sua storia nella parentesi in serie C (dal 1987 al 1989) e quello più alto nella semifinale di Coppa UEFA del 1994, persa contro l'Inter dopo aver eliminato la Juventus nei quarti di finale. Dal 1992 presidente della squadra è Massimo Cellino.
Denominazione e sede: Cagliari Calcio, Cagliari
Anno di fondazione: 1920
Presidente: Massimo Cellino
Amministratore delegato: Silvino Marras
Colori sociali: rosso-blu
Stadio: Comunale Sant'Elia (43.000 spettatori)
Vittoria nazionale: 1 Campionato (1970)
Giocatori più rappresentativi: Riva, Albertosi, Domenghini, Cera, Nené, Virdis
Giocatori con il maggior numero di presenze: Brugnera (328), Riva (315), Nené (312)
Giocatori con il maggior numero di gol: Riva (164), Muzzi (58), Gori (33)
Allenatori più rappresentativi: Scopigno, Mazzone, Ranieri
Celtic
Il Celtic è la squadra cattolica di Glasgow, in contrapposizione ai Rangers, che rappresentano la componente protestante della città. Nasce ai primi del 1888, per iniziativa di alcune parrocchie: la squadra di calcio è uno strumento per contribuire a finanziare i Dinner Tables, le mense per orfani e diseredati; fra i fondatori figura un sacerdote marista, Padre Walfrid. Fin dalle origini la rivalità con i Rangers è accesissima. I derby sono spesso marcati da episodi di grande violenza, culminati nella tragedia del 2 gennaio 1971, nella quale all'Ibrox Park trovano la morte 66 tifosi e altri 146 rimangono feriti.
La prima vittoria del Celtic in Campionato arriva nella stagione 1892-93. Il Celtic conquista poi sei titoli di fila fra il 1905 e il 1910, e altri quattro fra il 1914 e il 1917. Nel 1937, il vittorioso epilogo della finale di Coppa con l'Aberdeen è salutato, a Hampden Park, da 146.433 spettatori, record assoluto per l'Europa.
Il periodo più fulgido è legato a Jock Stein: con la sua guida, i biancoverdi si aggiudicano ben dieci Campionati, nove dei quali consecutivi, dal 1966 al 1974, otto Coppe di Scozia e sei di Lega. Ma il trofeo più prestigioso è la Coppa dei Campioni, vinta contro l'Inter nella finale di Lisbona, il 25 maggio 1967, per 2-1: il Celtic è la prima squadra britannica a conquistarla.
Trionfale è stato anche il biennio 2000-02: con Martin O'Neill allenatore, il Celtic ha vinto tutto, due Campionati, Coppa di Scozia, Coppa di Lega. Nel 2001 l'attaccante svedese Henrik Larsson, con 35 gol, ha ottenuto il titolo di Scarpa d'oro, riservato al cannoniere europeo che ha segnato il maggior numero di gol.
Nel Celtic ha giocato anche Paolo Di Canio: durante la stagione 1996-97, ha disputato 26 partite, segnando 12 gol.
Denominazione e sede: Celtic Football Club, Glasgow
Anno di fondazione: 1888
Presidente: Brian Quinn
Direttore generale: Allan Mac Donald
Colori sociali: bianco-verde
Stadio: Celtic Park (60.500)
Vittorie nazionali: 38 Campionati (1893, 1894, 1896, 1898, 1905, 1906, 1907, 1908, 1909, 1910, 1914, 1915, 1916, 1917, 1919, 1922, 1926, 1936, 1938, 1954, 1966, 1967, 1968, 1969, 1970, 1971, 1972, 1973, 1974, 1977, 1979, 1981, 1982, 1986, 1988, 1998, 2001, 2002), 31 Coppe di Scozia (1892, 1899, 1900, 1904, 1907, 1908, 1911, 1912, 1914, 1923, 1925, 1927, 1931, 1933, 1937, 1951, 1954, 1965, 1967, 1969, 1971, 1972, 1974, 1975, 1977, 1980, 1985, 1988, 1989, 1995, 2001), 12 Coppe di Lega (1957, 1958, 1966, 1967, 1968, 1969, 1970, 1975, 1983, 1998, 2000, 2001)
Vittorie internazionali: 1 Coppa dei Campioni (1967)
Giocatori più rappresentativi: McNeill, McGrory, Craig, Lennox, Crerand, Johnstone, Dalglish, Mo Johnston, Nicholas, Larsson
Giocatore con il maggior numero di presenze: McNeill (486)
Giocatore con il maggior numero di gol: McGrory (397)
Allenatori più rappresentativi: Maley, Stein, McNeill, Brady, Jansen, O'Neill
Chelsea
Espressione di uno dei quartieri più trendy di Londra, il Chelsea fu fondato nel 1905. Fu un 'parto' laborioso: il proprietario del campo di Stamford Bridge, H.A. Mears, propose di darlo in affitto al Fulham e quando questo club rifiutò, Mears pensò di fondarsene uno suo. Nella sua storia quasi secolare, il Chelsea ha vinto soltanto un Campionato, nel 1955. Fra i giocatori più rappresentativi del passato spicca Jimmy Greaves, tuttora detentore del maggior numero di gol realizzati in una singola stagione: 41, nel 1960-61. Greaves si sarebbe poi reso protagonista di una fugace apparizione nel Milan. Il primo trofeo internazionale risale al 1971: nella finale della Coppa delle Coppe disputata ad Atene, il Chelsea di Dave Sexton sconfisse per 2-1 il Real Madrid. Era, quello, lo squadrone di Osgood e Hudson, Bonetti e Harris.
Vissuto sempre all'ombra dell'Arsenal, il club più famoso della capitale, il Chelsea è tornato sulla cresta dell'onda con l'avvento alla presidenza di Kenneth Bates, spregiudicato uomo d'affari che ha costruito il suo impero nel ramo degli immobili. Con lui gli anni Novanta hanno fruttato, tra l'altro, due Coppe d'Inghilterra e la seconda Coppa delle Coppe. Nel Chelsea hanno giocato e allenato Ruud Gullit e Gianluca Vialli, che si sono alternati con una 'staffetta' traumatica: Vialli è subentrato a Gullit sulla spinta di una 'congiura' dello spogliatoio. Gianfranco Zola, prelevato nel novembre del 1996 dal Parma, è stato uno dei protagonisti dei successi della squadra: sua la rete che, nella finale di Stoccolma con lo Stoccarda, sancì il successo nella Coppa delle Coppe del 1998. La società ha sempre attinto molto dal calcio italiano: oltre a Zola e Vialli, Di Matteo, Panucci, Ambrosetti, Carlo Cudicini (anch'egli portiere, come il padre Fabio), Dalla Bona, Percassi, ai quali si è aggiunto l'ultimo allenatore, Claudio Ranieri.
Il Chelsea è quotato in Borsa dall'aprile 1996. Lo stadio Stamford Bridge è stato trasformato in una sorta di centro residenziale che comprende il museo del club, un megastore, due hotel a quattro stelle, un night club, un parcheggio sotterraneo, appartamenti, uffici. Nonostante ciò, gli affari vanno male, e la dirigenza deve far fronte a ingenti debiti.
Anno di fondazione: 1905
Presidente: Kenneth Bates
Direttore generale: Colin Hutchinson
Colori sociali: blu-bianco
Stadio: Stamford Bridge (42.500)
Vittorie nazionali: 1 Campionato (1955), 3 Coppe d'Inghilterra (1970, 1997, 2000), 2 Coppe di Lega (1965, 1998)
Vittorie internazionali: 2 Coppe delle Coppe (1971, 1998), 1 Supercoppa Europea (1998)
Giocatori più rappresentativi: Tambling, Harris, Greaves, Osgood, Gullit, Vialli, Zola, Wise, Desailly, Hasselbaink
Giocatore con il maggior numero di presenze: Ron Harris (655)
Giocatore con il maggior numero di gol: Bobby Tambling (164)
Allenatori più rappresentativi: Drake, Docherty, Hoddle, Gullit, Vialli, Ranieri
Colo Colo
È la squadra più amata del Cile. Deve il suo nome al colocolo, o araucano indiano, un marsupiale grosso come un gatto selvatico, dotato di un mantello a macchie rossastre e brune, che vive nelle Ande del Cile e dell'Argentina settentrionale ed è famoso per l'intelligenza e l'audacia.
La società ha vissuto una storia particolare, con continui alti e bassi, fasi eccezionali e rischi di fallimento. Il suo momento migliore è stato tra gli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, quando si è insediato come presidente Peter Dragicevic, un giovane imprenditore di origini slave.
Nel 1991 arriva la Coppa Libertadores (solo sfiorata nel 1973), per merito di un tecnico iugoslavo, Mirko Jozic, che si era già fatto conoscere e apprezzare in Cile quando, nel 1987, aveva vinto i Mondiali juniores con la sua nazionale. Appartengono a quel periodo due dei giocatori più rappresentativi, il difensore Lizardo Garrido e l'attaccante Ruben Martinez. Altri calciatori di livello internazionale sono stati, nei diversi periodi, Carlos Caszely (tre volte capocannoniere), Elías Figueroa e Henrique Sorrel. Da non dimenticare anche il tecnico Arturo Salah.
Sergio Rizzo
Anno di fondazione: 1925
Presidente: Peter Dragicevic Cariola
Direttore generale: Fernando Morena
Colori sociali: bianco-nero
Stadio: Monumental David Arellano (62.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 5 campionati dilettanti (1925, 1928, 1929, 1931, 1932), 22 campionati (1937, 1939, 1941, 1944, 1947, 1953, 1956, 1960, 1963, 1970, 1972, 1979, 1981, 1983, 1986, 1989, 1990, 1991, 1993, 1996, 1997, 1998), 9 Coppe del Cile (1958, 1974, 1981, 1983, 1986, 1989, 1990, 1994, 1996)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Libertadores (1991), 1 Recopa Sudamericana (1992), 1 Coppa Interamericana (1992)
Giocatori più rappresentativi: Garrido, Martinez, Caszely, Figueroa, Sorrel
Allenatori più rappresentativi: Jozic, Salah
Colonia
Nasce nel 1948, dalla fusione fra Kölner BC 01 e Sulz 07, e già nel 1954 raggiunge la finale della Coppa di Germania, superato dallo Stoccarda per 1-0. Nella Germania campione del mondo in Svizzera (1954), uno dei giocatori più rappresentativi è l'ala sinistra del Colonia, Hans Schafer. Nel 1960, il Colonia arriva alla finale del Campionato tedesco, ma viene battuto dall'Amburgo per 3-2. Una data storica per la squadra è il 12 maggio 1962, quando a Stoccarda vince il suo primo Campionato, superando il Norimberga 4-0. Nella stagione successiva dovrà cedere il titolo al Borussia Dortmund, che in finale si imporrà per 3-1. Il gol dei renani è realizzato da Karl Heinz Schnellinger, grande terzino sinistro, in partenza verso l'Italia.
Nel 1963-64 il Colonia vince il primo Campionato tedesco a girone unico. Guidati da Georg Knopfel, i protagonisti del successo sono in particolare i due portieri Fritz Evert e Toni Schumacher, che si alternano a difesa della rete, Herbert Weber, gli interni Hans Schafer, capitano, e Wolfgang Overath, giovane talento con straordinarie qualità tecniche e dinamiche, che nel 1974 vincerà anche il Mondiale con la nazionale. Il 1968 è l'anno del primo successo nella Coppa di Germania, poi ripetuto nel 1977, stagione in cui si chiude la carriera di Overath, il più grande giocatore della storia del club. Un anno dopo, i renani realizzano l'accoppiata Campionato-Coppa: l'allenatore è Hennes Weisweiler, il regista Heinz Flohe, il cannoniere Dieter Müller, e in quella stessa stagione si segnala il giovane portiere Harald Schumacher. In squadra è presente anche un giapponese, Yasuniko Okudera, ala sinistra dal gioco rapido e lineare.
Agli inizi degli anni Ottanta, si distinguono particolarmente Bernard Schuster e Pierre Littbarski, che nel 1983 segna il gol della quarta Coppa di Germania. Nel 1986, il Colonia vive la sua più bella avventura europea, raggiungendo la finale UEFA, dove viene battuto dal Real Madrid. Alla fine degli anni Ottanta, i renani conquistano per due volte il secondo posto in Campionato, e non manca il contributo dei giocatori del Colonia nella vittoria dei Mondiali del 1990: con Littbarski e Hässler, tornante di destra, la squadra è rappresentata anche dal portiere Illgner. Per tutti gli anni Novanta, il Colonia non vince né Campionati né Coppe.
Fabio Monti
Denominazione e sede: 1. Fussball-Club Köln, Colonia
Anno di fondazione: 1948
Direttore generale: Hannes Linssen
Colori sociali: rosso-bianco
Stadio: Müngersdorfer Stadion (50.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campionati (1962, 1964, 1978), 4 Coppe di Germania (1968, 1977, 1978, 1983)
Giocatori più rappresentativi: Schafer, Schnellinger, Evert, Toni Schumacher, Overath, Flohe, Dieter Müller, Harald Schumacher, Schuster, Littbarski, Hässler, Illgner
Giocatori con il maggior numero di presenze: Harald Schumacher (422), Overath (409), Littbarski (406)
Giocatori con il maggior numero di gol: Loehr (166), Müller (159), Littbarski (116)
Allenatori più rappresentativi: Knopfel, Weisweiler
Corinthians
Il Corinthians Sport Clube Paulista fu fondato il 1° settembre 1910 per strada, sotto i lampioni a gas di Rua José Paulino del Barrio do Bon Retiro, da cinque operai della São Paulo Railway che nei giorni precedenti avevano assistito alle gare del Corinthians Team, un club amatoriale di Londra, ed erano rimasti così colpiti dalla passione che i ragazzi londinesi mettevano nel gioco del football da pensare di fondare una loro squadra. "Deve essere un club del popolo", promette il primo presidente Miguel Battaglia, e di fatto ancora oggi il Corinthians rappresenta, anche per la sua origine proletaria, l'anima popolare di San Paolo. Una camicia grigia scolorita è la prima divisa.
Nel 1913 il Corinthians partecipa per la prima volta alla Lega paulista, giungendo ultimo al termine del Campionato. L'anno successivo si riscatta vincendo il primo titolo della sua storia. Mentre il calcio brasiliano vola verso il professionismo, gli anni Venti e Trenta vedono il Corinthians protagonista con otto Campionati paulisti vinti. La storia di successi continua fino al 1954, anno in cui arriva un altro titolo paulista. A difendere la rete della squadra sapientemente allenata da José Castelli, detto 'Rato', c'è il giovane Gilmar do Santos Neves, acquistato nel 1951 dal Jabaquara. Gilmar diventerà in seguito il miglior portiere della storia del calcio brasiliano.
Poi, per un ventennio, il Corinthians non vince più nulla. Riprende a dominare la scena paulista nel 1977, quando comincia il periodo di maggior splendore, nel quale brilla la stella di Sócrates, artefice numero uno della conquista di altri tre titoli paulisti (1979, 1982, 1983). Sono quelli gli anni della democracia corintiana, un tentativo di applicare al calcio le idee socialiste condotto su iniziativa di Sócrates, spalleggiato dai compagni di squadra Zenon, Casagrande e Biro-Biro. Il periodo d'oro continua negli anni Novanta, con la conquista di tre titoli nazionali, una Coppa del Brasile e tre titoli paulisti.
Il secolo appena iniziato regala altri successi: un Mondiale per club organizzato dalla FIFA e un Campionato paulista. Artefice degli ultimi trofei è l'allenatore Wanderley Luxemburgo. I migliori calciatori della squadra sono il centrocampista Ricardinho e il giovane attaccante Gil.
Darwin Pastorin
Denominazione e sede: Sport Clube Corinthians Paulista, San Paolo
Anno di fondazione: 1910
Presidente: Alberto Dualib
Direttore generale: Antonio Roque Cittadini
Colori sociali: bianco-nero
Stadio: Parque São Jorge (30.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campionati brasiliani (1990, 1998, 1999), 1 Coppa del Brasile (1995), 5 Tornei Rio-São Paulo (1950, 1953, 1954, 1966, 2002), 24 Campionati paulisti (1914, 1916, 1922, 1923, 1924, 1928, 1929, 1930, 1937, 1938, 1939, 1941, 1951, 1952, 1954, 1977, 1979, 1982, 1983, 1988, 1995, 1997, 1999, 2001)
Vittorie internazionali: 1 Mondiale di Club della FIFA (2000)
Giocatori più rappresentativi: Baltazar, Luizinho, Neco, Teleco, Domingos, Guia, Dino Sani, De Maria, Zé Maria, Roberto Rivelino, Gilmar
Giocatore con il maggior numero di presenze: Wladimir (800)
Giocatore con il maggior numero di gol: Claudio (295)
Allenatori più rappresentativi: Brandão, Nelsinho, Jair Pereira, de Oliveira, Travaglini, Luxemburgo
Cosmos
I Cosmos nascono nel 1971 per iniziativa di Neshui Ertegun, vicepresidente esecutivo di Atlantic Records, una società controllata dalla Warner Communications. Ertegum acquista dalla North American Soccer League i diritti sportivi per la città di New York ‒ priva di una squadra rappresentativa dopo la scomparsa dei Generals ‒, diventa presidente del neonato club e allestisce una squadra decorosa, che al debutto nella Eastern Division chiude al secondo posto dietro il Rochester. Nella stagione successiva arriva il primo titolo, in finale contro il Saint Louis, ma l'affluenza di pubblico all'Hostra Stadium di Long Island è scarsa, con una media di 4000 spettatori, e l'impresa passa inosservata. Nel biennio successivo i Cosmos non riescono a ripetersi, né il passaggio al Dowing Stadium di Randall's Island risveglia l'interesse del pubblico. La crisi tecnica è altrettanto preoccupante. Ma i dirigenti della Warner Communications decidono di sostenere la squadra con nuovi investimenti. L'idea è quella di ingaggiare una grande stella del passato e la scelta cade su Pelé. La trattativa è complicata, coinvolge addirittura il Dipartimento di Stato americano e il governo brasiliano, ma alla fine i Cosmos riescono a convincere il giocatore, che il 10 giugno 1975 torna in attività firmando un contratto triennale da 4,7 milioni di dollari. Nell'arco di un paio di anni, lo raggiungono a New York glorie del calibro di Franz Beckenbauer, Carlos Alberto e Giorgio Chinaglia. Nel 1977 Pelé si accomiata dal Cosmos, quando la squadra, con due titoli, è all'apice del successo popolare. L'anno successivo Chinaglia batte ogni record, con 34 gol in 30 partite, e i Cosmos diventano campioni per la terza volta (3-1 a Tamba Bay nella finale dei play-off). Johan Cruijff si aggrega per un paio di amichevoli, ma alla fine preferisce i Los Angeles del vecchio mentore, Rinus Michels. A New York, in compenso, finisce Hennes Weismiller, che ha già allenato il Barcellona e nel 1980 guida i Cosmos a un nuovo trionfo nella Lega. Beckenbauer torna in Germania ma la squadra non ne risente: quinto titolo nel 1982, battuti in finale i Seattle Sounders grazie a una rete di Chinaglia, la cui avventura americana finisce due anni dopo, nella stessa stagione in cui i Cosmos decidono di iscriversi ai tornei indoor.
La crisi è dietro l'angolo: gli spettatori calano sensibilmente (12.000 circa a gara) e il tentativo di coinvolgere nuovamente Pelé fallisce. È Chinaglia a correre al capezzale della sua ex squadra, acquisendone nel 1984 la proprietà dalla Warner e annunciando l'iscrizione al Major Indoor Soccer League. Ma il collasso è rapido quanto inevitabile: nemmeno la cessione dei giocatori migliori dà sollievo a un bilancio in passivo e i Cosmos chiudono i battenti a fine stagione.
Enzo D'Orsi
Denominazione e sede: New York Cosmos, New York
Vittorie nazionali: 5 Campionati NASL (1972, 1977, 1978, 1980, 1982)
Giocatori più rappresentativi: Pelé, Beckenbauer, Carlos Alberto, Chinaglia
Cruzeiro
Il Cruzeiro venne fondato, per iniziativa degli italiani dello Stato di Minas, in una fabbrica di scarpe in Rua dos Caetés, dove calciatori e membri della società italiana Dante Alighieri si riunirono per concretizzare il progetto. Il 21 gennaio 1921 fu approvato lo statuto, che stabiliva che i soci e i calciatori del club dovessero essere rigorosamente italiani o avere ascendenti italiani. Per il nuovo club fu scelto il nome di Società Sportiva Palestra Italia. I colori sociali erano il bianco, rosso e verde della bandiera italiana e l'inno una tarantella napoletana, appositamente composta da Arrigo Bozzacchi e Achille Miraglia.
Dopo le prime gioie amatoriali, nel 1922 il Palestra riuscì a garantirsi il diritto di partecipare alla divisione principale. L'anno successivo, in occasione di un'amichevole contro il Flamengo, inaugurò il suo primo stadio: l'Estádio do Barro Preto, con capienza di 20.000 spettatori. Il Palestra Italia, per la sua origine non brasiliana, era fortemente osteggiato dai sostenitori delle altre squadre che prendevano parte al Campionato mineiro. La situazione psicologica era difficile e il 1° dicembre 1925 il Consiglio direttivo del Palestra decise che qualunque cittadino potesse entrare a far parte del club, sia come dirigente sia come giocatore. Nel 1928 arrivò il primo titolo di campione mineiro.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, entrato il Brasile in guerra contro l'Asse, il club dovette mutare nome, analogamente a quanto fece il Palestra Italia di San Paolo, divenuto Palmeiras. Il club di Belo Horizonte assunse per pochi giorni la denominazione di Palestra Mineiro e diventò poi Ypiranga; fu scelta anche una nuova maglia, rossa con una Y bianca all'altezza del petto. Ma anche il nome Ypiranga durò pochissimo, il tempo di una partita contro l'Atlético, terminata con una sconfitta. La denominazione diventò, questa volta in maniera definitiva, Cruzeiro Esporte Clube e i colori sociali mutarono in quelli attuali: maglia azzurra e pantaloncini bianchi.
Negli anni Sessanta e Settanta, il Cruzeiro vive il suo momento migliore: sono gli anni di Tostão, il calciatore più rappresentativo della storia del club, del centrocampista Dirceu Lopes, un mulatto dalle notevoli qualità tecniche, di Piazza, elegante difensore centrale. Sono anche gli anni in cui il Cruzeiro raggiunge il maggior splendore internazionale. Nel 1966 conquista la Taça Brasil, superando in finale il Santos di Pelé. Dieci anni più tardi vince la Coppa Libertadores. Pochi mesi dopo vive la grande delusione di perdere sul proprio campo la Coppa Intercontinentale, superato dal Bayern Monaco.
Negli anni Novanta si registrano altri successi: sei titoli di campione mineiro, una Coppa Centro-Oeste, una Recopa, due Supercoppe, due Coppe del Brasile e una Libertadores. Nel 1993 gioca nel Cruzeiro, rivelando il suo grande talento, Ronaldo. I calciatori più dotati del Cruzeiro di oggi sono il terzino fluidificante argentino Sorín, il difensore centrale Crís e il centravanti Oséas.
Darwin Pastorin
Denominazione e sede: Cruzeiro Esporte Clube, Belo Horizonte
Anno di fondazione: 1921
Presidente: José Perrella de Oliveira Costa
Direttore generale: Ricardo Drubsky
Stadio: Governador Magalhães Pinto 'Mineirão' (100.000 spettatori)
Colori sociali: azzurro-bianco
Vittorie nazionali: 3 Coppe del Brasile (1993, 1996, 2000), 1 Taça Brasil (1966), 1 Coppa Sul-Minas (2001),
1 Coppa Centro-Oeste (1999), 30 Campionati mineiri (1926, 1928, 1929, 1930, 1940, 1943, 1944, 1945, 1956, 1959, 1960, 1961, 1965, 1966, 1967, 1968, 1969, 1972, 1973, 1974, 1975, 1977, 1984, 1987, 1990, 1992, 1994, 1996, 1997, 1998)
Vittorie internazionali: 2 Coppe Libertadores (1976, 1997), 2 Supercoppe Sudamericane (1991, 1992),
1 Recopa Sudamericana (1998)
Giocatori più rappresentativi: Dirceu, Lopes, Piazza, Raúl, Neliño, Joãzinho, Perfumo, Niginho, Tostão, Procopio, Jairizinho, Pahliña, Ronaldo
Giocatore con il maggior numero di presenze: Carlos (619)
Giocatore con il maggior numero di gol: Tostão (248)
Allenatori più rappresentativi: Chaves, Moreira, Scolari, Culpi, Fantoni, Niginho
Dinamo Kiev
La Dinamo Kiev ha rappresentato negli ultimi quarant'anni di storia del calcio la massima espressione dell'Europa dell'Est. Nel 1975, con Oleg Blokhin, secondo Pallone d'oro sovietico dopo Lev Jascin, la Dinamo ha conquistato la sua prima Coppa delle Coppe e, sulla scia di questa vittoria, la Supercoppa d'Europa (battendo, rispettivamente, Ferencváros e Bayern Monaco). Undici anni dopo, guidata dal colonnello Lobanovski, si è aggiudicata nuovamente la Coppa delle Coppe, prevalendo in finale sull'Atlético Madrid.
Nella sua storia c'è una pagina sconvolgente, vissuta nel periodo dell'invasione tedesca a Kiev. Nel luglio 1942 alla Dinamo fu ordinato di giocare una partita contro una rappresentativa dell'esercito di Hitler. Vinsero nettamente gli ucraini, che replicarono nella rivincita. I tedeschi non accettarono le sconfitte e il 6 agosto 1942 ordinarono una terza gara, esigendo la vittoria. I giocatori della Dinamo erano stremati e affamati, ma l'orgoglio li rendeva invincibili. I tedeschi giocavano duro, l'arbitro faceva finta di non vedere, ma prima dell'intervallo gli ucraini andarono in vantaggio. Negli spogliatoi furono minacciati di morte, ma non si piegarono e la partita finì 5-1 per la Dinamo. I giocatori furono riuniti su un camion e trasportati in un campo di concentramento. Tre giorni dopo ebbero l'ultima possibilità di arrendersi davanti ai tedeschi, ma vinsero anche quella partita e furono fucilati. La vicenda offrirà lo spunto per il film Fuga per la vittoria con Pelé e Sylvester Stallone come protagonisti.
Denominazione e sede: Football Club Dynamo Kyiv, Kiev
La Dinamo ha vinto il primo Campionato sovietico nel 1961, con Rudokov, Szabo, Serebrianikov e Byshevets. Alla metà degli anni Settanta è spuntato l'astro di Blokhin che ha dominato la scena orientale per un decennio, fino a consegnare la Dinamo nelle mani del più grande stratega del calcio sovietico, il colonnello Valery Lobanovski. La sua rivoluzionaria filosofia si basa sull'universalità del giocatore ed è presa come esempio dal mondo occidentale. A Lobanovski, alla guida del club fino alla sua morte nel 2002, appartengono i più grandi successi della Dinamo, così come è opera sua la crescita di giocatori di talento come Demianenko, Mikhailichenko (che andrà alla Sampdoria), Zavarov (alla Juventus), Salenko, Rats, Belanov (Pallone d'oro nel 1986), fino al milanista Shevchenko, forse il più grande calciatore ucraino insieme a Blokhin.
Alberto Polverosi
Anno di fondazione: 1927
Presidente: Grigoriy Surkis
Direttore generale: Vitali Sivkov
Colori sociali: bianco-blu
Stadio: Olympiyskyi (82.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 13 Campionati sovietici (1961, 1966, 1967, 1968, 1971, 1974, 1975, 1977, 1980, 1981, 1985, 1986, 1990), 9 Campionati ucraini (1993, 1994, 1995, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2001), 9 Coppe dell'URSS (1954, 1964, 1966, 1974, 1978, 1982, 1985, 1987, 1990), 5 Coppe di Ucraina (1993, 1996, 1998, 1999, 2000)
Vittorie internazionali: 2 Coppe delle Coppe (1975, 1986), 1 Supercoppa Europea (1975)
Giocatori più rappresentativi: Szabo, Rudokov, Blokhin, Belanov, Demianenko, Salenko, Mikhailichenko, Zavarov, Shevchenko
Giocatore con il maggior numero di presenze: Blokhin (432)
Giocatore con il maggior numero di gol: Blokhin (211)
Allenatore più rappresentativo: Lobanovski
Dinamo Tblisi
La Dinamo Tblisi ha scritto pagine importanti nella storia del calcio, vincendo una competizione europea, la Coppa delle Coppe nel 1981, e per due volte il Campionato sovietico. Tanti autentici fuoriclasse hanno contribuito alla gloria della squadra, come Boris Paitchadze negli anni Trenta, Avtandil Ghoghoberidze negli anni Cinquanta, e poi Murtaz Khurtsilava, Alexander Chivadze, Ramaz Shengelia, David Kipiani. Khurtsilava e Chivadze sono stati capitani dell'URSS. Kipiani nel 1977, Shengelia nel 1978 e nel 1981 e Chivadze nel 1980 sono stati eletti calciatori sovietici dell'anno. Kipiani ha avuto un ruolo importantissimo anche come tecnico, finché un gravissimo infortunio nel 1981 lo costrinse al ritiro. Un anno dopo morì tragicamente l'ultimo campione, Gutsaev Daraselia, e tramontò così la più grande Dinamo Tblisi di tutti i tempi. Dopo la nascita del nuovo Campionato nazionale la Dinamo ha imposto una sorta di dittatura sul calcio georgiano, aggiudicandosi il titolo nazionale dal 1990 al 1999, per piegarsi poi alla Torpedo Kutaisi.
Sergio Rizzo
Denominazione e sede: FC Dinamo Tbilisi, Tblisi
Anno di fondazione: 1925
Presidente: Revaz Arveladze
Direttore generale: Givi Nodia
Colori sociali: blu-bianco
Stadio: Stadio nazionale Boris Paitchadze (74.000 spett.)
Vittorie nazionali: 2 Campionati sovietici (1964, 1978),
10 Campionati georgiani (1990, 1991, 1992, 1993, 1994, 1995, 1996, 1997, 1998, 1999), 2 Coppe dell'URSS (1976, 1979), 6 Coppe della Georgia (1992, 1993, 1994, 1995, 1996, 1997), 2 Supercoppe Georgiane (1996, 1997)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1981)
Giocatori più rappresentativi: Paitchadze, Ghoghoberidze, Khurtsilava, Chivadze, Shengelia, Kipiani, Metreveli
Giocatore con il maggior numero di presenze: Ghoghoberidze (341)
Giocatore con il maggior numero di gol: Ghoghoberidze (127)
Allenatori più rappresentativi: Jordania, Kachalin, Akhalkatsi, Kipiani
Dinamo Zagabria
La Dinamo Zagabria nasce il 9 giugno 1945 dalla fusione di Hask Zagabria e Gradjanski. Il 1° novembre 1990, proclamata l'indipendenza della Croazia, il club cambia nome diventando Hask-Gradjanski. Dal 1° marzo 1993 assume la denominazione di Croatia fino al 14 febbraio 1999, quando riprende il nome iniziale di Dinamo Zagabria.
Negli anni della Iugoslavia unificata il club croato, guardato con sospetto dal potere centrale di Belgrado, riesce a conseguire soltanto pochi successi: non va oltre la conquista di quattro vittorie in Campionato in quasi 50 anni di attività. Dopo la disgregazione della Iugoslavia, la squadra vince sei Campionati e quattro Coppe di Croazia, ma inizialmente deve subire l'ostilità dei suoi stessi tifosi, perché ritenuta una diretta emanazione delle idee ultranazionaliste del presidente Franjo Tudjman: un atteggiamento che con il tempo si andrà via via stemperando.
La superiorità schiacciante imposta in patria, dopo la proclamazione dell'indipendenza croata, dalla Dinamo Zagabria ‒ della quale Zvonimir Boban (109 presenze e 45 gol dal 1985 al 1991) resta il giocatore più rappresentativo e più amato ‒ è dovuta anche all'apporto di campioni come il portiere Drazen Ladic, ritiratosi nel 2000 all'età di 37 anni, e come il centrocampista Robert Prosinecki, già in forze nella Stella Rossa e nel Real Madrid, condizionato purtroppo da continui problemi fisici.
Conquistata la leadership nazionale, grazie anche ai gol di Sukerm Vlaovic e Igor Cvitanovic, la Dinamo non è riuscita invece a trovare stabile collocazione nell'élite del calcio europeo: modeste le apparizioni nelle Coppe, compresa l'eliminazione nel terzo turno preliminare della Champions League 2000-01, a opera del Milan. Come tanti altri club dell'ex Iugoslavia, la Dinamo continua peraltro a soffrire la costante diaspora dei propri giocatori migliori.
Fabio Monti
Denominazione e sede: Dinamo Zagabria, Zagabria
Presidente: Mirko Barisiae
Direttore generale: Velimir Zajec
Colori sociali: blu-bianco
Stadio: Maksimir (45.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 4 campionati iugoslavi (1948, 1954, 1958, 1982), 7 Campionati croati (1993, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2002), 8 Coppe di Iugoslavia (1951, 1960, 1963, 1965, 1969, 1973, 1980, 1983), 4 Coppe di Croazia (1994, 1996, 1997, 1998), 4 Supercoppe Croate (1993, 1996, 1997, 1998)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Fiere (1967)
Giocatori più rappresentativi: Boban, Ladic, Prosinecki, Vlaovic, Cvitanovic
Giocatore con il maggior numero di presenze: Ladic (762)
Giocatore con maggior numero di gol: Cvitanovic (114)
Eintracht Francoforte
Anche se la fondazione originaria risale al 1899, la squadra acquisisce il nome di Eintracht soltanto nel 1926. I suoi successi appartengono soprattutto al passato. Nel 1932 sfiora il titolo nazionale, perdendolo contro il Bayern Monaco. A livello regionale, conquista il titolo dell'Oberliga Sud nel 1930, 1932, 1953 e 1959. Nel 1959 arriva anche il primo trionfo in Campionato: nell'ultimo incontro l'avversario è il Kickers Offenbach, il risultato finale è 5-3 dopo i tempi supplementari. Gli uomini che consegnano alla squadra l'unico titolo nazionale della sua storia sono Feigenspan (3 gol) e Stani (2 gol). Il 1959-60 rappresenta uno degli anni più belli per l'Eintracht: raggiunge la finale di Coppa dei Campioni, ma il confronto con il Real Madrid, a Glasgow, è proibitivo; la partita finisce 7-3 per i madridisti (3 gol di Di Stefano, 4 di Puskas) e non sono sufficienti ai tedeschi né il vantaggio iniziale di Kresse né la doppietta di Stein.
A riportare l'Eintracht in alto provvedono due dei protagonisti del successo della Germania ai Mondiali del 1974: Jürgen Grabowski, classe 1944, e Bernd Hölzenbein, classe 1946, centrocampisti d'attacco che legano tutta la loro carriera ai destini del club e con la maglia rossonera vincono le Coppe di Germania del 1974 e del 1975. I due campioni rimangono in squadra fino al 1980, anno in cui l'Eintracht vince la Coppa UEFA con una formazione ricca di giocatori di qualità, come il difensore centrale austriaco Bruno Pezzey e l'ala coreana Cha Bum-kun. In quell'edizione tutte e cinque le squadre tedesche iscritte raggiungono i quarti di finale. Nella doppia finale, l'Eintracht supera il Borussia Mönchengladbach: perde 3-2 in trasferta, ma vince in casa quanto basta (1-0) per assicurarsi il trofeo. L'anno successivo, ancora con Hölzenbein, ma privo ormai di Grabowski, che ha abbandonato l'attività, l'Eintracht conquista la Coppa di Germania, successo ripetuto nel 1988, nonostante nel mese di gennaio la squadra abbia dovuto momentaneamente fare a meno di uno dei migliori talenti tedeschi, Andreas Möller. È l'ultima grande vittoria del club, che conosce la seconda divisione nel 1996, torna in Bundesliga nel 1998 e scivola di nuovo in seconda divisione alla fine del Campionato 2000-01.
Fabio Monti
Denominazione e sede: Eintracht Frankfurt, Francoforte sul Meno
Anno di fondazione: 1899
Presidente: Peter Fischer
Colori sociali: rosso-nero-bianco
Stadio: Waldstadion (61.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 1 Campionato (1959), 4 Coppe di Germania (1974, 1975, 1981, 1988)
Vittorie internazionali: 1 Coppa UEFA (1980)
Giocatori più rappresentativi: Feigenspan, Stani, Grabowski, Hölzenbein, Pezzey, Cha Bum-kun, Möller
Giocatori con il maggior numero di presenze: Korbel (602), Grabowski (441), Nickel (426)
Giocatori con il maggior numero di gol: Hölzenbein (160) Nickel (141), Grabowski (109)
Estudiantes
A La Plata, polo universitario argentino, un gruppo di studenti fuoriusciti da una società sportiva cittadina, il Gimnasia y Esgrima, restia ad aprire una sezione dedicata al calcio, fonda il 4 agosto 1905 il Club Estudiantes de La Plata, che viene soprannominato pincharrata, "pungitopo", in riferimento agli esperimenti sui topi effettuati nella facoltà di medicina dell'Università di La Plata dagli studenti fondatori del club.
Già negli anni Trenta, l'Estudiantes scrive pagine importanti nella storia del calcio argentino. Fa epoca un quintetto d'attacco (Lauri, Scopelli, Zozaya, Ferreira e Guaita), detto 'dei professori', grazie al quale la squadra nel 1931 si piazza al terzo posto nel primo Campionato professionistico, mentre i suoi attaccanti primeggiano nella classifica cannonieri con i 33 gol di Zozaya, i 31 di Scopelli e i 17 di Guaita. Scopelli e Guaita emigreranno poco dopo in Italia (Roma), dove segneranno molte reti; Guaita contribuirà anche come oriundo al successo dell'Italia nei Mondiali del 1934.
Ma la consacrazione dell'Estudiantes si ha solo alla fine degli anni Sessanta: nel 1967 vince ‒ prima tra le squadre 'piccole' dell'Argentina ‒ il Campionato Metropolitano. Seguono nel 1968 i trionfi nella Coppa Libertadores (replicati nei due anni successivi) e in Coppa Intercontinentale, vinta contro il Manchester United grazie a una rete di Juan Ramón Verón, padre di quel Juan Sebastián che approderà proprio al Manchester dopo cinque stagioni in Italia. La squadra, plasmata da Osvaldo Zubeldia, ha una tecnica non sopraffina ma un grande carattere. Il suo gioco duro però la porta tristemente alla ribalta per gli incresciosi episodi di violenza che si verificano nella finale della Coppa Intercontinentale, disputata contro il Milan alla Bombonera nel 1969: episodi che inducono il capo di Stato argentino, il generale Juan Carlos Ongania, a punire con un mese di carcere alcuni giocatori, tra i quali il difensore Aguirre Suarez (colpevole di una gomitata in pieno volto al franco-argentino del Milan, Nestor Combin) e il portiere Poletti. Si salva dall'arresto il centrocampista Carlos Bilardo, futuro tecnico della squadra e commissario tecnico dell'Argentina vincitrice del titolo mondiale nel 1986.
Matteo Dotto
Denominazione e sede: Club Atlético Estudiantes de La Plata, La Plata
Presidente: Guillermo Cichetti
Colori sociali: bianco-rosso
Stadio: Jorge Luis Hirschi (27.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campionati (Metropolitano 1967, 1982, Nacional 1983)
Vittorie internazionali: 3 Coppe Libertadores (1968, 1969, 1970), 1 Coppa Intercontinentale (1968), 1 Coppa Interamericana (1969)
Giocatori più rappresentativi: Zozaya, Scopelli, Guaita, Pelegrina, Bilardo, Juan Ramón Verón, Abel Herrera, Hernández, Palermo
Giocatori con il maggior numero di presenze: Herrera (467), Pelegrina (461), Russo (418)
Giocatori con il maggior numero di gol: Pelegrina (221), Infante (180), Zozaya (144)
Allenatori più rappresentativi: Zubeldía, Ignomiriello, Bilardo, Manera, Yudica, Russo
Everton
Everton è un distretto di Liverpool. L'omonima squadra di calcio vide la luce nel 1878, attorno alla parrocchia metodista di St. Domingo. Quattordici anni dopo, da una 'costola' dell'Everton nacque il Liverpool.
Il club non gode di un presente all'altezza del passato. Se si esclude la Coppa d'Inghilterra conquistata nel 1995, tutti i suoi trofei sono racchiusi fra il 1891 e il 1987, prima e ultima vittoria in Campionato. Il giocatore che più di ogni altro ne ha nobilitato la storia è stato l'attaccante William Ralph 'Dixie' Dean: nella stagione 1927-28 mise a segno 60 gol, cifra che costituisce tuttora il record assoluto del calcio inglese. A livello internazionale, l'Everton non ha avuto altri successi dopo la Coppa delle Coppe del 1985 (3-1 al Rapid Vienna nella finale di Rotterdam). Dal 1992 non si è mai spinto al di là del sesto posto nella Premier League. La supremazia cittadina è quindi saldamente nelle mani del Liverpool.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Everton Football Club,
Liverpool
Anno di fondazione: 1878
Presidente: Philip Carter
Colori sociali: blu
Stadio: Goodison Park (40.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 9 Campionati (1891, 1915, 1928, 1932, 1939, 1963, 1970, 1985, 1987), 5 Coppe d'Inghilterra (1906, 1933, 1966, 1984, 1995)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1985)
Giocatori più rappresentativi: Dean, Sagar, Royle, Harvey, Steven, Sheedy, Reid, Southall, D. Ferguson, Gascoigne
Giocatore con il maggior numero di presenze: Neville Southall (578)
Giocatore con il maggior numero di gol: Dean (349)
Allenatori più rappresentativi: McIntosh, Catterick, Bingham, Kendall, Royle, Smith
Ferencváros
Il Ferencváros è una delle squadre più antiche dell'Europa dell'Est. Nasce come club del Ministero dell'Agricoltura ungherese e ancora oggi il suo presidente è il ministro Torgyanpes. Ha vissuto momenti di grande splendore fra le due guerre, quando Sarosi I, Sarosi III e Schlosser portarono il club alla conquista di due Coppe dell'Europa centrale, nel 1928 e nel 1937.
A cavallo degli anni Sessanta-Settanta, proprio le formazioni italiane ebbero modo di sperimentare la sua forza. Nel 1965, in una partita unica giocata a Torino, il Ferencváros batté la Juventus nella finale di Coppa delle Fiere con un gol di Fenyvesi; in precedenza nella stessa Coppa aveva eliminato anche la Roma. Erano quelli gli anni di Florian Albert, uno dei più grandi talenti del calcio ungherese ed europeo, centravanti tecnico e di grande mobilità, che rimase diciotto anni nella squadra e fu premiato con il Pallone d'oro nel 1967. Di quell'epoca fanno parte anche il centrocampista Zoltan Varga e il difensore Ferenc Horvath.
A distanza di dieci anni, nel 1975, il Ferencváros raggiunse un'altra finale europea, ma fu battuto nettamente dalla Dinamo Kiev (3-0) in Coppa delle Coppe. Nel giugno 2001 ha vinto il Campionato, il ventisettesimo, davanti al Dunaferr.
Alberto Polverosi
Denominazione e sede: Ferencvárosi Torna Club, Budapest
Anno di fondazione: 1899
Presidente: Janos Furulyás
Direttore generale: Jozef Szeiler
Colori sociali: verde
Stadio: Ulloi (17.700 spettatori)
Vittorie nazionali: 27 Campionati (1903, 1905, 1907, 1909, 1910, 1911, 1912, 1913, 1926, 1927, 1928, 1932, 1934, 1938, 1940, 1941, 1949, 1963, 1964, 1967, 1968, 1976, 1981, 1992, 1995, 1996, 2001), 18 Coppe d'Ungheria (1913, 1922, 1927, 1928, 1933, 1935, 1942, 1943, 1944, 1958, 1972, 1974, 1976, 1978, 1991, 1993, 1994, 1995)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Fiere (1965),
2 Coppe dell'Europa centrale (1928, 1937)
Giocatore con il maggior numero di presenze: Sarosi I (483)
Giocatore con il maggior numero di gol: Schlosser (361)
Feyenoord
Primo club olandese a imporsi in campo internazionale, il Feyenoord, all'inizio della sua storia, deve subire la superiorità dello Sparta, l'altra squadra di Rotterdam. Per vincere il Campionato olandese, dovrà attendere sedici anni (1924), ma il successo verrà ripetuto nel 1928, nel 1936, nel 1938 e nel 1940. Intanto nasce e si consolida la rivalità storica con l'Ajax. Il 22 luglio 1935, subito dopo la conquista della seconda Coppa d'Olanda, iniziano i lavori per la costruzione dell'avveniristico Feyenoord Stadion e a darne il via è Puck Van Heel, capitano della squadra, presente in nazionale per ben 64 volte.
Una nuova serie di successi arriva negli anni Sessanta. Nel 1960, nello spareggio con l'Ajax, la squadra perde il Campionato, ma lo vince finalmente, dopo ventun anni, nella stagione successiva. Sostenuto da grandi giocatori come il portiere Eddy Pieters Graafland, il terzino Veldhoen, il mediano Klaassens, gli attaccanti Van der Gijp e Moulijn, il Feyenoord acquista progressivamente autorevolezza anche in ambito europeo. Il 1965 è l'anno dell'accoppiata Campionato-Coppa: protagonista numero uno è il centravanti Piet Kruiver che, reduce da una negativa esperienza con il Vicenza, conosce un rilancio in grande stile, riconquistando anche la nazionale. Cresce intanto il valore dell'Ajax di Cruijff, ma nel 1969 il Feyenoord ottiene un'altra doppietta. Sulla panchina è già approdato Ernst Happel, al centro dell'attacco s'impone il centravanti svedese Ove Kindvall. Il Feyenoord si dimostra squadra pronta per qualsiasi traguardo: il portiere Graafland è una sicurezza; il perno della difesa è Rinus Israel; a centrocampo esibisce tutto il suo talento Win Van Hanegem (45 presenze e 6 reti in nazionale, un tiro da lontano formidabile, come il suo senso tattico); in attacco, oltre a Kindvall, svetta Moulijn. Il 1970 è l'anno magico: Coppa dei Campioni nella finale di Milano contro il Celtic (2-1) ‒ traguardo mancato l'anno prima dall'Ajax (contro il Milan) ‒ e Coppa Intercontinentale nella doppia finale con l'Estudiantes. Nel 1971, il Feyenoord si impone nuovamente nel Campionato olandese; tre anni dopo vive un'altra grande stagione, vincendo Campionato e Coppa UEFA contro il Tottenham.
Inizia poi un periodo di declino, interrotto dalla doppietta Campionato-Coppa del 1984, che porta la firma di Cruijff, avversario di tante stagioni, finalmente strappato alla concorrenza. In squadra sta intanto esplodendo un altro fuoriclasse, Ruud Gullit, utilizzato anche da libero. Ma è un fuoco di paglia e il Feyenoord ripiega ancora su se stesso. Poi, gli anni Novanta segnano un nuovo risveglio: quattro Coppe d'Olanda in cinque anni, il Campionato del 1993 (con Van Hanegem in panchina), e poi quello del 1999, quest'ultimo nel segno di Leo Beenhakker, grande allenatore (anche del Real Madrid), che chiude nel 2000 la sua avventura tecnica. Nel 2002 il ritorno sulla ribalta internazionale con la vittoria della Coppa UEFA.
Fabio Monti
Denominazione e sede: FC Feyenoord, Rotterdam
Anno di fondazione: 1908
Presidente: Jorien van den Herik
Direttore generale: Jan Willem van Dop
Colori sociali: bianco-rosso-nero
Stadio: De Kuip (52.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 14 Campionati (1924, 1928, 1936, 1938, 1940, 1961, 1962, 1965, 1969, 1971, 1974, 1984, 1993, 1999), 10 Coppe d'Olanda (1930, 1935, 1965, 1969, 1980, 1984, 1991, 1992, 1994, 1995), 2 Supercoppe Olandesi (1991, 1999)
Vittorie internazionali: 1 Coppa dei Campioni (1970), 1 Coppa Intercontinentale (1970), 2 Coppe UEFA (1974, 2002)
Giocatori più rappresentativi: Van Heel, Graafland, Van der Gijp, Moulijn, Kruiver, Kindvall, Israel, Van Hanegem, Cruijff, Gullit, Koeman
Giocatore con il maggior numero di presenze: Wijnstekers (322)
Giocatore con il maggior numero di gol: Van Der Gijp (162)
Fiorentina
La prima maglia è bianca e rossa, come i colori di Firenze; la prima sede è nel quartiere delle Cascine. Lì nasce, il 26 agosto 1926, l'Associazione Calcio Fiorentina, dalla fusione di due società sportive della città, la Polisportiva Giovanile Libertas e la sezione calcio del Club Sportivo delle Cascine, ancora oggi attiva. L'esordio avviene sotto buoni auspici, perché il suo primo presidente è il marchese Luigi Ridolfi, rappresentante di una delle più antiche famiglie dell'aristocrazia fiorentina, futuro presidente della Federcalcio e ideatore del centro tecnico di Coverciano. Vero appassionato di sport, è lui che porta la Fiorentina in serie A e alla prima vittoria in Coppa Italia nel 1940. Due anni prima, tuttavia, la squadra, che nel frattempo ha cambiato in viola il colore della maglia, è retrocessa in B e subito risalita in A. I primi anni Trenta sono dominati da Pedro Petrone, un mito per i fiorentini dell'epoca, campione olimpico nel 1924 e nel 1928 e campione del mondo nel 1930, con l'Uruguay. Gioca il primo Campionato di serie A della storia viola, diventa capocannoniere segnando 25 gol e affranca la squadra dalla provincia, dandole un'immagine nazionale. Se ne andrà per uno dei suoi storici 'capricci', arricchendo l'alone romanzesco che circonda il suo nome.
A metà degli anni Cinquanta, la Fiorentina fa un balzo ai vertici della serie A. La squadra che vincerà lo scudetto nel 1956 viene costruita gradualmente; prima arrivano Magnini, Cervato, Chiappella, Segato e Gratton, poi Virgili e Sarti, ma sono due sudamericani a condurre il club al primo grande trionfo: il brasiliano Julinho e l'argentino Miguel Montuori. Per Firenze, i due sudamericani non sono giocatori ma leggende. Julinho ne ha tutti i requisiti: scatto, dribbling, visione di gioco, fantasia, dinamismo, però non resisterà alla nostalgia e ritornerà in Brasile dopo appena tre anni. Montuori ha una classe straordinaria, ma conquista la simpatia della gente soprattutto per lo sfortunato incidente di cui rimane vittima: in un'amichevole contro la seconda squadra del Perugia a causa di una pallonata in testa perde la vista; subisce vari interventi, ma non può più giocare. Nel 1955-56, la Fiorentina chiude il Campionato in testa con 12 punti di vantaggio sulla seconda classificata, il Milan. Il presidente è Enrico Befani, un industriale tessile di Prato, l'allenatore è Fulvio Bernardini. Quella Fiorentina è una delle più belle formazioni di tutti i tempi, ma dopo il primo scudetto ne perderà altri quattro di fila, arrivando sempre seconda, dietro al Milan o alla Juventus, che proprio in quel periodo inizia a essere l'avversaria più detestata dai tifosi fiorentini.
Il secondo scudetto arriva, a sorpresa, dopo tredici anni. Per la giovane età dei giocatori, la squadra si guadagna il soprannome di 'Fiorentina yé-yé'. Non è spettacolare come la precedente, ma in quella fortunata stagione 1968-69 si rivela irresistibile: perde una sola partita e conquista lo scudetto proprio a Torino, sul campo della Juventus, battendola 2-0. Giancarlo De Sisti, detto 'Picchio', è il capitano, Bruno Pesaola, detto 'Petisso', l'allenatore, Luciano Chiarugi, detto 'Cavallo Pazzo', l'ala-fantasia. I 14 gol di Maraschi sono determinanti per il successo finale, così come è decisivo il contributo di Merlo, un centrocampista di forza e tecnica, di Esposito e di Rizzo.
Purtroppo, la Fiorentina non mostra continuità e rischia perfino di retrocedere. Fino all'inizio degli anni Ottanta deve accontentarsi di una Coppa Italia e di una Coppa di Lega Italo-inglese, nonostante sia già spuntato l'astro di Giancarlo Antognoni. Nel maggio 1980, il pacchetto di maggioranza delle azioni della Fiorentina è acquistato dalla famiglia Pontello. I primi mesi sono difficili (esonero di Carosi), ma molto presto, con De Sisti in panchina, la squadra torna ai vertici. Lo scudetto, perso per un punto all'ultima giornata nel maggio 1982 contro la Juventus, fa esplodere l'odio dei tifosi fiorentini nei confronti di quelli juventini. I Pontello investono miliardi, acquistano giocatori come Pecci, Graziani, Vierchowod, Bertoni, Passarella, Oriali e Sócrates, ma non ottengono alcun risultato, anche a causa degli infortuni che capitano ad Antognoni, il giocatore più amato di Firenze. È un periodo drammatico. Nel 1987, in un incidente aereo, muore Piercesare Baretti, ex giornalista e presidente della società viola dopo le dimissioni di Ranieri Pontello.
Nel maggio 1990, dopo aver perso la finale di Coppa UEFA contro la Juventus e di fronte alla guerriglia scatenata dai tifosi viola in seguito all'annuncio ufficiale della cessione di Roberto Baggio alla stessa Juventus, la Fiorentina viene ceduta e passa nelle mani di Mario e Vittorio Cecchi Gori, noti produttori cinematografici, che entrano nel calcio con notevoli mezzi e grande entusiasmo, ma con scarsa conoscenza della materia. Come i Pontello, acquistano veri campioni: Batistuta, Effenberg, Brian Laudrup, Baiano. Commettono però molti errori, come la cessione al Pescara di Dunga, che tre anni dopo sarà il capitano del Brasile campione del mondo. Nel 1993, la Fiorentina retrocede in serie B e scoppiano incidenti fuori dallo stadio Franchi. Nel novembre dello stesso anno muore Mario Cecchi Gori, e suo figlio Vittorio assume la presidenza della società, continuando ad acquistare ottimi giocatori e, in qualche caso, veri fuoriclasse. Arrivano Toldo, Rui Costa, Edmundo, Chiesa, Mijatovic. La Fiorentina torna rapidamente in A e vince la Coppa Italia e la Supercoppa Italiana con Claudio Ranieri nel 1996. Espugna Wembley (in Champions League contro l'Arsenal) con Trapattoni e un indimenticabile gol di Batistuta nel 1999-2000, e riesce infine a conquistare un'altra Coppa Italia nel 2001, con il giovane Roberto Mancini in panchina. È l'ultimo sprazzo di gloria. Subito dopo inizia un periodo caratterizzato da rapidi avvicendamenti in alcune cariche societarie e da complesse vicende giudiziarie riguardanti la situazione finanziaria della società e dei suoi vertici. La stagione 2001-02 è fallimentare e nonostante il tentativo di coinvolgere un socio olandese la crisi economica influisce pesantemente sul rendimento della squadra, che non può evitare la retrocessione in serie B.
Alberto Polverosi
Denominazione e sede: Associazione Calcio Fiorentina, Firenze
Anno di fondazione: 1926
Presidente: Ottavio Bianchi
Amministratore delegato: Sarkis Zerunian
Colori sociali: viola
Stadio: Artemio Franchi (42.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 2 Campionati (1956, 1969), 6 Coppe Italia (1940, 1961, 1966, 1975, 1996, 2001), 1 Supercoppa Italiana (1996)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1961), 1 Mitropa Cup (1966), 1 Coppa di Lega Italo-inglese (1976)
Giocatori più rappresentativi: Petrone, Julinho, Montuori, Sarti, Hamrin, De Sisti, Antognoni, R. Baggio, Batistuta, Rui Costa
Giocatori con il maggior numero di presenze: Antognoni (341), Chiappella (329), Hamrin (289)
Giocatori con il maggior numero di gol: Batistuta (167), Hamrin (151), Montuori (72)
Allenatori più rappresentativi: Bernardini, Pesaola, De Sisti, Eriksson, Ranieri, Trapattoni
Flamengo
Il Flamengo nasce nel 1895 come club di canottaggio, a quel tempo lo sport più popolare. I colori prescelti sono il celeste e il giallo, sostituiti un anno dopo da rosso e nero. Nel 1902 il Grupo de Regatas do Flamengo muta il nome in Clube de Regatas do Flamengo. Le apparizioni calcistiche sono sporadiche: si racconta di un incontro amichevole nel 1903, terminato con una sconfitta 5-1 contro il Clube de Regatas do Botafogo. Soltanto nel 1911 viene creata una sezione calcio per iniziativa di alcuni calciatori e dirigenti fuoriusciti dal Fluminense, l'altra società di Rio de Janeiro. L'anno successivo, dopo varie amichevoli contro l'América, il Flamengo esordisce nel Campionato carioca sconfiggendo 16-2 il Mangueira. Il 7 luglio 1912 davanti a 800 persone si gioca Flamengo-Fluminense, il primo derby della storia del calcio. Comincia così una rivalità destinata a durare per sempre. Nel 1926 i rematori della sezione Regatas autorizzano i calciatori a usare la maglia a strisce orizzontali rossonera, poi rimasta caratteristica della squadra.
Con l'inizio dell'epoca del professionismo, il Flamengo rimane indietro rispetto alle avversarie. La squadra che domina il periodo è il Fluminense, la cui egemonia viene tuttavia interrotta proprio dai rossoneri nel 1939. È il Flamengo di Leonidas ‒ detto 'la pantera nera' per i movimenti felini ‒ e Domingos da Guia, di Valido e Jarbas. All'inizio degli anni Quaranta, sotto la guida di Flavio Costa, viene allestita una squadra fortissima, comprendente grandi campioni come Domingos, Zizinho, Jurandir, Biguá e Valido. Grazie a loro, il Flamengo conquista tre titoli carioca consecutivi (1942, 1943, 1944), serie positiva che replicherà negli anni Cinquanta (1953, 1954, 1955).
Il periodo migliore comincia con l'avvento di Zico, il più grande calciatore della storia del club, e corrisponde agli anni Settanta e Ottanta. Accanto a Zico, c'è una schiera di campioni: Junior, Raul, Leandro, Rondinelli, Nunes, Andrade, Carpegiani, Tita, Julio Cesar. È in quel periodo che il Flamengo viene conosciuto a livello internazionale. Vince tre titoli nazionali, una Coppa Libertadores, e un Mondiale per club. Anche gli anni Novanta sono ricchi di vittorie: tre titoli carioca, una Coppa del Brasile, un Campionato nazionale.
Attualmente il club attraversa una situazione economica difficile. Nonostante questo, guidato dal leggendario Mario Zagallo, ha conquistato la prestigiosa Copa dos Campeões. Gli idoli di oggi sono i difensori Alessandro e Juan, il centrocampista Beto e gli attaccanti Petkovic, Edilson e Reinaldo.
Darwin Pastorin
Denominazione e sede: Club de Regatas Flamengo, Rio de Janeiro
Data di fondazione: 1895
Presidente: Edmundo Santos Silva
Direttore generale: Walter Oaquim
Stadio: José Bastos Padilha (12.000 spettatori)
Colori sociali: rosso-nero
Vittorie nazionali: 5 Campionati brasiliani (1980, 1982, 1983, 1987, 1992), 27 Campionati di Rio (1914, 1915, 1920, 1921, 1925, 1927, 1939, 1942, 1943, 1944, 1953, 1954, 1955, 1963, 1965, 1972, 1974, 1978, 1979, 1979 campione speciale, 1981, 1986, 1991, 1996, 1999, 2000, 2001), 1 Torneo Rio-São Paulo (1961), 1 Coppa del Brasile (1990), 1 Copa dos Campeões (2001)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Intercontinentale (1981), 1 Coppa Libertadores (1981), 1 Coppa Mercosur (1999), 1 Copa de Ouro (1996)
Giocatori più rappresentativi: Leonidas, da Guia, Zizinho, Dequinha, Dida, Zico, Rondinelli, Junior, Nunes, Romario
Giocatore con il maggior numero di presenze: Junior (865)
Giocatore con il maggior numero di gol: Zico (508)
Allenatori più rappresentativi: Zagallo, Carpegiani, Coutinho, Carlinhos, Solis, Costa
Galatasaray
Il suo carismatico allenatore Fatih Terim, che a Istanbul si era già imposto come calciatore, e il suo stadio-trappola, capace di intimidire squadre esperte ed efficaci come il Milan di Zaccheroni ‒ eliminato nel novembre 1999 dalla Champions League ‒ spiegano il recente exploit del Galatasaray, club fondato nel 1903 dagli studenti dell'omonima High School. Allo spirito goliardico dei primi anni si sostituisce via via una dimensione più professionale fino ad arrivare agli anni Sessanta, quando la squadra comincia a vincere Campionati e Coppe locali, grazie anche all'arruolamento di tecnici provenienti dall'estero (tra gli altri Jupp Derwall e Graeme Souness).
Nel 1996 Fatih Terim assume la guida della squadra che, grazie a lui, vince la prima Coppa UEFA (2000). Nello stesso anno, con Lucescu in panchina, il Galatasaray si assicura la Supercoppa Europea. Il romeno Hagi, che gioca nella squadra dal 1996 al 2001, è l'ispiratore del gioco. Altro grande campione del Galatasaray è Hakan Sukur, centravanti passato all'Inter nel 2000.
Denominazione e sede: Galatasaray Spor Kulübü, Istanbul
Anno di fondazione: 1905
Presidente e direttore generale: H. Mehmet Cansun
Colori sociali: giallo-rosso
Stadio: Ali Sami Yen (34.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 16 campionati (1939, 1962, 1963, 1969, 1971, 1972, 1973, 1987, 1988, 1993, 1994, 1997, 1998, 1999, 2000, 2002), 13 Coppe di Turchia (1963, 1964, 1965, 1966, 1973, 1976, 1982, 1985, 1991, 1993, 1996, 1999, 2000)
Vittorie internazionali: 1 Coppa UEFA (2000), 1 Supercoppa Europea (2000)
Giocatori più rappresentativi: Sukur, Okan, Hagi, Taffarel, Emre, Ümit
Giocatore con il maggior numero di presenze: Oktay (608)
Giocatore con il maggior numero di gol: Oktay (211)
Allenatori più rappresentativi: Terim, Lucescu, Derwall, Souness
Genoa
Partì da Genova la grande avventura del calcio italiano. La sera del 7 settembre 1893, al numero 10 di via Palestro, l'inglese Charles De Grave Sells divenne il primo presidente del Genoa Cricket and Football Club.
A rafforzare l'indubbia matrice britannica provvide, tre anni più tardi, l'arrivo di James Spensley, medico di bordo e persona di vasta cultura, linguista, corrispondente del Daily Mail, e soprattutto grande appassionato di football. Spensley cominciò con l'aggiornare lo statuto che non prevedeva soci italiani. Continuò individuando il terreno adatto a un vero campo di calcio, a ponte Carrega, lungo la riva del Bisagno, e finalmente si dedicò all'organizzazione di regolari partite che si giocavano il sabato, principalmente durante il pomeriggio di libertà di cui godevano gli equipaggi delle navi inglesi. Iniziativa di Spensley fu anche la prima partita ufficiale tra squadre italiane, il Genoa e una rappresentativa di Torino (0-1).
Si è alla vigilia del primo Campionato nazionale organizzato dalla Federazione e vinto, l'8 maggio 1898, proprio dal Genoa sull'Internazionale. Il Genoa di matrice britannica fra il 1898 e il 1904 si aggiudica sei titoli su sette, tale è il divario tra gli inglesi che organizzano e praticano football ormai da decenni e gli italiani che stanno cominciando a scoprirlo. Quando il calcio di casa nostra comincia a raggiungere una dimensione più professionale è ancora un britannico a rilanciare il Genoa al vertice. Stavolta non più un pioniere come Spensley ma un tecnico vero e proprio come Garbutt, che qualche anno più tardi diventerà il padre del 'sistema'. Il Genoa di Garbutt, oltre ad aggiudicarsi due scudetti, che resteranno gli ultimi, schiera nelle sue file giocatori come De Vecchi e De Prà, 'leggende' dell'epoca, e, più tardi, uno straordinario fuoriclasse come l'argentino Guillermo Stabile.
Dal 1937, subito dopo la conquista della Coppa Italia sulla Roma, e sino ai giorni nostri, la storia rosso-blu è fatta di rapide discese più che di risalite. Al di là di due Coppe delle Alpi e di un Torneo Anglo-italiano, l'unico vero momento di gloria risale al 1992, quando il Genoa di Osvaldo Bagnoli arriva in semifinale di Coppa UEFA dopo aver battuto il Liverpool nella sua 'tana' di Anfield Road. Un'eclisse, quella del club genoano, di ancor più difficile spiegazione alla luce dell'intatta, profonda passione dei suoi sostenitori, che si trasmette inalterata di padre in figlio al punto che, ancora oggi, i tifosi più anziani e composti della tribuna centrale vengono chiamati 'gli inglesi', come i loro predecessori di un secolo fa, mentre quelli della gradinata nord hanno pochi rivali al mondo per calore e attaccamento. Sono stati infatti capaci, nel 1971, in una delle fasi più buie della storia rossoblu, di noleggiare e stipare una nave per seguire la squadra a Porto Torres, in serie C. Così come, tanti anni prima, nel 1906, erano stati i loro bisnonni a organizzare il primo treno speciale della storia, per seguire uno spareggio-scudetto a Milano contro la Juventus.
Denominazione e sede: Genoa Cricket and Football Club, Genova
Anno di fondazione: 1893
Presidente: Luigi Dalla Costa
Direttore generale: Giovanni Blondet
Colori sociali: rosso-blu
Stadio: Comunale Luigi Ferraris (41.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 9 Campionati (1898, 1899, 1900, 1902, 1903, 1904, 1915, 1923, 1924), 1 Coppa Italia (1937)
Vittorie internazionali: 2 Coppe delle Alpi (1962, 1964), 1 Torneo angloitaliano (1995-96)
Giocatori con il maggior numero di presenze: Becattini (425), Ruotolo (425), Torrente (413)
Giocatori con il maggior numero di gol: Catto (85), Levratto (84), Sardi (82)
Göteborg
Il Göteborg è nato il 4 ottobre 1904, in un caffè del quartiere di Annedal, dall'unione fra un gruppo di giovani studenti della Chalmers Technical High School e i membri dell'IS Kamraterna e dell'Annedals SK. Soltanto molti decenni dopo, tuttavia, la squadra si è fatta conoscere nel calcio europeo. Il suo primo grande campione è stato Gunnar Gren, mezzala, che ha giocato nella squadra di Göteborg dal 1941 al 1949, prima di passare al Milan. In Italia, Gren è diventato famoso con il soprannome di 'professore' per il suo acume tattico e, con Nordhal e Liedholm, ha fatto parte del famoso trio tutto di origine svedese, noto come Gre-No-Li.
Il momento di maggior splendore del Göteborg è legato al nome di Sven Goran Eriksson, commissario tecnico dell'Inghilterra dal 2001, che nel 1979, appena trentenne, diventa allenatore e conduce la squadra alla conquista di una Coppa UEFA, di un titolo nazionale e di due Coppe di Svezia. Da quella squadra molti giocatori sono emigrati in Italia, fra cui il libero Glenn Hysen (che Eriksson volle a suo tempo a Firenze), il centrocampista Glenn Stromberg (all'Atalanta per otto anni), l'attaccante Dan Corneliusson (al Como). La squadra di Göteborg ha vinto di nuovo la Coppa UEFA nel 1987, ma da allora non ha più raggiunto i vertici del calcio europeo.
Alberto Polverosi
Denominazione e sede: IFK (Idrotts Föreningen Kamraterna) Göteborg, Göteborg
Anno di fondazione: 1904
Direttore generale: Bosse Gentzel
Colori sociali: bianco-blu
Stadio: Ullevi (42.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 17 Campionati (1908, 1910, 1918, 1935, 1942, 1958, 1969, 1982, 1983, 1984, 1987, 1990, 1991, 1993, 1994, 1995, 1996), 4 Coppe di Svezia (1979, 1982, 1983, 1991)
Vittorie internazionali: 2 Coppe UEFA (1982, 1987)
Giocatori più rappresentativi: Gren, Wernersson, Nordqvist, Hysen, Pettersson, Stromberg, Corneliusson, K. Andersson, T. Nilsson, Kindvall
Giocatore con il maggior numero di presenze: Berntsson (598)
Giocatore con il maggior numero di gol: Nilsson (331)
Allenatori più rappresentativi: Eriksson, Bengtsson, Gustafsson
Grêmio
Il Grêmio viene fondato da un gruppo di amici guidati da Cândido Dias da Silva, un commerciante di cuoio paulista di Sorocaba, il 15 settembre 1903 in un salone di barbiere di Porto Alegre. A spingere quei ragazzi a creare il primo club brasiliano fondato esclusivamente in funzione del gioco del calcio è l'entusiasmo provocato dall'esibizione in città dello Sport Club Rio Grande. Nasce subito la rivalità con l'altra squadra della città, l'Internacional, esistente già da qualche anno, una rivalità destinata a crescere nel tempo.
Il primo trionfo del Grêmio risale al luglio 1909, quando si aggiudica il primo derby cittadino per 10-0. Il 14 agosto 1904, viene inaugurato l'Estádio da Baixada, casa del Grêmio in funzione fino al 1974, anno dell'inaugurazione del grande stadio Olímpico. Nel 1937 il club passa al professionismo. Sul piano tecnico, il Grêmio assorbe molto dalle scuole uruguayane e argentine, e la squadra, rispetto alle altre formazioni brasiliane, esprime un gioco meno lezioso, più rapido e aggressivo: una peculiarità mantenuta sino ai nostri giorni. Nel 1954 sono ammessi in squadra anche calciatori che non hanno la pelle bianca e sono di classe proletaria.
Da questo momento, la storia del Grêmio è fatta di successi continui. Conquista per 32 volte il titolo gaucho, con otto vittorie consecutive dal 1961 al 1968. Il momento di massima gloria è raggiunto però agli inizi degli anni Ottanta. Nel 1981 conquista il primo titolo nazionale battendo in finale il San Paolo con un gol da cineteca di Baltazar: stop di petto e tiro al volo. Nel 1983 vince la Coppa Libertadores superando in finale il Peñarol; nello stesso anno, con due gol di Renato Gaúcho batte l'Amburgo e conquista il massimo trofeo per club: la Coppa Intercontinentale. Nel Grêmio attuale i più grandi calciatori sono: il portiere Danrlei, i difensori Roger, Rubens Cardoso, Marinho e l'intramontabile Mauro Galvão, il centrocampista Zinho (campione del Mondo in USA 1994), l'attaccante Luis Mario.
Darwin Pastorin
Denominazione e sede: Grêmio Football Porto Alegrense, Porto Alegre
Data di fondazione: 1903
Presidente: José Alberto Machado Guerreiro
Direttore generale: Denis Abrão
Colori sociali: azzurro-nero-bianco
Stadio: Estádio Olímpico Monumental (51.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 2 Campionati brasiliani (1981, 1996), 32 Campionati gaucho (1921, 1922, 1926, 1931, 1932, 1946, 1949, 1956, 1957, 1958, 1959, 1961, 1962, 1963, 1964, 1965, 1966, 1967, 1968, 1977, 1979, 1980, 1985, 1986, 1988, 1989, 1990, 1993, 1995, 1996, 1999, 2001), 4 Coppe del Brasile (1989, 1994, 1997, 2001), 1 Copa Sul-brasileira (1999)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Intercontinentale (1983), 2 Coppe Libertadores (1983, 1995), 1 Recopa (1995)
Giocatori più rappresentativi: Renato, Baltazar, Airton, De León, Valdo, Jardel, Paulo Isidoro, Tarciso, Eder, Leão, Mauro Galvão, Mazaropi
Giocatore con il maggior numero di presenze: Lara
Giocatore con il maggior numero di gol: Alcindo (261)
Allenatori più rappresentativi: Andrade, Scolari, Espinosa, Roth, Santana
Honvéd
Nella storia del calcio, la Honvéd Budapest occupa un posto di primo piano. Nata nel 1909 come Kispesti Athleticai Club, cambia nome nel 1949, quando uno statalismo di rigido stampo sovietico cancella i liberi sodalizi e ne trasferisce le risorse in associazioni controllate dal governo. La Honvéd diviene la squadra dell'esercito (per la precisione della fanteria); il suo nome, simbolico, in italiano, significa "difensore della patria".
Gustav Sebes, ministro dello Sport, ne diventa il padrino e l'allenatore. In assenza delle Coppe europee, sono le tournées in giro per il mondo a rendere popolare la Honvéd e a diffonderne il valore: la scuola è quella danubiana, gli interpreti sono di straordinaria levatura. Tra il 1950 e il 1955 la squadra si aggiudica cinque vittorie in Campionato.
La forza, la classe e l'eleganza sono patrimonio soprattutto di quattro giocatori: Ferenc Puskas, József Bozsik, Sándor Kocsis e Zoltán Czibor. La Honvéd diventa il 'blocco' della nazionale ungherese, capace di realizzare, dal 1950 al 1954, una serie di 31 partite utili consecutive (28 vittorie, 3 pareggi; 142 gol all'attivo e 28 al passivo). È la Grande Ungheria che vince la medaglia d'oro ai Giochi Olimpici di Helsinki nel 1952, che il 25 novembre 1953 infligge una memorabile lezione alla nazionale inglese a Wembley (6-3) ‒ prima sconfitta casalinga dei 'maestri' ‒ e che perde incredibilmente il titolo mondiale del 1954 (3-2 contro la Germania Occidentale). La mossa rivoluzionaria, a livello tattico, è rappresentata dall'arretramento del centravanti: Hidegkuti in nazionale, Tichy nella Honvéd. Come disposizione in campo, la Honvéd si avvicina, sino alla zona centrale, al disegno del vecchio metodo, malgrado i difensori di fascia operino come nel 'sistema' WM. Bozsik è il regista, Kocsic lo specialista del gioco aereo, Czibor il creatore di assist, Puskas il cannoniere e l'indiscusso leader.
Quella impareggiabile squadra è però destinata a finire male; ha appena lasciato l'Ungheria quando, dal 23 ottobre al 4 novembre 1956, gli studenti e gli operai di Budapest danno vita a moti rivoluzionari, soffocati dai carri armati sovietici. Quasi tutti i giocatori preferiscono emigrare, Puskas a Madrid, Kocsis e Czibor a Barcellona. La presidenza ritira il nome, la FIFA ratifica la fine della squadra.
Negli anni successivi, la polisportiva Kispest Honvéd rinasce e torna gradualmente a vincere Campionati e Coppe, ma la crisi dell'Est in generale e del calcio ungherese in particolare causano alla società grandi problemi economici, portando a bilanci così fallimentari che i dirigenti hanno addirittura pensato di lasciare Budapest, dove convivono troppi club calcistici, per trasferirsi in provincia.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Kispest Honvéd, Budapest
Anno di fondazione: 1949
Presidente: László Koncz
Colori sociali: rosso-nero
Stadio: József Bozsik (14.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 13 Campionati (primavera e autunno 1950, 1952, 1954, 1955, 1980, 1984, 1985, 1986, 1988, 1989, 1991, 1993); 5 Coppe d'Ungheria (1929, 1964, 1985, 1989, 1996)
Giocatori più rappresentativi: Puskas, Bozsik, Kocsis, Czibor, Grocsic, Budai, Rakosi, Tichy, Lorant, Detari
Giocatore con il maggior numero di presenze: Bozsik (447)
Giocatore con il maggior numero di gol: Puskas (358)
Allenatori più rappresentativi: Sebes, Kalmar, Lakat, Komora, Bicsei
Independiente
Nato dopo il River Plate e prima del Boca Juniors, il Club Atlético Independiente è la società che, al mondo, ha conquistato il maggior numero di trofei internazionali: 15. La fondazione risale al 4 agosto 1904. Otto ragazzi fra i 15 e il 17 anni, impiegati in un grande magazzino di Buenos Aires 'A la ciudad de Londres' ed esclusi dalla squadra aziendale in ragione dell'età, decidono di crearne una ex novo, chiamandola Independiente, proprio perché nata dal loro moto di ribellione e dal loro desiderio di autonomia. Scelgono il rosso delle maglie ispirandosi alle divise del Nottingham Forest. Il 1° gennaio 1905 la fondazione viene istituzionalizzata. In un secondo tempo, alla ricerca di un campo, il club si trasferisce ad Avellaneda, un sobborgo sudorientale della capitale e questa diventa la base della società. Ad Avellaneda opera già un altro club, il Racing, contro il quale la squadra si scontrerà in alcuni derby all'ultimo respiro.
L'Independiente vince i primi Campionati, a livello dilettantistico, nel 1922 e nel 1927. La storia della squadra è ricca di fuoriclasse, tra i quali spicca soprattutto Raimundo 'Mumo' Orsi, ala sinistra, che resta all'Independiente fino al 1928 e si trasferisce poi in Italia, divenendo campione del mondo con la nazionale azzurra nel 1934 e cinque volte campione d'Italia con la Juventus (1931-1935). Nella sua scia si pongono altri giocatori di grande talento, come Manuel Seoane, il paraguayano Arsenio Pastor Erico, il più prolifico cannoniere del club, Vicente De la Mata, Antonio Sastre. Il trio Erico-De la Mata-Sastre realizza un bottino globale di 556 gol. Dal 1928, l'Independiente ha uno stadio tutto suo, il primo in cemento del continente. Sul piano internazionale, i rossi di Avellaneda riescono a spezzare il duopolio Peñarol-Santos. Fra gli allenatori che hanno lasciato un segno, merita un cenno particolare Manuel Giudice, l'uomo della svolta e della prima Coppa Libertadores, nel 1964. La squadra se ne aggiudicherà in tutto sette, quattro delle quali consecutive (1972-1975). Le due Coppe Intercontinentali che nobilitano l'albo d'oro vengono conquistate nel 1973 e nel 1984 a spese di squadre del calibro della Juventus e del Liverpool.
Ricardo Enrique Bochini è l'ultimo grande simbolo. Gioca vent'anni nell'Independiente, dal 1972 al 1991, è l'anima della squadra, il più amato dai tifosi. Nelle file dell'Independiente ha militato anche Jorge Burruchaga, l'autore del terzo e decisivo gol nella finale mondiale del 1986 a Città di Messico (Argentina-Germania Ovest, 3-2).
L'Independiente di oggi appare in minoranza rispetto ad altri club argentini, come Racing, River Plate, Boca Juniors e San Lorenzo de Almagro. La tifoseria rimane una delle più passionali del paese, tuttavia il presente non è certamente all'altezza del passato: la squadra non vince un Campionato dal 1994. I soldi da spendere sono pochi, e il club che ha voluto essere il cuore di un quartiere, più che l'emblema di una metropoli, fatica a reggere la concorrenza.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Club Atlético Independiente Avellaneda, Avellaneda (Buenos Aires)
Anno di fondazione: 1904
Presidente: Roberto O. Galano
Segretario generale: Andrés Ducatenzeiler
Stadio: Doble Visera (57.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 15 Campionati (dilettantistici: 1922, 1927; di prima divisione: 1938, 1939, 1948, 1960, 1963, 1988, 1994; Metropolitano: 1967, 1970, 1971; Nacional: 1977, 1978, 1983)
Vittorie internazionali: 7 Coppe Libertadores (1964, 1965, 1972, 1973, 1974, 1975, 1984), 2 Coppe Intercontinentali (1973, 1984), 2 Supercoppe Sudamericane (1994, 1995), 3 Coppe Interamericane (1973, 1974, 1976), 1 Recopa (1995)
Giocatori più rappresentativi: Orsi, Seoane, Erico,
De la Mata, Sastre, Grillo, Pavoni, D. Bertoni, Bochini, Burruchaga
Giocatori con maggior numero di presenze: Bochini (638), Pavoni (423), De la Mata (362)
Giocatori con maggior numero di gol: Erico (293),
De la Mata (151), Sastre (112)
Allenatori più rappresentativi: Ronzoni, Giudice, Ferreiro, Pastoriza, Piazza, E. Trossero
Inter
Il Football Club Internazionale Milano fu fondato l'8 marzo 1908, dal pittore Giorgio Muggiani e da altri 42 soci dissidenti del Milan, in disaccordo con il presidente Gianni Camperio. Il primo presidente dell'Inter è Giovanni Paramithiotti, ottima persona, accompagnata però da una pessima fama: con lui in tribuna, la squadra non vince mai.
Il primo scudetto arriva nel 1910, con portiere Campelli: l'Inter e la Pro Vercelli, che terminano il Campionato a pari punti, non sono d'accordo sulla data dello spareggio e i piemontesi, per protesta, mandano in campo una squadra di ragazzi; la partita si conclude 10-3 per i neroazzurri. Il secondo scudetto viene conquistato nel 1920: esaltata dai dribbling di Cevenini, dai tiri potenti di Aggradi, dalle discese di Asti, dalla forza di Conti, dalla raffinata tecnica di Aebi, l'Inter vince e diverte; un gol di Aebi alla Juventus spiana la strada verso quel titolo e nasce così la rivalità con i bianconeri. L'Inter va a cercare campioni all'estero, ma in quegli anni il Campionato è dominato da Genoa, Juventus e Torino. Con il talento di Giuseppe Meazza e con Arpad Veisz in panchina, le cose cominciano a cambiare e nel 1929-30, primo Campionato a girone unico, l'Inter (che dall'estate 1928 e fino al 27 ottobre 1945 si chiamerà 'Ambrosiana', non piacendo il nome 'Internazionale' ai gerarchi del regime) vince il terzo scudetto, nel 1937-38 il quarto, con il famoso attacco, detto 'di ferro', per le iniziali di quattro giocatori: Frossi, Ferrara, Ferrari e Ferraris II, ai quali si aggiunge naturalmente Meazza. Il successo si ripete nel 1939-40, sebbene Meazza sia fermo a causa della vasocostrizione di un'arteria del piede sinistro. Dal 'vivaio' è emerso intanto un giovane di talento, Guarnieri, che segnerà 15 gol, ma è di Ferraris II, l'ala sinistra che poi passerà al Torino, il gol dello scudetto (al Bologna, staccato di un punto). È il 2 giugno 1940. Otto giorni dopo l'Italia entra in guerra.
Quando si ricomincia a giocare a calcio, nel 1945, scompare la denominazione 'Ambrosiana'. I neroazzurri soffrono negli anni dell'egemonia del Grande Torino di Loik e Valentino Mazzola. Il presidente Rinaldo Masseroni, industriale della gomma, nel settembre 1946 sbaglia ben cinque acquisti, i sudamericani Bovio, Volpi, Pedemonte, Cerioni e Zapirain, che si rivelano di scarso valore. Si rischia la retrocessione e nel febbraio 1947 Bovio, Volpi e Cerioni abbandonano la squadra. Meazza, nella duplice veste di allenatore-giocatore, evita la serie B giocando, il 29 giugno 1947, la sua ultima partita in neroazzurro (1-1 con il Bologna, a San Siro). Per ridare forza alla squadra, viene acquistato dall'Empoli, per 13 milioni di lire, un ragazzo toscano, Benito Lorenzi, che dall'estate 1948 giocherà in attacco con Nyers e con Amadei, proveniente dalla Roma. Il 6 novembre 1949 l'Inter vince il più famoso derby di Milano: 6-5, dopo aver chiuso in svantaggio 1-4 il primo tempo. La rete decisiva è proprio di Amadei, che a fine stagione se ne va.
Lo scudetto del 1951 va al Milan, dopo un finale rocambolesco: l'Inter alla penultima giornata regala due punti al Torino, vicinissimo alla retrocessione, convinta di non poter più recuperare il distacco dai rossoneri impegnati in casa con la Lazio. Quando i neroazzurri apprendono che la Lazio ha vinto a San Siro, è troppo tardi: il titolo è perduto.
La squadra ha solisti eccezionali e un attacco portentoso, con Nyers, Skoglund, Lorenzi, Wilkes, ma non riesce a vincere il Campionato. Arriva un nuovo allenatore, Alfredo Foni, che fa grandi cambiamenti cedendo Wilkes al Torino e promuovendo al suo posto una mezzala utilissima al gioco, Mazza, proveniente dal Legnano. Foni ricicla una vecchia formula svizzera, il verrou: un terzino, Blason, gioca da libero dietro il centromediano Giovannini e l'ala destra, Armano, si comporta da difensore su una punta avversaria. Arrivano così gli scudetti del 1953 e del 1954.
Il presidente Masseroni è finalmente soddisfatto, ma capisce che è venuto il momento di lasciare e il 28 maggio 1955 gli subentra Angelo Moratti, petroliere e interista per merito della moglie, Erminia. Il suo primo acquisto è Enea Masiero, poi seguono l'asso svizzero Vonlanthen e Massei del Rosario Central. Sono anni tormentati: l'Inter vince i derby, ma non il Campionato; vengono lanciati Angelillo e Corso (17 anni), due fenomeni, che però non bastano per arrivare primi. Serve un grande allenatore e Moratti nel 1960 sceglie il più famoso: Helenio Herrera, che ha allenato il Siviglia, l'Atlético Madrid e il Barcellona. Il 'mago', che prende un ingaggio di 50 milioni di lire e premi doppi, sistema i cartelli sui muri dello spogliatoio per incitare i calciatori; rivoluziona squadra e metodi di allenamento; sconvolge usi e costumi del pallone. Impiega tre anni per imporsi, dopo aver corretto più volte la formazione e aver rischiato l'esonero nell'estate 1962. Nel 1961 porta in Italia con sé Suarez, lancia Facchetti e Mazzola, 'inventa' Picchi libero, da terzino che era; dal Brasile arriva Jair; dalla Juventus Burgnich. Con Moratti e Herrera, ha un ruolo decisivo nella costruzione della Grande Inter anche il direttore sportivo Italo Allodi, 'il grande tessitore', che mette a segno una serie di grandi colpi, anche se altri rimangono incompiuti per cause di forza maggiore (Pelé ed Eusebio). Nel 1963 l'Inter torna a essere campione d'Italia; l'anno dopo vince la Coppa dei Campioni (3-1 al Real) e la Coppa Intercontinentale (con l'Independiente), ma perde lo scudetto nello spareggio di Bologna, dopo un Campionato avvelenato dalla vicenda del presunto doping rossoblu. Il 1965 è l'anno dell'en-plein: scudetto, dopo una storica rincorsa con sorpasso sul Milan (avanti di sette punti il 31 gennaio), Coppa dei Campioni (1-0 al Benefica) e Coppa Intercontinentale (di nuovo con l'Independiente). Nel 1966 in Coppa dei Campioni l'Inter è eliminata in semifinale dal Real, ma conquista lo scudetto della stella. L'anno successivo perde tutto in quattro giorni: a Lisbona, contro il Celtic, fallisce la conquista della terza Coppa dei Campioni (maggio) e a Mantova, all'ultima giornata di Campionato, è battuta e viene superata dalla Juventus. È la fine della Grande Inter. Herrera pretende la cessione di Picchi e Guarneri e il 18 maggio 1968 Moratti, Herrera e Allodi lasciano la squadra. Il nuovo presidente è Ivanoe Fraizzoli, che conquista il suo primo scudetto nel 1971, dopo un altro felice inseguimento su Napoli (avanti di 7 punti) e Milan (6 punti). L'Inter è a questo punto una giusta miscela fra uomini della vecchia guardia (Burgnich, Facchetti, Jair, Mazzola e Corso) e giovani emergenti (Giubertoni, Bellugi, Bertini), ai quali si aggiunge Boninsegna, gran cannoniere tornato all'Inter dopo essere maturato lontano da Milano. Nel 1972 gioca la quarta finale di Coppa dei Campioni e la perde a Rotterdam, contro l'Ajax, dopo aver vinto al secondo turno con il Borussia Mönchengladbach di Netzer (ottenendo una vittoria legale a causa del lancio dagli spalti di una lattina che aveva colpito Boninsegna). La sconfitta con l'Ajax segna l'inizio di una fase involutiva, che si concluderà soltanto nel 1980, quando l'Inter, ristrutturata da Sandro Mazzola che aveva lasciato il calcio il 2 luglio 1977 per diventare consigliere delegato neroazzurro, vince lo scudetto dopo aver guidato il Campionato fin dalla prima giornata. La squadra ha campioni veri come Bordon, Oriali, Giuseppe Baresi, Marini, Altobelli, il geniale Beccalossi e giocatori come Mozzini, Bini, Canuti, Caso, Muraro e Pasinato, funzionali al modulo di Eugenio Bersellini, che guida la squadra per cinque anni, dal 1977 al 1982, quando l'Inter vince la Coppa Italia sul Torino. Il 12 marzo 1984 a Fraizzoli subentra Ernesto Pellegrini, che ristruttura la società, porta a Milano Rummenigge e Brady, e poi nel 1986, Trapattoni, con il quale vince lo scudetto con punteggio record (58 punti) nel maggio 1989, nel segno di Berti e Matthäus, Bergomi e Zenga, Ferri e Bianchi, Brehme e Matteoli, Mandorlini, Serena e Diaz. Trapattoni torna alla Juventus nel 1991, ma prima regala all'Inter, che non vinceva in Europa da 26 anni, la Coppa UEFA. La partenza di Trapattoni è un duro colpo per la squadra, anche se con Bagnoli, nel 1993, sfiora lo scudetto (secondo posto alle spalle del Milan). Nel 1994 i neroazzurri si salvano all'ultima giornata dalla retrocessione in serie B, ma vincono nuovamente la Coppa UEFA.
Il 12 aprile 1995, Pellegrini lascia. L'Inter torna ai Moratti; questa volta il presidente è Massimo, che, pur con molte sofferenze, sfiora la Coppa UEFA nel 1997 (sconfitta in finale ai rigori contro lo Schalke 04) e lo scudetto nel 1998 (secondo posto alle spalle della Juventus, nel 'campionato dei veleni'). In quello stesso anno, a Parigi, l'Inter vince la sua terza Coppa UEFA contro la Lazio. Moratti cambia tantissimi giocatori e molti allenatori, ma ha il merito di portare a Milano il campione più famoso del mondo: Ronaldo, prima entusiasmante e poi frenato dagli infortuni. La stagione morattiana continua fra enormi attese e grandi delusioni, sfiorando di nuovo lo scudetto nel 2002.
Denominazione e sede: Internazionale Football Club Milano, Milano
Anno di fondazione: 1908
Presidente: Massimo Moratti
Direttore generale: Luciano Cucchia
Stadio: Giuseppe Meazza (85.500 spettatori)
Vittore nazionali: 13 Campionati (1910, 1920, 1930, 1938, 1940, 1953, 1954, 1963, 1965, 1966, 1971, 1980, 1989), 3 Coppe Italia (1939, 1978, 1982), 1 Supercoppa Italiana (1989)
Vittorie internazionali: 2 Coppe dei Campioni (1964, 1965), 2 Coppe Intercontinentali (1964, 1965), 3 Coppe UEFA (1991, 1994, 1998), 1 Mundialito Clubs (1981)
Giocatori più rappresentativi: Meazza, Frossi, Lorenzi, Corso, Suarez, Facchetti, S. Mazzola, Picchi, Burgnich, Altobelli, Ronaldo, Vieri
Giocatori con il maggior numero di presenze in Campionato: Bergomi (519), Facchetti (476), Mazzola (418)
Giocatori con il maggior numero di gol in Campionato: Meazza (246), Cevenini (156), Lorenzi (138)
Allenatori più rappresentativi: Veisz, Meazza, Foni, Helenio Herrera, Bersellini, Trapattoni, Bagnoli, Hodgson, Lippi
Ipswich Town
Ipswich è una città di 112.000 abitanti, capoluogo della contea di Suffolk, a un'ottantina di chilometri da Londra. Il locale club di calcio nasce nel 1878, ma soltanto nel 1936 accede al professionismo e nel 1938 alla Football League. La sua storia è stata caratterizzata più dagli allenatori che dai giocatori. Il tecnico dell'unica vittoria in Premier League, nel 1962, è stato Alf Ramsey, che quattro anni dopo avrebbe guidato la nazionale inglese alla conquista del titolo mondiale e, per questo, sarebbe stato nominato Sir. Manager della Coppa UEFA 1981 è stato invece Bobby Robson, commissario tecnico dell'Inghilterra semifinalista ai Mondiali italiani del 1990, e in seguito allenatore del Barcellona di Ronaldo. Alla Coppa UEFA, che costituisce l'unico trofeo europeo della società, contribuì, con ben 14 gol, John Wark. Dopo un'assenza durata cinque anni, l'Ipswich è tornato nella Premiership nel 2000.
Denominazione e sede: Ipswich Town Football Club, Ipswich
Anno di fondazione: 1878
Presidente: David Sheepshanks
Segretario: David C. Rose
Colori sociali: blu-bianco
Stadio: Portman Road (23.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 1 Campionato (1962), 1 Coppa d'Inghilterra (1978)
Vittorie internazionali: 1 Coppa UEFA (1981)
Giocatori più rappresentativi: Mills, Crawford, Mariner, Butcher, Wark, Brazil, Thijssen, A. Muhren, Taricco, Stewart
Giocatore con il maggior numero di presenze: Mick Mills (591)
Giocatore con il maggior numero di gol: Ray Crawford (203)
Allenatori più rappresentativi: S. Duncan, Ramsey, B. Robson, Duncan, Lyall, Burley
Juventus
Sono gli studenti del Liceo classico Massimo D'Azeglio a fondare, il 1° novembre 1897, lo Juventus Football Club. Juventus, "gioventù": resta un mistero quel piccolo vezzo ortografico, molto inglese e poco latino, la 'j' al posto della 'i'. Alcuni avrebbero voluto chiamarla Augusta Taurinorum, altri Vigor et Robur, altri ancora Fatigando delectamur. Il primo presidente è Eugenio Canfari, la prima sede è uno stallaggio di via Piazzi 4, alla Crocetta. La prima partita ufficiale di Campionato si svolge l'11 maggio 1900 e termina con la sconfitta di misura, 1-0, contro il Football Club Torinese. Le maglie di percalle rosa non piacciono e John Savage, industriale inglese tifoso della Juventus, ordina quelle rosse del Nottingham Forest, ma per un errore gli recapitano le casacche bianconere del Notts County, l'altra squadra di Nottingham. Nel 1905, la Juventus vince il suo primo scudetto: il portiere è Durante, un pittore, il cannoniere, Donna, è iscritto alla facoltà di giurisprudenza. Nel 1913 la squadra risulta ultima nel girone piemontese; per fortuna, non esistono ancora le retrocessioni.
Nessun club al mondo può vantare la peculiarità dinastica della Juventus, dal 24 luglio 1923 legata a un'unica famiglia: gli Agnelli. È Edoardo, figlio del fondatore della FIAT, a inaugurare la 'galleria'. Gli subentreranno i figli Giovanni e Umberto. Con il primo Agnelli alla presidenza, la Juventus diventa un'azienda. Nel 1926, arriva il secondo titolo e poi i cinque consecutivi del quinquennio 1931-1935. Combi, Rosetta (prelevato dalla Pro Vercelli, primo caso di professionismo), Caligaris, Raimundo 'Mumo' Orsi ‒ strappato all'Independiente, 8000 lire al mese d'ingaggio più una FIAT 509 ‒, Renato Cesarini, Luisito Monti, Felice 'farfallino' Borel. La tragica morte di Edoardo Agnelli segna un momento delicato. Anno cruciale, il 1947: il 2 marzo, debutta in bianconero Giampiero Boniperti; il 22 luglio, Giovanni Agnelli è eletto presidente. Sono tante le Juventus che hanno fatto la storia: la grande squadra di Boniperti e degli assi danesi Praest, John e Karl Hansen, la formazione del trio Boniperti-Charles-Sivori e, nel suo piccolo, anche la Juventus del movimiento di Heriberto Herrera. A Giovanni Agnelli, nel frattempo, è subentrato il fratello Umberto, presidente della Juventus e contemporaneamente, per un paio d'anni, della Federazione. Non a caso, il Campionato 1960-61 finisce in polemica. Una pacifica invasione di campo porta alla sospensione della sfida cruciale con l'Inter. Angelo Moratti e Helenio Herrera pretendono la vittoria a tavolino. La FIGC impone, viceversa, la replica della partita, che avrà luogo il 10 giugno 1961. Per protesta, l'Inter schiera i giovani della Primavera. L'incontro, terminato 9-1 per i bianconeri con sei gol di Sivori, vede insieme l'ultima partita di Boniperti e il debutto assoluto, nell'Inter, di Sandro Mazzola, figlio del grande Valentino.
Nel luglio 1971, comincia il ciclo di Boniperti presidente. Italo Allodi e Pietro Giuliano sono i manager che ne illuminano la gestione. La squadra viene rifondata. Mentre la FIAT assume manodopera meridionale, la Juventus si rivolge al Sud per migliorare la qualità della sua rosa: Pietro Anastasi, siciliano; Franco Causio, leccese; Antonello Cuccureddu, sardo. Dopo Vycpalek e Parola, Boniperti scrittura come allenatore un ex mediano del Milan, Giovanni Trapattoni. In dieci anni di servizio, conquisterà ben sei scudetti e tutti i trofei internazionali, a cominciare dalla Coppa UEFA (1977), l'unica Coppa vinta da una squadra tutta italiana. Alla riapertura delle frontiere, nel 1980, il primo straniero è l'irlandese Liam Brady. Dopo l'ingaggio, nel 1982, di Michel Platini e Zibì Boniek arrivano altri scudetti. Non mancano le pagine buie: nel 1980, la Juventus viene coinvolta nello scandalo scommesse (la partita incriminata è Bologna-Juventus 1-1) ed evita soltanto per poco possibili penalizzazioni. Il 29 maggio 1985 è la notte dell'Heysel a Bruxelles: la furia degli hooligans uccide 39 tifosi poco prima della finale di Coppa dei Campioni con il Liverpool. Ancora da ricordare sono le morti di Armando Picchi nel 1971, Gaetano Scirea nel 1989 e Andrea Fortunato nel 1995.
L'irruzione di Silvio Berlusconi al Milan e di Diego Maradona al Napoli, nonché il ritiro di Platini (maggio 1987) rivoluzionano le gerarchie vigenti. Boniperti si dimette nel febbraio 1990, l'interregno di Luca Montezemolo porta all'acquisto di Roberto Baggio (dalla Fiorentina), ma anche all'esclusione dall'Europa. L'avvocato Agnelli richiama d'urgenza Boniperti e Trapattoni. Ma il Milan è troppo forte. Nel 1994, si verifica un ulteriore cambiamento che vede Umberto Agnelli alla guida del club. Il rilancio operativo è affidato ad Antonio Giraudo, Roberto Bettega e Luciano Moggi, mentre l'allenatore è Marcello Lippi. La Juventus torna a primeggiare in un'altalena di prodezze e di veleni. Celebra il centenario, nel 1997, aggiudicandosi il ventiquattresimo e penultimo titolo. Riconquista il titolo europeo e quello mondiale. L'incipit è dato dal 'tridente' Ravanelli-Vialli-Baggio. Quest'ultimo lascia il testimone ad Alessandro Del Piero. I dirigenti risanano il bilancio e distribuiscono, addirittura, dividendi agli azionisti. Dopo la conquista del venticinquesimo scudetto, nella seconda metà del 1998 si rovesciano sulla Juventus il grave infortunio di Del Piero e le accuse di abuso di farmaci lanciate da Zdenek Zeman. Il Pubblico Ministero torinese Raffaele Guariniello apre un'inchiesta che sfocia nel rinvio a giudizio dell'amministratore delegato Antonio Giraudo e del medico sociale Riccardo Agricola: l'accusa è di frode sportiva (doping).
Oggi, la 'Vecchia Signora', come la definì Gianni Brera, è indiscutibilmente la squadra italiana che ha il maggior numero di tifosi e la situazione economica più florida. In attesa di avere uno stadio tutto suo, la Juventus è tornata ad agitare il mercato. Ha prelevato Nedved dalla Lazio, Buffon e Thuram dal Parma. In compenso, il trasferimento di Zinedine Zidane al Real Madrid, perfezionato il 9 luglio 2001, ha fruttato 150 miliardi di lire. Il 20 dicembre 2001 la società è entrata in Borsa, terzo club italiano dopo Lazio e Roma. I due secondi posti nei Campionati 2000 e 2001 sono costati la panchina a Carlo Ancelotti. Al suo posto, è stato richiamato Lippi, che ha subito riportato la squadra alla vittoria dello scudetto.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Football Club Juventus, Torino
Anno di fondazione: 1897
Presidente: Vittorio Caissotti di Chiusano
Direttore generale: Luciano Moggi
Colori sociali: bianco-nero
Stadio: Delle Alpi (69.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 26 Campionati (1905, 1926, 1931, 1932, 1933, 1934, 1935, 1950, 1952, 1958, 1960, 19-61, 1967, 1972, 1973, 1975, 1977, 1978, 1981, 1982, 1984, 1986, 1995, 1997, 1998, 2002), 9 Coppe Italia (1938, 1942, 1959, 1960, 1965, 1979, 1983, 1990, 1995), 2 Supercoppe Italiane (1995, 1997)
Vittorie internazionali: 2 Coppe dei Campioni/ Champions League (1985, 1996), 1 Coppa delle Coppe (1984), 3 Coppe UEFA (1977, 1990, 1993), 2 Supercoppe Europee (1984, 1996), 2 Coppe Intercontinentali (1985, 1996), 1 Mundialito Clubs (1983)
Giocatori più rappresentativi: Parola, Boniperti, Charles, Sivori, Zoff, Scirea, Platini, R. Baggio, Zidane, Del Piero
Giocatori con maggior numero di presenze in Campionato: Boniperti (444), Scirea (377), Furino (361)
Giocatori con maggior numero di gol in Campionato: Boniperti (178), Sivori (134), Bettega (129)
Allenatori più rappresentativi: Carcano, Brocic, Heriberto Herrera, Vycpalek, Trapattoni, Lippi
Lazio
La Società Sportiva Lazio viene fondata il 9 gennaio 1900 da un ufficiale dei bersaglieri, Luigi Bigiarelli. I colori sono il bianco e il celeste, per un omaggio alla Grecia, patria dell'Olimpiade moderna. La prima disciplina praticata è il podismo, ma due anni dopo la fondazione, un socio del Racing Club di Parigi, Bruto Seghettini, amico di Bigiarelli, fa conoscere ai giovani della Lazio il gioco del calcio e costruisce quella che sarà in seguito la più importante polisportiva d'Italia. Presto la fama dei biancocelesti supera i confini regionali, tanto che, nel 1907, la Lazio viene invitata a Pisa per disputare il primo Campionato centromeridionale. Capitanata da Sante Ancherani, vince tre partite in un solo giorno contro Lucca (3-0), Pisa (4-0) e Livorno (1-0). Nel 1913 e nel 1914 la Lazio, ormai una realtà al pari di Casale, Pro Vercelli e Genoa, giunge a un passo dal titolo nazionale diputandone la finale assoluta. Nel 1915, giunta alle soglie della terza finale assoluta, viene fermata dallo scoppio del conflitto bellico e dalla Federazione che assegna d'ufficio lo scudetto al Genoa. Nel 1923 la Lazio perde la terza finale assoluta proprio contro il Genoa. Nel 1927, il presidente, generale Vaccaro, si oppone al progetto del gerarca fascista Italo Foschi, che vuole assorbire la Lazio nella nascente unione di altre squadre che daranno vita alla AS Roma. Il generale Vaccaro riesce a salvare la Lazio anche in virtù della denominazione 'Ente Morale' assegnata per decreto Regio nel 1921.
La Lazio compie un notevole salto di qualità nel 1934, quando viene 'strappato' all'Inter Silvio Piola, il 'fenicottero' di Robbio Lomellina, che diventa subito un leader e con i suoi gol contribuisce ad aumentare la fama della società. Nel 1935 il centravanti della Lazio viene convocato in nazionale e debutta a Vienna con una storica doppietta all'Austria. Lascia Roma nel 1943, dopo 243 presenze e 159 reti. Nel dopoguerra giocano con la maglia biancoceleste calciatori di primissimo ordine, fra i quali Alzani e Sentimenti IV, ma il primo vero successo arriva soltanto nel 1958, in Coppa Italia, quando la Lazio di Bernardini, di Lovati e del presidente Zenobi supera in finale la Fiorentina grazie a una rete di Prini.
Gli anni Sessanta sono infelici per la Lazio, che scende spesso in serie B. Dopo numerose vicissitudini societarie, arriva alla presidenza un imprenditore edile romano: Umberto Lenzini. Impiega cinque anni per costruire una grande squadra: nel 1970 però ingaggia Chinaglia, Pulici, Wilson, Re Cecconi e Frustalupi, chiama Tommaso Maestrelli in panchina, vince la Coppa delle Alpi e torna in serie A. La Lazio è ormai in grado di giocare alla pari con le squadre più forti, dà spettacolo e nel Campionato 1972-73 si fa sfuggire lo scudetto proprio all'ultima giornata (perdendo contro il Napoli, 0-1, gol di Damiani). Si laurea campione d'Italia l'anno successivo, battendo il 12 maggio 1974 ‒ fra l'entusiasmo dei tifosi dell'Olimpico ‒ il Foggia, con un gol su rigore di Chinaglia, che è anche capocannoniere con 24 reti.
Sembra il primo di una serie di successi, invece seguono giorni tristi, a cominciare dall'impossibilità di disputare la Coppa dei Campioni a causa della squalifica europea rimediata il 7 novembre 1973 per una 'rissa' contro gli inglesi dell'Ipswich. Nel 1976 Chinaglia va negli Stati Uniti per giocare a New York nei Cosmos, Maestrelli si ammala e muore, Re Cecconi viene tragicamente ucciso l'anno successivo. Nel 1980, lo scandalo del calcio-scommesse sconvolge il club: quattro giocatori (Cacciatori, Wilson, Giordano e Manfredonia) vengono portati nel carcere di Regina Coeli il 23 marzo, subito dopo la partita Pescara-Lazio, e la Lazio, assolta in primo grado, è condannata dalla CAF alla retrocessione in serie B. Lenzini lascia la presidenza (morirà il 22 febbraio 1987). Negli anni Ottanta la squadra continua a passare dalla serie A alla serie B e nel 1987, dopo essere partita con una penalizzazione di nove punti riesce ad evitare, sotto la guida di Eugenio Fascetti e grazie agli spareggi di Napoli contro Campobasso e Taranto, di scendere in serie C.
Torna definitivamente nella massima serie nel 1988. Intanto ha cambiato proprietario: nel 1986 diviene presidente Gian Marco Calleri (lo avevano preceduto Aldo Lenzini, Gian Casoni, Giorgio Chinaglia, tornato da New York, e Franco Chimenti). Calleri e il suo socio Renato Bocchi si propongono grandi obiettivi. Arrivano campioni come Ruben Sosa, Riedle, Doll e Gascoigne ma soprattutto l'intuizione felice di Calleri è quella di affidare la panchina a Dino Zoff.
Il 12 marzo 1992 Calleri cede la Lazio a Sergio Cragnotti per 25 miliardi. Si volta pagina. Il finanziere romano investe centinaia di miliardi per campioni affermati come Vieri, Mancini, Veron, Salas, Mihajlovic, punta su giovani come Nedved e Conceição, affida a Zoff un ruolo dirigenziale e a Eriksson il compito di allenare la squadra. La Lazio, prima società calcistica italiana a essere quotata in Borsa, si piazza stabilmente ai primi posti delle classifiche mondiali. Arrivano infatti grandi successi in Italia e in Europa e la conquista dello scudetto, della Coppa Italia e della Supercoppa Italiana, nella stagione 1999-2000, quella del centenario, al termine di un testa a testa con la Juventus, superata in classifica all'ultima giornata. L'anno successivo la Lazio ha una partenza lenta: la posizione di Eriksson, sicuramente destinato a diventare commissario della nazionale inglese a fine stagione, distrae la squadra. Dopo aver perso 1-2 in casa contro il Napoli, Cragnotti esonera lo svedese e rimette Zoff in panchina. La Lazio finisce terza dietro Roma e Juventus, nonostante i 26 gol del capocannoniere Crespo, pagato 110 miliardi. Nel 2001-02, a fronte delle sofferte cessioni di Verón e Nedved, vengono acquistati Mendieta, César, Fiore, Stam, Liverani e Giannichedda, ma i risultati sono deludenti.
Fabrizio Maffei
Denominazione e sede: Società Sportiva Lazio, Roma
Anno di fondazione: 1900
Presidente: Sergio Cragnotti
Direttore generale: Massimo Cragnotti
Colori sociali: bianco-celeste
Stadio: Olimpico (82.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 2 Campionati (1974, 2000), 3 Coppe Italia (1958, 1998, 2000), 2 Supercoppe Italiane (1998, 2000)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1999), 1 Supercoppa Europea (1999), 1 Coppa delle Alpi (1970)
Giocatori più rappresentativi: Piola, Sentimenti IV, Chinaglia, D'Amico, Re Cecconi, Giordano, Signori, Crespo, Verón, Nesta
Giocatori con il maggior numero di presenze: Wilson (324), Puccinelli (319), D'Amico (276)
Giocatori il con maggior numero di gol: Piola (143), Signori (107), Chinaglia (98)
Allenatori più rappresentativi: Bernardini, Maestrelli, Fascetti, Zeman, Zoff, Eriksson
Leeds United
Il Leeds United nasce dalle ceneri del Leeds City, fondato nel 1904 e messo al bando dalla Federazione nel 1919 per fondi neri. Ha caratterizzato il calcio britannico a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta. Sotto la guida di Don Revie, in carica dal 1961 al 1974, ha vinto due Campionati, una Coppa d'Inghilterra e una Coppa di Lega, e due Coppe delle Fiere. Quel Leeds poteva contare su individualità di primo piano come Jacky Charlton (fratello di Bobby, difensore centrale e poi campione del Mondo con la Nazionale nel 1966), Bremner, Jordan, Lorimer, Giles. Singolari gli intrecci che legano il Leeds alla Juventus: il centravanti gallese John Charles (42 gol in seconda divisione, 1953-54) fu ceduto ai bianconeri nel 1957; a spese della Juventus fu conquistata nel 1970-71 l'ultima edizione della Coppa delle Fiere (2-2 al Comunale, 1-1 a Elland Road). Invece alla finale di Coppa dei Campioni fra Bayern e Leeds, disputata a Parigi nel 1975 e vinta per 2-0 dai tedeschi, è legata una delle prime sortite continentali degli hooligans, con la città sotto assedio, le vetrine infrante e la polizia costretta a intervenire con numerose cariche.
Il Leeds ha vinto l'ultimo Campionato nel 1992, grazie alla doti strategiche dell'allenatore Howard Wilkinson e all'avvento di Eric Cantona, che di lì a poco sarebbe diventato l'idolo del Manchester United. La squadra attuale, diretta dall'irlandese David O'Leary, pratica un calcio effervescente ed è ricca di giovani molto interessanti: gli australiani Harry Kewell (23 anni) e Mark Viduka (26), il difensore e nazionale inglese Rio Ferdinand (23), l'irlandese ed ex interista Robbie Keane (21). La società ha inoltre prelevato dal Liverpool Robbie Fowler, la 'spalla' di Michael Owen. Il 12 gennaio 2000 due giocatori del Leeds, Lee Bowyer e Jonathan Woodgate, sono stati protagonisti di un grave episodio di razzismo: facevano parte di un gruppo di cinque persone ubriache che, all'uscita di un night club, hanno picchiato selvaggiamente un giovane pakistano. In sede penale, Bowyer è stato assolto con formula piena, mentre Woodgate è stato giudicato colpevole di rissa ma non di aggressione, e condannato a 100 ore di lavoro socialmente utile.
Denominazione e sede: Leeds United Football Club, Leeds
Anno di fondazione: 1919
Presidente: Peter Ridsdale
Segretario generale: Ian Silvester
Colori sociali: bianco-giallo-blu
Stadio: Elland Road (40.000)
Vittorie nazionali: 3 Campionati (1969, 1974, 1992), 1 Coppa d'Inghilterra (1972), 1 Coppa di Lega (1968)
Vittorie internazionali: 2 Coppe delle Fiere (1968, 1971)
Giocatori più rappresentativi: Charles, Sprake, Bremner, Jacky Charlton, Lorimer, Giles, Jordan, Cantona, Kewell, Viduka
Giocatore con il maggior numero di presenze: Jacky Charlton (629)
Giocatore con il maggior numero di gol: Peter Lorimer (168)
Allenatori più rappresentativi: Hampson, Revie, Stein, Wilkinson, Graham, O'Leary
Liverpool
Liverpool è soprattutto la città dei Beatles ma anche del Liverpool Football Club, uno dei simboli del calcio inglese. Il club, che dalle maglie rosse deriva il nome di battaglia Reds, nasce da una costola dell'Everton, l'altra squadra cittadina. L'Everton giocava sui terreni di Anfield. Quando il proprietario, John Houlding, ex fabbricante di birra, giudice di pace e poi sindaco, decide di aumentare l'affitto del campo, la maggior parte dei soci lo abbandona e lui, per ripicca, si mette in proprio, fondando un nuovo sodalizio. Vorrebbe portare con sé il nome Everton, ma la Federazione glielo impedisce e così sceglie quello di Liverpool. Nel 1901 la squadra vince per la prima volta il Campionato. Altri quattro titoli seguiranno nel 1906, 1922, 1923, 1947.
Nel 1954 il Liverpool retrocede, segnando il peggiore momento della sua storia. Per risalire, impiega otto lunghe e tribolate stagioni. Gli uomini della svolta sono Bill Shankly e Bob Paisley. Shankly, allenatore scozzese, in carica dal dicembre 1959 al 1974, debutta con un terzo posto nel Campionato cadetto e 90 gol. Firma acquisti d'autore: Yeats, Callaghan, Hunt, implacabile goleador, Milne, St. John. I risultati sono di tutta evidenza: nel 1964 il Liverpool vince il Campionato, nel 1965 la prima Coppa d'Inghilterra e nel 1966 nuovamente il Campionato. Shankly ha carta bianca e non sbaglia un colpo: Ray Clemence tra i pali, poi John Toshack, gigante gallese, Steve Heighway. Il fiore all'occhiello è Kevin Keegan, un'ala tutta dribbling e fantasia. Il Campionato e la Coppa UEFA del 1973, la Coppa d'Inghilterra l'anno successivo segnano l'ennesima, e definitiva, affermazione.
All'innovatore Shankly subentra, dopo quindici anni, uno dei suoi più fedeli assistenti, Bob Paisley, che non ha lo stesso carisma, ma che si rivela un formidabile gestore. Il suo mandato si protrarrà dal 1974 al 1983. Nel 1976, il Liverpool si assicura un'altra doppietta: Campionato-Coppa UEFA. Sul piano tattico quel Liverpool si rivela un'efficace via di mezzo tra il calcio d'attacco dell'Ajax e il calcio d'attesa del Bayern. Sono anni di dominio assoluto, in patria e all'estero: cinque Campionati dal 1973 al 1980; altri sei dal 1982 al 1990; inoltre quattro Coppe dei Campioni, dal 1977 al 1984, conquistate a scapito del Borussia Mönchengladbach, del Bruges, del Real Madrid e della Roma (dopo i rigori nella finale all'Olimpico). A Paisley succede Joe Fagan (1983-85), a Keegan, che nel 1977 si trasferisce ad Amburgo, Kenny Dalglish, scozzese del Celtic, attaccante atipico, con uno spiccato senso del gol, non proprio come il gallese Ian Rush, l'ultimo dei centravanti classici e suo partner ideale, ma quasi. Graeme Souness, un altro scozzese, è l'indiscusso regista. In porta, irrompe Bruce Grobbelaar, le cui inclinazioni 'clownesche' rivoluzionano il modello dell'austera scuola britannica, ma che finirà male, travolto da uno scandalo di scommesse illegali.
La storia del Liverpool è legata anche a due grandi tragedie. Il 29 maggio 1985, all'Heysel di Bruxelles, in occasione della finale di Coppa dei Campioni con la Juventus, gli hooligans si scatenano prima dell'inizio della partita: 39 vittime e decine di feriti. Il 15 aprile 1989, allo stadio Hillsborough di Sheffield, per la semifinale di Coppa d'Inghilterra con il Nottingham Forest, la sconsiderata apertura dei cancelli determina una strage: 96 tifosi dei Reds muoiono schiacciati. Per i fatti dell'Heysel, il Liverpool e tutte le altre squadre inglesi sono bandite dalla UEFA per cinque stagioni. Nonostante questi episodi drammatici, il Liverpool, piano piano, recupera dignità e autorevolezza. Se l'ultimo Campionato vinto risale al 1990, la stagione 2000-01 è stata suggellata da una strepitosa serie: Coppa di Lega, Coppa d'Inghilterra, Coppa UEFA, Charity Shield (la Supercoppa Inglese) e Supercoppa Europea (3-2 al Bayern, a Montecarlo). Allenatore, dal 1998, è il francese Gérard Houllier, mentre il simbolo indiscusso della squadra è Michael Owen, Pallone d'oro nel 2001. Nel Regno Unito, soltanto il Manchester United vanta un seguito popolare superiore a quello del Liverpool, con la differenza, però, che l'inno dei tifosi del Liverpool, You'll never walk alone, è diventato una sorta di colonna sonora nazionale.
Denominazione e sede: Liverpool Football Club, Liverpool
Anno di fondazione: 1892.
Presidente: David R. Moores
Direttore generale: Rick Parry
Colori sociali: rosso
Stadio: Anfield Road (45.000 spettatori)
Vittorie nazionali 18 Campionati (1901, 1906, 1922, 1923, 1947, 1964, 1966, 1973, 1976, 1977, 1979, 1980, 1982, 1983, 1984, 1986, 1988, 1990), 6 Coppe d'Inghilterra (1965, 1974, 1986, 1989, 1992, 2001), 6 Coppe di Lega (1981, 1982, 1983, 1984, 1995, 2001), 1 Charity Shield (2001)
Vittorie internazionali: 4 Coppe dei Campioni (1977, 1978, 1981, 1984), 3 Coppe UEFA (1973, 1976, 2001), 2 Supercoppe Europee (1977, 2001)
Giocatori più rappresentativi: Callaghan, Hunt, Neal, Toshack, Clemence, Keegan, Dalglish, Souness, Rush, Owen
Giocatore con il maggior numero di presenze: Callaghan (640)
Giocatore con il maggior numero di gol: Hunt (245)
Allenatori più rappresentativi: Watson, Shankly, Paisley, Fagan, Dalglish, Houllier
Magdeburgo
Prima di assumere l'attuale denominazione, la squadra si è successivamente chiamata SG Einhert-Sudenburg, BSK Krupp, BSG Stahl, BSG Motor, BSG Motor Mitte, SC Aufbau. Negli anni Settanta il Magdeburgo faceva tremare le squadre europee più prestigiose. è stata l'unica formazione della Germania Est a vincere una competizione europea: la Coppa delle Coppe nel 1974, piegando il favoritissimo Milan. Un suo giocatore, Jürgen Sparwasser, è stato l'autore del gol che decise lo storico derby tedesco ai Mondiali del 1974 (quando la Germania Ovest vinse il titolo). Il suo miglior cannoniere in assoluto, Joachim Streich, poi, fu il primo a superare la soglia delle 100 gare in nazionale.
Dopo la caduta del Muro di Berlino il club ha preferito lasciare il calcio professionista. Dotato di un vivaio eccellente, ha vinto la Coppa di Sassonia nel 1993, nel 1998 e nel 2000. È tornato, per un attimo, alla grande ribalta il 2 novembre 2000, quando ha eliminato dalla Coppa il Bayern Monaco: impresa incredibile per una formazione di dilettanti.
Sergio Rizzo
Denominazione e sede: 1. FC Magdeburg, Magdeburgo
Presidente: Lutz Trümper
Direttore generale: Bernd Lindner
Colori sociali: blu-bianco
Stadio: Ernst Grube Stadion (25.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campionati (1972, 1974, 1975), 7 Coppe della Germania Est (1964, 1965, 1969, 1973, 1978, 1979, 1983)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1974)
Giocatori più rappresentativi: Sparwasser, Pommerenke, Hoffman, Streich
Allenatore più rappresentativo: Krugel
Manchester City
Il Manchester City è nato nel 1894 dai resti di un piccolo sodalizio, l'Ardwick Football Club, operativo dal 1887 ma poi fallito per bancarotta. Soltanto negli anni Sessanta e Settanta è riuscito a competere con l'altra squadra della città, il Manchester United, che poi ha preso il netto sopravvento.
L'ultimo trofeo del City risale al 1976 (Coppa di Lega) e l'unica conquista europea, la Coppa delle Coppe, al 1970 (2-1 ai polacchi del Gornik Zabrze nella finale di Vienna). Il club non ha vinto alcun titolo nazionale dal 1968. La gestione più positiva sul piano dei risultati rimane legata a Joe Mercer (1965-1971). Era, quello, il grande City di Colin Bell e Francis Lee. Nel City, prima di passare al Torino e di lì al Manchester United, ha giocato anche lo scozzese Denis Law.
Le fortune del City sono andate poi via via declinando. Nel 1996, la squadra è retrocessa e nel 1998 è scesa ulteriormente di categoria. Riuscito a risalire in Premier League al termine della stagione 1999-2000, il Manchester City ha subito una nuova retrocessione nella successiva.
Anno di fondazione: 1894
Presidente: David A. Bernstein
Segretario generale: Bernard Halford
Colori sociali: celeste-bianco
Stadio: Maine Road (34.000)
Vittorie nazionali: 2 Campionati (1937, 1968), 4 Coppe d'Inghilterra (1904, 1934, 1956, 1969), 2 Coppe di Lega (1970, 1976)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1970)
Giocatori più rappresentativi: T. Johnson, Trautmann, Book, Law, Oakes, Doyle, Summerbee, Lee, Bell, Kinkladze
Giocatore con il maggior numero di presenze: Alan Oakes (565)
Giocatore con il maggior numero di gol: Tommy Johnson (158)
Allenatori più rappresentativi: Wild, Mercer, Allison, Bond, Royle, Keegan
Manchester United
Il Manchester United è, oggi, la società alla quale tutti, nel mondo dello sport, fanno riferimento come modello e sorgente di ricchezza. Le sue origini risalgono al 1878 e la sua fondazione si deve agli operai della Yorkshire & Lancashire Railway Company, un'azienda che costruisce vagoni ferroviari. Costoro decidono di dar vita, in un deposito di vagoni, a un sodalizio calcistico, chiamato Newton Heath, dal nome del sobborgo della città in cui è situata la fabbrica. All'inizio del 20° secolo, sull'orlo della bancarotta, il piccolo club evita il crack grazie ai generosi contributi di un ricco birraio, John H. Davies. Il benefattore si accolla i debiti e, poiché il nome Newton Heath non gli piace, nel marzo 1902 lo cambia in The Manchester United Football Club. Davies individua in Ernest Mangnall il manager cui affidare la direzione della squadra. È una scelta felice, come testimoniano le vittorie in Campionato del 1908 e del 1911 e la Coppa d'Inghilterra del 1909. Fra i protagonisti di questi successi, James Turnbull, attaccante scozzese, e Billy Meredith, gallese specializzato nei cross. A Davies si deve anche la costruzione dello stadio di Old Trafford, che allora era un periferico 'quartiere dormitorio'.
Il Venerdì Santo del 1915, dopo aver sconfitto per 2-0 il Liverpool, lo United è accusato di aver 'combinato' il risultato e nel 1934 rischia addirittura la retrocessione in terza divisione. La Seconda guerra mondiale accentua la crisi. Manchester, centro industriale fra i più importanti del Regno Unito, viene pesantemente bombardata. I tedeschi non risparmiano nemmeno Old Trafford e così, per oltre quattro anni, lo United è costretto a giocare a Maine Road, l'impianto dell'altra squadra cittadina, il Manchester City. A cambiare la storia concorrono un tecnico e una tragedia. Il tecnico è Matthew 'Matt' Busby, scozzese di Bellshill. Nel 1945, assume la direzione tecnica di un club allo sbando, assalito dai creditori. Lo trasforma, piano piano, in una squadra di successo, rimanendo in carica sino al 1969, per poi diventare presidente onorario.
Il dramma si consuma alle 15.04 di giovedì 6 febbraio 1958, all'aeroporto di Monaco di Baviera, dove i 'diavoli rossi' hanno fatto scalo, reduci da Belgrado (3-3 con la Stella Rossa in Coppa dei Campioni). Durante una forte nevicata, al terzo tentativo di decollo, il bimotore si alza ma non prende quota, sfiora il tetto di una casa, si schianta contro una baracca di legno. Delle 43 persone a bordo, ne muoiono 23, fra cui otto giocatori ‒ Roger Byrne, Eddie Colman, Mark Jones, Tommy Taylor, Billy Whelan, Geoff Bent, David Pegg, Duncan Edwards ‒ e tre membri dello staff tecnico. La ricostruzione parte da due superstiti, Matt Busby e Bobby Charlton. I Busby babes ‒ i giovani allevati da Busby ‒ riscuotono la simpatia di tutta l'Inghilterra e di tutta l'Europa per la tragedia subita dalla squadra, oltre che per il valore tecnico e agonistico. A Bobby Charlton, il leader indiscusso, precettato alla periferia di Newcastle quando era ancora un ragazzo, si affiancano il genio di Denis Law, la fantasia di George Best, l'esuberanza di Nobby Stiles. Il Manchester United di Matt Busby conquista, complessivamente, cinque Campionati, due Coppe d'Inghilterra, una Coppa dei Campioni (4-1 al Benfica di Eusebio dopo i tempi supplementari), la prima vinta da una squadra inglese. Inoltre, esprimerà ben tre Palloni d'oro, con Law, Charlton e Best.
Il secondo grande ciclo è legato ad Alex Ferguson, classe 1941, scozzese come Busby. S'insedia nel 1986 e nel 1990, alla quarta stagione, quando sta per essere licenziato in assenza di risultati, guida lo United alla vittoria in Coppa d'Inghilterra. Il vivaio torna a fiorire: Ryan Giggs, David Beckham, Nicky Butt, Paul Scholes, Phil e Gary Neville. Come simbolo della ripresa, Ferguson scrittura un giocatore francese che diventerà l'idolo della folla: Eric Cantona. Il Manchester United non vinceva il titolo dal 1967. Con Ferguson raccoglie sette vittorie in Campionato dal 1993 al 2001, quattro Coppe d'Inghilterra, una Coppa di Lega, una Champions League (quella, incredibile, di Barcellona con il Bayern: 0-1 al 90′, 2-1 al 92′), una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, una Coppa Intercontinentale. Un vero e proprio 'poker' si ha nel 1999: Campionato, Coppa d'Inghilterra, Champions League, Coppa Intercontinentale.
Nel 1998, lo United è sul punto di essere acquistato da Rupert Murdoch, il magnate televisivo di BSkyB. I tifosi si ribellano e l'operazione non va in porto. Nel 2001, secondo una ricerca della CNN, il Manchester United vanta la più alta media di spettatori d'Europa: 67.461. Quotata in Borsa, la società ha trasformato lo stadio di Old Trafford in un salotto e il merchandising in un'autentica miniera d'oro: da tre anni è una delle squadre più ricche e griffate. Nel febbraio 2001 ha siglato un accordo commerciale con i New York Yankees di baseball.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Manchester United Football Club, Manchester
Anno di fondazione: 1878
Presidente: Martin Edwards
Direttore generale: Peter Kenyon
Stadio: Old Trafford (56.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 14 Campionati (1908, 1911, 1952, 1956, 1957, 1965, 1967, 1993, 1994, 1996, 1997, 1999, 2000, 2001), 10 Coppe d'Inghilterra (1909, 1948, 1963, 1977, 1983, 1985, 1990, 1994, 1996, 1999), 1 Coppa di Lega (1992)
Vittorie internazionali: 2 Coppe dei Campioni/ Champions League (1968, 1999), 1 Coppa delle Coppe (1991), 1 Supercoppa Europea (1991), 1 Coppa Intercontinentale (1999)
Giocatori più rappresentativi: Meredith, Byrne, Best, Law, Bobby Charlton, Stiles, Cantona, Beckham, Giggs, Roy Keane
Giocatore con il maggior numero di presenze in Campionato: Bobby Charlton (606 )
Giocatore con il maggior numero di gol in Campionato: Bobby Charlton (199)
Allenatori più rappresentativi: Mangnall, Busby, Docherty, Sexton, Atkinson, Ferguson
Mechelen
Nata come Football Club Malines, la squadra ha assunto l'attuale denominazione (in fiammingo) nel 1970. Nel Campionato 2000-01 il KV Mechelen è retrocesso nuovamente in seconda divisione, dopo esservi già stato dal 1997 al 1999. Oggi, quindi, non c'è più traccia della squadra che ha segnato almeno due epoche per il calcio belga: quella tragica dell'invasione nazista e del primissimo dopoguerra, quando vinse i Campionati del 1943, 1946 e 1948, e quella della fine degli anni Ottanta. Al primo periodo appartengono giocatori come Rik Coppens, Albert DeCley e, soprattutto, il leggendario Victor Lemberechts. Al secondo periodo ‒ quando il successo fu favorito dalle enormi possibilità finanziarie del presidente John Cordier ‒ sono legati il tecnico De Mos e una schiera di campioni: il valido portiere Michel Preud'homme, i difensori Leo Clijster e Graeme Rutjies, i centrocampisti Marc Emmers ed Erwin Koeman, gli attaccanti Piet Den Boer ed Eli Ohana. Il KV Mechelen, che era sceso in seconda divisione nel 1976, tornò nella prima nel 1983, nel 1987 vinse la Coppa del Belgio e l'anno successivo, nel suo esordio europeo, la Coppa delle Coppe e la Supercoppa Europea. In Campionato fu primo nel 1989, secondo nel 1987, 1988 e 1991. Poi arrivarono i guai economici di Cordier, e la storia della squadra finì, regalando un ultimo fuoriclasse, Alex Czerniatynski.
Denominazione e sede: Koninklijk Verein Mechelen, Mechelen (Malines)
Anno di fondazione: 1904
Presidente: Willy Van den Wijngaert
General manager: Geert Lermyte
Colori sociali: giallo-rosso
Stadio: Achter de Kazerne (14.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 4 Campionati (1943, 1946, 1948, 1989), 1 Coppa del Belgio (1987)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1988), 1 Supercoppa Europea (1988)
Giocatori più rappresentativi: Coppens, DeCley, Lemberechts, Preud'homme, Emmers, Den Boer, Ohana, Czerniatynski
Giocatore con il maggior numero di gol: DeCley (350)
Allenatori più rappresentativi: Van Damme, De Mos, Krol, Leekens, Van Hoof
Milan
Il Milan Cricket and Football Club nasce nel dicembre 1899, a opera di sei distinti signori inglesi: Alfred Edwards (che verrà eletto primo presidente), Barnett, David Allison, Herbert Kilpin (un fuoriclasse per l'epoca, attorno a cui nascerà la prima formazione rossonera), Edward Nathan e Samuel Richard Davies. Nel giro di poche settimane, a loro si aggiungono cinque esponenti della più bella borghesia lombarda: Pirelli, Angeloni, Camperio, Valerio e Dubini. L'entusiasmo è tale che, nel giro di un anno, il nuovo club si affilia alla FIF (Federazione italiana football), trova un campo tutto suo, il Trotter ‒ uno sterrato periferico dove oggi sorge la Stazione Centrale ‒, ingloba i soci della Ginnastica Mediolanum e conquista il suo primo scudetto (1901), superando il Genoa. La formazione (Hoode, Sutter, Gadda, Lees, Kilpin, D. Angeloni, Recalcati, Davies, Negretti, Allison, G. Colombo) è caratterizzata soprattutto da stranieri. Il secondo e il terzo titolo italiano arrivano invece nel 1906 e nel 1907, dopo che (1905) dalla denominazione sociale originaria è scomparso il riferimento al cricket (ora i rossoneri si chiamano semplicemente Milan Football Club). Superstiti dello scudetto vinto nel 1901 sono soltanto il capitano e fondatore Herbert Kilpin e Guerriero Colombo. Nel 1908 da una costola rossonera nasce l'Inter (FBC Internazionale Milano), a opera di un gruppetto di soci dissidenti rispetto all'atteggiamento del club che, in polemica con il veto federale sul tesseramento degli stranieri, si rifiuta di prendere parte al Campionato. Il 18 ottobre 1908, a Chiasso, nell'ambito di un quadrangolare amichevole con i padroni di casa e il Bellinzona, si gioca così il primo derby: vincono i più esperti rossoneri per 2-1. Tuttavia questi sono tempi duri per il club milanista, incapace di emergere da un''aurea mediocrità'. Allo strapotere della Pro Vercelli negli anni Dieci, i rossoneri oppongono soltanto tre campioni che entreranno nella storia: il terzino Renzo De Vecchi, soprannominato 'il figlio di Dio', la punta Aldo Cevenini (Cevenini I), il primo di una dinastia di fratelli-calciatori, l'attaccante belga Luigi Van Haege (97 gol in Campionato e più di 50 nelle varie Coppe), che inaugura la ricca tradizione milanista in tema di cannonieri. Per ritrovare un altro attaccante di razza bisognerà attendere gli anni Trenta quando, con la maglia a strisce rosse e nere, esploderà Aldo Boffi, brianzolo per tre volte capocannoniere del Campionato.
È soltanto nella seconda metà degli anni Quaranta, con l'avvento alla presidenza di Umberto Trabattoni coadiuvato a livello manageriale dal genero Toni Busini, che gli scenari milanisti incominciano a mutare in meglio. Trabattoni aveva provato a risvegliare un ambiente apatico ingaggiando addirittura Peppino Meazza, simbolo interista e uno dei più grandi giocatori italiani di tutti i tempi, scaricato dai neroazzurri per un problema a un piede. Nelle due stagioni al Milan, la squadra per cui faceva il tifo da ragazzino, Meazza aveva messo a segno nove reti in 37 partite, togliendosi pure lo sfizio di segnare un gol (derby del 9 febbraio 1941) agli ex compagni di squadra. La rinascita pilotata da Trabattoni e Busini sfocia nello scudetto 1950-51, il quarto della storia rossonera, caratterizzato dalle gesta di un trio svedese, il Gre-No-Li dalle iniziali dei suoi componenti (Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e Nils Liedholm), destinato a entrare nella leggenda. Guidati in panchina dall'ungherese Lajos Czeizler, i nuovi campioni mettono a segno ben 107 gol, esibendo la potenza devastante di Nordahl, capocannoniere per la seconda stagione consecutiva (al termine della carriera i suoi successi nella classifica riservata ai goleador saranno cinque). Ormai il Milan è un club di vertice e a dimostrarlo sono i Campionati tra il 1951 e il 1954, con un secondo e due terzi posti, ultimi sussulti della gestione Trabattoni.
A partire dal Campionato 1954-55, con l'avvento alla presidenza dell'editore Andrea Rizzoli, prende il via una nuova era di successi. I rossoneri vincono quattro scudetti tra il 1955 e il 1962 e nel 1963, superando i portoghesi del Benfica, conquistano a Wembley la Coppa dei Campioni, il primo trofeo continentale colto da una squadra italiana. Rizzoli rifonda il club regalandogli il centro sportivo di Milanello e chiamando a sé uomini che entreranno di diritto nella 'galleria degli antenati' rossoneri: dal direttore tecnico Viani all'allenatore Nereo Rocco, fino a campioni come Schiaffino, Rivera, Altafini, Cesare Maldini, Sani. In compenso Nordahl se ne va nel 1956, mentre Liedholm chiuderà nel 1961, dopo 12 stagioni, ritornando però a più riprese nella storia del club in qualità di allenatore (in maniera fugace tra il 1964 e il 1965, poi dal 1977 al 1979 e dal 1984 al 1987).
Nel ventennio che segue la fine della presidenza Rizzoli, il Milan conquista soltanto due scudetti (nel 1967-68, presidente Franco Carraro e allenatore Nereo Rocco, e nel 1978-79, presidente Felice Colombo e allenatore Nils Liedholm), perdendone in maniera clamorosa almeno altrettanti (nel 1964-65, allenatore ancora Liedholm, nonostante sette punti di vantaggio sull'Inter, e nel 1972-73, direttore tecnico Rocco e allenatore Maldini, per effetto della sconfitta a Verona, un 5-3, subito proprio sul filo di lana). In compenso la sala dei trofei si arricchisce di un buon numero di Coppe internazionali, cominciando da una seconda Coppa dei Campioni (il 28 maggio 1969, con il successo sull'Ajax per 4-1 nella finale di Madrid, presidente Carraro, allenatore Rocco) e proseguendo con una Coppa Intercontinentale a spese degli argentini dell'Estudiantes (1969, presidente Carraro e allenatore Rocco) e due Coppe delle Coppe (1967-68 a Rotterdam contro l'Amburgo, presidente Carraro e allenatore Rocco; 1972-73 a Salonicco contro il Leeds, presidente Buticchi e allenatore ancora Rocco). Le figure che si alternano al vertice della società sono invece contraddittorie: da Felice Riva, investito da un crac finanziario di vaste proporzioni, ai Carraro (Luigi e Franco, padre e figlio); da Buticchi, discusso petroliere, a Vittorio Duina, soprannominato il 're dei tubi'; da Felice Colombo, imprenditore brianzolo travolto dallo scandalo del calcio-scommesse, a 'Giussi' Farina, agricoltore veneto che conduce il club alle soglie del fallimento. In questo lasso di tempo il Milan conosce pure, per due volte, l'amarezza della retrocessione in serie B: la prima, nel 1980, per effetto di un pronunciamento della magistratura sportiva che ha appurato il diretto coinvolgimento della società gestita da Felice Colombo nella vicenda delle scommesse; la seconda, nel 1982, per veri e propri demeriti dimostrati sul campo.
Sull'orlo del baratro con la gestione Farina (per la prima volta nella storia del calcio italiano i libri contabili di un club vengono portati in tribunale per una questione di IVA non pagata), il Milan trova il suo riscatto con Silvio Berlusconi, imprenditore dall'intuito finissimo che, dopo avere sfondato in campo edile, si è imposto inventando in Italia la televisione privata. Ereditando dal suo criticato predecessore l'ossatura di una squadra comunque fortissima (Baresi, Tassotti, Filippo Galli, Maldini, Costacurta, Evani e Virdis), il nuovo presidente si muove inseguendo un traguardo: fare del Milan la squadra più famosa del mondo. Per raggiungerlo, non soltanto interviene con acquisti mirati (si contano a decine i grandi campioni ingaggiati dal nuovo Milan: dal trio olandese Gullit-Van Basten-Rijkaard, a Donadoni, Ancelotti, Boban, Savicevic, Baggio, Weah, Shevchenko e Rui Costa per limitarsi ai più conosciuti) ma si batte anche per riscrivere le convenzioni calcistiche. È infatti allora, con Berlusconi, che gli organici si allargano per sopportare il turnover, si inventa la figura del team manager e si abolisce l'odiosa norma che sanziona lo 0-2 a tavolino nell'eventualità di un avversario colpito dagli spalti.
Oltre che organizzativa, la rivoluzione innescata da Berlusconi presidente è ovviamente anche tecnica: favorisce infatti l'arrivo di Arrigo Sacchi, allenatore sconosciuto prelevato dal Parma in serie B, il cui merito principale può essere individuato nella mentalità aggressiva conferita alla squadra. Poi Sacchi, troppo integralista e ossessivo, viene sostituito da Fabio Capello, ex centrocampista che aveva partecipato alla conquista del decimo scudetto, quello della stella. Il cambio produce effetti stupefacenti, tanto che i rossoneri non soltanto centrano quattro scudetti in cinque stagioni ma mettono a segno un'impresa che sarà difficilmente ripetibile: 58 partite senza sconfitte in Campionato, dal 26 maggio 1991 (ultima gara con Sacchi in panchina) al 21 marzo 1993 (Milan-Parma, 0-1). Nasce così la leggenda degli 'Invincibili' e, con essa, quella del Milan di Berlusconi che, a dispetto di scenari fortemente modificati (la concorrenza interna e internazionale diventa negli anni più esasperata, disperdendo in mille rivoli i pochi giocatori di talento), si conferma con lo scudetto numero 16, conquistato quando in panchina siede Alberto Zaccheroni. A dimostrazione di come, pur mutando gli uomini e i loro interessi (dalla prima metà degli anni Novanta Berlusconi si dà alla politica), a sopravvivere sia soprattutto l'organizzazione nata da idee vincenti. Non è un caso, pertanto, che il nuovo 'rinascimento' rossonero abbia prodotto ulteriori trionfi: 6 scudetti, 3 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali, 3 Supercoppe Europee e 4 Supercoppe Italiane, facendo davvero del Milan una delle squadre più famose del mondo.
Denominazione e sede: Milan Associazione Calcio S.p.A, Milano
Anno di fondazione: 1899
Presidente: Silvio Berlusconi
Vicepresidente e amministratore delegato: Adriano Galliani
Direttore generale: Ariedo Braida
Colori sociali: rosso-nero
Stadio: Giuseppe Meazza (85.500 spettatori)
Vittore nazionali: 16 Campionati (1901, 1906, 1907, 1951, 1955, 1957, 1959, 1962, 1968, 1979, 1988, 1992, 1993, 1994, 1996, 1999), 4 Coppe Italia (1967, 1972, 1973, 1977), 4 Supercoppe Italiane (1988, 1992, 1993, 1994)
Vittorie internazionali: 5 Coppe dei Campioni/ Champions League (1963, 1969, 1989, 1990, 1994), 3 Coppe Intercontinentali (1969, 1989, 1990), 2 Coppe delle Coppe (1968, 1973), 3 Supercoppe Europee (1989, 1990, 1994), 1 Mundialito Clubs (1987)
Giocatori più rappresentativi: Gren, Nordahl, Liedholm, Schiaffino, Rivera, Gullit, Van Basten, Rijkaard, P. Maldini, Baresi
Giocatori con il maggior numero di presenze: Baresi (719), Rivera (658), P. Maldini (649), Tassotti (583), Costacurta (510), Anquilletti (418), C. Maldini (412), Liedholm (394)
Giocatori con il maggior numero di gol: Nordahl (221), Rivera (164), Altafini (161), Boffi (136), Van Basten (124), G. Santagostino (106), Prati (102)
Allenatori più rappresentativi: Czeizler, Viani, Rocco, Liedholm, Sacchi, Capello
Millonarios
Lo sciopero dei calciatori argentini del 1948 favorisce un esodo massiccio di giocatori in Colombia, dove, a causa di una scissione interna alla Federcalcio, varie società sono considerate fuori legge dalla FIFA. Tra queste è il Millonarios di Bogotá, fondato il 22 maggio 1946 sulle ceneri del Deportivo Municipal, a sua volta fondato nel 1938. Nonostante abbia solo due anni il club è ricchissimo. Il presidente Alfonso Senior ingaggia dal River Plate la stella Alfredo Pedernera (5000 persone lo aspettano all'aeroporto El Techo di Bogotá e 25.000 lo salutano entusiaste alla presentazione nello stadio) e due giovani promettenti: Alfredo Di Stefano e Nestor Rossi. Nasce una squadra formidabile, pur se 'irregolare', denominata ballet azul ("balletto azzurro"). Vince quattro titoli in cinque anni (1949-53) e dà spettacolo, organizzando tournées in giro per il mondo.
Nel 1953, reintegrato nella FIFA il calcio colombiano ribelle, con il passaggio di Di Stefano al Real Madrid, finisce l'epopea del Millonarios, rimasta sì un'importante squadra colombiana, ma senza l'impatto internazionale che aveva conosciuto negli anni d'oro, quando in Sudamerica era nota come el dorado colombiano. Tuttavia il successo nella Coppa Merconorte 2001 autorizza a sperare in un ritorno a buoni livelli.
Matteo Dotto
Denominazione e sede: Club Deportivo Los Millonarios, Bogotá
Anno di fondazione: 1946
Presidente: Jorge Eliecer Franco Pineda
Colori sociali: bianco-azzurro
Stadio: El Campín (45.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 13 Campionati (1949, 1951, 1952, 1953, 1959, 1961, 1962, 1963, 1964, 1972, 1978, 1987, 1988)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Merconorte (2001)
Giocatori più rappresentativi: Pedernera, Nestor Rossi, Di Stefano, Gamboa, Ballesteros, Ortiz, Quintana, Iguaran, Estrada, Pimentel
Giocatori con il maggior numero di presenze in Coppa Libertadores: Ortiz (27), Iguaran (27)
Giocatore con il maggior numero di gol in Coppa Libertadores: Iguaran (11)
Allenatori più rappresentativi: Pedernera, Ochoa Uribe, Sanchez, Dellacha, Garcia, Popovic
Nacional
Il Club Nacional de Fútbol nasce il 14 maggio 1899 dalla fusione di due piccole squadre della capitale (Montevideo Football Club e Uruguay Athletic de la Unión), con l'intento di strappare il dominio ai club d'origine straniera, come l'Albion e il Central Uruguay Railway Cricket Club (CURCC, futuro Peñarol), d'estrazione inglese, o il Deutscher Fussball Klub, di derivazione tedesca. Negli anni Venti si consacrano con la maglia tricolore (bianco-rosso-blu) del Nacional i primi campioni del calcio oriental, come Scarone, Romano, Petrone e Andreolo, questi ultimi due a lungo protagonisti in Italia. È targata Nacional anche l'ossatura della nazionale uruguayana due volte campione olimpica (1924 e 1928) e campione del Mondo nel 1930. Quando, alla fine degli anni Trenta, arrivano i primi stranieri fa sensazione il goleador argentino Atilio Garcia.
Il Campionato è dominato dalla coppia Nacional-Peñarol, ma mentre i rivali conquistano nel 1960 la prima edizione della Coppa Libertadores, il Nacional deve aspettare il 1971 per consacrarsi a livello continentale. Subito dopo arriva il successo nella Coppa Intercontinentale ai danni del Panathinaikos, che permette all'Uruguay di fregiarsi, dopo più di vent'anni, di un titolo mondiale, sia pure a livello di club. Decisivi la solidità del centrocampista Montero Castillo (padre del difensore juventino Paolo) e i gol di Luis Cubilla e dell'argentino Luis Artime.
Negli anni Ottanta arrivano il secondo e il terzo successo tanto nella Coppa Libertadores come nella Coppa Intercontinentale (1980 e 1988). Per il Nacional, tuttavia, queste vittorie saranno il 'canto del cigno' a livello internazionale.
Matteo Dotto
Denominazione e sede: Club Nacional de Football, Montevideo
Anno di fondazione: 1899
Presidente: Eduardo Ache
Colori sociali: bianco-rosso-blu
Stadi: Parque Central (16.000 spettatori), Centenario (73.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 38 Campionati (1902, 1903, 1912, 1915, 1916, 1917, 1919, 1920, 1922, 1923, 1924, 1933, 1934, 1939, 1940, 1941, 1942, 1943, 1946, 1947, 1950, 1952, 1955, 1956, 1957, 1963, 1966, 1969, 1970, 1971, 1972, 1977, 1980, 1983, 1992, 1998, 2000, 2001)
Vittorie internazionali: 3 Coppe Libertadores (1971, 1980, 1988), 3 Coppe Intercontinentali (1971, 1980, 1988), 2 Coppe Interamericane (1972, 1989), 1 Recopa Sudamericana (1989)
Giocatori più rappresentativi: Scarone, Romano, Petrone, Andreolo, Garcia, Cubilla, Artime, Morales, De León, Recoba
Giocatori con il maggior numero di presenze: Garcia (464), Scarone (369), Romano (363)
Giocatore con il maggior numero di gol: Scarone (301)
Allenatori più rappresentativi: Castro, Zezé Moreira, Etchamendi, Mujica, Fleitas, De León
Napoli
Il calcio, anzi il football, sbarca a Napoli nel 1904, data di fondazione del primo club, il Naples. Inizialmente le sfide tra i circoli, frequentati da moltissimi giovanotti stranieri che a Napoli gestiscono gli affari marittimi, contano più delle prime competizioni ufficiali. Si comincia a fare sul serio, per caso o per improvvisa consapevolezza, dopo l'impresa sfiorata dal Savoia ‒ squadra di Torre Annunziata alla quale era stato fino a quel momento consegnato il primato regionale ‒ che nel 1924 contende lo scudetto al Genoa. A quel tempo il Naples originario si è già fuso con l'Internazionale, la squadra degli italiani, per dar vita all'Internaples (1922). Il 1° agosto 1926 la denominazione del club diventa Associazione Calcio Napoli, marchio che resisterà fino al 25 giugno 1964, data dell'ultima rifondazione in Società Sportiva Calcio Napoli.
L'uomo della svolta è Giorgio Ascarelli, il primo grande presidente. Per tre anni convince la Federazione ad allargare i gironi, evitando ingloriose retrocessioni, e soprattutto porta a Napoli Willy Garbutt, un grande allenatore. Purtroppo Ascarelli muore appena trentaseienne, nel 1930, per una peritonite fulminante. La sua gestione accorta è rinnegata dal successore, Giovanni Maresca di Serracapriola, che firma un assegno di 250.000 lire per il primo acquisto folle della storia del Napoli, Rico Colombari, nazionale del Torino. La notizia suscita enorme scalpore: con quella cifra, infatti, si potevano acquistare 60 frigoriferi, tanto per citare uno degli oggetti più desiderati (e meno posseduti) dagli italiani d'allora. La vera stella però è Attila Sallustro, idolo della tifoseria partenopea ma anche vittima della propria notorietà: un dilettante che rifiuta lo stipendio e l'idea di poter giocare lontano da Napoli. Meno personaggio, ma ancora più efficace, è Antonio Vojak (il fascismo lo ribattezza Vogliani), che a tutt'oggi detiene il primato per il maggior numero di gol segnati in maglia azzurra.
Nel 1936 si affaccia alla ribalta, senza grandi entusiasmi, Achille Lauro, che per oltre trent'anni condizionerà nel bene e nel male il calcio napoletano. Il Napoli gli viene imposto come onere dal Federale in cambio di appoggi alla sua attività di armatore. L'amore per la squadra, e insieme l'intuizione che il calcio possa essere uno straordinario veicolo pubblicitario per chi ha disegni politici, arrivano dopo la guerra. E arrivano anche i grandi investimenti come Hasse Jeppson, svedese, soprannominato 'mister 105 milioni', il primo calciatore acquistato per una cifra superiore ai cento milioni. Costa molto meno, ma renderà molto di più, Vinicio, brasiliano ingaggiato durante una tournée del Botafogo. Intorno a poche perle, tanti comprimari o campioni sul viale del tramonto (come Amadei e Pivatelli), e una girandola di allenatori, molti dei quali bravi (Renato Cesarini ed Eraldo Monzeglio), ma poco disposti a tollerare le ingerenze e le bizzarrie del comandante Lauro. Le delusioni sono più frequenti delle gioie. Le due retrocessioni in serie B (1960-61 e 1962-63), intervallate dalla conquista della Coppa Italia (la prima ottenuta da una squadra di serie B), segnano il punto di non ritorno. Lauro continuerà a pesare, soprattutto con i suoi crediti, sulla vita della società, ma le scelte strategiche toccheranno ad altri. Roberto Fiore porta a Napoli Sivori e Altafini che, con Pesaola in panchina, formano un trio sudamericano perfettamente compatibile con il carattere del tifoso napoletano. Il terzo posto in Campionato del 1966 viene salutato come il possibile inizio di un ciclo dorato, ma ecco nuovamente Lauro che avanza le sue pretese, imponendo il figlio Gioacchino come presidente. Arriva ‒ non era mai successo in sessantadue anni ‒ il secondo posto in Campionato (1967-68, alle spalle del Milan), seguito però dall'interdizione di Lauro jr., destituito dall'incarico dal padre per gli eccessivi sprechi nella gestione del 'giocattolo' di famiglia.
Nel 1969 comincia l'era Ferlaino, la più ricca di vittorie e insieme di contestazioni. Gli inizi sono modesti, fin quando non torna, questa volta in panchina, il vecchio idolo Vinicio, primo a importare in Italia il 'gioco totale', che avrebbe fatto dell'Olanda l'esempio per generazioni di allenatori. Nel Campionato 1974-75 il Napoli si piazza ancora al secondo posto, a due punti dalla Juventus. Sembra che occorra l'ultima spallata, un colpo grosso. Ferlaino esagera e acquista dal Bologna Beppe Savoldi per 2 miliardi. È subito scandalo, i benpensanti ritengono che quei soldi avrebbero potuto invece essere destinati a far fronte ai problemi di Napoli. L'investimento frutta introiti miliardari e il record di abbonamenti venduti (70.402, vale a dire lo stadio sempre pieno), ma non lo scudetto. La Coppa Italia del 1975-76 chiude l'era Vinicio e apre l'ennesima parentesi buia. La retrocessione viene evitata in extremis nel 1979-80. Dopo il terzo posto del 1980-81, la svolta coincide con l'arrivo di Diego Armando Maradona, accolto da eroe in un San Paolo esaurito solo per lui, il 4 luglio 1984. A credere alla possibilità di realizzare il grande affare è Antonio Juliano, il vecchio capitano diventato dirigente; non sarà lui, tuttavia, a gestire l'età dell'oro napoletana, sostituito da Allodi e poi da Moggi. In panchina, prima Ottavio Bianchi, che a Napoli ha vissuto la sua migliore stagione da giocatore, e successivamente Bigon. In campo, a proteggere Maradona, ci sono Bagni e De Napoli, poi anche Crippa e Alemão; in attacco, ad assecondarne l'estro, Giordano e Carnevale, poi Careca, Romano e Mauro; in porta, prima Garella e poi Galli; in difesa si passa da Bruscolotti, Ferrara, Renica e Ferrario a Francini, Baroni e Fusi. In quattro stagioni, tra il 1987 e il 1990, arrivano due scudetti, due secondi posti (nel 1988 il Campionato viene perso incredibilmente, con una rimonta di cinque punti, nelle ultime partite, del Milan), un'altra Coppa Italia (1987), una Coppa UEFA (1989) e una Supercoppa Italiana (1990): dopo sessant'anni d'astinenza, sono risultati anche troppo esaltanti. Con Maradona sempre più distratto da altri pensieri, il crollo diventa inevitabile: la sua squalifica per assunzione di cocaina mette fine all'epopea napoletana. Così anche per Ferlaino torna il tempo della contestazione. Due retrocessioni in tre anni (dal 1998 al 2001) riportano il Napoli indietro di quarant'anni. Ferlaino abbandona definitivamente nel febbraio 2002 e poco dopo, per alcuni mesi, la società finisce in amministrazione giudiziaria.
Denominazione e sede: Società Sportiva Calcio Napoli, Napoli
Anno di fondazione: 1926
Presidente: Giorgio Corbelli
Colori sociali: bianco-azzurro
Stadio: San Paolo (78.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 2 Campionati (1987, 1990),
3 Coppe Italia (1962, 1976, 1987), 1 Supercoppa
Italiana (1990)
Vittorie internazionali: 1 Coppa UEFA (1989), 1 Coppa delle Alpi (1966), 1 Coppa di Lega italo-inglese (1977)
Giocatori più rappresentativi: Sallustro, Colombari, Vojak, Jeppson, Amadei, Pesaola, Bugatti, Vinicio, Juliano, Sivori, Altafini, Savoldi, Bruscolotti, Krol, Ferrario, Maradona, Ferrara
Giocatori con il maggior numero di presenze: Bruscolotti (387), Juliano (355), Ferrario (310), Bugatti (256), Ferrara (247)
Giocatori con il maggior numero di gol: Vojak (102), Maradona (81), Sallustro (78), Careca (73), Altafini (71), Vinicio (69)
Allenatori più rappresentativi: Garbutt, Monzeglio,
Cesarini, Pesaola, Vinicio, Bianchi, Bigon
Newcastle United
Le origini del club sono umili e sofferte: il Newcastle nasce come Stanley, ribattezzato poi Newcastle East End. Dalla sua fusione con il Newcastle West End deriva il Newcastle United. Gli anni di maggior gloria coincidono con i primi decenni del 20° secolo, quando la squadra schiera eccellenti giocatori: Colin Veitch, Jackie Rutherford, Jimmy Lawrence, Albert Shepherd. Fino allo scoppio della Prima guerra mondiale vince tre Campionati e partecipa a cinque finali di Coppa d'Inghilterra, conquistandone una. Poi poco alla volta il Newcastle scende a un livello molto modesto. L'ultimo Campionato vinto risale al 1927, l'ultima Coppa d'Inghilterra al 1955. A livello europeo si aggiudica solo la Coppa delle Fiere del 1969. Dopo una ripresa negli anni Ottanta (protagonisti Kevin Keegan, Peter Beardsley, Chris Waddle e, subito dopo, Paul Gascoigne), una grave crisi societaria porta la squadra nelle serie inferiori. Ma segue un'altra riscossa, documentata dai due secondi posti nel 1996 e nel 1997, con Keegan allenatore. Il simbolo della risurrezione è l'attaccante Alan Shearer, nativo proprio di Newcastle.
Denominazione e sede: Newcastle United Football Club, Newcastle-upon-Tyne
Anno di fondazione: 1882
Presidente: Sir John Hall
Direttore generale: Freddy Shepherd
Colori sociali: bianco-nero
Stadio: St. James Park (52.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 4 Campionati (1905, 1907, 1909, 1927), 6 Coppe d'Inghilterra (1910, 1924, 1932, 1951, 1952, 1955)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Fiere (1969)
Giocatori più rappresentativi: Lawrence, Milburn, McMichael, Moncur, MacDonald, Waddle, Cole, Gascoigne, Keegan, Shearer
Giocatore con il maggior numero di presenze: Jimmy Lawrence (432)
Giocatore con il maggior numero di gol: Jackie Milburn (177)
Allenatori più rappresentativi: Jacky Charlton, Ardiles, Keegan, Dalglish, Gullit, Bobby Robson
Nottingham Forest
Il Nottingham Forest è uno dei più antichi club inglesi. Prima di convertirsi al calcio, i soci fondatori praticavano lo shinney, una sorta di hockey. Il debutto ufficiale nel football è datato 22 marzo 1866: avversaria fu l'altra compagine cittadina, il Notts County, creato nel 1862. Come colore della casacca, il Nottingham scelse il Garibaldi red, in onore dell'eroe italiano, molto popolare nell'Inghilterra di allora. Il primo trofeo che figura nell'albo d'oro, la Coppa d'Inghilterra, appartiene ancora al 19° secolo (1898).
Nel contesto del football europeo il Nottingham detiene un record singolare: è riuscito a ricavare ben due Coppe dei Campioni ‒ quando ancora la manifestazione era aperta esclusivamente alle detentrici del titolo nazionale ‒ dall'unica vittoria ottenuta in Campionato, quella del 1978. Allenatore dell'epoca era il bisbetico ma geniale Brian Clough che nell'arco della sua gestione (1975-93) portò la squadra a conquistare anche quattro Coppe di Lega. La prima Coppa dei Campioni (1979) è stata vinta nella finale di Monaco di Baviera contro gli svedesi del Malmö: 1-0, gol di Trevor Francis. La seconda (1980) nella finale di Madrid contro l'Amburgo di Keegan: 1-0, rete di John Robertson. Portiere del Nottingham era Peter Shilton. La squadra non dava grande spettacolo, ma era solida e soprattutto sempre pronta a sfruttare il benché minimo errore dei rivali. Ulteriore conferma venne data dalla conquista della Supercoppa Europea del 1979 contesa con successo al Barcellona.
Gli anni Novanta non sono stati altrettanto positivi: il Nottingham è rimasto spesso in bilico fra retrocessioni e promozioni, e attualmente gioca nel Campionato cadetto; disastrosa la sua situazione economica.
Denominazione e sede: Nottingham Forest Football Club, Nottingham
Anno di fondazione: 1865
Presidente: Eric M. Barnes
Direttore generale: Mark A. Arthur
Colori sociali: rosso-bianco
Stadio: City Ground (30.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 1 Campionato (1978), 2 Coppe d'Inghilterra (1898, 1959), 4 Coppe di Lega (1978, 1979, 1989, 1990)
Vittorie internazionali: 2 Coppe dei Campioni (1979, 1980), 1 Supercoppa Europea (1979)
Giocatori più rappresentativi: Grenville Morris, McKinlay, Shilton, Robertson, O'Neill, Francis, Woodcock, Mills, Pearce, Collymore
Giocatore con il maggior numero di presenze: Bobby McKinlay (614)
Giocatore con il maggior numero di gol: Grenville Morris (199)
Allenatori più rappresentativi: Walker, Brian Clough, Atkinson, Platt, Hart
Olimpia Asunción
Fondata il 25 luglio 1902 da un professore di ginnastica olandese, William Paats, che in alternativa al nome di Club Olimpia aveva proposto quello di Sparta, rifacendosi allo Sparta di Rotterdam, è la squadra più titolata del Paraguay, l'unica ad aver ottenuto vittorie in campo internazionale. è anche, con il Cerro Porteno, la squadra più amata del paese.
Conquista il primo Campionato nel 1912, ma la sua prima grande stella brilla tra gli anni Venti e Trenta: è il goleador Aurelio Rodriguez, otto volte campione tra il 1925 e il 1938 e capocannoniere dell'edizione della Coppa America 1929, con cinque gol. A partire dagli anni Sessanta, con la nascita della Coppa Libertadores, l'Olimpia si afferma come uno dei più importanti club sudamericani. Finalista contro il Peñarol nella prima edizione, vince successivamente, con l'uruguayano Luis Cubilla in panchina (proprio il giocatore che nella finale del 1960 aveva segnato per il Peñarol), la Libertadores nel 1979 (seguita dal successo nella Coppa Intercontinentale sugli svedesi del Malmö) e di nuovo nel 1990. Con 31 partecipazioni, l'Olimpia è seconda, dietro il Peñarol, a livello di presenze nella Coppa e quarta (dietro Peñarol, Nacional e River Plate) per numero di partite disputate.
Denominazione e sede: Club Olimpia Asunción, Asunción
Anno di fondazione: 1902
Presidente: Osvaldo Domínguez Dibb
Colori sociali: bianco-nero
Stadi: Manuel Ferreira (40.000 spettatori), Estadio de la Liga Paraguaya (60.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 39 Campionati (1912, 1914, 1916, 1925, 1927, 1928, 1929, 1931, 1936, 1937, 1938, 1947, 1948, 1956, 1957, 1958, 1959, 1960, 1962, 1965, 1968, 1969, 1971, 1975, 1978, 1979, 1980, 1981, 1982, 1983, 1985, 1988, 1989, 1993, 1995, 1997, 1998, 1999, 2000)
Vittorie internazionali: 2 Coppe Libertadores (1979, 1990), 1 Coppa Intercontinentale (1979), 1 Coppa Interamericana (1980), 1 Supercoppa Sudamericana (1991), 1 Recopa Sudamericana (1991)
Giocatori più rappresentativi: Rodriguez, Almeida, Talavera, Guasch, Amarilla, Delgado, Gonzalez, Monzon, Neffa, Santa Cruz
Giocatore con il maggior numero di presenze in Coppa Libertadores: Almeida (118)
Giocatore con il maggior numero di gol in Coppa Libertadores: Amarilla (22)
Allenatori più rappresentativi: Durán Laguna, Gonzalez, Cubilla, Almeida
Olympique Marsiglia
L'Olympique Marsiglia, che insieme con il St.-Étienne ha il più bel palmarès del calcio francese (dieci Coppe nazionali e otto Campionati, con l'aggiunta della Coppa dei Campioni del 1993), viene fondato nel 1899 da un gruppo di studenti universitari e si impone in fretta nel campo professionistico. Una delle sue caratteristiche è dare spazio ai giocatori nordafricani, tra i quali i più famosi sono Mario Zatelli, Aznar, Ben Barek, ma, sopra a tutti, Ahmed Ben Bella, poi divenuto presidente dell'Algeria.
La caratteristica che accompagna il club fin dalle origini è l'alternanza di periodi di grandi successi ad altri di cadute catastrofiche. Il primo trofeo, la Coppa di Francia, porta la data del 1924, tredici anni prima della vittoria del Campionato. Nel secondo dopoguerra, il Marsiglia vince il Campionato nel segno di Gunnar Andersson, che stabilisce un primato di gol. Gli anni Settanta vengono inaugurati con un doppio successo in Campionato, anticipato dalla Coppa del 1969: la nuova stagione di vittorie è sicuramente dovuta alla coppia d'attacco Magnusson-Skoblar.
La svolta reale, però, coincide con l'arrivo a Marsiglia di Bernard Tapie, nel 1986. Personaggio dotato di grande intraprendenza e comunicativa, legato al presidente della Repubblica Mitterrand, Tapie, appena insediatosi alla presidenza, risveglia immediatamente la passione dei tifosi. Non risparmia investimenti, acquista giocatori, cambia la struttura organizzativa del club e nel 1989 si assicura la prima doppietta Campionato-Coppa. Nel 1990, con Gérard Gili in panchina, il Marsiglia manca la finale di Coppa dei Campioni per un gol di mano di Vata, nel ritorno della semifinale con il Benfica. Nel 1991, con Raymond Goethals, uno dei più grandi allenatori del mondo, non a caso chiamato 'Raymond la Science', belga, classe 1922, il Marsiglia elimina prima il Milan di Sacchi, nei quarti, e poi arriva alla finale di Coppa dei Campioni (a Bari) contro la Stella Rossa. Nella partita, dominata dalla tattica, prevalgono ai rigori gli iugoslavi. È un brutto colpo per la squadra, dove sono già presenti grandi campioni come Boli, il brasiliano Mozer, l'inglese Waddle, l'attaccante della nazionale francese Jean Pierre Papin, il fantasista del Ghana, Abedi Pelé. L'Olympique, tuttavia, non si ferma e conquista la Coppa dei Campioni ‒ primo trofeo europeo nella storia dei club francesi ‒ il 26 maggio 1993, a Monaco di Baviera, superando il Milan, grazie a un gol di Boli. È una grande formazione, con Barthez in porta, Angloma, Boli e Desailly in difesa, Sauzée, Deschamps e Pelé a centrocampo, Völler e Boksic in attacco. Tuttavia, mentre Deschamps alza al cielo la coppa, il declino del Marsiglia è già in corso, perché in Francia è appena scoppiato lo scandalo legato alla partita di Campionato contro il Valenciennes, di cinque giorni prima. Il portiere del Valenciennes, Glassmann, accusa Eydelie del Marsiglia di avergli offerto una somma di danaro in cambio della sconfitta. Lo scandalo coinvolge direttamente Tapie, che è costretto a lasciare la squadra. Il crollo è verticale: il Marsiglia si vede revocato il titolo di vincitore del Campionato 1992-93 per 'illecito sportivo' e viene retrocesso d'ufficio al termine della stagione successiva.
La squadra in qualche modo rinasce: nel 1996 torna in prima divisione e nel 1999 riesce a disputare la finale di Coppa UEFA, che tuttavia si conclude con una netta vittoria del Parma (3-0). Nello stesso anno la squadra chiude al secondo posto in Campionato, ma la gente di Marsiglia rimpiange i successi dell'era Tapie. E così, nella primavera 2001, l'ex presidente ‒ che nel frattempo ha visto sfasciarsi il suo impero finanziario, ha conosciuto la prigione, ha fatto con successo l'attore al cinema e in teatro ‒ torna come direttore generale, con regolare stipendio. È a lui che la città affida la speranza di tornare a dominare il Campionato.
Fabio Monti
Denominazione e sede: Olympique Marseille, Marsiglia
Anno di fondazione: 1899
Presidente: Robert Louis-Dreyfus
Direttore generale: Bernard Tapie
Colori sociali: bianco-celeste
Stadio: Vélodrome (60.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 8 Campionati (1937, 1948, 1971, 1972, 1989, 1990, 1991, 1992), 10 Coppe di Francia (1924, 1926, 1927, 1935, 1938, 1943, 1969, 1972, 1976, 1989)
Vittorie internazionali: 1 Coppa dei Campioni (1993)
Giocatori più rappresentativi: Andersson, Magnusson, Skoblar, Boli, Mozer, Papin, Deschamps, Angloma, Desailly, Boksic
Giocatore con il maggior numero di presenze: Scotti (360)
Giocatore con il maggior numero di gol: Andersson (169)
Allenatori più rappresentativi: Gili, Goethals
Palmeiras
Il Palmeiras nasce il 26 agosto 1914, fondato dagli italiani della Società dopolavoro di San Paolo, entusiasti dopo aver visto giocare la Pro Vercelli e il Torino, in tournée in Brasile. Il primo nome è 'Palestra Itália', 46 il numero di soci. Nello statuto è scritto che il club sarà a uso esclusivo degli italiani. La prima vittoria è 2-0 sullo Sport Club Savoia e il primo gol è dell'attaccante Branco, su rigore.
Alla squadra bastano pochi anni per arrivare a dominare la scena dello Stato di San Paolo: tre titoli paulisti negli anni Venti, quattro negli anni Trenta, finendo il Campionato del 1932 senza sconfitte e stabilendo il record di otto vittorie consecutive. Nel 1934 si inaugura il primo stadio, il Palestra Itália. Nel 1942, quando ormai è considerato tra le maggiori formazioni brasiliane, lo stato di guerra tra il Brasile e l'Asse mette in seria crisi il club, considerato 'italiano', se non addirittura 'fascista'. Prima della finale per il titolo paulista del 1942, le pressioni del Governo impongono di scegliere un nome più brasiliano. La prima proposta, 'Societade Esportiva Palestra de São Paulo', non convince; si arriva così, il 20 settembre 1942, al nome definitivo: 'Sociedade Esportiva Palmeiras' (a causa delle palme che circondano il Parque Antartica, sede del club).
Anche con la nuova denominazione, il club di origine italiana mantiene un ruolo di vertice nel calcio brasiliano. Uno dei grandi idoli della tifoseria biancoverde nella seconda metà degli anni Cinquanta è il giovane centravanti José Altafini che, dopo il Mondiale del 1958, viene ceduto al Milan per 150 milioni di lire. Gli anni Sessanta portano due Taças Brasil e due tornei 'Roberto Gomes Pedroza'. Per due volte, inoltre, il Palmeiras giunge in finale nella Coppa Libertadores.
Un altro glorioso capitolo della storia del club è scritto agli inizi degli anni Settanta, quando i biancoverdi conquistano due titoli di campione nazionale consecutivi: 1972 e 1973. Protagonista principale di questi successi è Osvaldo Brandão, uno dei principali tecnici brasiliani di sempre. È il Palmeiras del leggendario portiere Leão, idolo dei tifosi, di Eurico, di Luís Pereira, di Dudu, di Ademir da Guia, di César.
Il massimo splendore è raggiunto negli anni Novanta, con l'inizio della sponsorizzazione Parmalat. Sono gli anni delle grandi vittorie, durante i quali indossano la maglia del Palmeiras campioni della stregua di Cafu, Zago, Edilson, Luizão, Djalminha, Edmundo, Rincón, Junior, Alex, Flavio Conceicão, Roberto Carlos e soprattutto Rivaldo.
Il Palmeiras di oggi, che viene sponsorizzato dalla Pirelli, ha nel portiere Marcos e nella mezzala Lopes i suoi migliori talenti.
Darwin Pastorin
Denominazione e sede: Sociedade Esportiva Palmeiras, San Paolo
Anno di fondazione: 1914
Presidente: Mustafá Contursi
Direttore generale: Américo Faria
Colori sociali: bianco-verde
Stadio: Palestra Itália (Parque Atlantica) (32.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 4 Campionati brasiliani (1972, 1973, 1993, 1994), 21 Campionati paulisti (1920, 1926, 1927, 1932, 1933, 1934, 1936, 1940, 1942, 1944, 1947, 1950, 1959, 1963, 1966, 1972, 1974, 1976, 1993, 1994, 1996),
2 Taças Brasil (1960, 1967), 5 Tornei Rio-São Paulo (1933, 1951, 1965, 1993, 2000), 2 Tornei 'Roberto Gomes Pedroza' (1967, 1969), 1 Copa do Brasil (1998), 1 Copa dos Campeões (2000)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Libertadores (1999), 1 Coppa Mercosul (1998)
Giocatori più rappresentativi: Oberdan, da Rosa Pinto, Julinho, Djalma Santos, Ademir da Guia, Luis Pereira, Leão, Leivinha, Edmundo, Rivaldo
Giocatore con il maggior numero di presenze: Ademir da Guia (866)
Giocatore con il maggior numero di gol: Heitor (202)
Allenatori più rappresentativi: Brandão, Nunes, Minelli, Luxemburgo, Scolari
Paris Saint-Germain
Il Paris Saint-Germain viene fondato ufficialmente il 12 agosto 1970 grazie all'idea dell'industriale Guy Crescent e di Pierre Étienne Guyot, vicepresidente del Racing Club di Francia, i quali convincono i dirigenti dello Stade Sangermanois, un piccolo club della periferia parigina, a credere nel loro ambizioso progetto: dar vita alla squadra di calcio più forte di Francia. Mille sottoscrittori apportano il loro contributo finanziario all'iniziativa, rilevando il titolo sportivo del Saint-Germain-en-Laye, appena retrocesso nel Campionato nazionale (la terza divisione francese).
Nel 1973 il Paris Saint-Germain ottiene lo statuto di club professionistico e dalla stagione 1973-74 gioca in Prima divisione (la serie A). I primi successi maturano nel 1982 e nel 1983 con la doppia vittoria in Coppa di Francia, mentre nel 1986, con Gérard Houllier allenatore, il Paris Saint-Germain vince per la prima volta il Campionato. L'impresa è replicata nel 1994 dalla squadra allenata dal portoghese Artur Jorge. Con Luis Fernández ‒ che poi ritornerà a Parigi nel dicembre 2000 ‒ arriva anche il primo successo continentale, datato 1996: è la Coppa delle Coppe, conquistata sul Rapid Vienna grazie al gol di Bruno N'Gotty, difensore di colore, transitato anche nel Milan di Zaccheroni. Nel 1998 il club rifiuta il trasferimento allo Stade de France di Saint Denis, preferendo il Parc des Princes dopo un accordo con la municipalità.
Franco Ordine
Denominazione e sede: Paris Saint-Germain Football Club, Parigi
Anno di fondazione: 1970
Presidente: Pierre Lescure
Direttore generale: Pierre Frelot
Colori sociali: rosso-blu
Stadio: Parc des Princes (50.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 2 Campionati (1986, 1994), 2 Coppe di Francia (1982, 1983)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1996)
Giocatori più rappresentativi: Weah, Djorkaeff, Fernández, Rocheteau, Rai, Ricardo, Lama, Simone
Giocatore con il maggior numero di presenze: Pilorget (435)
Giocatore con il maggior numero di gol: Rochetau (99)
Allenatori più rappresentativi: Fernández, Jorge
Parma
Tra le celebrazioni per il centenario della nascita di Verdi ci fu anche la fondazione del Verdi Football Club. Agli atti è rimasta la data del 27 luglio e una divisa sociale, giallo-blu a scacchi, che divenne la maglia del Parma Lento club, bizzarra etichetta per un club calcistico. Prima uscita ufficiale il 26 settembre di quello stesso anno con la Reggiana. A dicembre si adottò la maglia bianca crociata di nero. Un salto di quasi settant'anni e i colori tornano a essere giallo-blu. Accade nella stagione 1989-90 con l'avvento della famiglia Tanzi, che ha comportato il passaggio da società di provincia a divisione calcistica di una multinazionale. In mezzo, un lungo cammino sempre in bilico tra la serie B e la C, con una sola puntata in A nel 1925-26, e un crescendo avviato nei primi anni Settanta sotto la guida del presidente Ceresini. Tra le risalite in serie B di quegli anni, due particolarmente significative: quella del 1979 sotto la guida di Cesare Maldini e con il giovane Ancelotti, finto centravanti trascinatore, e quella del 1986, pilotata dall'emergente Arrigo Sacchi. Nel 1990, finalmente, la promozione in serie A condotta da Nevio Scala che coincide con l'avvento della Parmalat al timone della società: prima sotto la presidenza di Pedraneschi, poi direttamente con il figlio del titolare dell'azienda Calisto Tanzi, Stefano. Comincia un'altra storia, un altro Parma. La prima conquista, in una doppia, spettacolare finale contro la Juventus è la Coppa Italia 1991-92, e la seconda, l'anno successivo, è la Coppa delle Coppe. Il Parma, stagione dopo stagione, acquista una dimensione sempre più internazionale, ma continua a mancare l'appuntamento con l'obiettivo più ambito: la conquista dello scudetto. Si susseguono investimenti sempre più massicci, andirivieni più o meno frenetici di campioni, ma il sospirato traguardo, invece di avvicinarsi, curiosamente si allontana. Al punto che, tra i tifosi che ogni domenica affollano il Tardini e applaudono l'ingresso in campo dei giallo-blu sulle note della marcia trionfale dell'Aida, più campioni acclamati si presentano e più sembra crescere la nostalgia per il Parma 'made in Italy' che Nevio Scala aveva raccolto dalla C per portarlo prima in serie A e poi ai vertici del calcio europeo, grazie all'ineccepibile applicazione di quel modulo tattico, 5-3-2, che ha contrassegnato in larga parte il calcio degli anni Novanta.
Gigi Garanzini
Denominazione e sede: Parma Associazione Calcio, Parma
Anno di fondazione: 1913
Presidente: Stefano Tanzi
Direttore generale: Luca Baraldi
Colori sociali: giallo-blu
Stadio: Comunale Tardini (29.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Coppe Italia (1992, 1999, 2002), 1 Supercoppa Italiana (1999)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1993), 2 Coppe UEFA (1995, 1999), 1 Supercoppa Europea (1993)
Giocatori più rappresentativi: Zola, Cannavaro, Verón, Thuram, Crespo, Sensini
Giocatori con il maggior numero di presenze: Benarrivo (224), Apolloni (204), Minotti (183)
Giocatori con il maggior numero di gol: Crespo (62), Zola (49), Melli (40)
Allenatori più rappresentativi: Cesare Maldini, Ancelotti, Sacchi, Nevio Scala, Malesani
Partizan Belgrado
La storia del Partizan, come quella del suo paese, ha attraversato vicende alterne. Oggi il suo peso internazionale è notevolmente minore rispetto al passato e i campioni che la squadra riesce a formare finiscono quasi sempre per andare all'estero: l'ultimo è Mateja Kezman, attaccante che ha giocato nel 2000-01 nel PSV Eindhoven ed è conteso da tutte le grandi squadre europee. Nato come società polisportiva dell'armata iugoslava, il Partizan ha avuto in Cajkovski e Bobek i suoi primi eroi. Dopo aver vinto il primo Campionato del dopoguerra, ha conosciuto un lungo periodo di crisi negli anni Cinquanta ed è poi riemerso prepotentemente dal 1961 al 1965: quattro titoli in cinque anni, dopo una serie nutrita di secondi posti, quasi sempre alle spalle della Stella Rossa, l'altra squadra della città. Con la Stella Rossa la rivalità è sempre stata fierissima, a volte oltre i limiti. I derby tra le due squadre di Belgrado spesso finiscono con incidenti devastanti, invasioni di campo, interventi delle forze dell'ordine. Una rivalità che il Partizan soffre molto, anche a livello europeo: infatti è riuscito soltanto a sfiorare, nel 1966, quella Coppa dei Campioni che invece i rivali hanno vinto nel 1991.
Sergio Rizzo
Denominazione e sede: Partizan Fudbalski Club, Belgrado
Anno di fondazione: 1945
Presidente: Ivan Curkovic
General manager: Zarko Zecevic
Colori sociali: bianco-nero
Stadio: Partizan (31.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 16 Campionati (1947, 1949, 1961, 1962, 1963, 1965, 1976, 1978, 1983, 1986, 1987, 1993, 1994, 1996, 1997, 1999), 9 Coppe di Iugoslavia (1947, 1952, 1954, 1957, 1989, 1992, 1994, 1998, 2001)
Vittore internazionali: 1 Coppa Mitropa (1978)
Giocatori più rappresentativi: Zebec, Milutinovic, Vasoic, Kovacevic, Galic, Jusufi, Vuktovic, Stojkovic
Giocatore con il maggior numero di presenze: Vukotic (396)
Giocatore con il maggior numero di gol: Bobek (120)
Allenatori più rappresentativi: Spitz, Gegic, Bobek, Kaloperovic, Osim, Tumbakovic
Peñarol
Il nome del Peñarol deriva da quello di un sobborgo rurale di Montevideo. La società di calcio nasce nel settembre 1891, per volontà di un gruppo di ferrovieri inglesi, con il nome CURCC, un acronimo che sta per Central Uruguay Railway and Cricket Club. Ribattezzata dai tifosi Peñarol, assume ufficialmente questa denominazione il 13 dicembre 1913. La squadra vince subito due Campionati, senza sconfitte, nel 1900 e nel 1901, e poi ne segue un terzo, nel 1905, ancor più strepitoso: tutte vittorie, nessun gol al passivo. Il primo idolo è il centravanti José Antonio Piendibene, titolare a 17 anni. Straordinari fuoriclasse sono José Leandro Andrade, Obdulio Varela, Juan Alberto Schiaffino detto 'Pepe'. Varela, il capitano, el negro jefe, e Schiaffino, il fine stratega, pilotano l'Uruguay alla storica vittoria sul Brasile, allo stadio Maracaná di Rio de Janeiro, che vale il titolo mondiale del 1950. Il Peñarol di Varela e Schiaffino, di Ghiggia e Hohberg è stato il più grande in assoluto. Allenato da uno stravagante tecnico ungherese, Emerico Hirsch, ha raccolto, complessivamente, sei vittorie in Campionato.
Ci sono stati poi altri Peñarol non meno famosi, ma non altrettanto forti: per esempio, la squadra del 'primo quinquennio', cinque titoli consecutivi dal 1958 al 1962, e quella del 'secondo quinquennio', altri cinque titoli dal 1993 al 1997. Complessivamente, dei 47 Campionati vinti, 13 sono stati senza sconfitte (1900, 1901, 1905, 1907, 1926, 1949, 1954, 1964, 1967, 1968, 1975, 1978, 1999). Come tutti i club sudamericani, anche il Peñarol, prima società ad aggiudicarsi la Coppa Libertadores, ha dovuto fare i conti con i problemi finanziari. A cominciare da Schiaffino, ceduto nel 1954 al Milan, la società di Montevideo ha via via venduto all'estero quasi tutti i suoi campioni. Con il Nacional, rappresenta la squadra più importante dell'Uruguay benché non riesca più a eccellere come un tempo, quando il calcio non era ancora un'industria così raffinata e costosa.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Club Atlético Peñarol, Montevideo
Anno di fondazione: 1891
Presidente: José Pedro Damiani
Segretario generale: Ricardo Scaglia
Colori sociali: giallo-nero
Stadio: Centenario di Montevideo (73.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 47 Campionati (1900, 1901, 1905, 1907, 1911, 1918, 1921, 1924, 1926, 1928, 1929, 1932, 1935, 1936, 1937, 1938, 1944, 1945, 1949, 1951, 1953, 1954, 1958, 1959, 1960, 1961, 1962, 1964, 1965, 1967, 1968, 1973, 1974, 1975, 1978, 1979, 1981, 1982, 1985, 1986, 1993, 1994, 1995, 1996, 1997, 1999, 2002)
Vittorie internazionali: 5 Coppe Libertadores (1960, 1961, 1966, 1982, 1987), 3 Coppe Intercontinentali (1961, 1966, 1982), 1 Coppa Interamericana (1969)
Giocatori più rappresentativi: Piendibene, Maspoli, Andrade, Ghiggia, Schiaffino, Varela, Hohberg, Spencer, Fernando Morena, Mazurkiewicz
Giocatore con il maggior numero di presenze
in Campionato: Gonçalves (571)
Giocatore con il maggior numero di gol
in Campionato: Morena (197)
Allenatori più rappresentativi: Hirsch, Maspoli, Pedernera, Scarone, Menotti, Bagnulo
Porto
Il club, fondato nel 1893, riceve nuovo e definitivo impulso nel 1906 per iniziativa di un gruppo di giovani appartenenti al Grupo do destino, presieduto da José Monteiro da Costa, appassionato di calcio da quando viveva a Londra. Nella prima formazione del Porto figura anche uno straniero, l'italiano Catulo Gadda, mediano sinistro, apprezzato per la sua visione del gioco e per l'abilità nel tiro. Il Porto è protagonista del calcio portoghese negli anni Trenta, quando vince tre volte il Campionato: ad allenarlo sono prima Joseph Szabo e poi Franz Gutkas, due ungheresi naturalizzati portoghesi; la stella è Artur de Sousa, detto 'Pinga', grande attaccante e miglior calciatore portoghese.
Il Porto torna alla ribalta nel 1956, quando vince il Campionato e la Coppa, e nel 1959, quando in panchina Bela Guttmann rileva Otto Bumbel e porta la squadra a superare il Benfica per differenza-reti. Nella storia del Porto sono ricorrenti le prolungate flessioni che si alternano ai momenti di gloria. Durante gli anni Sessanta, la squadra vince soltanto la Coppa del Portogallo nel 1968: la scena è dominata da Benfica e Sporting Lisbona. Soltanto alla fine degli anni Settanta, con Fernando Gomes, attaccante formidabile, il Porto ritorna a occupare la posizione di vertice: nel 1977 vince la Coppa, preludio alla doppietta in Campionato nel 1978 e nel 1979. Allenata da José Pedroto, grande tecnico come era stato valente calciatore, la squadra punta su giocatori di talento come il centrocampista Octavio, il regista Oliveira e il rifinitore brasiliano Duda, oltre al già citato Gomes.
Il Porto comincia a farsi notare anche in Europa: fino ad allora sempre eliminato in Coppa dei Campioni al primo turno, nel 1979 supera il Milan, ma viene estromesso al secondo turno dal Real Madrid; nel 1984 raggiunge la finale di Coppa delle Coppe, per essere poi sconfitto a Basilea dalla Juventus. Il club portoghese gioca un ottimo calcio, grazie a uomini di sicuro rendimento: il terzino João Pinto, i difensori Eurico e Lima Pereira e i centrocampisti Sousa, Jaime Pacheco e Jaime Magalhaes, in aggiunta a Gomes, rientrato in squadra dopo un'esperienza negativa in Spagna, con lo Sporting Gijon. Nel 1985, guidato da Artur Jorge, che si impone come uno dei migliori tecnici europei, il Porto vince il Campionato con otto punti di differenza sullo Sporting Lisbona. L'anno d'oro è il 1987, quando conquista la Coppa dei Campioni, contro ogni pronostico, battendo in finale il Bayern Monaco, prima con una rete di Juary e poi con un colpo di tacco dell'algerino Madjer. A essa si aggiungeranno anche la Coppa Intercontinentale e la Supercoppa Europea.
Negli anni Novanta la squadra domina la scena del calcio portoghese, con otto Campionati vinti in nove anni. È il Porto di Sergio Conceição, di Jorge Costa, di Fernando Mendez e di Rui Barros, reduce dall'avventura juventina. Nelle due successive stagioni il Porto manca il titolo, ma raggiunge il successo in Coppa del Portogallo.
Fabio Monti
Denominazione e sede: Futebol Clube do Porto, Porto
Anno di fondazione: 1893
Presidente: Jorge Pinto da Costa
Direttore generale: Adelino Sá e Melo Caldeira
Colori sociali: bianco-blu
Stadio: Estádio das Antas (48.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 4 Campionati del Portogallo (1922, 1925, 1932, 1937), 1 Campionato de Liga (1934), 17 Campionati nazionali (1939, 1940, 1956, 1959, 1978, 1979, 1985, 1986, 1988, 1990, 1992, 1993, 1995, 1996, 1997, 1998, 1999), 11 Coppe del Portogallo (1956, 1958, 1968, 1977, 1984, 1988, 1991, 1994, 1998, 2000, 2001), 11 Supercoppe Portoghesi (1981, 1983, 1984, 1986, 1990, 1991, 1993, 1994, 1996, 1998, 1999)
Vittorie internazionali: 1 Coppa dei Campioni (1987), 1 Coppa Intercontinentale (1987), 1 Supercoppa Europea (1987)
Giocatori più rappresentativi: Gadda, de Sousa, Gomes, Pinto, Sousa, Juary, Sergio Conçeicão, Costa, Mendez, Barros
Giocatore con il maggior numero di presenze: Silva Pinto (407)
Giocatore con il maggior numero di gol: Gomes (288)
Allenatori più rappresentativi: Szabo, Gutkas, Guttmann, Pedroto, Jorge
Pro Vercelli
La Pro Vercelli balzò alla ribalta del calcio italiano nel 1907, quando con una squadra composta tutta da italiani e in gran parte da vercellesi, vinse il titolo nazionale di seconda categoria. L'anno dopo si laureava campione d'Italia, un'impresa sbalorditiva se si tiene conto che le più forti concorrenti dell'epoca, dal Genoa al Milan, dalla Juventus all'Inter, erano rinforzate da molti e prestigiosi giocatori stranieri. Dopo una gloriosa vittoria per 1-0 sul campo del Genoa, nel 1911, il dirigente vercellese Severi dettò in sede il seguente telegramma: "Italia batte Europa 1-0".
La linea autarchica rimase una caratteristica della Pro Vercelli, le cui bianche casacche divennero in breve le dominatrici del calcio italiano. Nel 1913, in occasione dell'incontro internazionale Italia-Belgio, ben nove azzurri su undici appartenevano alla Pro Vercelli. La supremazia vercellese fu confermata anche alla ripresa dell'attività calcistica, nel dopoguerra, con i titoli italiani conquistati nel 1921 e nel 1922, ma cominciò a declinare quando il professionismo entrò decisamente nel calcio e il piccolo centro piemontese non fu più in grado di difendere i suoi talenti dagli assalti delle più ricche società metropolitane. Fu proprio un giocatore simbolo della Pro Vercelli, Virginio Rosetta, ad aprire l'età del professionismo con il suo discusso passaggio alla Juventus. Anche l'ultimo grande prodotto del calcio vercellese, il centravanti Silvio Piola, dopo aver a lungo difeso i colori della squadra, dovette cedere alle offerte della Lazio, nel 1934. L'anno seguente, la Pro Vercelli disputò la sua ultima stagione in serie A, iniziando una discesa inarrestabile nelle categorie minori e in pratica scomparendo dalla vetrina del calcio italiano. Oggi la squadra gioca in serie C2.
Denominazione e sede: Pro Vercelli Unione Sportiva Calcio, Vercelli
Anno di fondazione: 1892
Presidente: Bartolomeo Prunelli
Direttore generale: Maurizio Braghin
Stadio: Silvio Piola (10.000 spettatori)
Colori sociali: bianco-nero
Vittorie nazionali: 7 Campionati italiani (1908, 1909, 1911, 1912, 1913, 1921, 1922)
Giocatori più rappresentativi: Innocenti, Bertinetti, Ara, Rosetta, Ardissone, Piola
PSV Eindhoven
Il PSV Eindhoven, squadra di un piccolo centro olandese, e principale rivale dell'Ajax, l'altro polo del calcio dei Paesi Bassi, è sostenuto da uno sponsor importante, la Philips. Furono i suoi dipendenti, il 31 agosto 1913, a fondare il club per celebrare il centenario dell'indipendenza olandese. Il PSV si affaccia alla ribalta calcistica continentale nel 1978 con la conquista della Coppa UEFA. È solo l'inizio di una lenta ma inesorabile marcia verso la gloria: il risultato più prestigioso è ottenuto a Stoccarda, nel 1988, quando la squadra vince per la prima volta la Coppa dei Campioni, ai rigori, contro i portoghesi del Benfica. Tra i protagonisti dell'impresa emergono il belga Gerets, successivamente promosso al rango di allenatore, Ronald Koeman, trasferitosi poi al Barcellona, e il centravanti Kieft, lanciato in Italia dal Pisa di Romeo Anconetani.
La politica illuminata del PSV consente al club di autofinanziarsi attraverso indovinate operazioni di mercato, mirate a risanare il deficit. Tra i suoi ranghi spuntano talenti prestigiosi, come i gemelli van de Kerkhof, i fratelli Koeman, Ruud Gullit e ancora Romário e Ronaldo, due stelle del calcio brasiliano. Nel 1987 la cessione di Gullit al Milan, per 12 miliardi di lire, consente alla società di completare la costruzione della modernissima tribuna dello stadio, situato nel centro della città e dotato di posti riscaldati, suite per ospiti di riguardo e ristoranti. Uno degli ultimi 'colpi grossi' realizzati sul mercato dal PSV è la vendita al Manchester del difensore centrale Stam per 35 miliardi di lire.
Franco Ordine
Denominazione e sede: PSV (Philips Sport Vereniging) Eindhoven, Eindhoven
Anno di fondazione: 1913
Presidente: Harry van Raaij
General manager: Peter Fossen
Colori sociali: rosso-bianco
Stadio: Philips Stadion (30.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 15 Campionati olandesi (1929, 1935, 1951, 1963, 1975, 1976, 1978, 1986, 1987, 1988, 1989, 1991, 1992, 1997, 2000), 7 Coppe d'Olanda (1950, 1974, 1976, 1988, 1989, 1990, 1996), 4 Supercoppe Olandesi (1992, 1996, 1997, 1998)
Vittorie internazionali: 1 Coppa UEFA (1978), 1 Coppa dei Campioni (1988)
Giocatori più rappresentativi: Gullit, Kieft, Gerets, Ronald Koeman, Willy e René van de Kerkhof,
Romário, Ronaldo
Giocatore con il maggior numero di presenze: van der Kuylen (528)
Giocatore con il maggior numero di gol: van der Kuylen (309)
Allenatore più rappresentativo: Gerets
Racing Club
Il Racing Club, il cui nome si rifà a quello del Racing parigino, nasce ad Avellaneda, un popolare sobborgo di Buenos Aires, il 25 marzo 1903. All'epoca del dilettantismo domina la scena, con nove titoli e una qualità di gioco che gli vale il soprannome di 'Accademia' del bel calcio. Il Racing diventa ben presto squadra amatissima, vantando tra i suoi sostenitori più noti il musicista Carlos Gardel, cantore del tango argentino, e il presidente Juan Domingo Perón.
Tra il 1949 e il 1951 il Racing vince tre Campionati di seguito ed è la prima volta, dall'inizio del professionismo, che una squadra argentina arriva a tale record. Nel 1955, il suo formidabile attacco è composto da Corbatta, grande specialista nel dribbling, Maschio e Angelillo, futuri protagonisti nel Campionato italiano. Il vero periodo d'oro arriva però nel biennio 1966-67 quando il Racing vince il Campionato, la Coppa Libertadores e, il 4 novembre 1967, battendo in finale a Montevideo gli scozzesi del Celtic, anche la Coppa Intercontinentale. Il Racing Club diventa così campione del Mondo, primo titolo iridato in assoluto per l'Argentina. Nel dicembre 2001, risolta la grave crisi che lo aveva portato sull'orlo della bancarotta, è tornato a vincere il Campionato argentino.
Matteo Dotto
Denominazione e sede: Racing Club Avellaneda, Avellaneda, Buenos Aires
Anno di fondazione: 1903
Presidente: Ferdinando Marin
Colori sociali: bianco-celeste
Stadio: El Anillo-Presidente Juan Domingo Perón (55.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 7 Campionati (1949, 1950, 1951, 1958, 1961, 1966, Apertura 2001)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Libertadores (1967),
1 Coppa Intercontinentale (1967), 1 Supercoppa Sudamericana (1988)
Giocatori più rappresentativi: Barrera, Pizzuti, Cardenas, Cejas, Maschio, Perfumo, Basile, Paz, Nestor Fabbri, Claudio Lopez
Giocatori con il maggior numero di presenze: Cejas (313), Sued (308), Cardenas (297)
Giocatori con il maggior numero di gol: Barrera (136), Pizzuti (118), Simes (106)
Allenatori più rappresentativi: Stabile, Della Torre, Pizzuti, Basile, Perfumo, Merlo
Rangers
Alle radici cattoliche dell'altra squadra di Glasgow, il Celtic, i Rangers oppongono la loro tradizione protestante. La società fu fondata nel 1873, quindici anni prima di quella rivale, da due fratelli, Peter e Moses McNeil, e dai loro amici Peter Campbell e William McBeath. Il nome originario, Argyle, fu in un secondo momento sostituito da quello Rangers, mutuato da una squadra inglese di rugby.
Il primo titolo nazionale, nel 1891, fu vinto ex aequo con il Dumbarton. Il secondo, conquistato nel 1899, fu il risultato di una straordinaria sequenza di 18 vittorie in altrettante partite. I Rangers non soltanto detengono il record nazionale di Campionati vinti (49, nove dei quali consecutivi, dal 1989 al 1997), ma non sono mai scesi in classifica al di sotto del quinto posto.
L'accesa rivalità nei derby con il Celtic ha raggiunto il suo culmine nella grave tragedia verificatasi il 2 gennaio 1971 a Ibrox Park. La partita stava terminando 0-0, quando due gol segnati negli ultimissimi minuti da Jimmy Johnstone per il Celtic e, pochi secondi dopo, da Colin Stein per i Rangers, suscitarono un'accesa reazione tra i tifosi: sugli spalti scoppiò una rissa violentissima; molti spettatori si trovarono imprigionati nella folla e finirono schiacciati da altri tifosi o travolti dalle barriere d'acciaio, che nel frattempo avevano ceduto. Il drammatico bilancio fu di 66 morti, tra i quali un bambino di 9 anni, e 140 feriti.
Denominazione e sede: Rangers Football Club, Glasgow
Anno di fondazione: 1873
Presidente: David Murray
Direttore generale: Campbell Ogilvie
Colori sociali: blu-bianco
Stadio: Ibrox Park (50.500)
Vittorie nazionali: 49 Campionati (1891, 1899, 1900, 1901, 1902, 1911, 1912, 1913, 1918, 1920, 1921, 1923, 1924, 1925, 1927, 1928, 1929, 1930, 1931, 1933, 1934, 1935, 1937, 1939, 1947, 1949, 1950, 1953, 1956, 1957, 1959, 1961, 1963, 1964, 1975, 1976, 1978, 1987, 1989, 1990, 1991, 1992, 1993, 1994, 1995, 1996, 1997, 1999, 2000), 30 Coppe di Scozia (1894, 1897, 1898, 1903, 1928, 1930, 1932, 1934, 1935, 1936, 1948, 1949, 1950, 1953, 1960, 1962, 1963, 1964, 1966, 1973, 1976, 1978, 1979, 1981, 1992, 1993, 1996,1999, 2000, 2002), 22 Coppe di Lega (1946, 1948, 1960, 1961, 1963, 1964, 1970, 1975, 1977, 1978, 1981, 1983, 1984, 1986, 1987, 1988, 1990, 1992, 1993, 1996, 1998, 2002)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1972)
Giocatori più rappresentativi: McPhail, Waddell, Greig, Baxter, Derek Johnstone, Willie Johnston, Gough, Goram, Souness, McCoist
Giocatore con il maggior numero di presenze: Greig (496)
Giocatore con il maggior numero di gol: McCoist (355)
Allenatori più rappresentativi: Struth, Waddell, Greig, Wallace, Souness, Advocaat
Real Madrid
Il Real Madrid è stato proclamato dalla FIFA squadra del secolo. Fu fondato il 6 marzo 1902, sulle ceneri del disciolto Football sky e assunse il nome 'Real' dal 29 giugno 1920, per volontà di Alfonso XIII. Deve le sue fortune a due personaggi eccezionali: Santiago Bernabéu e Raimundo Saporta, il primo grande presidente e il primo grande manager dell'era moderna, uniti in un sodalizio straordinario, prodigo di successi. Bernabéu, originario di un pueblo vicino ad Albacete, fu giocatore, allenatore, segretario e presidente dal 1943 al 1978. Saporta, che per conto di Bernabéu curò la gestione amministrativa, era nato a Parigi e proveniva dal mondo del basket. Nella Spagna di Franco, il Real di Bernabéu fu un simbolo del regime, una vera e propria 'squadra di Stato', tanto che il ministro degli Esteri spagnolo Castiella lo definì "il migliore dei miei ambasciatori". Bernabéu che, per compiacere Franco, organizzava partite amichevoli il 1° maggio, onde evitare che la cancellazione della festa del lavoro generasse tumulti, restava fuori dalla politica ma approfittava dei privilegi che potevano derivare alla squadra. Dal 1956 al 1960 vinse consecutivamente cinque Coppe dei Campioni (4-3, con lo Stade Reims; 2-0, con la Fiorentina; 3-2, dopo i supplementari, con il Milan di Schiaffino; 2-0, ancora con il Reims; 7-3, con l'Eintracht Francoforte, con quattro gol di Puskas e tripletta di Di Stefano). Alfredo Di Stefano fu, a un tempo, il protagonista e il regista dei successi: originario di Buenos Aires, tesserato per i Millonarios di Bogotá si era appena trasferito al River Plate, quando Saporta, per incarico di Bernabéu, si accordò con i colombiani, mentre l'inviato del Barcellona, Pepe Samitier, trattava con gli argentini. La Federazione preferì non prendere le parti di nessuno dei contendenti e stabilì che Di Stefano giocasse una stagione con il Real e l'altra in Catalogna, ma il Barcellona a quel punto rinunciò, e il campione rimase esclusivamente al Real. Altro grande giocatore fu l'ungherese Ferenc Puskas, fuoriclasse della Honvéd, ingaggiato da Bernabéu dopo la sua decisione di non tornare in Ungheria, occupata dai comunisti nel 1956. Il sodalizio Bernabéu-Saporta ha prodotto, dal 1943 al 1978, risultati a dir poco leggendari: 16 Campionati (su 28), 6 Coppe del Re (su 17), 6 Coppe dei Campioni (su 8), una Coppa Intercontinentale (su 2). In precedenza, il Real aveva conquistato solo 2 Campionati e 7 Coppe nazionali.
Successivamente il Real, anche senza eguagliare questi primati, non ha smesso di vincere titoli. Anche un allenatore italiano, Fabio Capello, ha legato il proprio nome a una vittoria in Campionato, quello del 1997, con Christian Panucci come terzino destro. Sono innumerevoli i campioni famosi che hanno vestito la maglia bianca della squadra: Amancio, il portiere Zamora, Zoco, Del Sol, Santillana, famoso per i suoi colpi di testa, Camacho, Breitner, Netzer, il goleador messicano Hugo Sanchez, il versatile centrocampista Michel, che oggi fa il telecronista. E poi la quinta del buitre, tutta proveniente dal vivaio del Real: Chendo, Sanchis, Martín Vazquez, Butragueño, detto appunto el buitre, "l'avvoltoio", e Raúl, con i suoi 14 miliardi d'ingaggio. L'idea del medio escénico, il "timor panico", che l'arena intitolata a Bernabéu suscita negli avversari e negli arbitri, è dell'argentino Jorge Valdano, che del Real è stato giocatore e allenatore, e attualmente è direttore generale. Memorabili rimonte ne hanno segnato l'attività, almeno fino a quando il Milan di Arrigo Sacchi ha fatto nuovamente prevalere la legge del più forte, a dispetto della fascinazione che il Real aveva sempre esercitato su giudici e rivali.
Per ripianare un deficit di 550 miliardi il Real Madrid ha dovuto vendere il terreno sul quale sorge la sua Ciudad Deportiva. Tuttavia la sua gloria è rimasta immutata e nel 1998 è tornato a vincere la Champions League. Florentino Pérez, il quarto dei presidenti che la società ha avuto dalla morte di Bernabéu, dopo Luis de Carlos, Ramón Mendoza e Lorenzo Sanz, ha acquistato dal Barcellona, per 140 miliardi, Luis Figo (Pallone d'oro 2000) e il 9 luglio 2001 dalla Juventus per 150 miliardi, nuovo record mondiale in materia di trasferimenti, Zinedine Zidane. È stato Zidane l'autore del gol decisivo nella vittoriosa finale di Champions League 2002.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Real Madrid Club de Fútbol, Madrid
Anno di fondazione: 1902
Presidente: Florentino Pérez Rodríguez
Direttore generale: Jorge Valdano
Colori sociali: bianco
Stadio: Santiago Bernabéu (75.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 28 Campionati (1932, 1933, 1954, 1955, 1957, 1958, 1961, 1962, 1963, 1964, 1965, 1967, 1968, 1969, 1972, 1975, 1976, 1978, 1979, 1980, 1986, 1987, 1988, 1989, 1990, 1995, 1997, 2001), 17 Coppe di Spagna (1905, 1906, 1907, 1908, 1917, 1934, 1936, 1946, 1947, 1962, 1970, 1974, 1975, 1980, 1982, 1989, 1993), 1 Coppa di Lega (1985), 6 Supercoppe Spagnole (1988, 1989, 1990, 1994, 1998, 2001)
Vittorie internazionali: 9 Coppe dei Campioni/ Champions League (1956, 1957, 1958, 1959, 1960, 1966, 1998, 2000, 2002), 2 Coppe UEFA (1985, 1986), 2 Coppe Intercontinentali (1960, 1998)
Giocatori più rappresentativi: Zamora, Di Stefano, Puskas, Gento, Kopa, Santillana, Sanchis, Butragueño, Raúl, Figo
Giocatore con il maggior numero di presenze in Campionato: Sanchis (524)
Giocatore con il maggior numero di gol in Campionato: Di Stefano (218)
Allenatori più rappresentativi: Muñoz, Carniglia, Villalonga, Boskov, Capello, Del Bosque
Real Saragozza
Il primo Zaragoza Football Club nasce nel 1903 e assume l'appellativo di Real l'anno seguente. La fondazione del club attuale risale però al 28 marzo 1932, quando il Real Zaragoza Club si fonde con l'Iberia Sport Club. Dopo otto anni arriva il marchio definitivo e inizia una storia non sempre esaltante, punteggiata da qualche successo, nazionale ed europeo.
Il Real Saragozza raggiunge la notorietà internazionale a metà degli anni Sessanta, con la conquista della Coppa delle Fiere, e nel 1995, con la Coppa delle Coppe: trent'anni tra un trofeo e l'altro. In questo intervallo compaiono sulla scena dello stadio Romareda anche alcuni giocatori di livello europeo, come il tedesco Andreas Brehme e l'olandese Frank Rijkaard, oltre a due degli allenatori più affidabili, Leo Beenhakker ed Enzo Ferrari. Per acquistare Rijkaard, i dirigenti del Milan, Galliani e Braida, sfidano, proprio a Saragozza, la rivolta dei tifosi, accorsi negli uffici dello stadio nel maggio 1988, allo scopo di impedire la cessione. La vittoria in Campionato, solo sfiorata nel 1975, resta il grande sogno della squadra.
Denominazione e sede: Real Zaragoza SAD, Saragozza
Data di fondazione: 1932
Presidente: Alfonso Soláns Soláns
General manager: Francisco Checa Gonzáles
Stadio: Romareda (34.500 spettatori)
Colori sociali: bianco-blu
Vittorie nazionali: 5 Coppe del Re (1964, 1966, 1986, 1994, 2001)
Vittorie internazionali 1 Coppa delle Fiere (1964),
1 Coppa delle Coppe (1995)
Giocatore più rappresentativo: Rijkaard
Giocatore con il maggior numero di presenze:
Violeta (327)
Giocatore con il maggior numero di gol: Murillo (85)
Allenatori più rappresentativi: Beenhakker, Ferrari
River Plate
Il Club Atlético River Plate è l'anima aristocratica di Buenos Aires e, più in generale, del calcio argentino, in contrasto con la matrice popolare del Boca Juniors. Nasce il 25 maggio 1901 dalla fusione di due piccoli sodalizi rionali: La Rosales e Santa Rosa. Il nome deriva da quello stampato su enormi casse scaricate al porto. Piace ai soci, che lo preferiscono a 'Juventud Boquense' e a 'Forward'. Il primo titolo, dilettantistico, e dunque non ufficiale, arriva nel 1920.
Sin dall'inizio, il River si segnala per la munificenza dei suoi presidenti, che gli garantiscono massicci investimenti sul mercato. Nel 1931 fa scalpore l'ingaggio di Carlos Desiderio Peucelle, ala destra dello Sportivo Buenos Aires: 10.000 pesos, una cifra davvero ragguardevole per il periodo. Di qui la definizione di los millonarios. Il primo Campionato vinto risale al 1932 ed è scandito dai gol del centravanti Bernabé Ferreyra, comprato dal Tigre per ben 35.000 pesos, record dell'epoca. Con Ferreyra, il River Plate si laurea campione anche nel 1936 e nel 1937 e in quest'ultima stagione ottiene uno straordinario record di gol: 106 in 34 partite. Peucelle, Vaschetto, Ferreyra, Moreno e Pedernera formano la linea d'attacco, alla quale ne segue un'altra non meno straordinaria negli anni Quaranta. Questi sono gli anni della máquina, composta da Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau e 'assemblata' dal tecnico Renato Cesarini (che da giocatore aveva dato il nome alla celebre 'zona Cesarini', per il suo gol della vittoria, segnato al 90′, in Italia-Ungheria del 13 dicembre 1931).
Il River Plate è stato anche la squadra di Alfredo Di Stefano 'la saeta rubia' e di Omar Sivori, 'il cabezón'; per non parlare di Daniel Passarella, il capitano dell'Argentina campione del Mondo nel 1978. Non sono mancati tuttavia lunghi periodi bui: dal 1957 al 1975 il River non è riuscito a conquistare trofei. Singolare anche il ritardo con cui sono stati raggiunti i vertici internazionali: nulla sino al 1986. Enzo Francescoli, uruguayano, e l'attaccante Hernán Crespo rimangono ancora oggi i giocatori simbolo del River Plate.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Club Atlético River Plate,
Buenos Aires
Anno di fondazione: 1901
Presidente: David Pintado
Segretario: José M. Aguilar
Colori sociali: bianco-rosso-nero
Stadio: Monumental 'Antonio Vespucio Liberti' (76.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 31 Campionati (1920 dilettantistico; AFA: 1932, 1936, 1937, 1941, 1942, 1945, 1947, 1952, 1953, 1955, 1956, 1957, 1979, 1986, 1990; Metropolitano: 1975, 1977, 1980; Nacional: 1975, 1979, 1981; Apertura: 1991, 1993, 1994, 1996, 1997, 1999; Clausura: 1997, 2000, 2002)
Vittorie internazionali: 2 Coppe Libertadores (1986, 1996), 1 Coppa Intercontinentale (1986), 1 Coppa Interamericana (1987), 1 Supercoppa Sudamericana (1997)
Giocatori più rappresentativi: Ferreyra, Muñoz,
Moreno, Pedernera, Labruna, Loustau, Sivori,
Passarella, Francescoli, Crespo
Giocatori con il maggior numero di presenze: Carrizo (520), Labruna (514), Merlo (500)
Giocatori con il maggior numero di gol: Labruna (292), Mas (199), Ferreyra (187)
Allenatori più rappresentativi: Cesarini, Minella, Labruna, Veira, Passarella, Díaz
Roma
L'Associazione Sportiva Roma nasce il 22 luglio 1927 dalla fusione di tre squadre: Roman, Fortitudo e Alba. A firmare la fusione è l'onorevole Italo Foschi. Come stemma è scelta la lupa capitolina, come colori sociali quelli del Campidoglio: il giallo e il rosso. Lo stesso Foschi diventa il primo presidente, l'allenatore è l'inglese William Garbutt. Nel primo Campionato di serie A a girone unico (1929-30), durante il quale viene inaugurato il campo Testaccio, la Roma si classifica sesta. La sua prima formazione, il 6 ottobre 1929, è composta da Ballante, Ferraris IV, Mattei, Degni, Bernardini, D'Aquino, Benatti, Delle Vedove, Volk, Eusebio, Chini. Attilio Ferraris (IV) e soprattutto Fulvio Bernardini rappresentano ancora oggi due personaggi mitici per il club; al secondo è stato anche intitolato il centro sportivo di Trigoria, la 'città sportiva' romanista. Nell'anno successivo la Roma arriva seconda alle spalle della Juventus, stabilendo vari primati rimasti ineguagliati (Rodolfo Volk segna 29 gol in 33 partite). Anche nel 1935-36 la squadra giallorossa chiude al secondo posto dietro al Bologna. Il primo scudetto arriva nel 1941-42. Alla guida della società c'è Edgardo Bazzini, mentre in panchina siede l'ungherese Alfred Schaffer. Dal 1940 lo stadio è cambiato: si gioca al Nazionale, l'attuale Flaminio. Protagonista della stagione è l'attaccante Amedeo Amadei, che segna 18 gol in 30 partite.
Nel dopoguerra cominciano i tempi bui: la squadra, che ha ceduto Amadei all'Inter, rimane in fondo alla classifica finché non retrocede, il 17 giugno 1951. Sarà l'unica discesa in serie B della storia del club, che risale già l'anno successivo, sotto la guida del tecnico Gipo Viani, vincendo il Campionato cadetto. Da quel momento gli anni Cinquanta diventano più sereni: il brasiliano Dino Da Costa, nel Campionato 1956-57, vince la classifica cannonieri con 22 gol. Gli anni Sessanta iniziano ancora meglio: nel 1960-61 la Roma conquista la Coppa delle Fiere, la 'progenitrice' della Coppa UEFA. Trascinata dall'attaccante argentino Pedro Manfredini, acquistato nel 1959 e autore di 12 gol, la squadra prevale sul Birmingham nella doppia finale (2-2 in Inghilterra, 2-0 all'Olimpico, inaugurato nel 1953). Il tecnico è Antonio Luis Carniglia, anche lui argentino, il presidente è Anacleto Gianni, che l'anno successivo passerà il testimone al conte Francesco Marini Dettina. Sotto la gestione di quest'ultimo la Roma si aggiudica la prima Coppa Italia (1963-64). Ricominciano però i problemi, che continuano anche durante la presidenza di Franco Evangelisti e poi di Alvaro Marchini: la difficile situazione finanziaria porta a cessioni eccellenti (Angelillo, Schnellinger, De Sisti, ma soprattutto il trio Spinosi-Capello-Landini alla Juventus) e alla celebre colletta presso il Teatro Sistina, con cui il capitano Losi raccoglie le offerte dei tifosi per finanziare una trasferta a Vicenza. Solo l'ingaggio di Helenio Herrera come allenatore regala risultati di prestigio: la Coppa Italia del 1968-69 e, nella stagione successiva, la semifinale di Coppa delle Coppe, persa alla monetina con il Gornik Zabrze. Gli anni Settanta sono da dimenticare, fatta eccezione per il 1971-72, che porta un altro trofeo europeo, il Torneo Anglo-Italiano, vinto contro il Blackpool, e per il terzo posto nel Campionato 1974-75. La svolta arriva nel 1979, quando la società passa da Gaetano Anzalone all'ingegner Dino Viola. Il nuovo arrivato costruisce una squadra straordinaria, guidata in panchina da Nils Liedholm e in campo dal brasiliano Falcão e dall'azzurro Bruno Conti (campione del Mondo nel 1982). La Roma torna a competere per lo scudetto e lo vince nel 1982-83. Nella stagione seguente, conclusasi con la vittoria in Coppa Italia e il secondo posto in Campionato, c'è però una grande delusione: la finale di Coppa dei Campioni, persa 5-3 ai rigori all'Olimpico contro il Liverpool. Nel 1985-86, quando è allenatore lo svedese Sven Goran Eriksson, un'altra beffa: alla penultima giornata, la Roma è in testa, a pari merito con la Juventus, ma si fa battere in casa dal Lecce già retrocesso. Il sogno del terzo scudetto sfuma. Da quel momento la gestione di Viola è fatta più di ombre che di luci: dopo lo scandalo Vautrot, arbitro di cui non è stata mai appurata la corruzione in occasione di Roma-Dundee (semifinale di Coppa dei Campioni del 1984), nel 1990 i giocatori Peruzzi e Carnevale vengono squalificati per doping. Viola muore pochi mesi dopo, il 19 gennaio 1991: la società resta nelle mani della moglie Flora, che la cederà alla fine della stagione, conclusasi con la settima e ultima Coppa Italia e una finale di Coppa UEFA persa con l'Inter. Gli anni Novanta sono pieni di delusioni: il nuovo presidente Giuseppe Ciarrapico viene arrestato nell'ambito di Tangentopoli nel 1993, anno in cui la squadra perde l'argentino Claudio Caniggia per l''affare-cocaina' e in campo è sconfitta dal Torino nella finale di Coppa Italia. Ma un altro mito si affaccia alla ribalta: è il fantasista Francesco Totti, classe 1976.
Con il nuovo presidente, Franco Sensi, la Roma si rafforza anche come società e riesce a fare acquisti importanti (Gabriel Omar Batistuta, il più costoso della storia del club: 70 miliardi). Con allenatore Fabio Capello torna a vincere lo scudetto nella stagione 2000-01 ed è seconda nel 2001-02.
Enrico Maida
Denominazione e sede: Associazione Sportiva Roma, Roma
Anno di fondazione: 1927
Presidente: Francesco Sensi
Direttore generale: Fabrizio Lucchesi
Colori: giallo-rosso
Stadio: Olimpico (82.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campionati (1942, 1983, 2001),
7 Coppe Italia (1964, 1969, 1980, 1981, 1984, 1986, 1991), 1 Supercoppa Italiana (2001)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Fiere (1961),
1 Torneo Anglo-Italiano (1972)
Giocatori più rappresentativi: Volk, Masetti, Bernardini, Ferraris IV, Losi, Conti, Falcão, Di Bartolomei,
Pruzzo, Totti
Giocatori con il maggior numero di presenze in Campionato: Losi (386), Santarini (344), Masetti (338)
Giocatori con il maggior numero di gol in Campionato: Pruzzo (106), Amadei (85), Volk (80), Balbo (78)
Allenatori più rappresentativi: Schaffer, Herrera, Liedholm, Eriksson, Zeman, Capello
Sampdoria
La Sampdoria nacque il 12 agosto 1946 dalla fusione tra la società ginnastica Andrea Doria, fondata nel 1900, e l'associazione calcio Sampierdarenese, risalente al 1911. Il primo presidente Sanguineti e l'allenatore Galluzzi ebbero subito la gioia di una vittoria, alla presenza del capo dello Stato De Nicola: era il 3 novembre 1946 e si disputava il derby che si concluse 3-0. Il merito fu soprattutto di Baldini e Bassetto, i primi bomber blucerchiati, una coppia di attaccanti destinata a durare a lungo nella memoria storica della Sampdoria, prima di essere soppiantata da quella composta da Mancini e Vialli. Nel 1947 la presidenza passa ad Aldo Parodi e diventa allenatore il grande Adolfo Baloncieri. La squadra poco alla volta cresce e dalla metà degli anni Cinquanta raggiunge stabilmente una posizione di classifica medio-alta. Sono le stagioni di Juan Carlos Lorenzo, di Bernasconi e poi di Ocwirck e Cucchiaroni. Nel 1961 arriva un quarto posto, frutto di bel calcio e di tanti gol: ne segna 27 Brighenti che si laurea capocannoniere. A centrocampo figurano due futuri commissari tecnici, Vicini e Boskov. Nel 1966 la prima retrocessione, subito riscattata dalla vittoria nel successivo Campionato di serie B.
Seguono anni privi di risalto a dispetto di un allenatore del calibro di Fulvio Bernardini. La seconda discesa in serie B, nel 1977, dura più a lungo, ma rappresenta anche l'anticamera della stagione più gloriosa della società blucerchiata. Il 3 luglio 1979 infatti diventa presidente Paolo Mantovani: dopo alcune stagioni di apprendistato prende il via la costruzione di una Sampdoria che, tornata in serie A nel 1982, è capace di aggiudicarsi tre Coppe Italia nel giro di cinque anni, prima di tagliare il traguardo più sospirato con lo scudetto della stagione 1990-91. Mantovani dispone di grandi risorse economiche e rappresenta l'esempio più classico dei 'presidenti-papà': strapaga i suoi giocatori e li vizia, ma a patto che le ore da dedicare al calcio siano vissute con grande serietà. Nasce così, poco alla volta, una Sampdoria in grado di divertirsi in campo e fuori: fuori con le mattane di Vialli e dei compagni che lo assecondano nel suo gusto tutto speciale per burle d'ogni genere, in campo con le qualità tecniche e tattiche dello stesso Vialli, di Mancini, di Cerezo, con il moto perpetuo di Lombardo, la saggezza di Dossena, la velocità difensiva di Vierchowod e Mannini, la sicurezza tra i pali del giovane Pagliuca. Il tutto assemblato e gestito da un tecnico come Boskov, che sa come assecondare i suoi giocatori più bravi e come metterli in condizione di sfruttare al meglio il loro talento. Allo scudetto vinto nel 1991 segue, nel maggio successivo, la grande delusione in Coppa Campioni: la finale, giocata a Londra contro il Barcellona, è persa a causa di un grande gol di Ronald Koeman nei tempi supplementari.
Alla fine del 1993 la scomparsa di Paolo Mantovani, cui subentra il figlio Enrico, segna l'inizio della chiusura di un grande ciclo. Campioni come Gullit, Veron, Montella, Chiesa rimpiazzano poco alla volta quelli che via via se ne sono andati. Tuttavia, nemmeno un tecnico del valore di Eriksson riuscirà più a riportare la Sampdoria ai fasti delle stagioni felici e nel 1999 la squadra retrocede nuovamente in serie B. Il 15 febbraio 2002 la famiglia Mantovani cede il 94% della società alla lussemburghese Weissberg.
Gigi Garanzini
Denominazione e sede: Unione Calcio Sampdoria, Genova
Anno di nascita: 1946
Presidente: Riccardo Garrone
Direttore generale: Giuseppe Marotta
Colori sociali: bianco-blu-rosso-nero
Stadio: Comunale Luigi Ferraris (41.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 1 Campionato (1991), 4 Coppe Italia (1985, 1988, 1989, 1994), 1 Supercoppa Italiana (1991)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1990)
Giocatori più rappresentativi: Baldini, Bassetto, Bernasconi, Vialli, Mancini, Cerezo, Lombardo, Vierchowod, Pagliuca, Montella
Giocatori con il maggior numero di presenze: Mancini (424), Mannini (377), Vierchowod (358)
Giocatori con il maggior numero di gol: Mancini (132), Bassetto (92), Vialli (85)
Allenatori più rappresentativi: Galluzzi, Baloncieri, Bernardini, Boskov, Eriksson
San Paolo
Il San Paolo ha tre date di fondazione: il 26 gennaio 1930, il giorno in cui nasce il São Paulo da Floresta dalla fusione di Clube Atletico Paulistano e Associacão Atletica Palmeiras; il 4 giugno 1935, quando il São Paulo da Floresta si fonde con il Clube de Regatas Tieté dando luogo al Clube Atletico São Paulo; il 16 dicembre dello stesso anno, quando il Clube Atletico São Paulo prende il nome di São Paulo Futebol Clube. La formazione comprende, già nel 1930, nomi di rilievo: Artur Friedenreich, il più grande realizzatore del calcio brasiliano, Araken Patuska, Waldemar de Brito e Luisinho. Ma è con l'arrivo di Leonidas da Silva, il 'diamante nero', capocannoniere del Mondiale 1938, che iniziarono i grandi risultati. Nel 1943 la squadra di Leonidas da Silva ma anche di Rui, Bauer, Noronha, Zezé Procopio, Luisinho e Teixeirinha vince il Campionato paulista, successo più volte replicato negli anni Quaranta e Cinquanta, grazie a grandi campioni, come la formidabile ala destra Albino Cardoso Friaça e il terzino destro Nilton De Sordi. Gli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta segnano il periodo più bello del San Paolo: vengono lanciati dal vivaio o acquistati da formazioni minori giovani di valore come Paulo Cesar, Renato, Careca, Muller, Silas, Pita, Edivaldo e, per qualche tempo, anche Paulo Roberto Falcão. La squadra, condotta dall'allenatore Telê Santana, conquista nel 1992 e nel 1993 la Coppa Libertadores.
Attualmente il San Paolo, allenato da Nelsinho Baptista, si distingue per il suo calcio arioso, potendo contare su ottimi giocatori come il portiere Rogerio Ceni, il centrocampista Julio Baptista, la mezzala Cacà e gli attaccanti França e Luis Fabiano.
Denominazione e sede: São Paulo Futebol Clube,
San Paolo
Anno di fondazione: 1935
Presidente: Paulo Amaral
Direttore generale: José C.F. Alves
Colori sociali: bianco-rosso-nero
Stadio: Morumbi (80.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campionati brasiliani (1977, 1986, 1991), 21 campionati paulisti (1931, 1943, 1945, 1946, 1948, 1949, 1952, 1953, 1957, 1970, 1971, 1975, 1980, 1981, 1985, 1987, 1989, 1991, 1992, 1998, 2000), 1 Torneo Rio-São Paulo (2001)
Vittorie internazionali: 2 Coppe Intercontinentali (1992, 1993), 2 Coppe Libertadores (1992, 1993),
1 Supercoppa (1993), 2 Recopa (1993, 1994),
1 Coppa Conmbebol (1994)
Giocatori più rappresentativi: Leonidas, Bauer, Poy, Canhoteiro, Dias, Rocha, Serginho Chulapa, Pereyra, Raì, Careca
Giocatore con il maggior numero di presenze: Poy (565)
Giocatore con il maggior numero di gol: Serginho Chulapa (242)
Allenatori più rappresentativi: Cilinho, Minelli, Silva, Poy, Telê Santana, Brandão
Santos
Il Santos deve tutto a Pelé. Il club nasce il 14 aprile 1912 nell'omonima città sul mare a una cinquantina di chilometri da San Paolo. Debutta nel Campionato paulista nel 1916, ma la prima vittoria giunge soltanto nel 1935, legata alle imprese del cannoniere Araken Patuska, che al termine della sua carriera avrà all'attivo 103 gol. Gli anni Quaranta non regalano emozioni. Il secondo titolo viene vinto nel 1955. Del Vecchio, un attaccante che cercherà fortuna in Italia, è l'idolo locale sino a quando sulla scena non compare Pelé, all'anagrafe Edson Arantes do Nascimento.
Originario di Três Corações, nella zona mineraria di Minas Gerais, Pelé diventa, appena quindicenne, stella indiscussa delle giovanili del Baurù. Nel Santos, esordisce il 7 settembre 1956, a 16 anni non ancora compiuti. Vi resterà sino al 1974, quando passerà ai Cosmos di New York. Intorno a lui, il Santos diventa la squadra più spettacolare del mondo, trasposizione brasiliana del Real Madrid di Alfredo Di Stefano, con un palmarès di undici campionati statuali, due Coppe Libertadores, due Coppe Intercontinentali. Per non parlare poi della nazionale brasiliana, 'conquistata' da Pelé nel 1958 e subito pilotata, in Svezia, al primo titolo mondiale. Pelé si laurea capocannoniere nel Campionato paulista per ben 11 volte: dal 1957 al 1965, nel 1969 e nel 1973. La 'perla nera' dispone di una 'orchestra' eccezionale: la società ha prelevato dal Corinthians il più forte portiere brasiliano di tutti i tempi, Gilmar; al centro della difesa c'è Mauro, il regista è Zito; in attacco, Dorval, Coutinho e Pepe, dal sinistro poderoso; l'allenatore è Luis Alonzo Perez, detto 'Lula' (rimasto sempre fedele al suo club, morirà in miseria nel 1972). Pelé è l'uomo che fa la differenza: senza di lui, la nazionale perde almeno il 30% del suo potenziale; il Santos, addirittura il 70%. Fra il 1962 e il 1963, la squadra giunge ai vertici continentali e mondiali. Contende vittoriosamente la Coppa Libertadores prima al Peñarol (2-1, 2-3, 3-0) e poi al Boca Juniors (3-2, 2-1). Per aggiudicarsi la Coppa Intercontinentale infligge una perentoria lezione al Benfica di Eusebio (3-2 a Rio, 5-2 a Lisbona, tripletta di Pelé) e doma il Milan, in capo a una vera e propria corrida suggellata da espulsioni, arbitraggi scandalosi e polemiche di ogni genere (2-4, 4-2, 1-0).
Il successo del Santos termina nel 1974, quando o rey , tentato dai dollari dei Cosmos, se ne va dal club, lasciando un vuoto che nessuno riuscirà a colmare. Il Santos fatica a sostenere la concorrenza. Zito non allena più in campo, ma direttamente dalla panchina: al suo posto, Clodoaldo, mediano della nazionale campione del Mondo nel 1970 in Messico (con Pelé al terzo titolo assoluto). Un altro campione forgiato dal Santos è il terzino Carlos Alberto Torres, anche lui protagonista del Mondiale messicano, caduto in disgrazia dopo un litigio con Pelé. Lo stadio di Vila Belmiro è stato intitolato a Urbano Caldeira, difensore, allenatore e presidente del Santos.
Il Santos è il primo club al mondo ad aver varcato la soglia dei 10.000 gol con la rete segnata dal centrocampista e capitano Jorginho il 20 gennaio 1998 nella partita contro il Vila Nova (4-3). È inoltre l'unica società brasiliana ad aver vinto in uno stesso anno (1962) le quattro competizioni ufficiali cui aveva partecipato: Campionato paulista, Taça Brasil, Coppa Libertadores, Coppa Intercontinentale. La squadra, infine, condivide con il Botafogo di Rio de Janeiro un altro record: otto giocatori titolari (Gilmar, Lima, Zito, Mengalvio, Dorval, Coutinho, Pelé, Pepe) prendono parte alla partita della nazionale brasiliana contro la Germania Ovest, disputata il 5 maggio 1963 (Germania Ovest-Brasile 1-2).
Il presente della squadra non è certamente all'altezza del suo grande passato: problemi di bilancio impongono drastici sacrifici e dal vivaio non escono più i campioni di un tempo.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Santos Futebol Clube, Santos
Anno di fondazione: 1912
Presidente: Marcelo Teixeira
Direttore generale: João Paulo Medina
Colori sociali: bianco
Stadio: Urbano Caldeira (26.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 15 Campionati paulisti (1935, 1955, 1956, 1958, 1960, 1961, 1962, 1964, 1965, 1967, 1968, 1969, 1973, 1978, 1984), 5 Tornei Rio-São Paulo (1959, 1963, 1964, 1966, 1997), 5 Taça Brasil (1961, 1962, 1963, 1964, 1965)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Conmebol (1998), 2 Coppe Libertadores (1962, 1963), 2 Coppe Intercontinentali (1962, 1963)
Giocatori più rappresentativi: Pelé, Gilmar, Pepe, Zito, Coutinho, Mauro, Dorval, Mengalvio, Carlos Alberto, Araken
Giocatore con il maggior numero di presenze: Pelé (1113)
Giocatori con il maggior numero di gol: Pelé (1091), Pepe (405), Coutinho (370)
Allenatori più rappresentativi: Lula, Leão, Carlos Alberto Silva
Schalke 04
Fondata il 4 maggio 1904 come SC Westfalia 1904 Schalke, nel 1924 ha assunto la denominazione attuale: la sigla rappresenta l'anno di fondazione e il nome deriva da un quartiere di Gelsenkirchen, città situata nel bacino della Ruhr, a 32 km da Dortmund. La squadra conosce la sua migliore stagione negli anni Trenta, quando vince sei volte il Campionato e una volta la Coppa di Germania. Nel dopoguerra fatica molto per tornare ai vertici, conquistando il titolo solo nel 1958. Da allora lo Schalke non è riuscito più ad aggiudicarsi il Campionato. Nel 1997 la squadra ritrova finalmente l'antico splendore, trascinata da uno dei campioni più amati di Germania, Olaf Thon, che dopo essere stato un grandissimo centrocampista gioca come libero. Così quell'anno, con Lehmann in porta, arriva il primo trofeo europeo, la Coppa UEFA, conquistata ai rigori, nella finale contro l'Inter a San Siro. Il 19 maggio 2001, i tifosi dello Schalke, i giocatori, l'allenatore, l'olandese Stevens, sono tutti convinti di avere finalmente vinto la Bundesliga e invece, quando la partita è conclusa e l'invasione di campo è totale, giunge la notizia che il Bayern al 93′ ha pareggiato ad Amburgo. Il titolo è dei bavaresi per differenza-reti: beffa atroce, in parte mitigata dal successo in Coppa di Germania della settimana successiva, contro l'Union Berlino. Huub Stevens, l'allenatore che con la sua preparazione e la sua severità è riuscito a ricreare squadra e ambiente, ha promesso di non lasciare lo Schalke finché non lo riporterà a vincere la Bundesliga.
Denominazione e sede: Fussball Club Schalke 04, Gelsenkirchen
Anno di fondazione: 1904
Presidente: Gerhard Rehberg
Direttore generale: Rudi Assauer
Colori sociali: bianco-blu
Stadio: Arena AufSchalke (62.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 7 Campionati (1934, 1935, 1937, 1939, 1940, 1942, 1958), 4 Coppe di Germania (1937, 1972, 2001, 2002)
Vittorie internazionali: 1 Coppa UEFA (1997)
Giocatori più rappresentativi: Tho, Lehmann
Allenatore più rappresentativo: Stevens
Slovan Bratislava
Una storia da leader, quella dello Slovan Bratislava, sia nel Campionato slovacco (cui ha partecipato dal 1939 al 1944 e poi a partire dal 1993), sia in quello cecoslovacco (dal 1945 al 1992). In più un trofeo europeo: la Coppa delle Coppe, conquistata nel 1969 battendo in finale il fortissimo Barcellona. Era l'anno successivo all'invasione sovietica della Cecoslovacchia e la competizione attraversava un periodo travagliato; infatti gran parte delle squadre dell'Europa orientale si erano ritirate per protesta, perché le squadre occidentali volevano la creazione di due gruppi separati: uno dell'Est e uno dell'Ovest. Comunque, lo Slovan del 1969 era un'ottima squadra e soprattutto giovane: con la vittoria europea iniziò uno dei periodi più belli della sua storia (tre Campionati tra il 1970 e il 1975). La crisi arrivò a metà degli anni Ottanta: nel 1985 la squadra fu retrocessa e dovette aspettare tre anni prima di riuscire a risalire in prima divisione. Jozef Venglos, grande giocatore e grande tecnico, è l'uomo più rappresentativo; dietro di lui i fratelli Jan e Jozef Capkovic, Alexander Vencel e l'attaccante Marian Masny, campione europeo con la Cecoslovacchia nel 1976.
Sergio Rizzo
Denominazione e sede: SK Slovan Bratislava, Bratislava
Anno di fondazione: 1919
Presidente: Ludovit Zlocha
General manager: Roman Duben
Colori sociali: blu-bianco
Stadio: Tehelné Pole (30.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 8 Campionati di Cecoslovacchia (1949, 1950, 1951, 1955, 1970, 1974, 1975, 1992), 8 Campionati di Slovacchia (1940, 1941, 1942, 1944, 1994, 1995, 1996, 1999), 5 Coppe di Cecoslovacchia (1962, 1963, 1968, 1974, 1982), 3 Supercoppe Slovacche (1994, 1995, 1996)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1969)
Giocatori più rappresentativi: Pivarnik, Vencel, Jan Capkovic, Jozef Capkovic, Jokl, Venglos, Popluhar, Masny
Giocatore con il maggior numero di presenze: Vencel (321)
Giocatore con il maggior numero di gol: Jan Capkovic (100)
Allenatori più rappresentativi: Stasny, Jaciansky, Vican, Venglos, Galis
Spartak Mosca
Nata come Moskovski Klub Sports, la formazione assume successivamente i nomi di Krasnaya Presnya, Pischeviki, Dukat, Promkooperatsia e, nel 1936, quello attuale. È la squadra di Mosca con il maggior numero di tifosi, ma in campo internazionale si è sempre arenata a livello di semifinali. La sua storia è legata in modo indissolubile a Nikolaj Starostin, che nel club ha ricoperto tutte le cariche. Comincia come calciatore (è tra i fondatori nel 1922) e la sua carriera agonistica dura 14 anni; insieme a lui giocano i suoi tre fratelli Alexander, Andreej e Piotr. Cade in disgrazia durante la dittatura di Stalin (che tifa per la Dinamo, squadra della Polizia) ed è deportato in Siberia.
Tornato in libertà nel 1947, costruisce un team fortissimo, che viene invitato in tutta Europa. Tra il 1952 e il 1958 la squadra vince quattro Campionati e fornisce dieci giocatori alla nazionale che conquista l'oro alle Olimpiadi del 1956. Tra questi Igor Netto, il miglior giocatore dello Spartak di tutti i tempi. Quando Starostin muore, nel 1996, lo Spartak ha già concluso con sei vittorie in sei incontri la prima fase di Coppa dei Campioni, ultimo grande traguardo raggiunto dal club.
Denominazione e sede: Spartak Moskva, Mosca
Anno di fondazione: 1922
Presidente: Oleg Romantsev
General manager: Yuri Zavarzin
Colori sociali: bianco-rosso
Stadi: Lokomotiv (23.960 spettatori), Luzhniki (84.500 spettatori)
Vittorie nazionali: 12 Campionati dell'URSS (1936, 1938, 1939, 1952, 1953, 1956, 1958, 1962, 1969, 1979, 1987, 1989), 10 Coppe dell'URSS (1938, 1939, 1946, 1947, 1950, 1958, 1963, 1965, 1971, 1992), 8 Campionati di Russia (1992, 1993, 1994, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000), 2 Coppe di Russia (1994, 1998)
Giocatori più rappresentativi: Starostin, Simonian, Netto, Khusainov, Shalimov, Mostovoi, Radchenko, Cherchesov, Onopko
Giocatore con il maggior numero di presenze: Cherenkov (398)
Giocatore con il maggior numero di gol: Simionan (135)
Allenatori più rappresentativi: Starostin, Simonian, Beskov
Sporting Lisbona
Fondato dal Visconte de Alvalade, lo Sporting Lisbona sorge come club dei benestanti locali, in contrapposizione al Benfica, considerato il sodalizio dei ceti popolari. Rispetto al Benfica, rimasto sempre il suo grande rivale, lo Sporting ha una storia meno ricca di vittorie. Ha conquistato 18 titoli nazionali, oltre ai quattro non ufficiali degli anni Venti e Trenta e ha raggiunto il successo più importante con la Coppa delle Coppe del 1964. La sua fama, tuttavia, è legata soprattutto a un incredibile periodo d'oro, compreso tra il 1947 e il 1954, durante il quale è riuscita a vincere sette Campionati su otto, di cui gli ultimi quattro consecutivi.
Nel 1955-56 la squadra, allenata dal britannico Randolf Galloaw, partecipa alla prima Coppa dei Campioni. Contro il Partizan di Belgrado disputa la prima partita ufficiale di quella che sarebbe diventata la più prestigiosa delle competizioni europee; l'incontro finisce 3-3. è un calciatore dello Sporting, João Martins, a segnare il primo gol della storia della Coppa dei Campioni. Un altro nome da ricordare è quello di Hector Yazalde, premiato come miglior cannoniere d'Europa nel 1974: 46 gol, un record ancora imbattuto.
Denominazione e sede: Sporting Clube de Portugal, Lisbona
Anno di fondazione: 1906
Presidente: António Dias da Cunha
General manager: Henrique M. Ruivo Reis Pinto
Colori sociali: bianco-verde
Stadio: José de Alvalade (52.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 22 Campionati (1923, 1934, 1936, 1938, 1941, 1944, 1947, 1948, 1949, 1951, 1952, 1953, 1954, 1958, 1962, 1966, 1970, 1974, 1980, 1982, 2000, 2002), 13 Coppe di Portogallo (1941, 1945, 1946, 1948, 1954, 1963, 1971, 1973, 1974, 1978, 1982, 1995, 2002), 4 Supercoppe Portoghesi (1982, 1987, 1986, 2000)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1964)
Giocatori più rappresentativi: Azevedo, Peyroteo, Travassos, Hilario, Yazalde, Damas, Jordão
Giocatore con il maggior numero di presenze: Damas (332)
Giocatore con il maggior numero di gol: Peyroteo (297)
Allenatori più rappresentativi: Szabo, Candido De Oliveira, Galloway, Gloria, Vaz, Lino
Steaua Bucarest
La Steaua nasce nel 1947 come ASA, diventa due anni dopo CSCA, cambia ancora sigla nel 1950 (CCA) per poi assumere la denominazione attuale nel 1962. Già simbolo della capitale romena, la squadra annovera presto tra i suoi tifosi i membri della famiglia Ceausescu, in particolare il figlio del dittatore, Valentino.
Conosce il suo massimo splendore a metà degli anni Ottanta attraverso una prestigiosa e storica doppia vittoria, la conquista della Coppa dei Campioni e della Supercoppa Europea, primo club dell'Est ad assicurarsi questi trofei. La prima impresa matura in una notte del 1986 a Siviglia, dinanzi al Barcellona di Schuster e Archibald, favorito di turno ma bloccato sullo 0-0 fino al termine dei supplementari. Il protagonista di quella vittoria è un portiere semisconosciuto, Helmut Ducadam, dotato di una presa d'acciaio e capace nell'occasione di respingere quattro rigori su quattro. Dopo la partita si diffonde la notizia che Ducadam abbia avuto con Ceausescu junior una lite, che gli sarebbe costata la rottura delle mani 'magiche', protagoniste del trionfo. Qualche anno più tardi, crollato il muro di Berlino e spazzati via il regime e la famiglia Ceausescu, Ducadam smentisce pubblicamente questa storia. La vittoria europea è raddoppiata nel Principato di Monaco con la Supercoppa (la partita è disputata nel febbraio 1987, ma il titolo è relativo all'anno precedente): ai tempi supplementari, Gheorghe Hagi, capitano della Steaua e della nazionale e fuoriclasse del periodo (viene chiamato il 'Maradona dei Carpazi'), segna il gol decisivo alla Dinamo Kiev.
Perse le protezioni politiche e sopraggiunti gravi problemi economici, il fenomeno Steaua si frantuma. La squadra esce dalla scena europea nel maggio 1989 a Barcellona perdendo per 0-4 la finale di Coppa dei Campioni contro il Milan di Sacchi.
Denominazione e sede: F.C. Steaua Bucuresti, Bucarest
Anno di fondazione: 1947
Presidente: Viorel Paunescu
General manager: Constantin Danilescu
Colori sociali: rosso-blu
Stadio: Ghencea (30.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 21 Campionati rumeni (1951, 1952, 1953, 1956, 1960, 1961, 1968, 1976, 1978, 1985, 1986, 1987, 1988, 1989, 1993, 1994, 1995, 1996, 1997, 1998, 2001), 21 Coppe di Romania (1949, 1950, 1951, 1952, 1955, 1962, 1966, 1967, 1969, 1970, 1971, 1976, 1979, 1985, 1987, 1988, 1989, 1992, 1996, 1997, 1999)
Vittorie internazionali: 1 Coppa dei Campioni (1986), 1 Supercoppa Europea (1986)
Giocatori più rappresentativi: Lacatus, Hagi, Popescu, Ducadam
Giocatore con il maggior numero di presenze: Lacatus (380)
Giocatore con il maggior numero di gol: Iordanescu (156)
Allenatore più rappresentativo: Lucescu
Stoccarda
Pur essendo l'espressione di una città dalle grandi risorse economiche, pur avendo uno stadio fra i più belli d'Europa, pur appartenendo al gruppo delle squadre più seguite del calcio tedesco, lo Stoccarda non ha mai soddisfatto fino in fondo le attese dei propri tifosi. Quando vince il suo primo Campionato, nel 1950, non esiste ancora la Bundesliga a girone unico. Nel 1952 replica il successo, nel 1954 e nel 1958 vince due Coppe di Germania. Dopo di allora, vengono una serie di risultati appena discreti, culminati nel secondo posto in Campionato nel 1966, e un lungo periodo di mediocrità, con il momento più scadente al termine del Campionato 1971-72: diciassettesimo posto e conseguente retrocessione.
Nel 1977 lo Stoccarda ritorna in Bundesliga: sono gli anni in cui nasce l'astro di Hansi Müller, che il club, per motivi economici, cede all'Inter nell'estate 1982. Nel 1984 lo Stoccarda vince nuovamente il Campionato con la guida di Helmuth Benthaus che, dopo aver giocato con successo in Svizzera per 17 stagioni, viene richiamato dal presidente Mayer-Vorfelder, uomo politico di grande rilievo, vicinissimo al cancelliere Köhl ed eletto nel 2000 presidente della Federcalcio tedesca. Benthaus si impone per le sue qualità di lavoratore instancabile e costruisce la squadra intorno al regista Asgeir Sigurvinsson, che stabilisce un'intesa decisiva con Guido Buchwald, destinato ad avere spazio anche in nazionale. Cinque anni dopo, con l'olandese Haan in panchina e con Klinsmann e altri giocatori fondamentali (Katanec, Allgöwer, Gaudino) a guidare i compagni, lo Stoccarda sfiora la Coppa UEFA (1989), battuto in finale dal Napoli. Tre anni dopo (1992) vince ancora il Campionato. Klinsmann non c'è più mentre si mette in luce Matthias Sammer. L'ultimo alloro è la Coppa di Germania vinta nel 1997.
Fabio Monti
Denominazione e sede: Verein für Bauspiel Stuttgart 1893, Stoccarda
Anno di fondazione: 1893
Presidente: Manfred Haas
Direttore generale: Rolf Rüssmann
Colori sociali: bianco-rosso
Stadio: Gottlieb-Daimler-Stadion (51.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 4 Campionati tedeschi (1950, 1952, 1984, 1992), 3 Coppe di Germania (1954, 1958, 1997), 1 Supercoppa Tedesca (1992)
Giocatori più rappresentativi: H. Müller, Sigurvinsson, Buchwald, Klinsmann, Katanec, Gaudino, Allgöwer, Sammer
Giocatori con il maggior numero di presenze: Allgöwer (338), Schäfer (331), Buchwald (325)
Giocatori con il maggior numero di gol: Allgöwer (129), Walter (102), Ohlicher (96)
Allenatori più rappresentativi: Benthaus, Haan
Torino
Nel raccontare la storia del Torino non si può prescindere dall'incidente del 4 maggio 1949, quando l'aereo che trasportava la squadra precipitò sulla collina di Superga, causando la scomparsa di una delle formazioni più grandi di tutti i tempi. Fu il tragico punto d'arrivo della prima parte della storia granata e il non meno tragico punto di partenza della seconda.
Il club nasce nel dicembre 1906 in una birreria di via Pietro Micca. A partire dal 1912 la squadra è guidata, per circa dieci anni, da Vittorio Pozzo, futuro commissario tecnico della nazionale italiana ai Mondiali del 1934 e del 1938. La prima epoca felice comincia nel 1924, con l'avvento alla presidenza del conte Marone Cinzano che fa acquisti importanti: l'argentino Libonatti, detto 'il funambolo', Baloncieri, conosciuto come 'il trascinatore di gran classe', e l'attaccante Rossetti, 'lo sfondatore'. Il trio delle meraviglie guida il Torino allo scudetto del 1927, poi revocato per un tentativo di corruzione, e subito dopo a quello del 1928, vinto il quale Marone Cinzano passa la mano a Giacomo Ferrero. Negli anni Trenta nasce la sezione giovanile del Balôn Boys, antesignana dello storico vivaio Filadelfia. Il Torino, dopo aver sofferto la supremazia della Juventus vincitrice di cinque scudetti consecutivi, comincia la risalita dopo il 1935, proprio grazie alla maturazione dei suoi giovani. Nel 1939 inizia il grande 'salto' con l'avvento alla presidenza di Ferruccio Novo, non un mecenate ma un manager di straordinaria abilità. Il suo primo acquisto è Ossola nel 1940, l'anno successivo arrivano Menti, Gabetto e Ferraris, nel 1942 Mazzola e Loik. Nasce così, tassello dopo tassello, quella che rimane la più grande squadra italiana di tutti i tempi, i cui primati resistono da oltre mezzo secolo: cinque Campionati vinti dal 1943 al 1949, quattro dei quali in sequenza, dal 1946 al 1949.
Tocca ancora a Novo, scampato al disastro di Superga, ricominciare. Anni difficili, sempre nuove e spesso avventurose gestioni, allenatori di grido come Carver e Frossi, campioni al tramonto come Jeppson, Armano e Ricagni. Nel 1959 la squadra subisce la prima retrocessione, che coincide con la sponsorizzazione della Talmone. Da lì riprende forma un Torino più giovane, con Bearzot capitano a guidare ragazzi di valore come Lido Vieri e Giorgio Ferrini. Seguono quattro buone stagioni con Nereo Rocco, in volontario esilio dal Milan, e un altro campione in fiore, Meroni, la 'farfalla granata', anch'egli vittima di un tragico incidente: la sera del 15 ottobre 1967, viene travolto in corso Re Umberto da un'auto guidata dal futuro presidente Romero. È poi la volta di Giagnoni, ricordato sempre con il suo colbacco, del giovane Claudio Sala, del giovanissimo Pulici, di giocatori combattivi come Agroppi, Cereser e Ferrini. Qualche anno più tardi, l'allenatore Gigi Radice riesce a rimodernare la squadra in chiave olandese e a farle conquistare, 27 anni dopo Superga, il sospirato scudetto: grazie a un grande centrocampo e a un attacco implacabile formato dai 'gemelli del gol', Pulici e Graziani. L'anno successivo il Torino fa ancora più punti, ma il +5 in media inglese non basta rispetto al +6 della Juventus. Segue un buon decennio, sia pure con segnali di progressiva flessione.
A partire dal 1989, una serie di retrocessioni ha molto ridimensionato la caratura di un club peraltro minato alle fondamenta da continue disavventure societarie. Nel 2001, il Toro ‒ come viene chiamata la squadra ‒ ha ritrovato la serie A, ma non il suo storico vivaio, né il vecchio 'tempio' del Filadelfia, il campo rimasto imbattuto dal 17 gennaio 1943 al 30 aprile 1949 con 83 vittorie e 10 pareggi.
Gigi Garanzini
Denominazione e sede: Torino Calcio, Torino
Anno di fondazione: 1906
Presidente: Attilio Romero
Direttore generale: Sandro Mazzola
Colori sociali: granata
Stadio: Delle Alpi (69.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 8 Campionati (1927 revocato, 1928, 1943, 1946, 1947, 1948, 1949, 1976), 5 Coppe Italia (1936, 1943, 1968, 1971, 1993)
Vittorie internazionali: 1 Mitropa Cup (1991)
Giocatori più rappresentativi: Libonatti, Baloncieri, Rossetti, Menti, Gabetto, V. Mazzola, Loik, C. Sala,
P. Pulici, Graziani
Giocatori con il maggior numero di presenze: Ferrini (405), Pulici (335), Zaccarelli (317)
Giocatori con il maggior numero di gol: Pulici (134), V. Mazzola (97, a cui si devono aggiungere altri 21 segnati nel Campionato di guerra 1943-44), Graziani (97)
Allenatori più rappresentativi: Ferrero, Sperone, Pozzo, Rocco, Giagnoni, Radice
Tottenham Hotspur
La squadra di calcio di Tottenham, un quartiere popolare di Londra, nasce come Hotspur Football Club sulla scia dell'omonima compagine di cricket, per iniziativa di un gruppo di studenti. Il nome, che significa "sperone rovente" deriva da Harry Hotspur, un personaggio shakespeariano. Il battesimo del 30 settembre 1882 non è felice: 0-2 contro i Radicals. Lo stadio viene costruito presso un pub, il White Hart, e così viene chiamato White Hart Lane: l'inaugurazione risale al 1899. Vivian Woodward è l'autore del primo gol in una partita ufficiale di Campionato.
Delle squadre londinesi, solo l'Arsenal vanta un albo d'oro più ricco di quello del Tottenham e soltanto il Manchester United ha vinto più Coppe d'Inghilterra (10 a 8). La storia del club è stata caratterizzata da grandi solisti come Jimmy Greaves, uno dei più forti attaccanti del calcio britannico: in nove stagioni, dal 1961 al 1970, ha siglato 220 reti in 321 gare di Campionato, contribuendo alla conquista del primo trofeo internazionale, la Coppa delle Coppe del 1963. A questa hanno poi fatto seguito due Coppe UEFA. Il Tottenham non vince il Campionato dal 1961. Nel corso della stagione 2001-02, Les Ferdinand, il suo centravanti, ha firmato il gol numero 10.000 nella Premiership.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: Tottenham Hotspur Football Club, Londra
Anno di fondazione: 1882
Presidente: Daniel Levy
Segretario generale: John Alexander
Colori sociali: bianco-blu
Stadio: White Hart Lane (36.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 2 Campionati (1951, 1961), 8 Coppe d'Inghilterra (1901, 1921, 1961, 1962, 1967, 1981, 1982, 1991), 3 Coppe di Lega (1971, 1973, 1999)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1963), 2 Coppe Uefa (1972, 1984)
Giocatori più rappresentativi: Blanchflower, Greaves, Jennings, Perryman, Lineker, Ardiles, Klinsmann, Mabbutt, Gascoigne, Hoddle
Giocatore con il maggior numero di presenze: Steve Perryman (655)
Giocatore con il maggior numero di gol: Jimmy Greaves (220)
Allenatori più rappresentativi: Mcwilliam, Nicholson, Burkinshaw, Venables, Graham, Hoddle
Valencia
Tre sono i periodi d'oro del Valencia, fondato nel 1919, distribuiti tra gli anni Quaranta, gli anni Settanta e a cavallo del nuovo secolo. L'influenza più marcata l'hanno avuta tre personaggi di origine argentina: Alfredo Di Stefano, Mario Kempes e Héctor Cúper.
A Di Stefano, leggenda del Real Madrid poi diventato allenatore di successo, sono legati tre risultati di grande prestigio realizzati dalla società, a cominciare dalla conquista del primo Campionato dell'era moderna, datato 1971. È di nuovo Di Stefano in panchina quando il Valencia conquista la Coppa delle Coppe del 1980, vinta sull'Arsenal a Bruxelles il 14 maggio, al culmine di una serie di rigori seguiti allo 0-0 maturato dopo 120 minuti. È infine merito di Alfredo Di Stefano il ritorno in serie A nel 1988-89, che dà il via alla rinascita della squadra.
Mario Alberto Kempes, el matador per i tifosi del Valencia, attaccante con il gusto del dribbling e del gol, campione del mondo con l'Argentina nell'estate 1978, ottiene nel Valencia una bella serie di risultati positivi. Nel volgere di otto stagioni colleziona 184 presenze e segna 116 gol, diventando el hombre del partido per i trionfi nella Coppa di Spagna del 1979 e nella Coppa delle Coppe del 1980. È capocannoniere della Liga nel 1977 e 1978.
Con Héctor Cúper il Valencia esce dai confini del calcio spagnolo e diventa vero protagonista a livello europeo: non solo per la presenza tra le sue fila di molti calciatori di buona qualità come Gerard (poi ceduto al Barcellona), Farinós (passato all'Inter) e il capitano Mendieta (ceduto alla Lazio), ma anche per la capacità di scegliere stranieri di grande esperienza e di sicuro rendimento, come il francese Angloma o l'italiano Carboni. Preceduto dal lavoro prezioso di un italiano (il romano Claudio Ranieri), Cúper, grazie a un calcio aggressivo ed esuberante, riesce per due volte a portare la sua squadra alla finalissima di Champions League: a Parigi, nel maggio 2000, perde con il Real Madrid 3-0; a Milano, nel maggio 2001, cede soltanto ai rigori al Bayern Monaco. Nel 2002, con Llorente in panchina, il Valencia vince il Campionato.
Franco Ordine
Denominazione e sede: Valencia Club de Fútbol, Valencia
Anno di fondazione: 1919
Presidente: Pedro Cortes
Direttore generale: Manuel Llorente
Colori sociali: giallo-rosso
Stadio: Mestalla (50.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 5 Campionati (1942, 1944, 1947, 1971, 2002), 6 Coppe di Spagna (1941, 1949, 1954, 1967, 1979, 1999)
Vittorie internazionali: 1 Supercoppa Europea (1980), 1 Coppa delle Coppe (1980), 2 Coppe delle Fiere (1962, 1963)
Giocatori più rappresentativi: Kempes, Mendieta, Carboni, Ayala, Farinós, Gerard
Giocatore con il maggior numero di presenze: Manolo (225)
Giocatore con il maggior numero di gol: Hermida (104)
Allenatori più rappresentativi: Cúper, Di Stefano, Ranieri
Vasco da Gama
Il Vasco da Gama nasce come club di canottaggio nella notte del 21 agosto 1898 su impulso della comunità portoghese di Rio de Janeiro. La denominazione prende origine dal fatto che quell'anno si commemorava il quarto centenario della scoperta del percorso marittimo per le Indie, fatta dal navigatore Vasco da Gama. Il calcio fa il suo ingresso nel club solo nel 1915, dopo la fusione con il Lusitânia. La prima partita ufficiale è un disastro: sconfitta per 10-1 contro il Paladino FC in una gara valida per il Campionato di terza divisione. L'unico gol ‒ il primo della storia del club ‒ lo segna Adão Brandão. La prima vittoria arriva nell'ottobre dello stesso anno, contro l'Associacão River São Bento. Club dalle modeste risorse economiche, il Vasco da Gama naviga nella mediocrità per molto tempo; nel 1917 è promosso in seconda divisione e soltanto sei anni più tardi approda nella massima serie. La sua è una storia di lotte: nel 1924 il Vasco è il primo club brasiliano ad arruolare calciatori che non hanno la pelle bianca e sono di umili origini. Le polemiche sono feroci. Le squadre dell'élite calcistica del periodo ‒ Flamengo, Fluminense, America e Botafogo ‒ danno vita a un torneo che non prevede la partecipazione del Vasco.
Il club vive un periodo fortunato tra il 1945 e il 1958, vincendo per sette volte il titolo carioca. In questi anni vestono la maglia del Vasco calciatori di grande valore come Ademir, grande uomo-gol, e Tesourinha, virtuoso del dribbling. Nel 1958 il Vasco trionfa nel Torneo Rio-São Paulo con una squadra che ha il suo punto di forza nella coppia formata dall'attaccante della nazionale Vavà e dall'interno di punta Adir.
L'epoca di maggior splendore coincide con gli anni Settanta. Nel 1974 la formazione conquista il primo titolo nazionale, superando in finale il Cruzeiro: vittoria per 2-1 con gol di Jorginho Carvoeiro e di Ademir. Quest'ultimo è stato tra i calciatori di maggior classe, insieme al portiere Andrada, al centrocampista Zanata e all'attaccante Roberto, detto 'Dinamite' per la potenza del suo tiro, capocannoniere del torneo con 16 reti. Il Vasco da Gama vince di nuovo il titolo nazionale nel 1989 e nel 1997. I calciatori più rappresentativi del Vasco di oggi sono Romario, Euller, Juninho Paulista e Pedrinho.
Darwin Pastorin
Denominazione e sede: Vasco da Gama Clube de Regatas, Rio de Janeiro
Anno di fondazione: 1898
Presidente: Eurico Angelo Miranda
Direttore generale: Isaias Tinoco
Colori sociali: bianco-nero
Stadio: São Januário (35.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campionati nazionali (1974, 1989, 1997), 21 Campionati carioca (1923, 1924, 1929, 1934, 1936, 1945, 1947, 1949, 1950, 1952, 1956, 1958, 1970, 1977, 1982, 1987, 1988, 1992, 1993, 1994, 1998), 3 Tornei Rio-São Paulo (1958, 1966, 1999)
Vittorie internazionali: 1 Copa Sul-americana de clubes campeões (1948), 1 Coppa Libertadores (1998), 1 Coppa Mercosur (2000)
Giocatori più rappresentativi: Moacir Barbosa, Bellini, Danilo, Chico, Mauro Galvão, Domingos da Guia, Leonidas, Mazaropi, Dunga, Claudio Adão, Roberto 'Dinamite', Dirceu, Tita, Bebeto, Edmundo, Romario, Denner
Giocatore con il maggior numero di presenze: Roberto 'Dinamite' (1022)
Giocatore con il maggior numero di gol: Roberto 'Dinamite' (617)
Allenatori più rappresentativi: Lopes, Costa, Vieira, Fantoni, Travaglini, Martins, Joel Santana
Vélez Sarsfield
Il Vélez Sarsfield viene fondato il 1° gennaio 1910 nel quartiere di Liniers, a Buenos Aires, da un gruppo di emigrati italiani. La prima maglia ufficiale è bianca con il tricolore sul petto, poi azzurra e, nel 1913, a strisce verticali verdi, rosse e bianche (più sottili); infine il club adotta la divisa definitiva, tutta bianca con una grande V azzurra sul petto. Già molto vicino al titolo nel 1953 (secondo a quattro punti dal River Plate), il Vélez conquista il suo primo Campionato Nacional nel 1968. L'allenatore è Manuel Giudice, in attacco gioca un ragazzino di 19 anni che farà la storia della società: Carlos Bianchi. All'inizio degli anni Novanta, dopo una lunga e prestigiosa carriera nel calcio francese, Bianchi torna al club come allenatore; con lui il Vélez vince altri tre Campionati e, nel 1994, sia la Coppa Libertadores sia la Coppa Intercontinentale, quest'ultima a Tokyo contro il Milan allenato da Fabio Capello. Nel 1998 la vittoria del Campionato Clausura vede in panchina Marcelo Bielsa, che qualche mese dopo diventerà commissario tecnico della Selección.
Denominazione e sede: Club Atlético Vélez Sarsfield, Buenos Aires
Anno di fondazione: 1910
Presidente: Carlos Eduardo Mousseaud
Colori sociali: bianco-azzurro
Stadio: El Fortin-José Amalfitani (50.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 5 Campionati (Nacional 1968, Clausura 1993, Apertura 1995, Clausura 1996, Clausura 1998)
Vittorie internazionali: 1 Coppa Libertadores (1994), 1 Coppa Intercontinentale (1994), 1 Coppa Interamericana (1996), 1 Supercoppa Sudamericana (1996), 1 Recopa (1996)
Giocatori più rappresentativi: Ferraro, Conde, Bianchi, Larraquy, Ischia, Simeone, Flores, Asad, Trotta, Chilavert
Giocatori con il maggior numero di presenze: Larraquy (455), Allegri (384), Cardozo (355)
Giocatori con il maggior numero di gol: Bianchi (206), Ferraro (111), Conde (108)
Allenatori più rappresentativi: Giudice, Rogel, Bianchi, Piazza, Bielsa, Washington Tabarez
Verona
L'Hellas Verona nasce nel 1903 e si rafforza nel 1929, assorbendo due altre società cittadine, la Bentegodi e la Scaligera. Approda in serie A, dopo mezzo secolo di vani tentativi, il 16 giugno 1957. Due sono i cicli positivi della squadra: il primo, dal 1968 al 1974, con sei stagioni consecutive nella massima serie, culminate, il 20 maggio 1973, in uno storico 5-3 al Milan, che toglie ai rossoneri uno scudetto praticamente già vinto e lo consegna alla Juventus. Il secondo, di ben altra caratura, dal 1981 al 1990, con la grande stagione in gialloblu di Osvaldo Bagnoli. Allenatore della Bovisa, Bagnoli arriva dal Cesena nel 1981. Vince il Campionato di serie B e comincia ad assemblare una squadra di talenti frustrati e di giovani emergenti che, anno dopo anno, inizia a scalare la classifica.
Quando, nell'estate del 1984, la società accoglie la sua richiesta di ingaggiare Preben Elkjaer, un attaccante estremamente aggressivo che Bagnoli aveva personalmente visto distinguersi agli Europei francesi, nasce il Verona che il 12 maggio dell'anno seguente vincerà lo scudetto più sorprendente della storia dei Campionati a girone unico. Era infatti dai primi del secolo, dai tempi di Casale e Pro Vercelli, che una squadra provinciale del Nord non si aggiudicava il titolo. Centrata l'impresa, ma eliminato dalla Juventus in Coppa dei Campioni, in una sfida disputata a porte chiuse per motivi disciplinari, il Verona rientra poco per volta nei ranghi, pur togliendosi ancora qualche soddisfazione anche in campo europeo e negando al Milan, nel maggio 1990, uno scudetto non meno clamoroso di quello del 1973, questa volta a vantaggio del Napoli.
Da allora il Verona, tra promozioni e retrocessioni, non si è più allontanato da una dimensione provinciale. Purtroppo tristemente noti sono gli slogan e gli atteggiamenti razzisti dei suoi ultras.
Gigi Garanzini
Denominazione e sede: Hellas Verona Football Club, Verona
Anno di nascita: 1903
Presidente: Giambattista Pastorello
Direttore generale: Rino Foschi
Colori sociali: giallo-blu
Stadio: Comunale Bentegodi (45.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 1 Campionato (1985)
Giocatori più rappresentativi: Mascetti, Sirena, Elkjaer, Fanna, Galderisi
Giocatori con il maggior numero di presenze: Mascetti (232), Sirena (172), Maddè (166)
Giocatori con il maggior numero di gol: Mascetti (35), Elkjaer (32), Galderisi (28)
Allenatore più rappresentativo: Bagnoli
Werder Brema
Il termine Werder significa "isolotto", oppure "terra stretta fra le acque" e fa riferimento alla posizione geografica di Brema, attraversata dal Weser. Pur avendo il Werder radici molto lontane (la fondazione risale al 1899), la sua svolta risale agli anni Sessanta, quando Franz Böhmert lascia Berlino per trasferirsi a Brema e diventa medico sociale della squadra che vince il suo primo Campionato nella stagione 1964-65.
Nel gennaio 1976 Böhmert, divenuto presidente della società, convince Otto Rehhagel ad assumere la guida tecnica della squadra. Rehhagel si insedia un mese dopo, salva la squadra dalla retrocessione e se ne va. Torna cinque anni dopo (2 aprile 1981), per iniziare un ciclo che durerà tredici anni e durante il quale il Werder vince due Campionati, due Coppe e due Supercoppe di Germania e, inoltre, la Coppa delle Coppe nel 1992, quando batte in finale il Monaco (2-0), con l'aggiunta di due secondi e due terzi posti in Bundesliga e l'ingresso in due finali di Coppa. Il Werder è stato la squadra di Rudi Völler (dal 1982 al 1987, 97 gol in cinque stagioni) e di Karl Heinz Riedle (dal 1987 al 1990, 38 gol), due attaccanti successivamente emigrati in Italia, il primo alla Roma, il secondo alla Lazio.
Bratseth, il libero della nazionale norvegese, diventa l'anima della squadra che vince il Campionato nel 1993 e realizza l'accoppiata Coppa-Supercoppa di Germania l'anno seguente. Una squadra che è costata poco, che punta su 'anziani' di consolidata bravura (Votava, il capitano, ha 37 anni), che sa scegliere buoni giocatori un po' ovunque: in Austria (Herzog, il più dotato tecnicamente), ma anche in Nuova Zelanda (con Rufer). Poi, una brutta parabola discendente, in seguito all'abbandono sia del presidente Böhmert sia dell'allenatore Rehhagel, che andrà a vincere la Bundesliga nel 1998 con il Kaiserslautern. Nel 1999, tuttavia, il Werder Brema riesce a conquistare ancora una volta la Coppa di Germania, la quarta della sua storia.
Fabio Monti
Denominazione e sede: Sport Verein Werder Bremen, Brema
Anno di fondazione: 1899
Presidente: Jürgen Born
Direttore generale: Klaus Allofs
Colori sociali: bianco-verde
Stadio: Weserstadion (35.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Campionati (1965, 1988, 1993), 4 Coppe di Germania (1961, 1991, 1994, 1999), 3 Supercoppe Tedesche (1988, 1993, 1994)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1992)
Giocatori più rappresentativi: Völler, Riedle, Bratseth, Herzog, Rufer
Giocatori con il maggior numero di presenze: Burdenski (444), Hottges (420), Gorts (363)
Giocatori con il maggior numero di gol: Neubarth e Völler (97), Bode (89)
Allenatore più rappresentativo: Rehhagel
West Ham United
I fondatori del West Ham sono stati, nel 1895, gli impiegati della Thames Ironworks, una ditta di costruzioni navali. Nel 1900, quando il club per la prima volta prese parte alla Southern League, fu adottata la denominazione West Ham United. Nel 1904 fu inaugurata la nuova sede di Upton Park.
Il club non ha mai vinto un Campionato (il suo miglior piazzamento è il terzo posto nel 1986), ma si è sempre distinto per il vivace gioco d'attacco, di cui sono prova le storiche sconfitte inflitte all'Arsenal nel 1927 (7-0) e nel 1946 (6-0). L'impresa più bella resta legata alla conquista della Coppa delle Coppe del 1965: in quell'occasione il West Ham batté per 2-0 i tedeschi del Monaco 1860 nella finale di Wembley.
Il West Ham può gloriarsi di aver offerto tre autentiche colonne alla nazionale inglese campione del Mondo nel 1966: il 'libero' e capitano Bobby Moore, l'ala sinistra Martin Peters e l'attaccante Geoffrey Hurst, autore della tripletta che, nella finale, determinò la sconfitta della Germania Ovest.
Capitano e simbolo del West Ham, che dalla stagione 1993-94 è ininterrottamente in Premiership, è diventato Paolo Di Canio, ingaggiato nel gennaio 1999. Al giocatore italiano è stato attribuito il premio Fair Play della FIFA per il 2001.
Roberto Beccantini
Denominazione e sede: West Ham United Football Club, Londra
Anno di fondazione: 1895
Presidente: Terence Brown
Direttore generale: Peter Barnes
Colori sociali: granata-celeste
Stadio: Upton Park (26.000 spettatori)
Vittorie nazionali: 3 Coppe d'Inghilterra (1964, 1975, 1980)
Vittorie internazionali: 1 Coppa delle Coppe (1965)
Giocatori più rappresentativi: Watson, Dick, Moore, Hurst, Peters, Lampard, Brooking, Bonds, Devonshire
Giocatore con il maggior numero di presenze: Billy Bonds (663)
Giocatore con il maggior numero di gol: Vic Watson (298)
Allenatori più rappresentativi: Greenwood, Lyall, Macari, Bonds, Redknapp, Roeder