calcio - Olanda
FEDERAZIONE
Denominazione ufficiale: Koninklijke Nederlandsche Voetbalbond
Anno di fondazione: 1889
Anno di affiliazione FIFA: 1904
NAZIONALE
Colori: arancione-bianco
Prima partita: 30 aprile 1905, Belgio-Olanda, 1-4
Albo d'oro: 1 Campionato d'Europa (1988), due secondi posti Campionato del Mondo (1974, 1978)
Giocatore con maggior numero di presenze: Frank De Boer (92)
Giocatore con maggior numero di gol: Dennis Bergkamp (36)
MOVIMENTO CALCISTICO
Formula del Campionato: 18 squadre, girone all'italiana
Club: 4050 società, 58.868 squadre
Giocatori tesserati: 527.900 uomini, 35.000 donne
Arbitri: 76.000 uomini, 10.000 donne
Stadi principali: Amsterdam ArenA (51.000 spettatori); de Kuip, Rotterdam (51.000); Philips Stadion, Eindhoven (30.000); Georedome, Arnhem (26.600)
Primo club fondato: Haarlem FC
Vittorie internazionali dei club: 6 Coppe dei Campioni (4 Ajax, 1 PSV Eindhoven, 1 Feyenoord), 1 Coppa delle Coppe (Ajax), 3 Coppe UEFA (Ajax, PSV Eindhoven, Feyenoord), 3 Supercoppe d'Europa (Ajax), 3 Coppe Intercontinentali (2 Ajax, 1 Feyenoord)
Campionati nazionali vinti dai club: 28 Ajax; 16 PSV Eindhoven; 14 Feyenoord; 8 HVV; 6 Sparta; 4 Go Ahead; 3 HBS, Willem II; 2 ADO, Heracles, RAP, RCH; 1 AZ '67, Be Quick, BVV, DOS, DWS, Eindhoven, SC Enschede, Haarlem, Limburgia, NAC, Quick, Rapid JC, SVV, De Volewijckers
Coppe nazionali vinte dai club: 15 Ajax; 10 Feyenoord; 7 PSV Eindhoven; 4 Quick; 3 AZ '67, HFC, Sparta; 2 DFC, Fortuna '54, Haarlem, HBS, RCH, Roda JC, VOC, Wageningen, Willem II, FC Twente; 1 ADO, Concordia, CVV, Eindhoven, FC Den Haag, HVV, LONGA, NAC, Quick, RAP, Roermond, Schoten, FC Utrecht, Velocitas (Breda), Velocitas (Groningen), VSV, VUC, VVV, ZFC
Giocatori con il maggior numero di vittorie nella classifica cannonieri: Ruud Geels, Marco Van Basten (4 volte)
Giocatore con il maggior numero di presenze: Pim Doesburg (687)
Giocatore con il maggior numero di gol: Willy van der Kuijlen (312)
La prima partita di calcio guidata da regole canoniche venne disputata in Olanda nel 1865 per iniziativa di un intraprendente quattordicenne, Pim Mulier, senza raccogliere grande entusiasmo tra gli spettatori non proprio soddisfatti dello spettacolo offerto. Qualche tempo dopo Mulier fondò l'Haarlem FC (più noto con la sigla HFC); il club, che all'atto del battesimo contava 40 tesserati, è ancora oggi in piena attività e può, con legittimo orgoglio, vantare il primato di società calcistica più antica dei Paesi Bassi. Appena l'attività si fece più intensa e si diede un'organizzazione meno avventurosa e provvisoria, lo stesso Pim Mulier divenne presidente della neonata associazione olandese di calcio e atletica (NVBA), fondata il 9 dicembre 1889 con l'adesione di sette club e nel 1895 trasformata in associazione esclusivamente calcistica per la cessata attività della sezione atletica. L'obiettivo del giovane dirigente fu l'organizzazione di una competizione nazionale, dotata di un calendario ufficiale, tale da interrompere l'abitudine dei club di organizzare le sfide attraverso inviti che consentivano loro di scegliere gli avversari con cui misurarsi. L'inizio del Campionato d'Olanda risale al 1890-91 con l'assegnazione del primo titolo di campione al RAP di Amsterdam. Fu l'inizio di un periodo durato quasi cento anni, scanditi da risultati anonimi e da schermaglie di poco conto, e caratterizzati da una visione tradizionale del calcio, nel frattempo diventato sport nazionale. Gli olandesi viaggiavano, commerciavano e studiavano, riproducendo in piccolo ciò che avveniva nel calcio in Inghilterra e in Belgio e affidando a pochi talenti indigeni il compito di dare visibilità al movimento e segnalare particolari virtù tecniche.
Quasi un secolo più tardi, un'altra data importante, il 1961. Un altro ragazzo olandese, timido e silenzioso, esile nel fisico, figlio di un fruttivendolo e di una lavandaia, nato alla periferia operaia di Amsterdam, all'età di 14 anni vinse il suo primo torneo, categoria ragazzi. Sembra un evento banale ed è invece l'inizio di un'altra storia per tutto il calcio dell'Olanda e del mondo intero. Il suo nome ben presto figurò a pieno merito negli almanacchi calcistici, trasformandolo da semplice campione di razza, esponente di una generazione unica, in una sorta di caposcuola, un fenomeno socioculturale da studiare e da imitare con risultati a volte prodigiosi, a volte patetici: si tratta di Johan Cruijff, stella di primissima grandezza dell'Ajax, il club fondato il 18 marzo 1900 presso il caffè-ristorante 'East India' di Amsterdam e diventato poi nume tutelare della nazionale.
La rivoluzione calcistica maturata nel cuore dell'Olanda, tra Amsterdam e Rotterdam, negli anni Settanta fu preceduta da un paio di episodi passati quasi inosservati. Nel maggio 1969, a Madrid, il Milan di Nereo Rocco, arricchito dalla classe di Rivera e di Sormani e dall'abilità di tiro di Prati, travolse per 4-1, nella finale di Coppa dei Campioni, l'Ajax guidato da Rinus Michels, allenatore dalla faccia truce e dai modi sbrigativi. Un anno dopo, a Milano, il Feyenoord, allenato dall'austriaco Happel, conquistò la prima Coppa dei Campioni per l'Olanda, sottraendola agli scozzesi del Celtic, al culmine di una bella sfida protratta fino all'estremo dei tempi supplementari. Nessuno si accorse di ciò che stava accadendo in quel torneo, pochi sembravano incuriositi dai personaggi e dagli interpreti di un calcio diverso in tutto, negli allenamenti, nella disposizione tattica, nella mentalità che lo governava. Molti cronisti, incatenati all'ortodossia, ne deridevano le abitudini più pittoresche, il clima goliardico che era possibile respirare durante i ritiri, aperti anche a mogli e fidanzate come è documentato da filmati e resoconti. Altri critici pronosticarono lezioni esemplari per le 'cicale' olandesi che cantavano e correvano, pressavano e segnavano, dominavano e umiliavano ogni tipo di rivale incontrato lungo la strada senza molto curarsi di una difesa arcigna, senza smettere di cercare il gol anche se erano in largo vantaggio. Si trattò invece di una svolta epocale, che dall'Olanda finì con il coinvolgere ogni parte del vecchio Continente, ancora dominato dal Real Madrid, dal Milan, dall'Inter e dagli inglesi tornati padroni.
Johan Cruijff aveva il numero 14 sulle spalle ed era già questo il primo atto d'innovazione: lo custodì come una reliquia, se lo portò dall'Ajax in nazionale e poi anche nel trasferimento al Barcellona. Il giovane ed esuberante asso non era un centravanti classico e neppure un trequartista o un regista alla vecchia maniera: riassumeva invece in un giocatore solo tutte queste funzioni con singolare bravura. Accanto a lui l'Ajax, in particolare, si muoveva con i tempi di una collaudata orchestra: non c'erano ruoli definiti e nemmeno gregari incaricati di portare la borraccia al capitano: c'era una squadra più corta e più compatta, che guadagnava a cadenze serrate l'area altrui, giocava secondo geometrie nuove, tagliava da destra a sinistra il campo, indietreggiava in blocco e in blocco avanzava minacciosa. Era il 'calcio totale', ripreso da qualche isolato esperimento nel resto del Continente, in Italia da Corrado Viciani, tecnico della Ternana, e da Heriberto Herrera al comando della Juventus del dopo Sivori. Per il calcio tradizionale dell'epoca, diventò complicato studiare qualche contromisura. Come si marca un giocatore come Cruijff? Fulvio Bernardini, figura eminente del calcio italiano, recuperato al ruolo di commissario tecnico per rifondare la nazionale azzurra dopo il naufragio del Mondiale di Germania 1974, provvide con un mediano agile, Orlandini, una via di mezzo tra il severo guardiano dell'argine e il fedele gregario di centrocampo. Servì a poco, al pari delle mosse tentate, qualche anno prima, da Giubertoni e dall'Inter, travolti dai perfetti sincronismi dell'Ajax in una delle tre finali consecutive di Coppa dei Campioni, vinte puntualmente dalla squadra di Amsterdam (maggio 1972).
Non c'era solo Cruijff, naturalmente, a rivoluzionare il calcio, e non c'era, a dirigere le operazioni dalla panchina, solo Michels, nel frattempo passato dall'Ajax al Barcellona e rimpiazzato dal romeno Stefan Kovacs. Sistemata l'Inter, l'anno dopo infatti l'Ajax provvide a battere la Juventus di Trapattoni a Belgrado con Rep, uno dei tanti esponenti della nuova prorompente generazione. Il portiere Stuy e Surbier, Krol e Hulshoff, riconoscibile subito dal barbone alla Fidel Castro, Keizer e Neeskens furono tutti al fianco di Cruijff nella conquista dei trofei dell'Ajax e naturalmente nella nazionale, alle prese con due Mondiali memorabili in Germania nel 1974 e in Argentina nel 1978. Entrambe le manifestazioni videro un'avanzata trionfale verso la finalissima dell'Olanda, che nel 1978, anche se priva del suo campione, sfiorò la conquista del titolo. Per due volte cedette dinanzi ai padroni di casa, tedeschi prima e argentini dopo, senza tradire rancori o risentimenti speciali. Introdusse così anche una nuova cultura della sconfitta, non disonorevole se punteggiata dalla dedizione completa. Eppure, mentre al cospetto di Beckenbauer, l'Olanda pagò un tributo per la discutibile organizzazione difensiva, in Argentina, davanti agli esponenti della giunta militare, Rensenbrink e i suoi avvertirono il sospetto di un trattamento non proprio esemplare da parte dell'arbitro designato, l'italiano Gonella.
Esaurita la spinta rivoluzionaria degli anni Settanta, il calcio non fu più lo stesso, mentre l'Olanda cercò nuovi tecnici da addestrare, nuove finali da conquistare, altri ragazzi da allevare. Uno, leggero e pieno di grazia, cominciò a mettersi in luce a Utrecht, un altro, di straordinaria potenza, si affermò nel PSV Eindhoven: Marco Van Basten e Ruud Gullit incarnarono la rinascita del calcio olandese. Cruijff tornò a casa e divenne allenatore dell'Ajax ma toccò al suo antico maestro, Rinus Michels, guadagnare il titolo inseguito da sempre dalla nazionale, preparato da due risultati importanti: la Coppa dei Campioni vinta dal PSV Eindhoven e lo scudetto del Milan con il valore aggiunto di Gullit e Van Basten (maggio 1988). Nell'estate dello stesso anno l'Olanda vinse il Campionato d'Europa con una facilità quasi sorprendente. I fratelli Koeman ‒ Ronald, dotato di un destro fulminante ed Erwin, sentinella di centrocampo ‒ furono le chiavi di accesso al gioco: al resto provvidero Gullit e Van Basten. Marco, l'unico erede riconosciuto di Cruijff, siglò un gol memorabile nella finale contro l'URSS, al volo di destro, da posizione impossibile: fu il 2-0, sigillo dell'impresa salutata in Olanda da un'indimenticabile festa popolare, con un milione di persone nelle strade ad accogliere i campioni di ritorno dalla Baviera.
Intanto il calcio olandese si arricchisce di calciatori di colore. Numerosi e promettenti ragazzi giungono infatti, dividendosi fra i club del paese, dall'Africa e dal Suriname, ex Guayana olandese: alcuni sono campioni conclamati, altri dotati di corsa e di potenza. Questi giocatori rinnovano nazionale e l'Ajax, riorganizzato intorno a Louis Van Gaal, calciatore dalla carriera modesta, ma pronto a duplicare un ciclo di strepitosi successi, dalla Coppa dei Campioni a quella Intercontinentale, ottenuti uno dopo l'altro a metà degli anni Novanta. Un dato su tutti: nella finalissima di Vienna (maggio 1995), contro il Milan di Capello, l'Ajax è un temibilissimo 'battaglione nero', definizione del tecnico milanista: George Finidi, Reiziger, Rijkaard, Seedorf, Kanu, Davids e Kluivert, decisivo nel siglare il gol del successo, ne sono gli esponenti, addirittura 7 su 11, più di una semplice tendenza.
Negli anni Novanta e all'inizio del 21° secolo, l'Ajax è una stella che si accende e si spegne a seconda dei flussi di campioni da e verso l'estero, mentre la nazionale resta ancora al buio. Nei Mondiali del 1990, del 1994 e del 1998 non va oltre sofferte qualificazioni, negli Europei disputati in casa e in Belgio dell'estate del 2000 si ritrova esclusa dalla finalissima per una serie di errori dal dischetto contro gli azzurri di Zoff, commessi da esperti giocatori dell'Ajax, come il capitano Frank de Boer. Paga per tutti Frank Rijkaard, commissario tecnico sfortunato e poco esperto.