calcio - Spagna
FEDERAZIONE
Denominazione ufficiale: Real Federación Española de Fútbol
Anno di fondazione: 1913
Anno di affiliazione FIFA: 1904
NAZIONALE
Colori: rosso-blu
Prima partita: Bruxelles, 28 agosto 1920, Danimarca-Spagna, 0-1
Albo d'oro: 1 Olimpiade (1992), 1 Campionato d'Europa (1964)
Albo d'oro della nazionale giovanile: 1 Campionato del Mondo under 20 (1999), 2 Campionati d'Europa under 21 (1986, 1998), 3 Campionati d'Europa under 18 (1952, 1954, 1995), 5 Campionati d'Europa under 16 (1986, 1988, 1991, 1997, 1999)
Giocatore con il maggior numero di presenze: Andoni Zubizarreta (126)
Giocatore con il maggior numero di gol: Fernando Hierro (27)
MOVIMENTO CALCISTICO
Formula del Campionato: 20 squadre, girone all'italiana
Club: 33.555 società, 101.906 squadre
Giocatori tesserati: 117.438 uomini, 10.307 donne
Arbitri: 553 uomini, 7 donne
Stadi principali: Camp Nou, Barcellona (98.000 spettatori); Santiago Bernabéu, Madrid (75.000); La Cartuja, Siviglia (72.000); Heliópolis, Siviglia (62.000)
Vittorie internazionali dei club: 10 Coppe dei Campioni/Champions League (9 Real Madrid, 1 Barcellona), 6 Coppe delle Coppe (4 Barcellona, 1 Atlético Madrid, 1 Real Saragozza), 8 Coppe UEFA (3 Barcellona, 2 Valencia, 2 Real Madrid, 1 Real Saragozza), 3 Supercoppe d'Europa (2 Barcellona, 1 Valencia), 3 Coppe Intercontinentali (2 Real Madrid, 1 Atlético Madrid)
Campionati nazionali vinti dai club: 28 Real Madrid; 16 Barcellona; 9 Atlético Madrid (include Atlético Aviación); 8 Athletic Bilbao; 5 Valencia; 2 Real Sociedad San Sebastian; 1 Real Betis Siviglia, RC Deportivo La Coruña, Siviglia
Coppe nazionali vinte dai club: 24 Barcellona; 23 Athletic Bilbao; 17 Real Madrid; 9 Atlético Madrid; 6 Valencia; 5 Real Saragozza; 3 Espanyol Barcellona, Siviglia, Real Unión Irún; 2 Real Sociedad San Sebastián (include Ciclista), RC Deportivo La Coruña; 1 Arenas de Guecho Bilbao, Real Betis Siviglia, Racing de Irún, Vizcaya Bilbao
Giocatore con il maggior numero di vittorie nella classifica cannonieri: Telmo Zarra (6 volte)
Giocatore con il maggior numero di presenze: Andoni Zubizarreta (622)
Giocatore con il maggior numero di gol: Telmo Zarra (259)
La Spagna è la patria di un club leggendario, il Real Madrid, che ha collezionato un numero strabiliante di vittorie sia in Campionato sia in Coppa dei Campioni e alla fine del 2000 è stato premiato dalla FIFA quale 'squadra del secolo'. Tuttavia è tra le Federazioni d'Europa più povere di titoli: la sua nazionale conta infatti un unico alloro continentale conquistato nel torneo giocato in casa nel 1964, oltre a pochi altri trofei (oro olimpico nel 1992 a Barcellona). Questi risultati sono tanto più modesti se confrontati con i successi dei club come il Real Madrid e il Barcellona, capaci di monopolizzare l'attenzione di campioni, dirigenti e pubblico. Tuttavia, questa stessa contraddizione spiega in realtà il fenomeno: dove marciano vittoriose autentiche armate, faticano a trovare spazio, autonomia e a riscuotere interesse le rappresentative nazionali.
Le origini del calcio in Spagna si devono agli inglesi, che introducono i primi rudimenti della tecnica calcistica nel paese. Lo sport conosce, all'alba del Novecento, una rapida espansione: merito, naturalmente, di qualche eccellente talento ma anche di una serie di incoraggianti risultati, nonché del carattere popolare del calcio, che sarà utilizzato poi dal regime di Franco a scopo di propaganda. Il debutto internazionale della Spagna avviene nel 1920, sette anni dopo la fondazione della Federazione, in occasione dei Giochi Olimpici di Bruxelles, quando la sua rappresentativa conquista una promettente medaglia d'argento. Nel 1929, un anno dopo l'introduzione del Campionato nazionale professionistico, la Spagna si aggiudica una vittoria che può valere l'equivalente di un titolo: si tratta del primo successo ottenuto da una squadra non appartenente alle isole britanniche sull'Inghilterra, all'epoca ritenuta invincibile.
Al 1933 risale il successo più largo della storia calcistica spagnola, il 13-1 sulla Bulgaria. Sembra una premessa promettente per il Mondiale italiano del 1934. Invece in Italia gli spagnoli, dopo aver eliminato il Brasile, si arrendono agli azzurri di Vittorio Pozzo, destinati ad aggiudicarsi il primo titolo iridato di una storica sequenza. In quest'epoca compare sulla scena calcistica spagnola un talento molto celebrato, il portiere Ricardo Zamora, protagonista assoluto dei pochi filmati dell'epoca; di lui si ricordano i duelli con Giuseppe Meazza. Il miglior piazzamento mondiale di tutti i tempi è il quarto posto del 1950 nel torneo svoltosi in Brasile, dove la Spagna vince tutti e tre gli incontri del primo turno.
Due sapienti dirigenti sono all'origine del successo del Real Madrid: don Santiago Bernabéu, a cui è intitolata l'arena più famosa di Spagna, presidente del Real per 35 anni, dal 1943 al 1978, e il tesoriere Raimundo Saporta. I due, con scelte giuste di allenatori e campioni e giovandosi anche della protezione di Franco e del suo regime, conquistano tra il 1956 e il 1960 cinque Coppe dei Campioni consecutive: la serie dei successi comincia con il 4-3 sullo Stade Reims, si ripete con il 2-0 inflitto alla Fiorentina e il 3-2 al Milan di Schiaffino allenato da Puricelli per poi concludersi con un 2-0 sul Reims e con un clamoroso 7-3 nei confronti dell'Eintracht di Francoforte. Sembra impossibile fermarli, in patria e all'estero.
L'impresa più ovvia ed elementare sembrerebbe utilizzare campioni, formule tattiche, metodi d'allenamento e collaudate intese maturate nel Real per la nazionale spagnola, al fine di riscuotere gli stessi travolgenti successi. Invece, la formula non funziona, nonostante una serie di compromessi e qualche cedimento ai regolamenti internazionali. La Spagna chiede e ottiene infatti di reclutare anche l'asso del Real Alfredo Di Stefano, argentino di anagrafe: Di Stefano, tesserato con il River Plate dopo aver militato in un club di Bogotá, i Millonarios, fuorilegge per la FIFA, è oggetto di un'accesa controversia tra Real e Barcellona prima di passare alla squadra di Madrid e di lì approdare alla nazionale, della quale conserva un significativo record: con 23 gol in 31 partite è il secondo miglior cannoniere di tutti i tempi. Sulla scia di Di Stefano, arriva in nazionale anche Ferenc Puskas, fuoriclasse dell'Ungheria finalista in Svizzera 1954, ingaggiato dal Real dopo la fuga dal suo paese a motivo della rivoluzione del 1956.
Nonostante questi inserimenti, tuttavia, le prestazioni appaiono deprimenti: per due Mondiali di fila, 1954 e 1958, la Spagna non riesce a qualificarsi, nel 1962 in Cile e nel 1966 in Inghilterra esce agli ottavi di finale. Nel torneo sudamericano dominato e vinto dal Brasile di Garrincha, la Federazione spagnola tenta la carta del compromesso fra il calcio catalano e quello castigliano: mette insieme l'anima del Barcellona, schierando come commissario tecnico Helenio Herrera (subito dopo reclutato da Angelo Moratti per dar vita alla grande Inter), e quella del Real Madrid, portando in campo Puskas; ne scaturisce un insuccesso per certi versi prevedibile: le due parti, invece di collaborare l'una con l'altra, al sorgere delle prime difficoltà finiscono con il farsi la guerra, coinvolgendo nella tenzone le simpatie e gli interessi editoriali di giornali e televisione.
Al ritorno dalla disastrosa spedizione cilena, si decide di chiudere le frontiere per dieci anni in modo da promuovere la crescita di talenti indigeni. A incoraggiare in modo autorevole il cambio di rotta interviene la conquista del titolo di campione d'Europa nell'estate del 1964. Il vantaggio di giocare in casa è soltanto il primo dei benefici sfruttati dalla nazionale finalmente allestita secondo criteri tattici ortodossi. A guidarla, sul campo, con perfetta maestria geometrica, è Luisito Suárez, stella del Barcellona, acquistato poi da Moratti al prezzo di 120 milioni, una cifra mai pagata prima di allora, per diventare l'instancabile architetto del gioco interista. Luis Suárez è la mente, mentre il madrilista Amancio, ala destra dal dribbling fulminante, è il braccio: insieme, per una volta, uno di scuola Real e l'altro del Barcellona, riescono a far decollare anche la nazionale spagnola. Travolgente la sequenza conclusiva del torneo: in semifinale la Spagna elimina la temibile Ungheria; in finale, a Madrid, dinanzi all'URSS del gigantesco Yashin, s'impone l'abilità sotto porta di Marcelino Martínez, autore della rete decisiva a sei minuti dal termine.
Interviene poi un altro elemento d'instabilità calcistica: la girandola di allenatori. La serie di sostituzioni sulla panchina della nazionale alla ricerca dell'uomo giusto conosce il suo record tra il 1968 e il 1969 allorché le quattro partite stagionali disputate dalle 'furie rosse' sono anticipate dal cambio di altrettanti commissari tecnici: Tobè, Aringes, Molowny e Muñoz. Subito dopo però si pone l'avvento del più duraturo degli allenatori della Spagna, Ladislao Kubala, centrocampista del Barcellona, personalità di gran temperamento, che resiste nell'incarico dall'ottobre 1969 fino al giugno 1980. Rappresenta a lungo una specie di punto di riferimento, un ormeggio sicuro anche se non ottiene conquiste memorabili e anzi lega il suo nome a due sfortunate edizioni del Mondiale, Messico 1970 e Germania 1974, nelle quali la Spagna manca la qualificazione. La sua avventura si conclude mestamente in occasione del Campionato d'Europa disputato in Italia nel 1980: la Spagna giunge ai quarti di finale dopo una partenza felice, 0-0 con i padroni di casa, a San Siro. Anche in questa occasione il Real Madrid fornisce la materia prima per allestire una squadra di buon livello tecnico e di grandi ambizioni: l'ala destra Juanito, dotato di una grande capacità di dribbling e di fantasia, e il centravanti Santillana, capace di un efficace colpo di testa, ne sono i protagonisti più autorevoli.
Tradita ogni speranza di ben figurare nel Mondiale ospitato in casa, nel giugno 1982, la Spagna rialza la testa due anni dopo a Parigi, arrendendosi solo all'abilità di tiro di Michel Platini, che su punizione riesce a beffare il portiere basco Arconada, capitano della nazionale spagnola e suo leader incontrastato, insieme con Maceda, autore del gol servito per eliminare i tedeschi dell'Ovest, campioni in carica. Comincia in quel periodo a formarsi a Madrid una generazione promettente di calciatori, tutti arruolati nel Real, che portano la nazionale a raggiungere qualche confortante risultato. Noto con il nome di quinta del buitre, il gruppo si compone del buitre, "l'avvoltoio", il veloce e agile Butragueño, per alcuni anni detentore del primato di gol con la casacca rossa (esattamente 26, tre in più del leggendario Di Stefano), di Chendo, difensore laterale destro, di Sanchis, stopper arcigno, di Martín Vazquez e di Michel, centrocampista di ingegno, chiamato 'agonia' dal presidente madridista Mendoza per l'aria sconsolata mostrata prima di ogni partita. Grazie a loro, la Spagna offre una buona prestazione nei Mondiali di Messico 1986, dove viene eliminata ai rigori dal Belgio. Con i loro eredi, guidati da Guardiola e Luis Enrique, si aggiudica l'oro nel torneo calcistico delle Olimpiadi del 1992, mentre nel Mondiale americano del 1994 si arrende alla stoccata di Roberto Baggio su assist di Signori. Chiusa con l'addio del portiere Zubizarreta (detentore del primato delle presenze, 126) la parentesi malinconica del torneo iridato di Francia 1998, ai Mondiali del 2002, la Spagna è eliminata ai quarti di finale dalla Corea del Sud, complice un discutibile arbitraggio.