Vedi CALCO dell'anno: 1959 - 1994
CALCO
Dell'uso di eseguire calchi di opere d'arte nell'antichità abbiamo quattro testimonianze letterarie. La più chiara ed esplicita è un passo di Luciano (Iupp. Trag., 33, e commento relativo), nel quale si fa comparire la statua in bronzo di Hermes esposta nel Pecile coperta della pece della quale si servivano per prendere l'impronta. Un passo di Plinio (Nat. hist., xxx, 151) attribuisce a Lysistratos, vissuto nella seconda metà del sec. IV a. C., l'introduzione dell'uso di prendere il c. dalle statue e dal vero. A questa asserzione non contraddice la notizia di Plutarco (De sollertia animalium, p. 984), che Soteles e Dionisio, inviati dal re d'Egitto Tolomeo I Sotere a Sinope, sulle coste del Mar Nero, per recare due statue di Plutone e di Kore, sbattuti dalla tempesta e poi guidati da un delfino a Cirra, porto di Delfi, portarono con sé la sola statua di Plutone, lasciando sul posto quella di Kore, dopo averne preso il calco. Quanto infine avesse preso piede quest'uso in età romana, lo dimostra un passo di Giovenale (Sat., i, 2, 4), nel quale si parla di gessi, dappertutto diffusi, del ritratto di Crisippo. Non altrettanto chiare sono purtroppo le testimonianze archeologiche. L'unico esempio incontrovertibile di due statue in bronzo plasmate con l'aiuto della stessa forma (o per mezzo di forme calcate dallo stesso stampo) è dato dalle due statue di giovani lottatori nudi conservate nel Museo Naz. di Napoli. Però anche qui le parti di cui era più difficile fissare il c. a causa dei numerosi sottosquadri - come i piedi, le mani e, soprattutto, i capelli - furono modellate a mano libera. Un'altra prova indiretta dell'esistenza di calchi è data dalle forme di stucco rinvenute a Saqqārah ed a Memfi, datate nei primi due secoli dell'èra cristiana e destinate alle forme in cera dalle quali si ricavavano le singole copie in bronzo (v. anche begram). Queste forme di stucco servivano per piccoli oggetti di arte industriale; ed infatti l'esame di tali oggetti, come le anse e i piedi di ciste e di vasi metallici (che per loro stessa natura dovevano essere il più possibile identici) permette di concludere - almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze - che prima dell'età ellenistica la forma veniva volta a volta rifatta (il che può confermare l'attribuzione di tale invenzione a Lysistratos o almeno a qualcuno del suo tempo); che anche dopo di allora il processo di moltiplicazione meccanica di un oggetto di bronzo, sia a tutto tondo sia a rilievo, si ritrova assai più raramente di quel che ci si attenderebbe; che quasi sempre le parti a sottosquadro erano escluse dal c. ed eseguite a mano libera; che quasi ignorato era l'uso del c. a sezioni; ed infine che quasi sempre il c. serviva appena per la forma approssimativa dell'oggetto rappresentato, poiché questo veniva poi rifinito con più o meno abile ed accurato lavoro di cesello. Quest'ultima osservazione ci aiuta a spiegare la rarità dei calchi, che ha poi la sua ultima radice nella ripugnanza degli antichi verso ogni processo di moltiplicazione meccanica: il lavoro di rifinitura, che dava - solo esso - l'impronta artistica all'opera d'arte copiata, era sì lungo e delicato, che il c. era di scarso aiuto. Queste conclusioni negative rendono sempre più problematica la speranza di ricavare dalle molte decine di migliaia di copie romane in marmo e dalle poche dozzine di copie in bronzo, gli originali greci perduti, che sarebbero stati trasmessi attraverso modelli in gesso, presi dai modelli originari d'argilla (v. copie). Ed infatti, ogni qualvolta un confronto minuto e preciso è possibile, spesso si trova che esistono varianti sia pur minime ed involontarie fra due copie in marmo o fra una copia in marmo e una in bronzo. D'altra parte vi sono casi che confermano indirettamente l'uso di calchi, come la perfetta coincidenza di copie in marmo dello stesso originale in bronzo (esempio: testa del Doriforo da Leptis, al museo di Tripoli, completato col calco della replica del museo di Napoli che collima esattamente). Ma solo particolari tecnici ci permetteranno un giorno di distinguere se un bronzo è stato fuso da una forma originale o da un calco (v. bronzo).
Bibl.: E. Pernice, in Oesterr. Jahresh., VII, 1904, pp. 154-180; K. Kluge e K. Lehmann-Hartleben, Die antiken Grossbronzen, Berlino 1927.