Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Calderón è considerato, insieme a Lope de Vega, il più importante drammaturgo del Seicento spagnolo. La sua produzione, ampia e multiforme, diretta ai teatri pubblici come a quelli di corte, esplora tutti i generi in voga all’epoca. Il capolavoro assoluto è La vida es sueño.
Parabola biografica e artistica
Pedro Calderón de la Barca, universalmente conosciuto per il dramma La vida es sueño, rappresenta una delle voci più profonde del ricchissimo patrimonio letterario della Spagna dei Secoli d’Oro. Soltanto gli sviluppi critici più recenti hanno permesso di allontanarsi dall’immagine del drammaturgo filosofo, del sottile indagatore del pensiero e dell’animo umano, del coscienzioso e ortodosso teologo, per approdare al riconoscimento della sua peculiarità di uomo di teatro, eccellente conoscitore degli stratagemmi di scena e fantasioso innovatore delle pratiche rappresentative.
La biografia è assai meno burrascosa di quella del suo più grande predecessore, Lope de Vega, che si avvia all’ultima fase della sua carriera quando il giovane Calderón incomincia a farsi spazio nel mondo teatrale madrileno, sia nel circuito commerciale che, con una precocità di assoluto rilievo, in quello di corte. Riceve una formazione improntata agli studi teologici, prima presso i Gesuiti a Madrid, e poi nelle prestigiose università di Alcalá de Henares e di Salamanca. Il luogo comune della “biografia del silenzio”, frequentemente ripetuto per contrapporre la sua vicenda esistenziale, e la sua personalità, a quella di Lope, è stato parzialmente rivisto alla luce delle ultime ricerche, benché queste abbiano insistito sulla prematura perdita della madre (1610) e sull’autoritaria figura del padre per spiegare alcuni tratti della personalità di Calderón. Poche luci in più sono state gettate su alcuni episodi controversi della sua gioventù: un’accusa di omicidio e la reprimenda pubblica subita da un ecclesiastico per essersi introdotto in un convento mentre dava la caccia a un attore, che presumeva coinvolto in una rissa con uno dei suoi fratelli. Nel complesso, Calderón sembra condurre una vita inquieta, non diversamente da quella di molti colleghi, durante gli anni Venti, in coincidenza con la sua affermazione nei teatri commerciali della capitale, salvo poi tentare di occultarne i risvolti più scomodi a mano a mano che intreccia la sua carriera con le committenze della corte e di vari nobili in vista. Passi quasi obbligati della sua ascesa sono il cavalierato di Santiago, ottenuto nel 1636, e la partecipazione ad alcune campagne militari su fronti periferici del grande conflitto europeo della guerra dei Trent’anni, tra cui spicca la repressione delle rivolte catalane nei primissimi anni Quaranta. Entrato al servizio del potente duca d’Alba, e costretto a un rallentamento della sua attività drammaturgica a causa delle ripetute chiusure dei teatri determinate da continui lutti nella famiglia reale, si dedica con sempre maggiore intensità a comporre autos sacramentales, rappresentazioni allegoriche, talora anche molto fastose, con cui si celebra la festività del Corpus Domini. Sembra scegliere una vita più raccolta e meditabonda, specie a partire dall’ordinazione sacerdotale del 1651, che fa seguito a una crisi motivata dalla perdita dei fratelli e da altre difficoltà personali, tra cui la nascita di un figlio illegittimo, e che non pare scevra da mere necessità economiche.
Saranno soprattutto gli ultimi anni di regno di Filippo IV, il sovrano sotto il quale si svolge quasi tutta la sua parabola artistica, a segnare un definitivo inserimento a corte per Calderón, che alternerà la scrittura degli autos all’ideazione e alla direzione di fastosi spettacoli messi in scena nelle varie dimore della Madrid asburgica, in particolare durante il regno dell’inetto Carlo II, iniziato nel 1665. La sua morte segna, per convenzione, la chiusura del sipario sulla grande stagione artistica del Siglo de Oro, e al tempo stesso indica l’inizio della fine per la potenza spagnola, ormai avviata a un declino inesorabile sullo scacchiere internazionale.
Le opere: sguardo d’insieme
Il corpus che lascia ai posteri è esteso e multiforme, spaziando dalle forme del teatro breve, essenzialmente imperniate su toni carnevaleschi e irriverenti, alla solennità degli autos (un’ottantina quelli conservati), di cui giunge ad avere il monopolio, fino all’estrema eterogeneità della produzione drammatica, che consta di poco più di un centinaio tra commedie di cappa e spada, tragedie d’onore, drammi biblici, commedie agiografiche, opere a sfondo storico, feste di tema mitologico. Non mancano, in un patrimonio così ampio e legato alle problematiche circostanze della circolazione dei testi teatrali nella Spagna secentesca, le incognite e i ragionevoli dubbi. Se in alcuni casi è tuttora difficile risolvere gli spinosi problemi di attribuzione, con la complicazione aggiunta dell’apparente disinteresse di Calderón per la fissazione testuale di alcune opere minori che forse riteneva non riuscite, in una dozzina abbondante di altri casi la paternità calderoniana è da condividersi con drammaturghi coevi, in un’epoca in cui la scrittura drammatica in collaborazione diventa prassi sempre più frequente. Inoltre, bisogna considerare che Calderón sottopone certamente alcuni lavori a profonde revisioni, adattando per le ricche scene cortigiane testi nati a suo tempo per i ben più essenziali teatri pubblici: in casi simili pare estremamente pericoloso limitarsi ad accogliere l’ultima versione conosciuta come quella definitiva; più probabilmente è necessario parlare di autoriscrittura o di diversi stadi di volontà autoriale, di volta in volta commisurata alla committenza e al pubblico cui sono destinate le opere riviste.
Alcuni dei testi più significativi
La vida es sueño (La vita è sogno, stampata nel 1636, ma composta in una prima versione intorno al 1629) spicca su tutto il corpus per densità filosofica, teologica e morale. Ma è da notare anche la maestria di cui Calderón dà prova nell’uso dello spazio, che alterna sapientemente un’ambientazione cortigiana a una semiselvaggia, e nella tessitura delle due linee argomentative più importanti: l’inconsapevole Segismundo, allevato in uno stato quasi animalesco di prigionia su ordine del padre Basilio, il sovrano di Polonia, che ne teme la ribellione prevista dagli oroscopi, fallisce la prova che gli viene concessa quando è trasportato a corte nel sonno. Svanito l’effetto del sonnifero, si dimostra incapace di comportarsi in modo adeguato alla sua inattesa condizione di principe ereditario. Rinchiuso nuovamente nel carcere, pensa di aver sognato tutto e ambisce a staccarsi da ogni stimolo terreno, e quindi limitato e ingannevole, in favore di una tensione verso l’eternità. Tuttavia, riconosce nei sentimenti che nutre per la giovane Rosaura, introdottasi in incognito alla corte di Polonia per riparare l’onore ferito della madre, un potenziale elemento di realtà che gli conferma l’importanza del valore dell’esperienza; così pure percepisce il buffone Clarín come una prova dell’identità delle due dimensioni. Proprio com’era previsto dalle stelle, decide di guidare la rivolta del regno contro il padre, ma giunto al suo cospetto non lo uccide, dimostrando che l’uomo ha sempre il libero arbitrio dalla sua, e con esso può vincere il destino, anche quando questo sembra ineluttabile.
Temi affini, anche se con un’impronta più marcatamente cristiana, sono sviluppati in El mágico prodigioso (Il mago dei prodigi), oggetto anch’essa dell’entusiastica lettura dei romantici tedeschi, tra i primi a imporre la vulgata del Calderón filosofo e teologo in abiti da drammaturgo. Una delle conseguenze di questa visione è stato l’oblio caduto a lungo sull’abbondante produzione comica, tra cui spicca La dama duende (La dama fantasma), una brillante commedia di equivoci, non priva di qualche elemento di rivendicazione di una maggiore libertà decisionale per le donne. Molto ben costruiti risultano alcuni drammi a sfondo storico, come Amar después de la muerte (Amare dopo la morte), ambientato durante la rivolta cinquecentesca delle popolazioni moresche nella regione montuosa delle Alpujarras, o El sitio de Bredá (L’assedio di Breda), che celebra la conquista dell’importante piazzaforte olandese, evento immortalato anche dal quadro Las lanzas di Velázquez. Altri personaggi si muovono sul complesso crinale tra storia e leggenda e sono al centro di opere intense e quasi visionarie, come El príncipe constante (Il principe costante), sulla figura di un martire portoghese, che sarà fonte di ispirazione anche per Jerzy Grotowski o La hija del aire (La figlia dell’aria), su Semiramide.
Assai noti sono poi alcuni drammi che ruotano intorno al tema dell’onore e della sua difesa a fronte di eventi, reali o presunti, che minacciano l’immagine pubblica del protagonista e ne minano profondamente, anche una volta che questa sia restaurata, la serenità interiore: i titoli più importanti sono El alcalde de Zalamea (Il sindaco di Zalame), che, pure a fronte di una sostanziale ortodossia ideologica e politica, propone spunti di critica alla concezione rigidamente monarchico-feudale che di solito sembra propugnare buona parte del teatro dell’epoca, e El médico de su honra (Il medico del proprio onore) o El mayor monstruo del mundo (Il maggior mostro del mondo), questi ultimi fondati sulla gelosia che acceca sospettosi e machiavellici mariti e li porta, più o meno volontariamente, a punire con la morte le incolpevoli mogli. Recente è anche un rinnovato interesse critico per le tante opere pensate per le feste di corte, intrise di elementi allegorici e mitologici, la cui vera dimensione è quella dello spettacolo di grande impatto visivo, fondato sul connubio tra musica, magnificenza dei costumi, fondali prospettici e innovazioni scenotecniche, e per i cui allestimenti risulta decisiva la collaborazione con scenografi italiani come Baccio del Bianco e Cosme Lotti.