CALDERONE
In archeologia preistorica e protostorica (per le civiltà classiche v. invece lebete) si usa denominare così un tipo di recipiente di bronzo laminato generalmente adoperato per la cottura dei cibi, ma il cui uso effettivo può essere stato sovente diverso, cosicché in alcuni ambienti culturali, e specie per alcune forme, la distinzione tra c. e bacino appare incerta.
Nelle civiltà orientali, pur così ricche spesso di vasellame in metallo laminato, la forma del vero e proprio c. appare solo in maniera molto sporadica. Nell'Egitto faraonico, l'utilizzazione per cuocere vivande pare accertata nel caso di un esemplare bronzeo, con carena molto accentuata, alta parete concava, bocca non troppo larga; la data di questo vaso è incerta: la lega metallica fa pensare al Medio Regno (1991 - circa 1700 a. C.), la forma ha precedenti in ceramica già fin dalla V dinastia (circa 2480-2350 a. C.). Al Medio Regno sembrerebbero appartenere alcuni recipienti, in bronzo e in rame, molto più aperti e meno profondi, quasi a calotta sferica, con una sola ansa, orizzontale, e l'orlo rinforzato all'esterno e all'interno da due strisce di lamina. Al Nuovo Regno (1570-1085 a. C.), o anche ad età successiva, vanno invece riferite fogge più chiuse, a carena non troppo bassa e parete un po' rientrante; ma si tratta sempre di esemplari estremamente rari e di uso incerto. Anche nelle più antiche civiltà dell'Asia Anteriore, il c. non si presenta come elemento culturale di qualche importanza. La sua diffusione è invece soprattutto legata allo sviluppo deJla metallurgia in Armenia e nell'area siro-cipriota. Già per i bacini del tempio salomonico, montati su vasi mobili, la Bibbia fa il nome di un artista fenicio, Hiram da Tiro (v. carro culturale). Di lì a poco, i monumenti figurati assiri ci dànno una serie di riproduzioni di c., generalmente privi di anse, posti su sostegni conici, sia in scene rituali, sia, come bottino, in raffigurazioni di saccheggi. La tipologia appare sostanzialmente unitaria, pur presentando diverse varianti, che potrebbero anche essere caratteri regionali; tuttavia non sembra escluso che, fra il IX e il VII sec., si possa rintracciare una generica linea di sviluppo da forme piuttosto aperte e con basso sostegno, a forme più chiuse, globulari ma schiacciate, sempre con orlo nettamente distinto e con sostegno più alto e talvolta anche sagomato. In altre zone, come in Frigia e in Armenia (Urartu), si hanno c. di un tipo diverso, non cioè uniti al sostegno, ma liberi, in modo da poterli posare su tripodi, e spesso forniti anche di anse atte alla sospensione. Al tipo più recente tra quelli noti da raffigurazioni assire sembra ricollegarsi un esemplare coevo (700 circa a. C.) da Gordion, ancora di forma globulare schiacciata e ad orlo nettamente distinto - anche se non più molto ampio -, sul quale pare fossero impostate anse di legno, delle quali ce ne è conservata una rappresentante un leone che assale un altro animale. I recenti scavi di nuovi tumuli a Gordion hanno restituito un altro esemplare, della stessa età del primo, ma con orlo ormai solo accennato. Insieme a questi due c. si rinvennero anche alcuni recipienti minori, in bronzo - o anche in ceramica, ma evidenti imitazioni di originali in bronzo - che presentano una forma meno schiacciata, quasi sferoidale, ed un orlo appena distinto. Sono forniti di due prese ad anello verticale, in ognuna delle quali è inserito un secondo anello, mobile, che doveva servire per la sospensione del vaso, o per infilarvi un bastone. A questi piccoli calderoni di Gordion si accostano, per la forma, quelli di fabbricazione urartea (territorio armeno: v. urartu) anch'essi spesso su tripodi. Si ha anche qui, fondamentalmente, lo stesso tipo di ansa che a Gordion; le prese ad anello verticale, sempre due, sono tuttavia in questo caso impostate non direttamente sul vaso, ma su placche dalla sagoma a figura di uccello, recanti una, e talvolta anche due, protomi umane (i noti Assurattaschen), o anche una protome taurina. Tale rapporto tipologico appare confermato da ulteriori, recentissimi rinvenimenti a Gordion. In un tumulo, databile all'ultimo quarto dell'VIlI sec., sono venuti alla luce tre c. di tipo urarteo, dei quali due hanno ciascuno quattro placche a protome umana ed uno ne ha due a protome taurina. In territorio urarteo si hanno anche placche, sempre a protome taurina, ma senza le prese per l'anello di sospensione, impostate in numero di 4 su altri calderoni, non con funzione pratica, ma esclusivamente decorativa. Le prime due forme di applicazioni rappresentano tipi largamente diffusi e imitati anche fuori dell'Armenia, frequenti in Grecia ed in Etruria (v. lebete) nel corso della fase "orientalizzante", particolarmente nella prima metà del VII sec. benché il grosso dei rinvenimenti armeni sia anteriore.
Per analogia, si è voluto pensare ad un'origine armena anche dei coevi lebeti con protomi di grifi che ebbero anche essi ampia diffusione in Grecia e in Etruria, dove si trovano sovrapposti anche a sostegni conici del tardo tipo sagomato orientale. Ma né calderoni, né sostegni di questo tipo ci sono noti dal territorio di Urartu. Una protome di grifo, rinvenuta a Susa, e forse databile alla prima metà del VII sec., è il solo pezzo di provenienza asiatica. Si è perciò sostenuto che il tipo fosse invenzione greca. Anche la forma di questi lebeti è diversa da quella dei calderoni urartei. Sparita ormai del tutto ogni traccia di orlo distinto, la spalla è meno accentuata e la parete rientra con un andamento quasi rettilineo. Questa foggia trova piuttosto le sue analogie in alcuni bacili siro-ciprioti; allo stesso ambiente si richiamano anche le figurazioni di un esemplare celebre, quello della Tomba Bernardini di Preneste, nel Museo Pigorini di Roma (v. palestrina).
Un gruppo indipendente, e che sembra avere uno sviluppo autonomo rispetto a quelli orientali, è costituito dai calderoni minoico-micenei. Delle forme più antiche, quasi sempre in rame, che risalgono ancora alla fine del periodo Medio Minoico, una è quella a tripode, con bacino cilindrico, con orlo sporgente e 2 o 3 anse orizzontali in corrispondenza di esso (Cnosso), o con 2 anse orizzontali e 1 verticale (Gurnià); essa sembra esclusiva di Creta, dura nel periodo iniziale del Tardo Minoico, ma non sembra oltrepassare la metà del II millennio, se non per un esemplare, alquanto diverso dagli altri, da Zapher Papoura (v. avanti). L'altra forma, più antica, è quella semplice, senza tripode, a bacino emisferico, spesso ottenuto non da un solo pezzo di rame martellato, ma da parecchi pezzi connessi con chiodi; le anse, 2 o 3, sono poste verticalmente al di sopra dell'orlo, come in un recipiente portato da più persone. Originaria di Creta (Tylissòs) la forma si ritrova sul continente (Tombe del Circolo a Micene, con molte varianti) e persino, con un esemplare certo alquanto più tardo, in un sepolcro siculo dell'Agrigentino. A Micene, sempre nelle Tombe del Circolo, appare anche un grande c. con carena bassa e molto accentuata, forte gola, e bocca stretta, che ricorda un po' la prima tra le forme che si sono menzionate per l'Egitto. Ma la forma dominante della civiltà micenea, specie in età tarda, è quella del tripode con bacino emisferico, la cui evoluzione sino ai lebeti a tripode di età geometrica appare evidente. L'esemplare forse più antico, da una delle Tombe del Circolo a Micene, è a bacino aperto piuttosto a calotta che emisferico; la distribuzione delle anse ricorda quelle del c. cilindrico di Gurnià; in quelli posteriori, si ha una notevole varietà delle anse; da quelle a maniglia poste verticalmente al di sopra dell'orlo (Tragana) come nei calderoni emisferici senza tripode; a quelle orizzontali (Dendra); a quelle verticali, che congiungono l'orlo alla parete (Asine), e che si ritrovano in un esemplare frammentario, probabilmente anch'esso a tripode, del tesoro di Tirinto, di foggia non più emisferica, ma già più chiusa, ad orlo rientrante. Nello stesso ripostiglio di Tirinto si nota un altro c. della stessa forma, ma non a tripode, che al posto delle anse presenta al disopra dell'orlo due anelli affrontati, tali da permettere di trasportare il recipiente infilando in esse un bastone: particolarità non nuova, come si è visto, e che appare già in un c. a tripode, di forma particolare, da Zapher Papoura. Con questi due pezzi del tesoro di Tirinto si scende ormai quasi alla fase submicenea; le loro caratteristiche si ritrovano unite in un esemplare a tripode da Micene che presenta un bacino a labbro rientrante e due anse verticali, dalla parete all'orlo, sormontate da due anelli del tipo ora descritto. La data di questo pezzo è incerta; si direbbe tardo-micenea in base alle circostanze di rinvenimento, ma sembrerebbe protogeometrica per il confronto con esemplari in ceramica; ad ogni modo, però, questo c. ci appare ormai come il primo elemento della serie evolutiva dei lebeti a tripode ellenici.
Ancora al II millennio risale in parte un altro gruppo di calderoni, quello centro-europeo. Se si trascurano i grandi recipienti su ruote, come quelli di Skallerup, Milaveč, ecc. (v. carro culturale), va osservato che le fogge centro-europee sono piuttosto aperte e poco profonde, analogamente a quelle egee e contrariamente a quelle orientali. Singolare è, in questa classe, la sistemazione delle anse. Anche qui si adotta lo stesso procedimento che si è visto in alcuni esemplari micenei: gli anelli affrontati, sporgenti sull'orlo, e retti da una placca inchiodata sulla parete del vaso; ma qui gli anelli sono quattro, posti in due coppie ravvicinate. Le placche, poi, anziché rotondeggianti come quelle micenee, sono triangolari o a croce, così da permettere l'inserimento di una coppia di manici trasversali, analoghi a quelli dei secchi odierni. Il primo tipo, il più antico, risale alla fase di passaggio dalla media Età del Bronzo alla Civiltà dei Campi di Urne, e continua in quest'ultimo periodo. Il secondo tipo si suddivide in diversi gruppi: quello emisferico con bordo rientrante e base piatta e le coppie di attacchi a croce unite insieme, con un braccio in comune, e quello carenato, per l'accentuarsi della curva della parete, con gli attacchi a croce distinti e i due manici trasversali a tortiglione; quello biconico, a corpo proporzionalmente più alto, e lavorato in più pezzi, e infine quello emisferico, ma con fondo rotondeggiante, spesso caratterizzato da decorazione incisa a meandro. Di questi gruppi, il primo appartiene all'età dei Campi di Urne; il secondo si può considerare a cavallo tra questo, e la Civiltà hallstattiana; il terzo e il quarto appartengono a quest'ultima.
Contemporaneamente alla successione tipologica, pare si abbia anche uno spostamento dei centri di fabbricazione. I calderoni del tipo ad attacchi triangolari, e del primo tra i gruppi del tipo ad attacchi a croce, hanno la loro massima diffiisione in territorio ungherese e transilvano; per il gruppo successivo, il secondo, appare probabile la produzione in officine della zona delle Alpi Orientali, che è sicura per il terzo e il quarto gruppo. Va notata la presenza di diversi pezzi, evidentemente di importazione, in territorio italiano.
Con l'ultima fase della Civiltà di Hallstatt, cioè col VI sec., si diffonde un nuovo tipo di c., non molto diverso per forma dall'ultimo dei gruppi testè citati, ma con due caratteristiche nuove: l'orlo, più che rientrante, è addirittura ripiegato, quasi orizzontalmente, verso l'interno del recipiente; le anse sono costituite da anelli mobili di ferro, inseriti in prese ad anello verticale, ottenute per fusione, e unite al recipiente da placche subtriangolari, anch'esse di ferro, e inchiodate sull'orlo. Tale foggia caratterizza le tombe principesche di questa fase, della zona a N-O delle Alpi; un esemplare, evidentemente importato, è stato rinvenuto in Inghilterra. La derivazione del tipo da alcuni lebeti ellenici ed etruschi di età orientalizzante inoltrata è evidente.
Contemporaneo alle fasi meno avanzate della Civiltà di Hallstatt è invece un altro gruppo di calderoni, quello cosiddetto "atlantico", diffuso specialmente nelle Isole Britanniche, con qualche esemplare sparso lungo le coste franco-ispane. Esso presenta scarsi rapporti con la metallotecnica centro-europea, mentre, per la forma dei recipienti e la foggia delle anse ad anello mobile, è di evidente derivazione orientale. I confronti migliori sono con i calderoni da Gordion; alcuni esemplari in bronzo e alcune riproduzioni in ceramica, di ambiente ellenico, fanno in certo modo da tramite. In questa linea genetica si sono voluti inserire alcuni esemplari rinvenuti in territorio italiano; cosa che, mentre per il vaso da Cuma con applicazioni a protome taurina di tipo urarteo appare piuttosto convincente, per i lebeti a protome di leone o di grifo da tombe etrusche, date anche le considerazioni che si sono già fatte, lo è di meno. Caratteristico per i calderoni "atlantici", come per i loro prototipi ellenici, ai quali si è voluta negare la denominazione di lebeti, mentre pare più opportuna quella di di noi (δίνοι), è l'orlo accentuato e sporgente. La tecnica di fabbricazione della classe "atlantica" è però differente da quella orientale, e mostra influssi centro-europei: il vaso è ottenuto da diversi pezzi di lamina inchiodati insieme; l'orlo ha un rinforzo interno. I calderoni atlantici si distinguono in due classi: la prima di forma globulare con orlo meno nettamente distinto, le prese ad anello per gli anelli mobili di foggia semplice; la seconda di forma quasi ovoidale, con spalla più accentuata, orlo nettamente distinto, e le prese per gli anelli mobili più larghe, tubiformi, con una serie di costolature. Il primo dei due gruppi avrebbe dominato nel corso della prima metà del VII sec.; il secondo più tardi. I calderoni della successiva Civiltà di La Tène non si discostano dapprima molto, almeno per la forma, da quelli tardo-hallstattiani; caratteristiche nuove sono il rinforzo di ferro sull'orlo e l'anello, pure di ferro, che vi è connesso, girevole e a forma di Ω; notevoli sono anche i ganci e, talora, le catene di sospensione; non manca qualche variante, come quella, più panciuta e priva di anse, da Glastonbury. Anche nella cerchia nordica, certo sotto l'influenza celtica, il c. acquista una notevole importanza, alla quale non è certo estraneo un significato rituale, che del resto ha lasciato tracce anche nella mitologia celtica. Caratteristiche comuni sono l'orlo rinforzato in ferro e l'ansa, anch'essa in ferro, con l'anello libero, secondo il dispositivo già visto per i calderoni atlantici e tardo-hallstattiani: Langaa, Danimarca, 400 circa a. C.; Aas, Norvegia, alquanto più tardo e di forma più oblunga. Intorno agli inizî dell'èra volgare vanno infine posti alcuni esemplari ancora più aperti e meno alti, con la parte superiore della parete quasi verticale (tipo di Körchow); alcuni di essi presentano una decorazione figurata a sbalzo, che risente dell'influenza dello stile di La Tène (Illemose, Langholm; v. celtica, arte); il più noto di tutti è quelli argenteo di Gundestrup nello Jütland, con rappresentazioni di divinità, di scene rituali, di animali fantastici.
Un'importanza ancora maggiore assume il c. presso i popoli scitici e sarmatici. La forma fondamentale, che ha però diverse varianti, è quella emisferica, o anche un po' più chiusa, con treppiede, o piccolo sostegno conico connesso al fondo, e con anse a maniglia, spesso sagomate, poste verticalmente al disopra dell'orlo, così da permettere il trasporto da parte di più persone; la diffusione di questi recipienti, spesso in metalli preziosi, e talvolta anche decorati con scene figurate, giunge alla Romania e all'Ungheria; la cronologia va dagli inizî dell'età ellenistica alla tarda età imperiale romana.
Bibl.: J. Déchelette, Manuel d'archéologie préhistorique, celtique et gallo-romaine, II, 3, 1914, p. 1418 ss.; S. Benton, The Evolution of the Tripod-lebes, in Annual of the British School at Athens, XXXV, 1934-35, p. 74 ss.; G. von Merhart, Studien über einige Gattungen von Bronzegefässen, in Festschrift des Römisch-Germanischen Zentralmuseums in Mainz, 1952, vol. II, p. i ss.; M. Pallottino, Gli scavi di Karmir-Blur in Armenia e il problema delle connessioni tra l'Urartu, la Grecia e l'Etruria, in Archeologia Classica, VII, 2, 1955, p. 109 ss.; C. F. C. Hawkes-M. A. Smith, On Some Buckets and Cauldrons of the Bronze and Early Iron Ages, in Antiquaries Journal, XXXVII, 1957, p. 131 ss.; M. Pallottino, Etruria ed Urartu, Nota di aggiornamento, in Archeologia Classica, IX, i, 1957, p. 88 ss. (con bibl. precedente); F. Willemsen, Dreifusskessel von Olympia, in Olympische Forschungen, III, 1957, p. 166 ss. Sui recenti ritrovamenti di Gordion, vedi: R. S. Young, in Am. Journ. Arch., LXII, 1958, pp. 139-154.