CALENDA DI TAVANI, Vincenzo
Nacque l'8 dic. 1830 a Nocera Inferiore (Salerno), da un'antica famiglia che risaliva a un Landulfo, ammiraglio di Salerno al tempo di Ruggero il Normanno. Si laureò in legge nell'università di Napoli. Nel 1853 il C. e il fratello Andrea vinsero i due posti vacanti di relatore presso la Consulta di stato del Regno delle Due Sicilie. Nel 1857 fu promosso giudice al tribunale civile di Capitanata, sedente in Lucera. Di sentimenti liberali, il 16 sett. 1860 inviò, quale presidente del tribunale civile di Terra d'Otranto, un indirizzo di omaggio e di devozione a Vittorio Emanuele II e un messaggio di riconoscenza a Garibaldi. Dall'aprile 1862 al dicembre 1864 fu sostituto procuratore generale e consigliere d'Appello a Catanzaro. Fu quindi chiamato, nel 1865, a collaborare all'opera di unificazione legislativa, come capo di gabinetto del guardasigilli Vacca a Torino e a Firenze. Proseguì quindi brillantemente nella carriera giudiziaria alternando - secondo una precisa direttiva politica del governo - le funzioni del pubblico ministero con i gradi più elevati della magistratura giudicante. Così fu presidente della Corte d'assise del Principato Ultra in Avellino nel 1866 e, due anni dopo, presidente della 2ª Corte d'assise straordinaria del circolo di Napoli. Nel 1871 venne di nuovo trasferito dall'esecutivo all'ufficio di pubblico ministero e fu prima, nel luglio, procuratore generale alla Corte d'appello delle Calabrie in Catanzaro e poi, dal dicembre, procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo.
Come procuratore generale del re a Palermo, il C. allacciò, nel 1872, buoni rapporti col generale Medici prefetto della capitale siciliana, ponendo così fine al conflitto fra autorità politico-amministrative e potere giudiziario, cui s'attribuiva dal Medici il peggioramento delle condizioni della pubblica sicurezza nell'isola.
Accogliendo le richieste del nuovo prefetto di Palermo, conte Rasponi, il C. diresse, nel 1874, una "circolare riservata" ai procuratori delle quattro province del suo distretto, ordinando fra l'altro "di tenersi in continui e frequenti rapporti con le autorità politiche… acciò l'azione govemativa, derivante dall'opera concorde dei due poteri, proceda sicura, vigorosa a svellere dalla società la mala pianta del malandrinaggio" (Brancato, p. 404). La lotta contro la criminalità tendeva a trasformarsi spesso in repressione dell'attività dei socialisti e degli anarchici operanti nell'isola. Così nella notte tra il 20 e il 21 ag. 1874 la questura palermitana ordinò l'arresto dei maggiori esponenti del movimento internazionalista, ma il procuratore generale si oppose a questi arresti per la genericità e insufficienza degli indizi, benché il prefetto di Palermo affermasse la profonda "convinzione della commessa reità degli imputati".
Con decreto del 14 nov. 1875 il C. fu nominato procuratore generale della Corte d'appello di Napoli e quindi trasferito, dall'8 luglio 1876, alla procura generale di Milano e incaricato, nel gennaio 1877, di reggere temporaneamente l'ufficio di procuratore generale alla Corte d'appello di Roma. Tornò quindi tra i ruoli della magistratura giudicante e fu primo presidente della Corte d'appello di Trani dal gennaio 1878 e poi di Genova dall'agosto 1879. Ma la sua attività nella magistratura doveva concludersi ai vertici del pubblico ministero: con decreto del 17 marzo 1881 veniva infatti nominato procuratore generale del re presso la Corte di cassazione di Torino, e quindi trasferito, con decreto del 10 nov. 1885, alla Corte di cassazione di Napoli, dove ricoprì l'ufficio di procuratore generale del re fino al 1906. Intanto, nel 1886, era nominato senatore. Dal 1892 veniva eletto, per sei anni consecutivi, presidente del Consiglio provinciale di Salerno; nella rielezione del 1895 dichiarava di scorgervi "un'altra prova del favore pubblico per l'opera coraggiosamente assunta dal Governo del Re, sotto la guida di quell'illustre patriota ed uomo di Stato che è Francesco Crispi, di ristabilire l'ordine, la sicurezza, la pace, restaurare le squilibrate finanze, rialzare le condizioni del credito, principale fattore della pubblica ricchezza" (Discorsi…, p. 132).
Nel dicembre 1893 il C. fu nominato ministro guardasigilli nel governo presieduto dal Crispi. Svolse quindi un'azione essenziale per l'attuazione della generale politica di repressione del movimento operaio e contadino e delle organizzazioni socialiste, avviata con la proclamazione dello stato d'assedio in Sicilia per ragitazione dei Fasci dei lavoratori, e perfezionata giuridicamente con la legislazione speciale antisocialista, approvata dal Parlamento nel luglio 1894. Queste leggi, definite riduttivamente antianarchiche dal Crispi, erano dirette a istituire il domicilio coatto, a reprimere l'istigazione a delinquere e l'apologia di reato a mezzo stampa, e a vietare tutte le associazioni e riunioni "che abbiano per oggetto di sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali". In tal modo erano poste le basi giuridiche per il successivo scioglimento, nell'ottobre 1894, del partito socialista e di tutte le organizzazioni aderenti.
Questa politica di repressione antipopolare fu preparata e sostenuta da una costante azione del C. come ministro della Giustizia, che intervenne attraverso circolari, lettere e telegrammi presso gli uffici del pubblico nunistero, perché fossero repressi inuneffiatamente tutti i tentativi di sciopero, le manifestazioni politiche socialiste e qualsiasi forma di propaganda "sovversiva". Lo strettissimo collegamento tra autorità politica e procuratori generali risalta in una lettera inviata nell'agosto 1894dal ministro della Giustizia al procuratore generale di Bologna, invitato a ottenere dalla Corte di cassazione l'annullamento di una sentenza favorevole a un disciolto circolo socialista, "nell'interesse della legge" (cit. in Neppi Modona, p. 77). Nel giugno 1894, in preparazione delle leggi speciali del mese successivo, furono inviate dal C. ai procuratori generali una serie di circolari per la "vigilanza sulla stampa sovversiva", "sulla propaganda sovversiva nell'esercito", "circa al sequestro dell'Inno dei Lavoratori di Filippo Turati". Una circolare riservata stabiliva, d'accordo col Crispi che reggeva ad interim anche il dicastero degli Interni, "che d'ora innanzi un funzionario di P. S. si rechi ogni giorno, o quando risulterà più opportuno, a conferire su questa materia col capo della rispettiva Procura Generale o Procura del Re…" (ibid., p. 84). Il tradizionale uso politico degli uffici del pubblico ministero per la difesa dell'ordine costituito era così accentuato dal C. in esecuzione delle direttive autoritarie della politica crispina.
Un ruolo fondamentale, in sostegno della vacillante posizione del Crispi, svolse il C. nelle complesse vicende giuridicoparlamentari che seguirono l'assoluzione di Tanlongo e degli altri imputati per lo scandalo della Banca Romana. Già prima che terminasse il processo il C. aveva sostenuto in Parlamento, il 6 giugno 1894, la ferma intenzione del governo e del ministero della Giustizia di mettere sotto accusa la magistratura inquirente e i funzionari di polizia, sospettati di avere coperto le responsabilità del Giolitti nella questione della Banca Romana.
Con decreto del C. veniva quindi nominata, il 4 ag. 1894, una commissione d'inchiesta per "esaminare se i funzionari giudiziari, che ebbero parte nella istruzione del processo, fecero tutti il loro dovere, e proporre i provvedimenti disciplinari o di altro genere che fossero reputati opportuni" (cit. in Vitale, I, p. 173). La commissione ritenne censurabile il comportamento dei magistrati che erano stati impegnati nell'azione penale e nell'istruzione del processo per la Banca Romana, e invitò il ministro a "reintegrare, coll'esempio, l'autorità della giustizia". Il C. decise immediatamente il trasferimento di alcuni magistrati e il deferimento di altri, che avevano eccepito l'inamovibilità, alla "commissione consultiva per le nomine, le promozioni ed i trasferimenti dei magistrati".
Ma il C. aveva già iniziato precedentemente un'opera di epurazione nella magistratura romana, per "preparare" il processo contro l'ex questore di Roma ed altri funzionari di polizia, accusati di aver sottratto, nel corso delle indagini sulla Banca Romana, documenti compromettenti per l'allora presidente del Consiglio Giolitti. Infatti, come confermò in un successivo dibattito parlamentare lo stesso C., che peccava spesso di grande ingenuità politica, "prima di cominciare questo processo, egli aveva creduto necessario di prepararne l'ambiente" (Attiparlamentari, Camera, Discussioni, XIX Legislatura, 13 dicembre 1895, p. 3091). Egli aveva pertanto trasferito il procuratore generale presso la Corte d'appello romana e aveva atteso che si mettesse in ferie il consigliere d'appello, che era stato presidente della Corte d'assise del processo Tanlongo, prima di avviare il procedimento contro l'ex questore giolittiano e gli altri funzionari di pubblica sicurezza accusati della sottrazione dei documenti.
L'istruzione di questo processo fu considerata dal Rattazzi, ministro della Real Casa e sostenitore del Giolitti, effetto di un particolare livore antigiolittiano del C., conseguente alla mancata sua nomina a presidente della Cassazione di Roma e alla destituzione del fratello Andrea prefetto di Roma, per gli lucidenti seguiti all'eccidio di Aigues-Mortes. Comunque, nel dicembre 1894, il C. prospettò minacciosamente alla Camera le conseguenze penali derivanti dalla consegna alla presidenza del "plico Giolitti", contenente documenti riguardanti il processo della Banca Romana, molto compromettenti per il Crispi. I successivi tentativi di condurre il Giolitti in giudizio dinanzi alla magistratura ordinaria si infransero, però di fronte al crescente indebolimento della posizione del Crispi, accusato dai documenti presentati dal Giolitti di illeciti rapporti con la Banca Romana e incalzato alla Camera e nel paese dalla "questione morale" posta dal Cavallotti. La maggioranza crispina decise pertanto, nel dicembre 1895, di respingere alla Camera la richiesta del Giolitti di deferire il caso all'Alta Corte di giustizia. Escluso il giudizio sul Giolitti, rimaneva in piedi il processo contro i funzionari di polizia: contro il parere del C. - che scriveva al procuratore generale di ritenere necessario portare a compimento il processo per la sottrazione dei documenti contro questi imputati - sia il pubblico ministero sia il giudice istruttore concordarono nel concludere immediatamente il processo per non luogo a procedere ulteriormente contro gli imputati minori.
Tra giugno e luglio del 1895, intanto, il C. aveva presentato alla Camera sei progetti di riforma del procedimento penale concernenti: a) la competenza dei pretori; b) un procedimento speciale in materia di contravvenzioni; c) i giurati e i giudizi delle Corti d'assise; d) la composizione dei tribunali penali; e) le ordinanze della camera di consiglio; f) i diritti delle parti danneggiate. Questi schemi non furono bene accolti, perché da cinque anni si lavorava alla preparazione del nuovo codice di procedura penale. Non si comprendeva quindi l'opportunità di discutere proposte in gran parte marginali, che soprattutto causavano un ulteriore rinvio della presentazione di un progetto unitario di riforma delle norme del procedimento penale. Così, nel novembre 1895, la commissione del Senato propose di non ammettere alla discussione le proposte di legge presentate dal C., che conservò l'incarico ancora per pochi mesi fin quando la sconfitta di Adua determinò il definitivo allontanamento del Crispi dal potere. Ritornò allora a svolgere le funzioni di procuratore generale presso la Cassazione di Napoli.
Il C. morì il 4 nov. 1910.
Fonti e Bibl.: V. Calenda, Discorsi varii, Napoli 1907; L. Lucchini, I sei progetti di riforma al procedimento penale, in Riv. penale, XXI(1895), pp. 221-231; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1962, I, ad Ind.; F. Brancato, La Sicilia nel primo ventennio del Regno d'Italia, Bologna 1956, pp. 404, 412-15; M. D'Addio, Politica e magistratura (1848-1876), Milano 1966, p. 46; G. Neppi Modona, Sciopero, potere politico e magistratura 1870-1922, Bari 1969, pp. 77-89, 372-78; E. Vitale, La riforma degli istituti di emissione e gli "scandali bancari" in Italia, 1892-1896, Roma 1972, I, ad Ind.; III, pp. 685-88; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, I, p. 181.