CALETTI (Caletti-Bruni), Pietro Francesco, detto Cavalli
Nacque e fu battezzato nella parrocchia di San Benedetto in Crema il 14 febbr. 1602, terzo dei nove figli del musicista Giovanni Battista di Bruno (nato a Crema il 26 marzo 1577, ivi documentato fino al 5 maggio 1639; è da riferire ad un omonimo la notizia di un G. B. Caletti morto a Cremona il 17 febbr. 1622, segnalata in Monterosso, p. 29) e di Vittoria Bertolotti. La prima educazione musicale gli venne dunque dal padre, "che ha ben per lo spazio di quaranta e più anni governata con titolo di maestro di cappella la publica musica del Duomo".
G. B. Caletti ostenta lo stesso titolo di maestro di cappella nella sua unica pubblicazione, Madrigali a cinque voci… Libro primo (Venezia 1604), che contiene tra l'altro una composizione del madrigale guariniano Mentre vaga angioletta e un Himeneo a 8 voci "Nelle nozze [di] Sigismondo Trecchi, et Angela Pallavicina" (Dipargoletta e bella Angela il suono), alla quale insegnava il canto e il liuto. Lo stesso tenue cromatismo e l'obliqua declamazione tra intreccio polifonico e gravitazione armonica si ritrova nel madrigale stampato nel Primo Libro de madrigali a cinque voci di Gio. Battista Leonetti organista in Santo Agostino di Crema (Venezia 1617), dove figura altresì un suo Balletto pastorale a 7 (con episodi a 2 voci sole e basso continuo), dedicato a Federico de Cavalli, rettore veneto a Crema dal luglio 1614 al marzo 1616 ("Hor sì che 'l vago Aprile / Godi Crema gentile / … / Che 'l gran Fedrico in te risiede e posa…").
Fu appunto il Cavalli che, ammirata la voce di Pier Francesco, "volle ad ogni modo condur con esso lui a Venezia detto soprano"; more veneto, il C.assunse per riconoscenza il nome di famiglia del mecenate, col quale fu da allora in poi sempre chiamato.
Il 18 dic. 1616 il C. entrava alla cappella di S. Marco come soprano (il 18 febbraio seguente ebbe luogo la presentazione formale al doge, sotto il nome di P. F. Bruni), con la paga di 50 ducati annui; fu riconfermato come tenore il 1º febbr. 1627 (come F. Caletto); il 1º genn. 1635 il salario fu portato a 100 ducati. Alla morte di G. P. Berti, il C. fu eletto secondo organista (23 genn. 1639), con 140 ducati annui aumentati man mano fino a 200. Forse già dal 1645 passò al primo organo (ma titolare ne fu, pare, M. Neri).
La fama del C. fu di cantante e d'organista oltre che di compositore. G. B. Volpe gli dedica nel 1645 il terzo libro dei Madrigali concertati di G. Rovetta, alludendo a "L'Organo di S. Marco reso divino dalla dotta mano di V. S." e alle "tre qualità esimie, ch'ella, e sa vestire nobilmente i soggetti, e impareggiabilmente cantarli, et accompagnarli con la leggiadra accuratezza su l'istromento". E G. Zittio ne Le cose notabili, et maravigliose della città di Venetia di Nicolò Doglioni (Venezia 1655): "Francesco Cavalli veramente in Italia non ha pari, et per esquisitezza del suo canto, et per valore del suono dell'organo". Il tedesco Paul Hainlein si lamenta in una lettera del 10 nov. 1647 che il "Sig. Gaballi", miglior organista di S. Marco e paragonabile al Frescobaldi, si senta troppo raramente; ma il 10 novembre lo sente a S. Geremia, e a S. Francesco per la festa dell'Immacolata, suonare uno dei tre organi positivi che accompagnano i musici di S. Marco. E a Parigi nell'agosto 1660 l'organista François Roberday incontrò il C., "lequel estant venu en France pour le service du Roy, lors que mon Livre s'achevoit d'imprimer, je l'ay prié de me donner un sujet", elaborato in contrappunto nelle sue Fugues, et caprices (Paris 1660).
Il 20 nov. 1668 il C. succedette a G. Rovetta nella carica di maestro di cappella a S. Marco, lo stesso posto che aveva tenuto Monteverdi, sotto la cui direzione il C. era stato cantore e organista. Che ne fosse stato allievo o collaboratore si può arguire da due elementi: il manoscritto veneziano dell'Incoronazionedi Poppea del Monteverdi rivela interventi redazionali del C. (così l'Osthoff, Neue Beobachtungen, pp. 129-34;suo in partic. il motivo del basso nella sinfonia del prologo, che si ritrova nella Doriclea), e il C. fu probabilmente l'editore della Messa a quattro voci, et Salmi, postuma, del Monteverdi (Venezia 1650), dove figura un suo Magnificat concertato a 6 voci, 2 violini e basso, che della trionfale musica sacra concertante monteverdiana rappresenta una semplificata riduzione monumentale.
Oltre la carriera a S. Marco, è documentabile un'attività di organista nella basilica dei SS. Giovanni e Paolo, dal 18 maggio 1620 al principio, del 1630 (l'anno della peste), con trenta ducati annui.
è di questi anni la prima pubblicazione di un'opera del "Caletto Bruni", il mottetto a voce sola Cantate Domino nella miscellanea Ghirlanda Sacra di L. Simonetti (Venezia 1625). Nel 1634 una delle Arie de Diversi raccolte da A. Vincenti, (Son ancor pargoletta)è di "F. Bruni detto il Cavalli", del tutto degna di stare insieme con due "scherzi" monteverdiani. E ancora: i Motetti a voce sola, libro primo (Venezia 1645) contengono un O quam suavis;la Sacra Corona edita da B. Marcesso (Venezia 1656) contiene i mottetti O bone Iesu a 2 e Plaudite, cantate e In virtute tua a 3 voci e basso continuo (i primi due sono ristampati nei Sacri Concerti raccolti da Marino Silvani, Bologna 1668).
Il C. pubblicò due sole stampe individuali di sue composizioni. "Il mio genio è stato sempre lontano dalle stampe: et ho più tosto aconsentito a lasciar correre le mie debolezze dove le portò la fortuna col mezo della penna, che con quello de torchi", dice nella prefazione alle sue Musiche sacre concernenti Messa, e Salmi concertati con istromenti, Imni Antifone et Sonate, a due, 3, 4, 5, 6, 8, 10 e 12 voci (Venezia 1656), dedicate al card. G. Carlo de' Medici, "che degnat(o)si comandarmi altre compositioni [l'Ipermestra, 1654]ha già reso avvezzo l'udito alle mie debolezze". Nel 1675F. Magni pubblicò i tre Vesperi a otto voci del Cavalli. Ma molto più vasta dovette essere la sua produzione sacra, che va dallo stile osservato a cappella, al concertato con strumenti, al mottetto solistico: l'inventario del 1720del disperso archivio di S. Marco riprodotto dal Caffi (II, pp. 99-102)ne segnala parecchia. Fuor delle musiche pubblicate si conserva, però, soltanto (nella Biblioteca di Dresda) quella grandiosa Missa pro defunctis a 8 voci in due cori con basso continuo che, per disposizione testamentaria del 12 marzo 1675, il C. volle eseguita due volte all'anno in perpetuo dopo la sua morte, l'una in S. Marco, l'altra in S. Lorenzo. Il C. morì a Venezia il 14 genn. 1676 e fu sepolto nella tomba del vescovo di Pola, Claudio Sozomeno, zio di sua moglie, nella chiesa di S. Lorenzo.
Egli aveva sposato nel 1630 (come risulta dall'Arch. di Stato di Venezia, S. Lorenzo, b. 23, proc. 16, c. 13r) Maria Sozomeno vedova di Alvise Schiavina (cfr. ibid., proc. 21, cc. 26r-28v, il contratto nuziale dell'11 ag. 1617), che morì alla metà del settembre 1652 senza lasciargli prole. Il testamento di lei, redatto l'11 marzo 1651, lasciava "ogni cosa" al consorte, "havendo lui nel tempo che siamo stati insieme mantenuto et spesato tutti li miei; cioè madre, frattello, sorella, ameda, figlioli [di primo letto] et tutto il mio parentado, hora l'uno, hora l'altro, secondo l'occasioni et il bisogno". L'inventario dei mobili redatto in casa del C. il 16 genn. 1676 e il testamento documentano l'agiatezza cui era giunto il vecchio Cavalli.
Tutti gli elementi biografici intorno al C. concordano nell'immagine di una carriera artistica di prim'ordine, non folgorante, senza avvenimenti straordinari e impreveduti (salvo il viaggio in Francia), nello svolgimento regolare delle mansioni musicali in S. Marco, in un'epoca in cui il prestigio della cappella ducale e della musica sacra veneziana già perdeva la posizione di preminenza degli anni del Gabrieli e di Monteverdi. Ma il C, fu per eccellenza, dalla maturità alla morte, compositore d'opera, il primo operista a identificarsi totalmente col teatro d'opera impresariale pubblico, attivo dal 1639e lungamente proprio per quel teatro S. Cassiano che nel 1637era stato il primo teatro veneziano ed europeo ad allestire spettacoli d'opera pubblici a pagamento.
E di operista fu la sua fama vasta e precoce; già Severo Bonini, parlando dello "stile recitativo" nella Prima parte de' Discorsi e Regole sovra la musica, cita tra i novelli cigni di recente scoperta "in Roma il sig. Luigi Rossi, in Venezia il Cavallo" (cit. in A. Solerti, Le origini del melodramma…, Torino 1903, p. 139). E quando nei Ragionamenti musicali del 1681 (p. 136)Angelo Berardi mette il C. tra gli autori tuttavia fiorenti "a maraviglia" nello "stile rappresentativo, cioè da Teatro", egli inavvertitamente consacra il mito postumo del C. operista, che in quell'anno stesso creavano le Memorie teatrali ovvero il Catalogo generale dei drammi musicali rappresentati a Venezia dato da C. Ivanovich, che ne attribuisce erroneamente molti più del vero al Cavalli. Quel primo repertorio fu mondato poi dal Bonlini (1730)e dal Groppo (1745, e sua edizione aumentata della Drammaturgia di Leone Allacci, 1755), che l'elenco odierno delle opere del C. ricalca sostanzialmente.
Thomas Walker (Glierrori di"Minerva al tavolino": osservazioni sulla cronologia delle prime opere veneziane, in Venezia e il melodramma nel Seicento. Atti del Convegno internazionale, Venezia 1972, attualm. in corso di stampa) propone di sottrarne precauzionalmente tutte quelle opere per le quali, risultati comunque anonimi i rispettivi libretti, i correttori dell'Ivanovich ne accettarono per mancanza di prove contrarie la longanimità attributiva: ossia Narciso, et Eco immortalati (1642, in realtà di F. Vitali e M. Marazzoli, cfr. Enc. d. Spett., IX, col. 1725), La Deidamia (1644 e 1647), Il Romolo, e 'l Remo (1645), La Prosperità infelice di Giulio Cesare dittatore (1646), La Torilda (1648), La Bradamante (1650), L'Armidoro (1651).Certificatamente non suo bensì del Cesti è L'Alessandro vincitor di se stesso (1651, cfr. Osthoff, 1960); non comportava musica fuor dei balletti La Pazzia in trono overo Caligola delirante (1660, testo di D. Gisberti, teatro S. Apollinare), attribuitagli dal Groppo; e si può anche dubitare che fosse sua L'Helena rapita da Theseo (1653, teatro di SS. Giovanni e Paolo). La musica di tutte le opere suddette (salvo l'Alessandro)è comunque perduta. Resta dunque al C. l'autorità probabile di 32 opere, confortata dalle 27 partiture mss. superstiti (alcune autografe) lasciate per testamento al discepolo G. Caliari, indi passate ben presto nella collezione di Marco Contarini a Piazzola, e nel 1843 alla Biblioteca Marciana di Venezia.
Nell'attività operistica del C. fu preminente la collaborazione con due personaggi salienti della vita teatrale veneziana, il librettista Giovanni Faustini (e impresario, nell'anno stesso della sua morte, 1651, del nuovo teatro S. Apollinare) e il di lui fratello Marco impresario a varie riprese del S. Cassiano e del teatro Grimani a SS. Giovanni e Paolo. Dall'avviso al lettore premesso da Marco Faustini all'Alciade dello Ziani nel 1667 si ricava con sufficiente certezza (anche quando i libretti tacciano il nome del compositore) che il C. aveva messo in musica 11 opere di G. Faustini: La Virtù de' strali d'Amore (1642, teatro S. Cassiano), L'Egisto (1643, ibid.), L'Ormindo (1644, ibid.), Il Titone (1645, ibid., perduto), La Doriclea (1645, ibid.), L'Euripo (1649, teatro S. Moisè, perduto), L'Oristeo (1651, teatro S. Apollinare), La Rosinda (1651, ibid.), La Calisto (fine 1651, ibid.), L'Eritrea (1652, ibid., ripresa nel 1661 al teatro S. Salvatore), e l'Elena rapita da Teseo "vestita col manto di Poesia da sublime virtuoso" (ossia l'Elena elaborata da N. Minato su soggetto del Faustini, 26 dic. 1659, teatro S. Cassiano). La lunga presenza del C. al teatro S. Cassiano con le opere del Faustini e prima ancora con Le nozze di Teti, e di Peleo, festa teatrale di O. Persiani (20 genn. 1639), Gli amori d'Apollo, e di Dafne (1640, ripresa nel 1647 al teatro SS. Giovanni e Paolo) e La Didone (1641) entrambe di G. F. Busenello, poi con il Giasone di G. A. Cicognini (5 genn. 1649, ripreso ibid. il 23 febbr. 1666 in vece della programmata Semiramide del Cesti) e L'Orimonte di N. Minato (20 febbr. 1650), fa supporre un sua partecipazione impresariale alla gestione del teatro (ora accertata da Morelli e Walker). Il 24 luglio 1658, il C. firma un contratto in esclusiva con M. Faustini e soci per tre opere da fornire al teatro S. Cassiano in tre anni (e sarà, oltre l'Elena, soloil perduto Antioco del Minato, 21 genn. 1659, perché nel 1660 il C. va in Francia e M. Faustini passa al teatro SS. Giovanni e Paolo). Nel frattempo, era stato attivo al teatro S. Apollinare, che egli aveva inaugurato con quattro opere di G. Faustini. Forse all'Erismena diA. Aureli ivi rappresentata nel 1655 (e poi nel teatro S. Salvatore, rimaneggiata, il 13 febbr. 1670) si riferisce la sollecitazione di contratto che il C. inviava a M. Faustini il 23 giugno 1654.
Anche in un minor teatro veneziano, il S. Moisè, il C. avrebbe avuto mansioni impresariali, nel 1642 (il 1º gennaio vi andò in scena la sua perduta favola Amoreinnamorato, su testo di G. B. Fusconi). Così almeno N. Pirrotta (Il caval zoppo) decifra due terze rime di Francesco Melosio "in occasione d'una sua Opera recitata in Venetia nel Teatro di S. Mosé" (ossia il Sidonio,eDorisbe messo in musica da Nicolò Fontej: cfr. Poesie e prose, Venezia 1673, pp. 104-107). Forse riferendosi proprio a quelle satiriche allusioni a un "huom Cavallo" impresario, anche il Caffi (Venezia, Bibl. naz. Marciana, cod. It.IV.747 [= 10465]: Storia della musica teatrale, c.334) dice del C. che "con aspra lite a lungo lo tribolò quel fantastico poeta teatrale che fu Francesco Melosio a motivo de' suoi libretti teatrali" (nel '42 il C. aveva rifiutato il suo Orione, chemise però in musica nel 1653).
Per l'altro massimo teatro veneziano, il SS. Giovanni e Paolo, compose varie opere negli anni '50: Veremonda, l'Amazzone di Aragona diL. Zorzisto (un rifacimento del Celio di G. A. Cicogn, dato a Firenze nel 1846), messa in scena da G. B. Balbi (28 genn. 1652 more veneto, ed effettivamente 1653), Xerse di N. Minato (12 genn. 1654), Il Ciro diG. C. Sorrentino (30 genn. 1654, dramma napoletano importato a Venezia dal coreografo G. B. Balbi, con la musica originale forse di F. Provenzale arricchita di un prologo e aggiunte varie del C.; ripresa con ulteriori ariette di Andrea Mattioli il 4 febbr. 1665 nello stesso teatro), La Statira principessa di Persia di G. F. Busenello (18 genn. 1655) e l'Artemisia del Minato (10 genn. 1656). Una lettera del C. dell'8 ag. 1662 e una mancante di firma e data (forse del Minato, e dello stesso anno) testimoniano un nuovo legame col Faustini, che vuole due opere nuove per il SS. Giovanni e Paolo. Ma il C., "ritornato di Francia con fermissimo proponimento di non affaticar(s)i più in oppere teatrali", gli darà solo lo Scipione Affricano del Minato (rappresentato il 9 febbr. 1664, e ancora nel 1678 accresciuto di canzonette da Bonaventura Viviani), proponendogli "per seconda l'oppera Regia, fatta in Francia [l'Ercole amante], stimando, che fosse per aggradirla volontieri, sì come sono sicurissimo che tutta la Città concorerebbe, curiosa di vederla, e sentirla": non se ne fece nulla, forse per la suntuosità di quell'opera regia, eccessiva alle risorse di un teatro pubblico veneziano. Dopo aver dato al teatro S. Salvatore due fortunati drammi del Minato, MutioScevola (26 genn. 1665, poi musicato dallo Stradella e da G. Bononcini) e Pompeo Magno (20 febbr. 1666, poi musicato dal maggior Scarlatti), il C. torna all'impresa del Faustini con un Eliogabalo, su testo approntato dall'Aureli, che doveva andare in scena nel carnevale del 1668 come risulta da un contratto del 29 giugno 1667, una ricevuta del 13 luglio e l'accordo tra l'Aureli e il Faustini per la stampa del libretto il 10 ottobre. Ma il 15 dicembre il Faustini rinuncia ai fratelli G. C. e V. Grimani, proprietari del teatro, ogni suo diritto sulle programmate rappresentazioni della stagione. Nel gennaio del 1668 andò in scena un diverso Eliogabalo dell'Aureli, con la musica del giovane G. A. Boretti: è difficile dire se si volle rinunciare all'Eliogabalo originario per l'inconsuetudine del suo finale tragico, o perché la musica del sessantacinquenne C. non incontrava più il favore del pubblico bramoso piuttosto di canzonette che di concisa drammaticità musicale. È quello che farebbe credere la menzione, comunicata dal Walker (F.Cavalli…), di un mai eseguito e perduto Massenzio composto ancora nel 1673 dal C., quando il successo degli anni andati già si spegneva nel mito storiografico. La crisi impresariale del Faustini coinvolse il C., e viceversa.
è indicativo che l'ultima opera eseguita del C. (perduta) fosse destinata a un teatro di corte d'altro Stato: Il Coriolano di C. Ivanovich recitato a Piacenza il 28 maggio 1669 "nel Teatro di Piazza da Musici forestieri" (ma non veneziani) e "a spese del Duca Ranuccio II" in occasione della nascita di Odoardo II Farnese e alla presenza dei duchi di Modena (cfr. C. Poggiali, Mem. stor. di Piacenza, XII, Piacenza 1766, pp. 81 s.).
In realtà la produzione operistica del C., dalle Nozze di Teti all'Eliogabalo, documenta con una continuità senza paragone le vicende dell'opera veneziana dei primi decenni. Per gli anni prima del 1650, le opere sue e di Monteverdi sono le uniche restateci, e anche se non si conoscono le musiche degli spettacoli meravigliosi e fantasmagorici allestiti nella breve attività del teatro Novissimo (16411645) dallo scenografo G. Torelli e dalla troupe di F. Sacrati, se ne sa abbastanza per poter intendere quanto da quell'illusionismo fantastico si scostassero il realismo affettivo e l'eloquenza patetica delle opere del Cavalli. Con il sussidio dell'agile intreccio dei libretti di Busenello e Faustini, che dà una sia pur tenue motivazione realistica alle situazioni tipiche dell'invettiva appassionata, della intensità di sentimento, dell'ironia gnomica, la musica teatrale del C. procede, come nel Monteverdi veneziano, solo con più convenzionata immediatezza, dal recitativo declamatorio all'aria per graduale espansione o per giustapposizione abrupta, con completa aderenza all'articolazione metrica plurima del testo, sicura della forza coesiva di un linguaggio vocale altamente formalizzato, a segmenti melodici brevi e consistenti ma aperti. Il rapporto di tensione tra la mobilità della voce e il basso (inerte come nel recitativo, oppure organizzato come nell'aria o mezz'aria in un andamento melodico parallelo o magari divergente da quello vocale) consente l'istantabeo adeguamento all'eloquio del testo. Dimesse l'utopia della restaurazione del teatro all'antica e l'aura pastorale, i libretti forniscono con insistenza, invece dell'intessitura dialogica chiusa della commedia cinquecentesca e del dramma aristotelico, le situazioni privilegiate della commedia romanzesca (anche se a sfondo pseudo-storico), per addizione di momenti epici, con trasferimento del conflitto drammatico dalle peripezie dell'azione alla connaturata e diffusa predisposizione dei personaggi all'effusione narrativa o all'interiezione affettiva. La musica drammatica prende possesso di alcune situazioni topiche, e già le prime opere del C. sono il paradigma del primo e intramontato istituto mimetico della musica operistica: le scene tipiche (l'incantesimo, l'invocazione ominosa, l'apparizione oltretombale; la nostalgia pastorale, l'idillio amoroso; la caricatura dei temperamenti, la comicità gnomica; la - vera o finta - pazzia per amore, il sonno e sogno consolatore o profetico; e soprattutto il lamento, luogo esclusivo dello spirito tragico in musica - il sovrano umiliato nella sofferenza - ed episodio di forza in ogni opera del C. - si pensi a Troia che, nel primo atto della Didone, musicalmentecade sotto i lamenti di Ascanio, di Cassandra, di Creusa). Come l'eterogeneità metrica e retorica dei libretti, così le funzioni mimetiche della musica teatrale appaiono saldamente istituite e convenzionate fin dalla metà del secolo, e il C. è il massimo artefice della prima fondazione di tali convenzioni operistiche (garanti del rispetto minimale delle leggi della verosimiglianza drammaturgica e veicolo di ogni possibile comunicatività nel genere del dramma per musica). èdocumentabile il deliberato reimpiego di situazioni sceniche di sicuro effetto musicale, e anche il trapianto di intiere scene da un'opera all'altra (così la scena della prigione nell'Ormindo, riutilizzata nell'Erismena).Ilcompito del librettista è di fornire la giustificazione drammaturgica a tali scene tipiche, oltre un certo numero di canzonette da inserire nella recitazione. Il Giasone del 1649 è esemplare in tal senso, e la perfetta efficienza drammaturgica dell'"opera regia" del Cicognini spiega sia l'immenso successo contemporaneo dell'opera del C. che la sua fama storiografica: la disputa settecentesca sulla decadenza del teatro d'opera e sulla (classicisticamente dubbia) legittimazione estetica dell'aria si accende proprio intorno al Giasone, nel quale Crescimbeni, Planelli, Arteaga, Tiraboschi vedono (erroneamente) la prima introduzione delle ariette, e il Quadrio anzi vi rintraccia "tutte le circostanze di drammi, che poi furono seguitati".
Dopo la lunga serie delle "favole regie" del Faustini emergono soprattutto alcuni drammi romanzeschi (Xerse, Erismena, Statira), dove l'agilità del recitativo e la minor enfasi affettiva tendono al realismo giocoso della commedia. Fino all'Eliogabalo, nellaripetitiva topologia librettistica e retorica degli affetti, i modelli di articolazione formale "morbida" dell'aria consentono la piena coerenza metrica di testo e musica (e azione). L'agevolezza canora delle arie del C. (paragonabile a Verdi) non consente il virtuosismo. Ogni fascino sensuale delle sue melodie è in funzione di un sommesso ma costante realismo affettivo: che in esso e non nella fantasmagoria allegorica dell'opera barocca di corte il C. avesse a fondare le convenzioni teatrali dell'opera in musica era predestinazione dell'unico genere "letterario" d'Italia a carattere nazionale-popolare. In questo senso. nell'identificazione completa della sua musica teatrale con la prima impresa "pubblica" di musica d'arte, il C. fu, prima di Rossini e Verdi, uno dei pochi musicisti veramente popolari della nazione.
Non è casuale che ovunque laddove, intorno alla metà del secolo, s'iniziano imprese teatrali pubbliche (teatri cittadini stabili, o esecuzioni occasionali di compagnie itineranti) le opere del C. figurino senza eccezione al primo piano del repertorio. E se fin verso il 1650, tramontata la compagnia di Benedetto Ferrari e Francesco Manelli, la Finta pazza del Sacrati appare un po' in tutte le città italiane, ben presto le stesse compagnie mettono in scena prevalentemente le opere del C., e poi, man mano che si avanza nel sesto decennio, quelle di Cesti.
Le indicazioni seguenti sono ricavate, salvo diversa menzione, dai libretti delle rispettive esecuzioni, e, senza essere esaustive, danno un'immagine dell'entità della diffusione in Italia di certe opere privilegiate del C. e predilette da talune compagnie (Egisto,Giasone, Xerse, Erismena).Non si sa se la "terza impressione" dell'Egisto a Genova nel 1645corrisponda a un'avvenuta rappresentazione; ma gli accademici Discordati, diretti da C. Manara, lo eseguono a Firenze nel 1646(27maggio), a Bologna nel 1647insieme alla Finta pazza, a Ferrara nel 1648(27gennaio). Intanto a Bologna appaiono nel 1647 La Dafne (ossia gli Amori di Apollo e di Dafne, protagonista Lavinia Contini) e nel 1648 La Virtù de' strali d'Amore: gli Echi poetici all'Armonia musicale della signora Isabella Trevisani Romana, chesostenne le parti di Venere, Psiche e Clarindo, testimoniano il successo di quest'opera. Immediata fu la fortuna del Giasone.Dal Diario di Giuseppe Cicogna dei festeggiamenti di Milano per la venuta di Maria Anna d'Austria nel 1649risulta che, provata il 23 giugno, l'8 e il 24 di luglio si fece "la Comedia de Iason, y vellozino de oro representada en Musica con varias mutaciones de senas, y curiosas tramoias de las mejores vozes de Italia": e forse già nel 1650 (libretto non datato) Antonio Lonati impresario ne allestiva una ripresa milanese con la compagnia dei Febi Armonici, che lo portarono nel settembre a Lucca sul teatro dei Borghi (Pellegrini, p. 132); a Firenze era stato visto sul teatro degli accademici Ineguali il 15 maggio precedente.
Il 1650 è anche l'anno dei primi spettacoli operistici voluti dal conte d'Oñate, viceré a Napoli. La Didone vicompare "sopra armoniche scene" (10 ottobre) allestita da "pellegrino Architecto" (G. B. Balbi?) e da Curtio Manara. Nel 1651, oltre l'Incoronazione di Poppea monteverdiana, appaiono il Giasone (2 settembre) dato dai Febi Armonici e l'Egisto.Nel 1652, oltre la Finta pazza del Sacrati, G. B. Balbi e i Febi Armonici mettono in scena in prima esecuzione la Veremonda sull'ormai fiorente teatro del palazzo reale (21 dicembre); nel 1653, sotto il titolo Le magie amorose, il Balbi in scena la Rosinda del Cavalli. Trasferiti poi gli spettacoli nel teatro pubblico di S. Bartolomeo, risulta che prima del 1658 Francesco Provenzale arrangiò le esecuzioni napoletane dell'Artemisia (s.d.) e del Xerse dato dai Discordati nel 1657 (sono le due stesse opere che - precedute forse nel 1657 dal Ciro - inaugurano il teatro alla Misericordia di Palermo: Xerse, 1658, e Artemisia, 30 marzo 1659; nel 1661, Marc'Antonio Sportonio vi allestì, arricchita di musiche sue, l'Elena).Nel 1659 (20 dicembre) gli Armonici danno a Napoli l'Eritrea, nel carnevale del 1666 (?) La Statira, nel 1667 Scipione Africano (6novembre); nel 1672 (20 febbraio) la "famosissima armonica" Giulia De Caro canta la Medea nella ripresa del Giasone.
A Bologna si dà il Giasone nel dicembre 1651 al teatro Formagliari (Bologna, Bibl. univ., ms. 3847: G. Tioli, Cronica, c. 5v).Lo scenografo P. A. Cerva allestisce L'Eritrea nel 1654 e (dopo l'Alessandro del Cesti nel 1655) L'Oristeo travestito nel 1656 (2 gennaio). Nel 1657 (20 maggio) si dà il Xerse, con prologo e intermedi nuovi, nel 1659 di nuovo L'Egisto, e nel 1661 l'Erismena nel teatro Formagliari (ma gli Applausi canori di Pindo alla signora Caterina Porri romana cantatrice impareggiabile … gloria dell'Erismena rappresentata da lei in Bologna portano la data del 1656). Nel 1665, secondo l'Allacci, la Statira;quell'anno stesso il Muzio Scevola;nel '66 (6 febbraio e 24 aprile) il Ciro, nel '68 ancora l'Erismena, nel '70 lo Scipione, nel '71 ancora il Ciro, tutte al teatro Formagliari. Infine nel 1673 ricompare il Giasone, e la compagnia di G. L. Carpiani con il sopranista Domenico Cecchi da Cortona dà al Formagliari l'Antioco (17 aprile) insieme con l'Achille in Sciro del Legrenzi.
Mentre a Bergamo arriva l'Egisto nel 1659, Ferrara vede (20 febbraio) il Giasone nel teatro Obizzi, e, nel teatro Bonacossi a S. Stefano, L'Erismena (1662 e 1669, col prologo del Ciro)e lo Scipione Affricano (1669). Il teatro degli Erranti a Brescia allestisce l'Eritrea nel 1665 (compagnia di Pietro Manni), l'Erismena nel 1666 e - pare - il Giasone nel 1667 (insieme con l'Orontea del Cesti). Lo stesso Manni porta a Genova il Xerse nel 1656 e l'Erismena nel 1666 (con prologhi e intermedi nuovi): al teatro del Falcone s'erano forse già visti La Didone (1652: ma nel libretto genovese il testo del Busenello va sotto il nome di Vincenzo della Rena, senza far cenno del C.), l'Oristeo (1653, cfr. Giazotto, 1951, p. 321), il Ciro (1654) e, nel 1655, Le Vicende d'Amore, overo Eritrea (con aggiunte musicali di Egidio Biffi). L'Orione del C., "fatto rappresentare nel Teatro Regio di Milano l'anno 1653 … per l'elettione del … Rè de' Romani Ferdinando IV", fu il primo dramma per musica composto espressamente per le scene milanesi. Nel teatro gestito dall'impresario Lonati si fecero il Giasone nell'anno 1660 (6 febbraio), l'Erismena nel 1661 (11 febbraio), l'Artemisia "arrichita dall'Armonia del Sig. Francesco Rossi" nel 1663 con Anna Caterina Venturi (20 giugno; ripresa a Genova nel 1665 con Francesca Cervini "detta l'Artemisia"). Il cantante Carlo Righenzi allestì a Milano nel 1665 (5 agosto) uno Xerse con aggiunte di sua mano, che portò poi al teatro S. Eufemia di Verona (26 ottobre) in un'esecuzione documentata anche dalle corrispondenze di Marco Faustini, e anche a Torino nel 1667 al teatro del Palazzo Vecchio di S. Giovanni. Una rappresentazione del Xerse fuvista ancora una volta, nell'anno 1682 a Cortona, nel teatro dell'Accademia degli Uniti (6 maggio).
Gli accademici Immobili di Firenze, presieduti dal cardinal Giov. Carlo de' Medici e promotori del teatro di via della Pergola, furono i committenti del più splendido e barocco spettacolo italiano del Cavalli. Il 3 giugno 1658, per la nascita dell'infante di Spagna, fu fatta la festa teatrale della Presa d'Argo e gli Amori di Linceo con Hipermestra di G. A. Moniglia, con i cantanti più famosi del tempo (M. Grasseschi. C. Righensi, D. Bellucci, N. Coresi, A. Rivani, Leonora Ballerini; cfr. Ademollo, 1885, p. 21). Dalla descrizione della festa togliamo che "terminata che fu la compositione di questo Dramma, speditamente si trasmise al sig. Francesco Cavallo a Venezia, acciò che con l'artifizio di suo armomoso contrappunto traesse altrui di mezo al cuore i più teneri, e compassionevoli affetti che all'espressione delle parole, e de gli avvenimenti poetici fussero più confacevoli, ed egli che viene oggi reputato il primo compositore d'Italia, particolarmente sopra lo stile Drammatico, con prestezza incredibile ne rimandò il componimento di tanta dolcezza, e soavità di stile…". In realtà questo avveniva già nell'estate del 1654, se il castrato Atto Melani scrive a Mattias de' Medici in data 27 sett. 1654: "Essendo venuto il primo atto di Venetia che veramente è musica miracolosa, il ser.mo Card.le Gio. Carlo si è compiaciuto di scrivermi che io sia in Firenze al suo ritorno per poter dar principio a concertarci con la sig.ra Leonora [Ballerini]… Tutti quelli che hanno sentita la musica di questo primo atto che è venuto non possono satisfarsi a lodarla tanto è bella; il sig. [Domenico] Anglesi solo dice che è veramente delle meglio cose che habbi fatto il Cavallo ma che però è ordinaria e non è da spasimarne…"; e poi in data 2 ottobre dice di voler "che anche Ipermestra faccia ben la sua parte", e che la commedia è stata cantata "in camera del ser.mo Card.le" e "a Pratolino in camera della Ser.a Granduchessa" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, f. 5452, cc. 747r-748r; f. 5453, cc. 595r-596r). L'Ipermestra, operafantasmagorica e fastosa, non fu mai ripresa a Venezia (alla stregua dell'Orione e dell'Ercole amante), maforse a Genova nel 1669 (Giazotto, cit., p. 322) e certamente a Pisa nel 1680 (1ºgennaio).
Intanto a Firenze nel 1661gli accademici Sorgenti facevano rappresentare (con l'Orontea del Cesti) l'Erismena (colprologo del Ciro); al teatro del Cocomero - pare - fu dato nuovamente l'Egisto nella primavera del 1667(nel febbraio dello stesso anno era apparso a Spilamberto di Modena); nel 1669 vi si dava lo Scipione Affricano, nel 1670 L'Antioco. L'immensa popolarità di opere come l'Erismena o il Giasone documenta il successo dell'opera veneziana anche in città prive di un'attività teatrale continuata. L'Erismena fu fatta a Ancona nel 1666, insieme allo Scipione Affricano (31 maggio), sul teatro dei Borghi a Lucca nel 1668(con l'Orontea del Cesti), sul teatro pubblico a Forlì nel 1673.Un'aria dell'Erismena fuanche stampata nelle Arie a voce sola de diversi auttori raccolte da Francesco Tonalli (Venezia 1656).Il Giasone, diffuso anche in numerose ristampe puramente "letterarie" del libretto (e di una riduzione in prosa apparsa nel 1664), fu allestito anche a Piacenza nel 1655 (6 febbraio: il 17gennaio c'era stata la Didone nella versione genovese del 1652), nel carnevale 1656-57a Livorno con i Comici Accesi (Livorno vide anche il Ciro nel 1660, dato poi a Modena nel '75 e a Perugia nel '78), a Vicenza nel 1658 (con il prologo del Ciro), a Genova al teatro Falcone (insieme con l'Orontea del Cesti) nel 1661 (cfr. Giazotto, cit., pp. 215, 322), a Ancona nel 1665 (6maggio) per l'apertura del locale teatro, a Reggio Emilia nel 1668in una ricca stagione con l'Antioco (18novembre) e con la Dori del Cesti (data da interpreti tutti maschili). Quando finalmente anche Roma ebbe un teatro d'opera pubblico, il Tordinona voluto dalla regina Cristina di Svezia, furono lo Scipione (8gennaio) e il Novello Giasone (24 genn. 1671)a inaugurarlo, adattati al gusto di Roma da Alessandro Stradella. Notevolmente alterato, il Giasone ricompare al Falcone di Genova nel 1681(13novembre) sotto il titolo di Trionfo d'Amor nelle vendette e ancora nel 1685 (Giazotto, cit., p. 324), e nel 1690 (2 gennaio) a Brescia tramutato in Medea in Colco: estrema ripresa seicentesca documentata di un'opera del Cavalli.
La fortuna enorme delle opere del C. fuori di Venezia, spesso alterate o manomesse per adeguarle alle accidentali contingenze delle singole esecuzioni o a una particolare aspettativa del pubblico, ma intatte nel loro nucleo, si confonde appieno con la fondazione del genere popolare e nazionale dello spettacolo operistico. Anche quando, dimessa la musica originale delle opere in ossequio a un gusto musicale più sublime e formalizzato, se ne ricompongono quei libretti che essa aveva originariamente consacrato alla celebrità, questo avviene tuttavia nei limiti delle convenzioni teatrali designati con imperativa evidenza nella fausta stagione produttiva del C.: solo con più indulgenze edonistiche e, di compenso, classicistica normatività, nella specializzazione delle funzioni mimetiche deputate al recitativo e all'aria.
Di minor entità, ma significativa, fu la diffusione del C. all'estero. Può ben darsi che l'una o l'altra "ansehnliche Comoedia in Italiänischer Sprach" fatta alla corte di Vienna dal 1651 in poi fosse l'Egisto, o il Giasone, di cui la Österreichische Nationalbibl. conserva copie mss. (cfr. F. Hadamowsky, Barocktheater am Wiener Kaiserhof…, in Jahrb. der Gesellschaft für Wiener Theaterforschung, 1951-52, p. 70). Non sono documentabili esecuzioni in Germania, ma la Biblioteca di corte di Ansbach possiede un manoscritto del Pompeo, portato probabilmente da Venezia dal maestro di cappella J. W. Franck (R. Brockpähler, Handbuch zur Geschichte der Barockoper in Deutschland, Emsdetten 1964, pp. 36, 38);J. Mattheson menziona con onore il C. nella Grundlage einer Ehren-Pforte (Hamburg 1740, p. 148n.), segnalando che J. Ph. Krieger lo frequentò a Venezia nel 1672.Dice Joh. Adolph Scheibe, che possedeva una partitura del C.: "Il suo recitativo supera tutto quanto ho mai visto praticare dagli italiani in questo genere, è nuovo, audace, espressivo, e segue il carattere con precisione estrema", e si meraviglia di trovarvi le voci di tenore e basso, ormai desuete nel '700.Benché il progresso dell'arte musicale abbia reso affatto "contemptible" e poco "palatable" la musica del C., Charles Burney ne riproduce nella sua General History of Music alcune arie dall'Erismena (di cui il giurista Thomas Bever possedeva il ms.) e una dal presunto ms. musicale di S. Rosa. Dell'Erismena esiste anche una traduzione ms. inglese contemporanea, e fu forse quell'"Italian opera in musicque", la prima del genere in Inghilterra, che John Evelyn vide il 5 genn. 1674(W. Dean, in The MusicalTimes, CVIII[1967], p. 636);né è da escludere che questa o altre opere sue fossero note a Purcell, che pare il più legittimo erede europeo della intensità affettiva del Cavalli tragico.
La fondazione dell'Académie Royale de Musique nel 1671, depositaria del prestigio "politico" della musica francese, impedì invece che l'opera del C. avesse un seguito a Parigi, dove il cardinal Mazzarino aveva fatto eseguire, nell'ambito di un vasto programma culturale italianizzante, tre sue opere. Passato lo stupore suscitato dalla Finta pazza data il 14 dic. 1645 con le scene e macchine prodigiose di G. Torelli e le coreografie di G. B. Balbi, il 19 genn. 1646 il residente di Toscana G. B. Barducci comunica "che la Sig.ra Anna Francesca Costa si va preparando con la sua compagnia di virtuosi per recitare un'opera della prossima settimana nel Palazzo Reale alla presenza della Regina, che desidera far prova del loro valore, prima che far la spesa delle Machine, e delle altre decorationi del Teatro" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, f. 5367, cc. 83r-84r), e il martedì grasso (13 febbraio) "la nuova compagnia di Musici venuta ultimo d'Italia rappresentò in musica l'opera intitolata Egisto" (lettera del 16 febbraio riprodotta, come tutti i docc. segg., da H. Prunières, L'opéra italien).Ma l'entusiasmo dei pochi familiari che accompagnavano i monarchi e il cardinale fu moderato, e alla fine del mese i cantanti italiani lasciarono Parigi, per poi ricomparirvi con ben altro fasto nell'Orfeo di Luigi Rossi (2 marzo 1647).
Ben altra risonanza ebbero gli spettacoli allestiti dal Mazzarino per i festeggiamenti (differiti) del matrimonio di Luigi XIV con l'infanta di Spagna (9 giugno 1660).
L'architetto e scenografo G. Vigarani fu chiamato a Parigi nel giugno del 1659 per costruire il nuovo teatro delle Tuileries, e fin dall'agosto 1659, su suggerimento del castrato Atto Melani e tramite l'abate F. Buti (autore del libretto dell'opera celebrativa), il cardinale procura che il C. venga in Francia per quell'occasione. La reazione del C. è inizialmente negativa: nella lettera del 22 agosto al Buti egli ringrazia per l'onore e "l'eccitamento delle mille doble e d'altre offerte", ma rifiuta per la salute precaria, l'età, il timore del viaggio, gli obblighi contrattuali e le mansioni marciane che lo trattengono a Venezia. Il 27 ottobre il cardinale, mentre il C. "déclare ne pouvoir venir en aucune fagon", pensa di ingaggiare il Cesti ("celuy mesme d'Inspruck que vous proposez"). Ma nel novembre il C. accetta di venire. Il 25 genn. 1660 l'ambasciatore di Francia a Venezia fa cantare una messa e Te Deum di ringraziamento per la pace dei Pirenei a SS. Giovanni e Paolo, con i cantori e i suonatori di S. Marco "de l'ordre de M. Cavalli, le premier homme d'Italie dans son art". Il 9 marzo l'ambasciatore intercede con un'istanza presso il Collegio dei procuratori di S. Marco, che l'11 aprile consente al C. di partire per la Francia e di restare a Parigi fintanto che sarà necessario, mantenendogli il posto e lo stipendio.
In viaggio, il C. soggiorna a Innsbruck ai primi di giugno, e a corte riceve in omaggio "guldne und silberne Trinkgeschirr" (il "Pellicone d'Argento indorato in forma di Struzzo, quello, che ricevei in dono dal serenissimo Arciduca di Spruch" menzionato nel testamento); e forse anche a Monaco (poiché l'edizione del 1671delle Cose notabili del Doglioni, p. 207, dice: "…per le sue dilettevoli compositioni fu chiamato alla Corte di Francia; [e] alla Corte di Baviera, dove diede gran saggi della sua virtù"); giunge a Parigi nel luglio 1660. Siccome il teatro dei Vigarani non era ancora pronto, fu allestito il Xerse "ridotto in stato di recitarlo in scena mobile… fatta di tapezzerie" nella galleria delle pitture del Louvre (22 nov. 1660). La favola regia del 1654 era stata ridistribuita in cinque atti, inframmezzati dalle entrées de ballet di G. B. Lulli, e la parte del protagonista, in ossequio al gusto francese, vi era affidata a un baritono (P. Bordigone), mentre il castrato A. Melani vi assunse la parte del deuteragonista Arsamene (ms. reale redatto nel 1695 a Parigi, Bibl. Nat.). Il dramma, romanzesco e tutto solistico come le altre opere veneziane degli anni '50, privo di grand'effetti vistosi che potessero supplire all'incomprensibilità della lingua italiana, piacque meno dei balletti. Lo stesso occorse anche all'Ercole amante, l'opera regia composta dal C., che finalmente andò in scena con gran pompa alle Tuileries il 7 febbr. 1662 (protagonista il basso Piccini, vi cantarono inoltre Anna Bergerotti romana, Leonora Ballerini fiorentina, G. A. Poncelli e G. Calegari o Caliari venuti dalla cappella di S. Marco assieme al C.): le diciotto entrées de ballet scritte da Benserade, musicate da Lulli, e danzate dal re (nelle parti di Plutone, Marte, il Sole), la regina, Maria Mancini, il duca di Guisa, fecero effetto non meno della magnificenza scenografica e macchinistica, ma la musica "ch'era il nervo principale della festa si perdè tutta, atteso lo strepito di chi non intende", e "per l'ampiezza del theatro non potè esser goduta". Mazzarino era morto il 9 marzo 1661: furono certo anche ragioni politico-culturali a decretare il naufragio dell'ultima e più suntuosa opera italiana in Francia, oltre l'ignoranza del pubblico francese delle convenzioni drammatico-musicali italiane. Nell'Ercoleamante ilC. aveva consegnato una dovizia di musica tale (cori, brani concertati, ampie sinfonie) da impedime la ripresa sulle scene impresariali di Venezia, se già non l'escludesse la natura allegorica e celebrativa e non drammatica della "tragedia" del Buti. La memoria dell'Ercole fu delegata a taluni episodi di grande suggestione, dove le scene tipiche dell'opera barocca toccano una realizzazione esemplare: il lamento a quattro sulla morte presunta di Ercole, l'apparizione dell'ombra di Eutiro, la ninna-nanna di Pasitea. Notevole fu invece la risonanza in Italia della scelta del C. per i festeggiamenti parigini (ne parla, p. es., la dedica dei Sacri concerti, op. XV, postumi, di B. Graziani, Roma 1668).
è difficile stabilire se e quali allievi abbia avuto il C. oltre Giovanni Caliari: certo Barbara Strozzi (che nelle Cantate op. II, edite a Venezia nel 1651, dichiara che il C. le fu "cortese precettore" fin dalla fanciullezza), forse G. B. Volpe detto il Rovettino, possibilmente l'uno o l'altro degli oltramontani di passaggio ppr Venezia. La sua vera eredità musicale passò tutta, attraverso le scene, alla terza generazione del dramma in musica (Francesco Luccio, Giov. Antonio Boretti, Carlo Pallavicino, Antonio Sartorio, Pietro Andrea Ziani).
Di scarsa entità è la produzione di cantate da camera del C. (l'uno o l'altro ms. di "cantate" contiene in realtà arie tolte dalle sue opere).
La fortuna critica moderna del C., iniziata dall'Ambros (1869), è legata agli studi di Goldschmidt, Wellesz, Prunières, A. A. Abert, Pirrotta, e, dopo la rinnovata popolarità di Monteverdi, pare aver riportato un certo favore per le sue opere veneziane tra il pubblico concertistico e discografico attuale (cfr. C. B. Schmidt, in Journ. of the American Musicological Society, XXIV[1971], pp. 313-17) a controprova della sua significazione capitale e primordiale nella formulazione dei requisiti formali ed estetici del genere melodrammatico.
Fonti e Bibl.: I docc. cremaschi sulla famiglia Caletti Bruni (archivi parrocchiali della SS. Trinità e di S. Benedetto), nonché il Proseguimento della storia di Crema dal 1586al 1664 di L. Canobio) furono resi noti da P. Cazzulani nel Torrazzo di Crema (3 marzo, 17 giugno, 8 luglio 1911) e ristampati in T. Wiel, F. Cavalli (1602-1676)e la sua musica scenica, in Nuovo Arch. veneto, s. 3, XXVIII(1914), pp. 106-150 (versione parziale inglese, F. Cavalli [1602-1676], in The Musical Antiquary, IV[1912-1913], pp. 1-19). Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di S. Marco, Procuratia de supra, Decreti e terminazioni, regg. 141-146, e Procuratia, Chiesa, b. 91: Cariche ed impiegati di cappella, proc. 207, Organisti (i documenti concernenti l'attività del C. a S. Marco sono stati segnalati, non senza errori, da F. Caffi, Storia della musica sacra nella già cappella ducale di San Marco in Venezia dal 1318 al 1797, Venezia 1854-55, e sono stati ricontrollati per la stesura delle presenti notizie biografiche; i docc. attinenti all'attività del C. in SS. Giovanni e Paolo sono pubblicati da D. Arnold, F. Cavalli: some recently discovered documents, in Music and Letters, XLVI[1965], pp. 50-55); Ibid., Provveditori alla Sanità, n. 886, necrologio 97; Ibid., Arch. notarile, Testamenti Garzoni Paulini Domenico, b. 488, n. 206 (il testamento del C. è riprodotto dal Wiel, cit., pp. 142-50), e Testamenti Paulini Claudio, b. 799, n. 381 (il testamento di Maria Sozomeno è parzialmente citato dal Caffi, cit., pp. 276 s.); Ibid., Arch. S. Lorenzo, bb. 23-24 (vedi il succinto inventario delle carte attinenti all'eredità del C. dato da F. Gaeta in Fonti per la storia di Venezia, sez. II, Archivi ecclesiastici: Diocesi Castellana, S. Lorenzo, Venezia 1959, pp. XXXII s.); Ibid., Scuola Grande di S. Marco, bb. 188, 194 (contengono le corrispondenze di Marco Faustini, dove figurano anche due lettere e due contratti del C. [b. 188, c. 14rv: lettera del 23 giugno 1654; c. 380rv: lettera dell'8 agosto 1662; b. 194, cc. 266r-267r: contratto del 24 luglio 1658; cc. 50r-51r: contratto del 29 giugno e ricevuta del 13 luglio 1667; inoltre c. 49r: lettera senza firma né data, ma riferibile alla lettera dell'8 agosto 16621; sono state sommariamente rese note da H. Kretzschmar, Beiträge zur Gesch. der venetian. Oper, in Jahrbuch der Musikbibliothek Peters, XIV [1907], pp. 71-81, e parzialmente pubblicate, non senza rilevanti errori, da R. Giazotto, La guerra dei palchi…, in Nuova Riv. musicale ital., I[1967], pp. 245-86, 465-509; vedi anche D. Arnold, "L'Incoronazione di Poppea" and its orchestral requirements, in The Musical Times, CIV[1963], pp. 176-178). Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato:oltre le lettere citate più sopra, i docc. fiorentini su rappresentazioni di opere del C. sono stati pubblicati parzialmente dall'Ademollo e dal Prunières. Parigi, Ministero degli Affari Esteri e fondi vari della Bibl. naz.: il carteggio mazzariniano per i festeggiamenti del 1660-1662 (tra cui la lettera del C. del 22 agosto 1659), e un cospicuo numero di fonti sincrone francesi, sono pubblicati da H. Prunières, L'opéra italien en France avant Lulli, Paris 1913. Le date di tutti i docc. sopra citt. sono state omologate al calendario moderno. Di fondamentale importanza documentaria è lo schedario dei libretti d'opera italiani allestito da C. Sartori presso l'Ufficio ricerca fondi musicali della Bibl. naz. Braidense di Milano. Cfr. inoltre: Venezia, Bibl. naz. Marciana, codd. It.IV. 747-748 (= 10462-10466): F. Caffi, Storia della musica teatr. in Venezia; J. A. Scheibe, Critischer Musikus…, Leipzig 1745, p. 27 n.; Ch. Burney, A General History of Music…, IV, London 1789, pp. 59-70, 158; A. W. Ambros, F. Cavalli, in Neue Zeitschrift für Musik, LXV (1869), pp. 313 ss., 321-24; Id., Geschichte der Musik, IV, Leipzig 1909, pp. 616-54; L. N. Galvani [G. Salvioli], I teatri musicalidi Venezia nel secolo XVII (1637-1700).Memorie storiche e bibliografiche, Milano 1879; R. Eitner, Die Oper von ihren ersten Anfangen bis zur Mitte des 18. Jahrhunderts, II, F. Cavalli's Il Giasone (1649)und M. A. Cestis La Dori (1663), Berlin 1883; A. Ademollo, I primi fasti della musica italiana a Parigi (1645-1662), Milano s.d, (ma 1884), passim; Id., I primi fasti del teatro di Via della Pergola in Firenze (1657-1661), Milano s.d. (ma 1885), pp. 16-22; C. Ricci, I teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII. Storia aneddotica, Bologna 1888, pp. 330-344; T. Wiel, I codici musicali contariniani del secolo XVII nella R. Biblioteca di San Marco in Venezia, Venezia 1888; B. Croce, I teatri di Napoli. 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