Callisto I (Calisto)
Diacono della Chiesa romana e sovrintendente del cimitero che poi da lui prese il nome, fu consacrato papa nell'estate 217 - con ogni probabilità il 3 agosto - dopo oltre due mesi di vacanza della Sede Apostolica, succedendo a Zefirino, morto intorno alla metà del maggio precedente.
Personalità discussa e variamente giudicata, il nuovo papa aveva alle spalle un passato burrascoso e dei precedenti poco chiari. Nato a Roma intorno alla metà del secolo II, figlio di un Domizio, apparteneva a famiglia cristiana di condizione servile. Aperto presso la ‛ piscina publica ' un banco di depositi e cambio col finanziamento del suo padrone - certo Carpoforo, ricchissimo cristiano imparentato con la famiglia dell'imperatore Commodo (180-193) -, C. vide progressivamente aumentare la propria clientela, costituita essenzialmente da cristiani. Coinvolto, dopo una serie di speculazioni sbagliate, nel fallimento di alcune imprese equivoche, non riuscendo più a far fronte ai suoi impegni finanziari, C. preferì abbandonare nascostamente Roma cercando scampo nella fuga. Scoperto a Porto, lo schiavo fuggitivo venne riconsegnato al suo legittimo proprietario, che lo costrinse alla macina di un mulino; qualche tempo dopo, tuttavia, spinto con ogni probabilità dal desiderio di liberarsi dei creditori di C. che si rivolgevano a lui per riavere il denaro perduto, Carpoforo mise lo schiavo di fronte alle sue responsabilità, e, pur seguitando a mantenerlo alle proprie dipendenze, lo liberò. Implicato in torbide vicende con la colonia ebraica di Roma, C. venne nuovamente arrestato e, dopo regolare processo, nonostante il tempestivo intervento di Carpoforo (il quale, per scagionare il suo dipendente da una delle imputazioni contestategli, negò che C. fosse cristiano), venne condannato ai lavori forzati, da scontare nelle miniere di Sardegna.
Rientrato, tra il 190 e il 193, in Italia, C. dovette impegnarsi, per esplicita ingiunzione del papa, a non rimetter piede in Roma, in cui doveva esser ancor fresca tra i suoi correligionari la memoria dei fatti occorsigli: secondo le fonti, il pontefice, che " molestissime ferebat " il ritorno di C., l'obbligò a stabilirsi in Anzio fissandogli uno stipendio mensile. Il successore di Vittore, Zefirino, al contrario, non solo fece richiamare C. da Anzio (199) revocando le disposizioni date in materia dal predecessore, ma lo volle accanto a sé come diretto collaboratore e quindi, ordinatolo diacono, gli affidò la gestione e il controllo del primo cimitero sotterraneo collettivo, che la Chiesa aveva aperto tra il II e il III miglio della Via Appia, in un fondo di proprietà dei Cecilii.
La serietà dimostrata nell'espletamento delle sue nuove funzioni, la competenza e le indubbie doti organizzative di cui dette prova nel corso del lungo pontificato di Zefirino, qualificandosi come uno degli esponenti più ragguardevoli e influenti del clero romano, fecero sì che C. fosse chiamato a succedergli. Tuttavia, si verificò una scissione nella Chiesa, poiché una cospicua parte, autorevole e qualificata, del clero romano si rifiutò di riconoscere l'elezione di C. facendo consacrare vescovo di Roma in sua vece un dotto e pio presbitero romano, Ippolito, discepolo di s. Ireneo.
Questa doppia elezione e lo scisma che ne fu la conseguenza traevano i loro presupposti remoti da una violenta controversia dottrinale circa la natura e l'essenza della Trinità. A Roma infatti era diffusa la dottrina modalista patripassiana che, fatta conoscere da Epigono, era stata in seguito difesa e propagandata da due insigni maestri, Cleomene e Sabellio. Teodoto di Bisanzio aveva a sua volta introdotto e diffuso la dottrina adozionista; scomunicato da papa Vittore, questi si era rifiutato di sottomettersi, e aveva dato vita a una chiesa eretica di letterati e di eruditi, che si resse fino al sec. IV, esercitando un notevole influsso negli ambienti culturali cristiani e simpatizzanti. Contro queste dottrine era insorto il presbitero Ippolito che aveva sostenuto e chiarito la teoria paolina del Verbo, ponendo in modo particolare l'accento sulla distinzione personale esistente, pur nell'unità della natura, tra il Padre e il Verbo. Papa Zefirino non aveva assunto, su tale scottante problema trinitario, una posizione ben definita: e, secondo quanto riferisce Ippolito, proprio alle pressioni esercitate da C. sarebbero da imputare le formule di compromesso accettate da quel pontefice.
Il brevissimo pontificato di C. ebbe tuttavia un rilievo particolare nella storia della Chiesa ed esercitò un influsso determinante nel pensiero religioso cristiano. Anzitutto egli scomunicò Sabellio e i seguaci della teoria modalista patripassiana, e confermò la condanna dell'adozionismo, pur rifiutando di accogliere, come quello ufficiale della Chiesa, il sistema dottrinale elaborato in proposito da Ippolito.
Assunse poi delle posizioni in materia disciplinare assolutamente in contrasto con il tradizionale rigorismo della Chiesa di Roma, instaurando un rapporto di comprensione e di cristiana indulgenza con i fedeli, ma suscitando aspre polemiche. Infatti alcuni dei suoi più arditi enunciati, quali l'insegnamento sul problema della remissione dei peccati, le direttive emanate a proposito delle ordinazioni sacerdotali e, in genere, dei chierici, il riconoscimento della validità del vincolo matrimoniale contratto da cristiani al di fuori delle forme previste dalla tradizione e dalla legislazione romana, provocarono decisa opposizione specie nei ceti laici più istruiti e negli ambienti culturali ecclesiastici, condizionati dal peso della tradizione rigorista giudaico-paolina, i cui esponenti più qualificati attaccarono con inaudita violenza, alla quale non rimase estranea la calunnia più sconsiderata, non solo le disposizioni emanate nel corso del pontificato, ma la persona stessa del pontefice, accusato di favorire, con colpevole indulgenza, il rilassamento dei costumi nel popolo di Dio.
Quali che siano state le accuse lanciate dai suoi avversari, quali che siano state l'interpretazione e la valutazione date all'opera di C., non si può in buona fede ammettere che l'azione da lui svolta nel campo disciplinare abbia effettivamente significato la rinunzia, per sempre, agl'ideali più alti di purezza e di sacrificio, alle più pure e genuine esigenze dell'etica cristiana. In realtà, i suoi provvedimenti miravano tutti a mitigare l'austerità e il rigore di norme formali strettamente e superficialmente intese: a superare, cioè, il concetto vetero-testamentario di giustificazione e di santità legali, per affermare quello evangelico della purezza e santità interiori, per rendere, infine, al peccatore pentito il posto riserbatogli da Dio alla mensa dei fedeli.
C. morì nel 222, il 14 ottobre, secondo la notazione della Depositio martyrum della Chiesa romana - che lo venera, almeno dall'età di Costantino, come martire - e il racconto della sua Passio, che lo fa cadere vittima della persecuzione di Alessandro Severo, e ne indica il luogo della morte in Trastevere e quello della sepoltura nel cimitero di Calepodio, al III miglio della Via Aurelia.
Il nome di C. ricorre una volta sola nel poema dantesco: esso viene fatto nella grande invettiva lanciata da s. Pietro contro il papa e i vescovi dell'età di D., i quali con l'immoralità dei loro costumi e con la loro fame di gloria e di potenza terrena avevano abusato dei poteri soprannaturali loro trasmessi dalla Chiesa e profanato il luogo stesso del suo martirio, il luogo mio, il luogo mio che vaca / ne la presenza del Figliuol di Dio (Pd XXVII 23-24), hanno cioè dissacrato la santa roccia su cui è fondata la Chiesa, la cattedra di Pietro, che è ora come vacante al cospetto di Dio, perché il pontefice che la occupa ha pervertito l'ufficio suo ed è stato perciò respinto come apostata dal Figlio dell'uomo: Non fu nostra intenzion ch'a destra mano / d'i nostri successor parte sedesse, / parte da l'altra del popol cristiano; / né che le chiavi che mi fuor concesse, / divenisser signaculo in vessillo / che contra battezzati combattesse; / né ch'io fossi figura di sigillo / a privilegi venduti e mendaci, / ond'io sovente arrosso e disfavillo (vv. 46-54). Non è un caso se il principe degli apostoli, dopo aver invocato, fiero di santa indignazione, la mano vindice della giustizia divina sui suoi vicari, insieme con Lino e con Cleto - i primi due papi, che avevano saputo testimoniare a prezzo del sangue la loro fedeltà alla parola di pace e di giustizia predicata da Gesù Cristo - ricordi anche C. tra quei pontefici che avevano sofferto e pianto perché la Chiesa fosse realmente agli uomini guida alla vita e alla beatitudine eterna: Non fu la sposa di Cristo allevata / del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, / per essere ad acquisto d'oro usata; / ma per acquisto d'esto viver lieto / e Sisto e Pio e Calisto e Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto (vv. 40-45). Trascendendo il profondo nesso liturgico che sostiene e dà unità all'intera invettiva di s. Pietro, D. modifica l'antichissima lista dei pontefici romani inserita nel ‛ canone ' della messa, aggiungendo i nomi di Pio, di C. e di Urbano. Vi è intima ragione ideale nell'inserimento di questi nomi; intra tutte le bestialitadi quella è stoltissima, vilissima e dannosissima, chi crede dopo questa vita non essere altra vita (Cv II VIII 8): il papa che, indotto e di oscura estrazione, aveva difeso contro l'autorità di rinomati dottori, strenuamente, la dottrina tradizionale della Chiesa, l'unità della natura e la diversità reale e personale del Padre dal Figlio e personale del Padre dal Figlio e dallo Spirito Santo; colui che aveva affermato, contro l'adozionismo e il modalismo, la coesistenza della natura divina e di quella umana in Gesù Cristo, la sua passione, la sua morte e la sua resurrezione; colui che aveva instancabilmente annunziato, contro il parere dei rigoristi, la buona novella dell'infinita misericordia di Dio per il peccatore pentito, e la certezza della resurrezione e della vita eterna: doveva a buon diritto venire ricordato tra i pontefici che si erano prodigati sino al sacrificio estremo per l'acquisto d'esto viver lieto. Perché gli adozionisti, affermando la sola umanità di Cristo (sia pur meravigliosamente dotata, tanto da assumerlo come ‛ figlio ' di Dio), e i modalisti, predicando l'identità del Figlio col Padre, venivano in realtà a negare all'uomo, redento per la passione e morte del Figlio fattosi anch'egli uomo, la sua vera dignità di fratello di Cristo e di erede del Paradiso; e, negando la resurrezione di Gesù, Dio e uomo, venivano a negare anche la vita " venturi saeculi " di cui essa è pegno. D. ha inteso dunque ricordare in C. soprattutto il paradigma del ‛ pastor bonus ' in contrapposizione a quanti In vesta di pastor lupi rapaci / si veggion di qua sù per tutti i paschi (Pd XXVII 55-56); dell'autentico vicario di Pietro che lotta per l'affermazione della carità e della speranza nel mondo; del sommo sacerdote che si batte, con eroica fermezza, per garantire la purezza dell'autentica dottrina affidatagli dalla Chiesa, senza arretrare nemmeno di fronte alla violenza e alla morte, sino a spargere lo sangue dopo molto fleto.
Fonti e Bibl. - Acta Sanctorum Octobris VI, Bruxelles 1856, 401-408; s. Ippolito da Roma, Philosophumena, in Die griechischen christlichen der ersten drei Jahrhundert, Lipsia 1897 ss., XXVI 245-252; Liber pontificalis, a c. di L. Duchesne, I, Parigi 1886, 141 ss.; A. D'alès, L'Edit de Calliste. Étude sur les origines de la pénitence chrétienne, Parigi 1914; C. Cecchelli, Tre deportati in Sardegna: C., Ponziano, Ippolito, in Sardegna Romana, Roma 1939; Diction. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XI 421-424; Enc. Cattolica, III 386-389; Bibliotheca Sanctorum, III 680-689.