CALUNNIA
. La calunnia è il fatto di colui che scientemente, con denuncia o querela diretta all'autorità giudiziaria, incolpa di un reato taluno che egli sa essere innocente. La calunnia era punita presso gli Ebrei e gli Egizi con la stessa pena che si sarebbe dovuta applicare o si era applicata all'ingiustamente accusato. Apprendiamo da Plutarco che, in Grecia, i calunniatori di Focione furono tutti condannati a morte. In Roma la falsa accusa fu elevata a reato speciale della lex Remmia. Nella legislazione barbarica le pene stabilite per la calunnia avevano generalmente carattere pecuniario e consistevano nel pagamento di una multa (legge salica, ripuaria) o del guidrigildo (editto di Rotari). La legge bavara, quella dei Visigoti e i capitolari di Carlo Magno stabilivano però la stessa pena della legislazione ebraica; e l'editto di Teodorico puniva di morte colui che non avesse fornito le prove della sua accusa. Nel diritto canonico si ricorse dapprima alla legge ebraica; più tardi però venne adottato il sistema delle pene variabili che, per i laici, andavano dalla semplice penitenza alla scomunica, e per gli ecclesiastici consistevano nella sospensione dall'ufficio, nella privazione del beneficio, nella fustigazione e nell'esilio. Fra gli statuti medievali alcuni adottarono la pena comminata dal diritto canonico, altri le pene pecuniarie; altri, infine, le pene corporali.
Le legislazioni del sec. XVIII, nel determinare la pena per la calunnia, si attennero a criterî di minor rigore. Il codice Giuseppino del 1787, per esempio, alle più gravi pene precedenti sostituì la pena restrittiva della libertà personale. In Francia i pratici del diritto distinsero, agli effetti della responsabilità penale, tre forme di accusa: a) accusa fondata su un errore scusabile, che non era punibile; b) accusa temeraria o colposa, che dava luogo soltanto al risarcimento del danno; c) accusa calunniosa o calunnia vera e propria punibile con la pena dell'infamia oltre il risarcimento dei danni. I codici della Rivoluzione francese non contemplarono il delitto di calunnia.
Il codice penale italiano comprende la calunnia tra i delitti contro l'amministrazione della giustizia, e ciò a differenza del codice francese del 1810, che la considerava come reato contro la persona, del codice napoletano del 1819 e del codice sardo, che la ponevano tra i reati contro la fede pubblica. Giustamente l'attuale codice penale ritiene come prevalente il danno sociale per l'offesa cagionata all'amministrazione della giustizia, la quale, per il fatto della calunnia, viene ad essere fuorviata da organo di tutela del diritto. Analogamente il progetto definitivo di un nuovo codice penale si occupa della calunnia nel titolo III del libro II, che prevede i "delitti contro l'amministrazione della giustizia".
Per l'articolo 212 cod. pen. vigente, la calunnia consiste nel fatto di colui che "con denunzia o querela all'autorità giudiziaria o ad un pubblico ufficiale, il quale abbia obbligo di riferirne all'autorità stessa, incolpa taluno, che egli sa essere innocente di un reato; ovvero ne simula a carico di esso le tracce o gli indizî materiali. È stabilita la pena della reclusione da uno a cinque anni e l'interdizione temporanea dai pubblici uffici. La calunnia è, dunque, verbale o reale. E verbale, se fatta mediante denunzia o querela; è reale, se l'azione del calunniatore consiste nella simulazione delle tracce o degli indizî materiali di un reato, in guisa da indurre l'autorità giudiziaria a iniziare un procedimento penale contro una determinata persona che l'agente sa essere innocente.
L'incolpazione di una determinata persona fatta espressamente ovvero in modo che possa essere identificata, differenzia la calunnia dalla simulazione di reato, la quale consiste nel fatto di colui che porta, direttamente o indirettamente, a cognizione dell'autorità giudiziaria la notizia di un reato che sa non essere avvenuto, senza indicarne l'autore (art. 211 cod. pen.). L'incolpazione calunniosa deve consistere nell'attribuzione di un fatto costituente reato, ossia di un fatto a cui la legge penale ricollega, come conseguenza giuridica, l'applicazione di una pena. Non può parlarsi quindi di calunnia allorché l'incolpazione si riferisca a un fatto cui si possa applicare soltanto una sanzione esclusivamente di carattere disciplinare. Eventualmente, in tal caso, potrà ricorrere il delitto di diffamazione.
Oltre le forme tecniche della denunzia, verbale o scritta, e della querela, sono mezzi idonei a dar vita al reato di calunnia anche il rapporto del pubblico ufficiale, il referto del sanitario, la richiesta fatta da un pubblico ufficiale, la notizia portata a conoscenza dell'autorità giudiziaria per lettera anche se anonima o apocrifa, e le risposte date su richiesta del giudice. Perché quel che è necessario è che, qualunque sia il modo adoperato, esso sia idoneo a provocare l'attività della giustizia.
Il progetto definitivo di un nuovo codice penale ha voluto essere in proposito più esatto ed esplicito, aggiungendo, nell'art. 373, alla denuncia e alla querela anche la richiesta e l'istanza ancorché anonime o sotto falso nome, e ciò per troncare le incertezze che nella dottrina e nella giurisprudenza si erano determinate circa l'incriminabilità di alcune forme di incolpazione che, per loro natura, non potevano essere classificate tra le forme tecniche sia della denunzia diretta o indiretta, sia della querela.
Non occorre che la denunzia o la querela siano fatte per iscritto, o che abbiano tutti i requisiti formali stabiliti per simili atti dal codice di rito: se l'irregolarità nella forma dell'incolpazione potesse far sparire il reato di calunnia, riuscirebbe molto facile ai più scaltri calunniatori di assicurarsi l'impunità. L'incolpazione deve essere fatta all'autorità giudiziaria ovvero a qualunque altra autorità che sia per legge obbligata a riferirne alla medesima. Altro requisito necessario per l'esistenza della calunnia è che l'incolpato sia innocente, o perché il fatto attribuito non sussista nella sua materialità, o perché, essendo stato commesso, non sia stato commesso dal denunziato, perché, tanto nell'uno quanto nell'altro caso, l'autorità giudiziaria può essere tratta in inganno.
La volontà criminosa rivolta a fuorviare il corso della giustizia a danno di un innocente può manifestarsi, come si è detto, non solo con dichiarazioni orali o scritte rese all'autorità giudiziaria, direttamente o indirettamente, ma anche per mezzo di fatti o circostanze poste in essere dal calunniatore, idonee a provocare un procedimento penale contro una determinata persona innocente. Il codice vigente parla separatamente di "tracce" o di indizî materiali", ma non si tratta di due concetti diversi perché in realtà s'intendono indicare tutte quelle alterazioni che il calunniatore produce nel mondo esteriore e sensibile deliberatamente, allo scopo di fare sì che, attraverso un processo di logica induzione, l'autorità giudiziaria sia tratta a iniziare un procedimento penale. Per questo il progetto definitivo, sopra ricordato, ha eliminato la locuzione " indizî materiali". La simulazione delle tracce o degli indizî materiali, affinché si possa avere calunnia, deve contenere oltre gli elementi atti a stabilire la materialità del reato, anche quelli rivolti a precisarne l'autore, perché, se la simulazione riguardasse solamente la materialità del reato, non si avrebbe la figura giuridica della calunnia reale, ma quella della simulazione reale o indiretta di un reato, così chiamata per distinguerla dalla simulazione verbale o diretta.
Come in ogni reato, anche nella calunnia uno degli elementi costitutivi è quello morale o psichico. Rispetto alla calunnia l'elemento subiettivo è costituito non soltanto dalla volontà libera e cosciente di denunziare un fatto, ma anche dalla consapevolezza, nell'agente, dell'innocenza dell'accusato. La scienza dell'innocenza dell'incolpato è l'elemento morale specifico della calunnia, e deve essere accertata. La calunnia colposa non costituisce reato.
Poiché l'obiettività giuridiea della calunnia è costituita dall'offesa all'amministrazione della giustizia penale, non occorre che il fine criminoso sia rivolto a danno dell'accusato, ma basta che la volontà dell'accusatore sia diretta a deviare il corso della giustizia, indipendentemente dal danno che da tale deviazione possa derivare all'incolpato. La realizzazione del danno del privato derivante dalla condanna, è circostanza che aggrava la misura della pena ma non è un elemento essenziale della calunnia. Così pure i motivi che abbiano determinato il calunniatore ad accusare un innocente non hanno alcuna influenza sulla misura della sua responsabilità. Nemmeno la necessità di respingere un'accusa sia pure ingiusta, esime da responsabilità il calunniatore, giacché se il diritto alla difesa è riconosciuto da tutte le legislazioni, è tuttavia indubitato che tale diritto deve contenersi nei limiti di giustizia e che a nessuno debba essere lecito di trar profitto dalla sua condizione d'imputato, per ledere i diritti altrui.
Una causa di attenuazione della responsabilità è, per il vigente codice, la ritrattazione che dal nostro legislatore è considerata come una causa di diminuzione di responsabilità, disponendo nell'art. 213 che le pene stabilite per il reato di calunnia sono diminuite di due terzi se la ritrattazione avvenga prima di qualsiasi atto di procedimento, e da un terzo alla metà, se la ritrattazione sia fatta in tempo successivo, ma prima della pronunzia del verdetto dei giurati nei giudizî di assise, e prima della sentenza, negli altri giudizî. Codesta circostanza specifica di attenuazione di responsabilità è stata soppressa nel progetto definitivo per il quale è applicabile, nel caso di ritrattazione, e purché questa sia intervenuta in ogni caso prima del giudizio, l'attenuante comune di cui nell'ultima parte del n. 6 dell'art. 66 del progetto stesso, consistente nel latto di chi, dopo aver commesso il reato e prima del giudizio si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per eluderne o attenuarne le conseguenze dannose o pericolose. Il progetto ha poi nell'art. 375 disposto che le pene stabilite per la calunnia sono diminuite se questa concerna un fatto costituente contravvenzione.
Quanto alle circostanze aggravanti, l'art. 212 cod. pen. dispone, nel primo capoverso, che la pena è della reclusione da 3 a 12 anni insieme con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, quando il reato attribuito importi una pena restrittiva della libertà personale; e nell'ultimo capoverso che, nel caso di condanna dell'incolpato a una pena superiore alla reclusione, il minimo di pena da applicarsi al calunniatore è la reclusione non inferiore a 15 anni. Il progetto definitivo, invece, stabilisce come pena da applicarsi per la calunnia, la reclusione da 2 a 6 anni. Aumenta la pena se s'incolpi taluno di un reato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 10 anni, o altra pena più grave. Stabilisce inoltre la reclusione da 4 a 12 anni, se dal fatto derivi una condanna alla reclusione superiore a 5 anni; la reclusione da 6 a 20 anni, se dal fatto derivi una condanna all'ergastolo; e infine commina l'ergastolo, se derivi una condanna alla pena di morte.
Bibl.: P. Barsanti, Digesto it., VI, Torino 1888; C. Ferrini, in Enciclopedia del dir. pen. it., diretta dal Pessina, I; R. Babboni, Dei delitti contro l'Amministrazione della giustizia, in Tratt. di dir. pen., 2ª ed., Milano 1911-16; V; L. D'Antonio, in Enciclopedia del dir. pen. it., diretta dal Pessina, VII; M. Manfredini, Dei delitti contro l'Amministrazione della giustizia, in Tratt. di dir. pen., 3ª ed., Milano 1927; V; V. Manzini, tratt. di dir. pen. it., 2ª ed., Torino 1921, V.