cambiamento climatico
Clima e sistema climatico
Il concetto di cambiamento climatico implica fattori politici, giuridici, etici, economici e scientifici, andando ben oltre il significato associato alle variazioni naturali del clima, che si sono succedute sulla superficie terrestre nel corso del tempo geologico.
In una semplificazione del clima e delle sue variazioni, un modello termodinamico efficace a scala globale vede il bilancio energetico della Terra attraverso il flusso dell’energia radiante. Il bilancio energetico è la somma algebrica della radiazione entrante, principalmente di origine solare, e di quella uscente verso lo spazio siderale, emessa sia per riflessione di quella solare sia per effetto termico, come radiazione di corpo nero. Il risultato di un modello di questo tipo è la temperatura termodinamica di equilibrio dell’atmosfera, quale si ricava dall’insieme delle osservazioni meteorologiche. Le variazioni percentuali e assolute della concentrazione atmosferica di gas a effetto serra (GHG, GreenHouse Gas), degli aerosol, della radiazione solare e delle proprietà della superficie terrestre alterano l’equilibrio termodinamico su cui poggia il sistema climatico. Questo si trova in condizioni di equilibrio dinamico, determinato dall’interazione di vari parametri (forzanti), appartenenti a differenti sottosistemi (atmosferico, idrologico, geologico, biologico, astronomico). Aperti dal punto di vista termodinamico, nel senso che scambiano materia ed energia, tali sottosistemi interagiscono fra loro e comportano meccanismi di retroazione (feedback), in grado di rinforzare o inibire i cambiamenti. Il clima è la funzione di distribuzione dello stato fisico dell’atmosfera, risultante dall’interazione tra i vari elementi del sistema climatico.
Il rischio che si verifichino cambiamenti climatici è associato alle interferenze antropogeniche (DAI, Dangerous Anthropogenic Interference) nell’evoluzione naturale del sistema climatico, il cui fattore preponderante è l’aumento della concentrazione in atmosfera di gas e aerosol, prodotti dalle attività umane e in grado di operare come agenti di cambiamento climatico (drivers). Tra questi, i più significativi sono i cosiddetti LLGHG (Long Lived GreenHouse Gas), ossia diossido di carbonio (CO2), metano (CH4), monossido di diazoto (N2O), idroclorofluorocarburo (HCFC), idrofluorocarburo (HCF), perfluorocarburo (PCF), esafluoruro di zolfo (SF6). Secondo l’ultima sintesi (AR4 2007) dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’organismo scientifico delle Nazioni Unite che raccoglie i risultati della ricerca internazionale sui cambiamenti climatici, la componente antropogenica determina un contributo radiativo al riscaldamento terrestre di +1,6 [−1, +0,8] W/m2. La variazione climatica in atto presenta un inequivocabile riscaldamento, sempre più evidente dalle osservazioni di un innalzamento della temperatura dell’atmosfera e delle temperature rilevate alla superficie degli oceani, da un generalizzato fenomeno di fusione di ghiacci e nevi perenni e dall’elevazione del livello dei mari. Ne conseguono rischi di entità globale quali: riduzione delle calotte polari e dei ghiacciai, sommersione di vaste zone costiere, eventi meteorologici estremi (tifoni, uragani, inondazioni, siccità ecc.), scomparsa di numerose specie animali e vegetali ovvero migrazioni di massa. Tali rischi sono amplificati a causa della complessità delle interazioni fra i vari componenti del sistema climatico: in condizioni limite, piccoli cambiamenti nei meccanismi forzanti possono originare brusche variazioni. I fenomeni che rispondono a questo criterio, per i quali si possono determinare grandi discontinuità di scala e divergenze irreversibili da preesistenti condizioni di equilibrio, sono denominati tipping points (per es., riduzione sostanziale o collasso della circolazione oceanica nordatlantica, rilascio di grandi quantità di metano dal permafrost siberiano o dai clatrati dei fondali oceanici).
La rilevanza e la molteplicità degli impatti dei cambiamenti climatici hanno fatto del coordinamento internazionale per combatterli il luogo prevalente in cui prendono corpo le politiche per lo sviluppo sostenibile. Dopo la prima conferenza sul clima (Ginevra, 1970) dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO, World Meteorological Organization) e la pubblicazione del primo rapporto IPCC (➔) sul clima (1990), l’atto costitutivo della politica per la lotta ai cambiamenti climatici si può considerare la sottoscrizione nel 1992 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite (➔ UNFCCC), con cui gli Stati aderenti hanno assunto l’impegno di raggiungere la stabilizzazione della concentrazione di gas-serra nell’atmosfera «ad un livello tale da prevenire dannose interferenze antropiche con il sistema climatico». La Convenzione ha istituito la Conferenza delle Parti (COP, ➔ UNFCCC), che si riunisce periodicamente con il compito precipuo di esaminare lo stato di attuazione degli accordi. Nel 1997, in occasione della III Conferenza delle Parti (COP3), è stato siglato il Protocollo di Kyoto (➔), lo strumento tecnico operativo in cui sono stati introdotti obiettivi vincolanti, per il periodo di riferimento 2008-12, finalizzati al contenimento e alla riduzione delle emissioni di gas serra. Questo trattato ha consentito la sperimentazione del mercato del carbonio (➔ emissione in atmosfera) e di altri meccanismi di flessibilità, previsti per favorire gli investimenti in green economy. La strategia UNFCCC di lotta ai cambiamenti climatici contiene anche misure di adattamento, consistenti in una gamma di interventi volti a rafforzare la risposta alle variazioni del clima, in particolare nei Paesi meno sviluppati (finanziamenti per la riduzione delle vulnerabilità, trasferimento tecnologico e delle capacità gestionali). Dopo il primo periodo di impegni vincolanti del Protocollo di Kyoto, la XVII Conferenza delle Parti (COP17, Durban, dicembre 2011) è stata chiamata a prendere nuove decisioni sugli accordi internazionali per regolare la politica dei cambiamenti climatici.