di Axel Berkofsky
Il 1° luglio 2014 il governo guidato da Abe ha annunciato di voler reinterpretare l’Articolo 9 sulla rinuncia al diritto alla guerra in modo da consentire alle forze armate giapponesi – le Forze di Autodifesa, nate nel 1954 – di rendere esecutivo il diritto all’autodifesa collettiva del territorio giapponese.
Contrariamente a quanto molti politici e accademici (allarmisti) cinesi hanno suggerito, questa reinterpretazione dell’Articolo 9 della Costituzione non è sinonimo della progressiva riaffermazione del militarismo giapponese, ma, al contrario, prova che le politiche sulla sicurezza di Tokyo rimarranno strettamente orientate alla difesa. Fino ad ora l’Articolo 9 – che in senso stretto non permette al Giappone di avere un esercito (per questa ragione il corpo militare giapponese è chiamato ‘Forze di Autodifesa’) – vietava il diritto all’autodifesa collettiva come formulata nel Capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite – il diritto a difendere militarmente le forze armate di altri paesi in operazioni militari bilaterali o multilaterali.
La reinterpretazione dell’Articolo 9 non porterà alla possibilità che il Giappone colpisca basi militari oltreoceano né che sviluppi capacità di condurre spedizioni che possano impegnare le forze armate nel paese in combattimenti ad alta intensità in Asia Orientale o altrove. Infatti, «nelle nuove condizioni per la mobilitazione difensiva, le Forze di Autodifesa saranno spedite a sostenere gli alleati sotto attacco solo a condizione che l’attacco costituisca una chiara minaccia per il Giappone. La ‘vera’ autodifesa collettiva, invece, è un diritto che consente alle nazioni di considerare un attacco su un alleato o uno stato partner che non rappresenta nessun pericolo per se stessi come se lo fosse e rispondere dunque con l’uso della forza», scrive Corey Wallace. A meno che Tokyo non decida di adottare un quadro normativo che consenta all’esercito giapponese di rendere esecutivo il diritto all’autodifesa collettiva, intervenendo con l’esercito per difendere i soldati di altri paesi per motivi altri che non la difesa del territorio giapponese, alle Forze di Autodifesa non sarà consentito neanche in futuro di combattere in territorio straniero se impegnate in missioni di pace o umanitarie. Al contrario, quando impegnate all’estero in situazioni come le Operazioni di Pace dell’Un, le forze armate giapponesi potrebbero addirittura chiedere protezione militare di eserciti di altri paesi. Nel 2004 e 2005, ad esempio, l’accampamento giapponese nel sud dell’Iraq fu protetto da contingenti australiani e olandesi a causa delle restrizioni (molto) severe sull’uso della forza militare dei soldati giapponesi. Sebbene la reinterpretazione e la revisione della Costituzione sia una delle priorità della politica di Abe sin dalla sua salita al potere nel dicembre 2012, la questione dell’autodifesa collettiva è stata nel programma politico giapponese degli ultimi venti anni. Le sempre più frequenti intrusioni cinesi nelle acque territoriali giapponesi nel Mar cinese orientale hanno dato infatti al governo un numero sufficiente di ‘case study’ per spiegare agli elettori in maniera plausibile il perché è necessario concedere ai militari giapponesi di fare le stesse cose che i loro colleghi in altri paesi ‘normali’ fanno in patria e promuovere politiche di sicurezza all’estero e di difesa che trasformino il Giappone da paese ‘passivamente pacifista’ a ‘attivamente pacifista’.
E’ certo che Abe e gli altri nazionalisti e revisionisti giapponesi vogliano di più che solo una mera reinterpretazione costituzionale, ma sono stati obbligati ad accettare una reinterpretazione piuttosto che una revisione costituzionale (in pratica, la revisione dell’Articolo 9 sulla rinuncia alla guerra) che i propugnatori della difesa nazionale avevano in mente. Infatti, anche i politici nazionalisti e revisionisti giapponesi più irriducibili sono dovuti venire a patti con il fatto che la revisione costituzionale – per i motivi spiegati sopra – non accadrà nel breve termine.
I timori di Pechino e Seoul che la reinterpretazione dell’Articolo 9 possa rappresentare la re-militarizzazione delle politiche sulla sicurezza giapponesi potrebbero avere qualche consenso a buon mercato all’interno dei due paesi, ma non hanno nulla a che vedere con come (realisticamente) la posizione difensiva di Tokyo cambierà nei prossimi anni. Infatti, conclude Simon Chelton, l’ex addetto alla difesa britannico a Tokyo, i recenti cambiamenti nelle politiche giapponesi per la difesa legano il Giappone ai suoi alleati e paesi partner e riduce ulteriormente ogni possibilità di una linea militare aggressiva.
Le preoccupazioni cinesi sull’autodifesa collettiva giapponese nel frattempo sono molto sentite in patria. Se ad accompagnare la reinterpretazione costituzionale ci sarà un quadro normativo adatto, le Forze di autodifesa giapponesi, che riceveranno un budget annuale di quasi 50 miliardi di dollari (sicuramente abbondante per un paese ufficialmente pacifista), e la guardia costiera potrebbero essere autorizzate a difendere i soldati americani per difendere congiuntamente i territori giapponesi nel Mar cinese orientale. Certamente una cooperazione bilaterale di questo tipo sarebbe accaduta comunque – con o senza la reinterpretazione costituzionale – nel caso di uno scontro militare Sino - giapponese nel Mar cinese orientale. Tuttavia, la conferma ufficiale che gli eserciti giapponese e americano possano difendersi l’un con l’altro per contrastare un eventuale tentativo cinese di conquista delle isole Senkaku nel Mar cinese orientale, territori controllati dal Giappone, ha fatto crescere l’allarme a Pechino.
L’allarme, tuttavia, è causato non tanto dalla volontà di Tokyo di piantare la bandiera giapponese e dichiarare formalmente la sovranità sulle isole Senkaku, quanto piuttosto da come la capacità di Tokyo di contribuire attivamente alla difesa dei territori controllati dal Giappone possa intralciare le politiche di Pechino di tentare di stabilire il già menzionato ‘doppio controllo’ sulle isole contese, attraverso l’intrusione nelle acque territoriali giapponesi intorno alle isole.