cambiare
Il verbo, frequentemente usato nelle sue diverse accezioni (e v. anche CANGIARE) nella lirica due-trecentesca, anche in D. è di uso esclusivamente poetico, con un'unica eccezione nella Vita Nuova. Vale per lo più " mutare ", con varie sfumature di significato.
E spesso riferito all'aspetto fisico, i cui cambiamenti sono dovuti a diversi stati d'animo: Rime LXXI 5 chi è esca donna che giace sì venta? / ...Ben ha le sue sembianze sì cambiate / ... ch'al mio parere ella non rappresenta / quella che fa parer l'altre beate; Fiore XLIV 8; Vn IX 7 disparve questa mia immaginazione... e, quasi cambiato ne la vista mia, cavalcai quel giorno pensoso molto e accompagnato da molti sospiri; con la particella pronominale in Pg IX 67 A guisa d'uom che 'n dubbio si raccerta / ... mi cambia' io, una volta rassicurato da Virgilio dopo il brusco risveglio alle soglie del Purgatorio; analogamente per il passo di Pg XXXIII 6, dove l'atteggiamento di Beatrice, sospirosa e pia, ricorda il ‛ cambiamento ' della Vergine ai piedi della croce.
Con lo stesso costrutto è detto anche di esseri inanimati: la stella [Mercurio] si cambiò e rise (Pd V 97) " quia facta est clarior " (Benvenuto), divenne più lucente per la letizia manifestata da Beatrice quando nel lume di quel ciel si mise (v. 95).
Una vera e propria trasformazione si ha nel Paradiso, accanto al lume in forma di rivera / fulvido di fulgore (XXX 61-62), dove D. vede ‛ cambiarsi ' in maggior feste / li fiori e le faville (v. 94: " cioè quelli, che prima mi pareano fiori, mi parveno anime umane beate... quelli, che prima mi pareano faville, mi parveno Angeli come erano " (Buti; per il costrutto con la particella ‛ in ', vedi anche il passo di Pg XXVIII 96, più oltre riportato).
Il costrutto transitivo indica cambiamenti dovuti a fatti esteriori, non più a un diverso stato d'animo. Due volte il verbo ricorre nel c. XXV dell'Inferno, dove è descritta la trasformazione dell'uomo in serpente e del serpente in uomo, sicché ciascun cambiava muso (v. 123); poco prima D. ha vantato la sua superiorità rispetto a Ovidio, ché due nature mai a fronte a fronte / non trasmutò si ch'amendue le forme / a cambiar lor matera fosser pronte (v. 102), dove il verbo vale più esattamente " scambiare reciprocamente ", " sostituire " una cosa con un'altra: " forma nel linguaggio scolastico non significa l'esteriore contorno e rilievo e apparenza de' corpi, ma l'intima sostanza che fa essere gli oggetti materiali e gli oggetti spirituali ciascheduno nella sua specie, quello appunto ch'egli è... qui la forma del serpente piglia il corpo dell'uomo e a vicenda la forma dell'uomo piglia il corpo della serpe " (Tommaseo; invece, per l'Ottimo - e con lui il Lana - che intende materia nel senso tecnico filosofico, il verbo significa " mutare ": " Quasi [D.] dica: ‛ Ovidio e Lucano facciano pur d'uno un altro, ma io fo di due nature una, e non solo cambio la forma, ma eziandio disposizione di materia, ché quella ch'era sotto forma umana e disposta a ricevere le alterazioni umane, io la converto in disposizione disposta a ricevere le alterazioni serpentine; e così, e converso, di serpentine umane "). Il valore di " scambiare " è più evidente in Pd XXVII 15 quella [face, s. Pietro]... / incominciò a farsi più vivace, / e tal ne la sembianza sua divenne, / qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte / fossero augelli e cambiassersi penne, " si ‛ cambiassero ' tra di loro il risplendente candore col vermiglio infocato " (Venturi); con oggetto astratto, in Pd XVII 90, dove Cacciaguida esalta Cangrande della Scala, per cui fia trasmutata molta gente, / cambiando condizion ricchi e mendici, " imperò che li ricchi farà poveri, e li poveri ricchi " (Buti; il Porena, riprendendo il Pietrobono, rimanda per questo passo a Luc. 1, 53 " esurientes implevit bonis et divites dimisit inanes ". Da notare anche qui, come in If XXV 101-102, la presenza di ‛ trasmutare ' e c. in due versi contigui; la stessa osservazione si può fare per il passo di Pd V 97 sopra riportato [cfr. trasmutabile al v. 99, 'l tramutar sembiante al v. 88] e per quello di Pg IX 67 [muta in conforto sua paura, v. 65]); ancora con oggetto astratto, in Pg XXVIII 96 l'uom... / per sua difalta in pianto e in affanno / cambiò onesto riso e dolce gioco. Nello stesso significato, ma con la particella ‛ a ', in Fiore XLII 3 [il fiore] non fia cambiato / per me [" da me "] ad altr'amor, e LIV 11; con ‛ per ', in CLXXXIV 4 dirà... / che n'ha un'altra ch'è si amorosa / di lui, che per null'altro nol cambiasse.
Per il semplice " mutare " cfr. ancora Fiore C 9 (detto della mia fazzon, " le mie fattezze "; e cfr. Proteusso... si solea / mutare, al v. 3); CCIII 11 se mi trovasti a l'altra volta lento, / or sie certan ch'i' ti parrò cambiato, " mutato ", " diverso "; LVI 4 Il marinaio... / va... le sue vele cambiando, " sostituendo "; XXVI 12 (al passivo).
In Pd XXIX 6 il verbo vale ancora " mutare ", ma riferito a un luogo, detto del sole e della luna: Quando ambedue li figli di Latona / ...fanno de l'orizzonte insieme zona, / quant'è dal punto che 'l cenìt inlibra / infin che l'uno e l'altro da quel cinto, / cambiando l 'emisperio, si dilibra, / tanto...
Con costrutto assoluto il verbo è adoperato in senso tecnico, con allusione all'arte del cambio: Pd XVI 61 tal fatto è fiorentino e cambia e merca, " cioè tiene banco e fa mercatanzia " (Buti).