cambio
Il prezzo di una moneta in termini di un’altra, ovvero il tasso al quale è possibile effettuare il c. di un ammontare di una valuta nell’equivalente di un’altra, espresso in una forma standard del tipo EUR/USD=1,35. Gli acronimi identificano convenzionalmente le due valute coinvolte: in questo caso euro e dollaro USA. La prima è la valuta base (currency unit), la seconda la valuta quotata (quoted currency). L’informazione fornita da questa quotazione è che a fine 2011 sono necessari 1,35 dollari per acquistare 1 euro.
È un mercato over the counter (➔), ovvero che si svolge fuori borsa, aperto 24 ore su 24 per i 5-6 (tenuto conto del fuso orario) giorni feriali della settimana. Vi operano, acquistando o vendendo valute sia in operazioni a pronti sia a termine o anche in operazioni con derivati in valuta, banche centrali, grandi banche commerciali e di investimento, società finanziarie, hedge fund (➔), investitori istituzionali, aziende multinazionali, speculatori, arbitraggisti. Questi ultimi, in particolare, sfruttano l’eventuale difetto di allineamento (coerenza) nei 3 possibili tassi di c. fra 3 valute, oppure fra tassi a pronti e a termine e tassi di interesse riguardanti 2 valute. Nel 2010, il volume medio delle transazioni giornaliere si è attestato su circa 4000 miliardi di dollari. Quasi i 4/5 di questo movimento riguardano solo 4 valute principali. Dato che in ogni operazione sono ovviamente coinvolte 2 valute, il totale è rapportato convenzionalmente al 200%. In dettaglio, l’85% della movimentazione consiste in USD, poco meno del 40% in EUR, circa il 20% in YJN (yen giapponese), il 13% da BPD (sterlina inglese). Il tasso di c. di equilibrio è quello che sul mercato dei c. eguaglia la domanda e l’offerta di divise estere, ovvero l’offerta e la domanda di base monetaria nazionale per il canale estero. La domanda di divise estere (offerta di base monetaria nazionale) è data dal valore delle importazioni più il deflusso di capitale, mentre l’offerta di divise estere (domanda di base monetaria nazionale) è uguale al valore delle esportazioni più l’afflusso di capitale.
I meccanismi istituzionali che sovrintendono alla determinazione del tasso di c. di una valuta, garantendo il raggiungimento dell’equilibrio fra domanda e offerta, sono definiti regimi di cambio. Rientrano in 3 grandi categorie: tasso perfettamente fisso (hard peg), tasso perfettamente flessibile (independent floating), regimi intermedi variamente denominati. Fa testo in questo campo la classificazione adottata dal 1990 dal Fondo Monetario Internazionale (➔ FMI). Essa prevede 8 classi, di cui due nella categoria del tasso perfettamente fisso, 5 intermedie e una nella categoria del tasso perfettamente variabile. Nella prima classe la valuta legale è quella di un altro Paese, molto più importante e al quale ci si vuole agganciare con un tasso di c. fisso e irrevocabile, garantito da riserve valutarie nella valuta forte. Il Paese che sceglie questo regime rinuncia alla sua indipendenza valutaria. In questa classe rientrano anche le unioni valutarie. L’euro è l’esempio più significativo di questo regime di c., raggiunto mediante definitiva rinuncia alla propria moneta sostituita da quella comunitaria. Nella seconda classe rientrano gli accordi valutari (➔ currency board) fra due o più Stati, che si impegnano a garantire una certa parità di c. fra le loro valute mediante stretto coordinamento delle loro politiche monetarie e rinunciano alle funzioni di emissione e prestatore di ultima istanza delle rispettive banche centrali. All’opposto si trova l’8a classe (independent floating) in cui il tasso di c. contro ogni altra valuta è lasciato libero di fluttuare in ragione delle forze di mercato. I regimi intermedi sono compromessi di varia gradazione, come, per es., i conventional fixed pegs (in cui si definisce un c. fisso, ma senza un impegno irrevocabile a difenderlo), i crawling pegs (aggancio di c. fisso a una moneta o a un paniere di monete, con la previsione di procedere ad aggiustamenti, anche frequenti, ogniqualvolta sia conveniente), i managed floating (in cui il tasso può variare liberamente, ma con l’annuncio che si farà qualche sforzo per mantenerlo, per quanto possibile, al livello prefissato o entro una banda di oscillazione ristretta). In assenza di perfetta variabilità, l’equilibrio fra domanda e offerta di valuta dovrà essere comunque raggiunto manovrando altre variabili. Per es., a c. fisso, l’aggiustamento può essere realizzato da movimenti di base monetaria. Se il Paese presenta un saldo attivo di bilancia dei pagamenti (eccesso di offerta di divise estere), esso deve consentire che il surplus si traduca in un aumento di liquidità interna. La crescita della quantità di moneta determinerà un incremento del livello dei prezzi, che scoraggerà le esportazioni e stimolerà le importazioni, tendenzialmente azzerando l’avanzo commerciale, e indurrà una riduzione del tasso d’interesse (almeno nel breve periodo), contraendo l’afflusso netto di divise estere e dunque tendenzialmente riportando in pareggio la bilancia dei pagamenti. Spesso, nelle situazioni intermedie, i meccanismi di aggiustamento prevedono l’intervento di organismi internazionali (per es. il FMI), che effettuano un’azione coerente con l’obiettivo da raggiungere, imponendo una linea disciplinare agli Stati la cui valuta è oggetto di provvedimenti.