CAMBRAY DIGNY, Luigi de
Nacque il 14 febbr. 1778 a Firenze da Francesco Ignazio e da Anna Taddei. Entrato nel 1794 come apprendista nella amministrazione finanziaria granducale, si dedicò poi a studi d'architettura, formandosi presso l'Accademia di Belle Arti, diretta da G. M. Paoletti del quale avrebbe idealmente proseguito l'opera; come compagni di studi ebbe, tra gli altri, G. Cacialli, P. Poccianti e G. Salucci. Il 21 sett. 1801 era nominato nei ruoli dei professori di prima classe dell'Accademia. Eletto quasi contemporaneamente anche accademico di merito dell'Accademia di S. Luca di Roma, solo il 2 ott. 1803 "prendeva possesso" (Roma, Accademia di S. Luca, Catal. degli Accademici... nell'anno 1673, ms.., XXVIII, f. 24v), in occasione di un viaggio a Roma e a Napoli disposto a suo favore dal re d'Etruria Ludovico I di Borbone, che già precedentemente gli aveva concesso una speciale assegnazione per incoraggiarne gli studi. Nominato aiutante del direttore del dipartimento delle RR. Fabbriche nel 1803, nel successivo periodo francese, essendo il padre rimasto senza impiego, il C. dovette aiutare la famiglia accettando un impiego remunerato, e nel 1808 la prefettura del dipartimento dell'Arno lo nominò percettore delle imposte dirette a Bagno a Ripoli. Nel 1815, con la riorganizzazione dei ruoli generali degli impiegati, fu nominato segretario della direzione dello scrittoio delle RR. Fabbriche con funzioni di architetto e con la provvigione annua di 3.000 lire. Nel novembre 1818 sposò Marianna Nencini, che morì nell'aprile del 1820.
Fin dai primi anni della Restaurazione, oltre a una brillante attività di disegnatore e progettista di edifici privati, il C. svolse un importante ruolo nella tutela del patrimonio monumentale toscano; come direttore dello scrittoio gli competeva la conservazione, l'adeguamento e la manutenzione del vasto complesso delle fabbriche granducali. Cessarono intanto le ristrettezze economiche che avevano per l'innanzi legato la famiglia Cambray Digny agli impieghi statali. Nel 1822 il C. ereditò insieme con i fratelli dallo zio Luigi Antonio, morto in Francia senza discendenti, e da quella data cominciano le fortune economiche della famiglia, che trarrà dalle vaste proprietà terriere nel Mugello un nuovo titolo di appartenenza alla nobiltà fiorentina. Ammesso fin dal 1820 nell'Accademia dei Georgofili, il C. sarà ricordato anche per la buona amministrazione delle proprie fattorie. In quella di Sassuolo, da lui acquistata dal governo nel 1824, impiantò una grossa bigattiera per l'allevamento dei bachi da seta nella quale introdusse i metodi allora sperimentati da V. Dandolo a Varese, città dalla quale fece venire mano d'opera specializzata. Nel 1825 fu insignito del titolo di conte, e cinque anni dopo ammesso al patriziato fiorentino.
Dalla direzione delle RR. Fabbriche il C. si occupò anche di rilevanti problemi economici, come quelli che riguardavano l'amministrazione delle miniere elbane, acquistate dal granducato nel 1816 e da allora amministrate in regime di monopolio da una regia interessata mista costituita da privati. Negli anni successivi si levarono molte critiche verso la gestione privata e a più riprese fu proposta la gestione statale. Nella disputa il C. assunse una posizione di compromesso, non aliena da critiche verso gli amministratori delle miniere ma sostanzialmente favorevole agli interessi privati. Dopo una improvvisa ispezione alle miniere da lui compiuta alla fine del 1825, il 2 febbr. 1826 presentò al granduca un circostanziato rapporto sulla base del quale la regia avrebbe dovuto essere amministrata negli anni successivi; tre anni più tardi, allo scadere del primo contratto, richiesto da entrambe le parti di un parere, valutò positivamente la gestione della regia. Nel 1832, rotto il contratto con una seconda regia, il Consiglio di Stato propose la diretta gestione statale e la nomina di una commissione per lo studio delle modifiche da apportare all'industria del ferro. Insieme con un altro dei tre membri della commissione nominata nel marzo del '33, il C. si dichiarò favorevole alla gestione privata, da condursi però con più moderni criteri imprenditoriali. Sempre in quell'anno tuttavia il nuovo soprintendente generale all'Ufficio delle revisioni e dei sindacati, G. Baldasseroni, intraprendendo un'azione svolta ad imporre maggiore rispetto delle formalità burocratiche ed una più severa osservanza della legge, aprì un'indagine sull'amministrazione delle RR. Fabbriche. Le gravi irregolarità coperte con simulazioni e falsi, contestate al C., lo costrinsero a chiedere il collocamento a riposo. Nel 1835 ottenne di recarsi a Parigi per seguire negli studi il figlio Luigi Guglielmo, e non tornò a Firenze che nel 1840, quando il granduca lo nominò gonfaloniere per il triennio 1841-43, carica connessa anche a grossi lavori di risistemazione urbanistica che il C. avrebbe dovuto dirigere.
Morì a Firenze il 20 febbr. 1843, e fu sepolto il 22 nel chiostro di S. Croce; il suo monumento funerario fu collocato nella cappella all'interno della chiesa. Era cavaliere dell'Ordine di S. Stefano, commendatore dell'Ordine di S. Giuseppe, ciambellano di Ferdinando III.
Pur formatosi come architetto nell'Accademia di Firenze, i rapporti del C. con la cultura francese furono continui e decisivi. Si recò a Parigi più volte (Saltini, pp. 3, 71, Firenze, Bibl. Marucelliana, Carte C. D., filza 42; Ibid., Bibl. nazionale, Carte C. D., cass. 146, 13, 6; 66, 1, c), e nel 1827 era membro corrispondente dell'Accademia di Belle Arti dell'Institut de France, per divenirne poi, nel 1830, associato estero. Su sua sollecitazione, fra l'altro, vennero comprati e portati a Firenze, dove ebbero grande influenza sulla formazione delle nuove generazioni, alcuni dei più significativi disegni di E. L. Boullée (oggi nel Fondo Martelli del Gab. Disegni e stampe degli Uffizi: K. Lankheit, Der Tempel der Vernunft, unveröffentlichte Zeichnungen von Boullée, Basel-Stuttgart 1968). Un fruttuoso soggiorno fece a Roma nel 1827 (Biblioteca nazionale, Carte C. D., cass. 66, 1, c; e lettere all'allievo Giuseppe Martelli del 7 e del 14 giugno 1827), da dove scriveva di aver "fatto formare i migliori frammenti" architettonici per l'Accademia fiorentina (Saltini, p. 97).
Fra le imprese editoriali del C., a parte la società tipografica da lui promossa nel 1803 con il libraio G. Piatti (Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filza 19), significativa è la direzione, con il noto pittore P. Benvenuti, della pubblicazione dei Monumenti sepolcrali della Toscana, disegnati da V. Gozzini, incisi da G. P. Lasinio e dedicati al principe Nicola Esterházy di Galántha, uscita il 15 genn. 1819 presso l'editore fiorentino G. Gonnelli.
L'opera, stimolata dai suggerimenti del Cicognara, si colloca come evidente omaggio al tema, allora attuale, dei sepolcri; l'illustrazione di cinquantadue fra i più noti monumenti funebri della storia dell'arte toscana è, nell'intento dei promotori, una sorta di storia regionale della scultura con lo scopo di mostrare come "dalla infanzia della scultura siamo giunti al secolo di Canova". Nel 1821 lo stampatore I. Marenghi pubblicò una nuova edizione, in francese, con rami nuovi, più numerosi (venticinque tavole in più), ma meno raffinati: Monuments sépulcraux de la Toscane, déssinés par V.t Gozzini et gravés par I. e Scotto... avec leur description.
Anche se manca ancora una ricerca sistematica, specie della vastissima documentazione manoscritta, che permetta di valutare in tutti i suoi aspetti la molteplice personalità del C., è possibile prospettare una prima sintesi della sua attività architettonica che, con quella di G. Del Rosso, condizionò più d'ogni altra l'ambiente architettonico e culturale fiorentino sia negli anni della gestione francese sia soprattutto nel primo trentennio della Restaurazione.
Il C. ricevette il primo incarico di prestigio nel 1802, con l'invito da parte del presidente dell'Accademia di Belle Arti, G. degli Alessandri, a dare disegni per un monumento a Dante Alighieri da erigersi in S. Croce.
Alla consegna del progetto nel 1804 nacque tuttavia una polemica: la Società degli amatori della storia patria prima lo approvò, poi espresse delle perplessità e chiese delle varianti. L'autore replicava che il progetto era già stato reso noto (il "celebre" Mario Asprucci ne sta facendo il rame, ed il "sublime architetto" Camporesi lo ha già positivamente valutato, mentre lo stesso "immortale" Canova ha convenuto con loro) e che pertanto il monumento non era suscettibile di variazioni. Ma la soluzione proposta dal C. per il monumento non ebbe esito (Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filza 17, che contiene il progetto, le perizie e un carteggio di notevole interesse). In questa prima opera è particolarmente importante, com'è stato notato, "il raccordo con Boullée specialmente nel modo con cui la statua allegorica è ensevelie entro un arcosolio scavato nel piano del fondo, tra due pesanti colonne doriche" (G. C. Argan, Studi sul neoclassico, in Storia dell'arte, 1970, n. 7-8, p. 255, vedi anche A. Bruschi, Il primo progetto d'un monumento a Dante in S. Croce, in Dedalo, II [1921-22], pp. 214 s.; Lankheit, Der Tempel der Vernunft..., cit.).
Tra i lavori realizzati nel periodo della gestione francese si ricordano le opere di trasformazione del palazzo Sonnino, in via del Prato n. 38, eseguite dopo il 1808 (E Lumachi, Guida di Firenze, Firenze 1935, p. 229); il rammodernamento, nel 1811 del palazzo Orlandini del Beccuto in via dei Pecori (attuale sede dell'Ente nazionale per l'energia elettrica), nel quale un'importante ristrutturazione era già stata in precedenza condotta da Antonio Ferri (Biadi, p. 226, vedi anche i diversi disegni del palazzo nel Fondo Martelli del Gabinetto Disegni e stampe degli Uffizi: nn. 5645-5651); e la trasformazione della cappella di S. Luca nella chiesa della SS. Annunziata in dotazione all'Accademia di Belle Arti (Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filza 17): il C. demolì l'altare e le decorazioni preesistenti della cappella, ne richiuse l'ingresso e realizzò i due nuovi accessi dal chiostro.
Negli anni, densi di iniziative, del comune di Firenze sotto la diretta gestione francese (1808-1814) una proposta del C., che, se realizzata, avrebbe fortemente inciso sulla struttura urbana, è data dai progetti (1812) per il nuovo Campo di Marte, che trovarono una valida occasione di confronto culturale con le parallele proposte elaborate dal Del Rosso.
L'inserto relativo è nella Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filza 17. Il Campo di Marte sarebbe dovuto sorgere nella vasta area compresa tra il convento di S. Marco e le mura, sul modello del Foro Bonaparte di Milano. L'intervento avrebbe dovuto comportare vaste e radicali distruzioni nel tessuto storico intorno alla piazza S. Marco, soprattutto a danno del convento e della chiesa; probabilmente, proprio per questo, l'incarico e la proposta (di rilevante impegno economico) non ebbero esito.
Furono invece realizzati nel 1813, sotto la sua direzione, la demolizione dell'arco detto dei Pizzicotti addossato sul lungarno al palazzo Spini all'angolo del ponte S. Trinita (Biadi, p. 219) e, sia pure dopo lunghi anni di studi e di progetti, dal 1811 al 1839, l'allargamento della via dei Calzaioli.
Questo allargamento, con il connesso problema del nuovo ruolo borghese della città antica, inaugurò di fatto la serie degli interventi sul tessuto urbano del centro antico di Firenze che dovevano costituire il tema più rilevante del dibattito disciplinare nel corso del secolo. L'iniziativa risale agli anni della gestione francese allorché il Del Rosso, architetto del comune, presentò (25 maggio 1811) un primo progetto per eliminare la strozzatura della via che unisce i due centri più importanti della città, quello religioso (la piazza della cattedrale) e quello laico (la piazza del palazzo della Signoria). A modifica del progetto del Del Rosso, il C. propose l'introduzione (tipologia fino a quel momento mai usata a Firenze) di "due ordini di portici... [che] conducono al coperto dalla piazza del Duomo a Orsanmichele, ... sovrastati da due piani ed un attico per abitazioni". Il progetto è reperibile nella Biblioteca Marucelliana, alle Carte C. D., filza 1.5, mentre nella Nazionale, Carte C. D., cass, 66, 1, c, è conservata una relazione del 15 dic. 1826 del C. al direttore delle Finanze, con cui lo informa dell'avvenuta presentazione dell'intero progetto, e cass. 66, 1, a, 1, una lettera del C. del 7 nov. 1842, dalla quale risulta che "all'allargamento ... si pone mano nella presente settimana".
L'opera del C. emerge con particolare evidenza nella progettazione e nella ristrutturazione dei giardini: non solo di quelli privati, ma anche, e soprattutto, del giardino pubblico per eccellenza, quello di Boboli, alla cura del quale lo chiamava il suo ufficio. In particolare, negli anni 1813-14, progettò, per incarico di P. Torrigiani, un giardino all'inglese definito, a ragione, "il più importante e pregevole fra tutti gli altri giardini privati di Firenze" (Ginori-Lisci). L'intervento, realizzato nell'area triangolare di oltre dieci ettari che, compresa fra l'attuale via dei Serragli e le mura, inglobava il preesistente antico bastione, è testimoniato da molte stampe dell'epoca.
Nell'imponente parco, con "viali tortuosi... [e] visuali che davano l'impressione di una superficie anche più vasta" (Ginori-Lisci), numerose realizzazioni contribuirono ad accentuarne il carattere romantico; come più tardi per il giardino Puccini di Pistoia, il modello è da ricercarsi nella cultura inglese ed in particolare negli interventi di Walpole, Bekford e Hope. Oltre all'ippodromo, la grotta del Mago Merlino con gli scherzi d'acqua, l'edicola dell'Arcadia, il romitorio, e grandi ruderi artificiali, furono anche disseminate nel parco sculture antiche; tra le numerose opere realizzate per l'occasione, una cascina per le mucche che pascolavano nei prati vicini. Nella attuazione del progetto (Firenze, Archivio privato della famiglia Torrigiani, filza 33, n. 52, anni 1813-54), il C. fu tuttavia sostituito dal giovane G. Baccani (Ibid., filza dell'Amministrazione dei Giardini del Campuccio, n. XV, inserto 6), il quale ebbe così l'occasione di realizzarvi (1821)la sua prima singolare opera, il torrino, che materializzava l'emblema della famiglia e fu destinato a "specula" astronomica.
Per conto di G. Stiozzi Ridolfi il C. nel 1813 condusse i progetti di ristrutturazione degli Orti Oricellari, ed ebbe modo, per l'ampliamento della proprietà, di attuare un singolare ed avvincente itinerario iconologico-simbolico (Biblioteca nazionale, Carte C. D., cass. 66, 10), inserendo nel parco una serie di oggetti allegorici come il tempio di Venere, la grotta di Polifemo, la fortezza col Belvedere, il tempio di Flora e così via (documentati da un album di litografie dell'opera sua).
Tra il 1821 ed il 1828 per l'amico N. Puccini il C. progettò, su modello inglese, nella vasta tenuta del giardino di Scomio a Pistoia, il più prestigioso complesso paesaggistico allora avviato in Toscana, lasciando tuttavia la direzione dei lavori al Martelli fin dal 1821. Su suoi disegni venne realizzato in particolare il Pantheon degli uomini illustri, il ponte rustico fra il lago superiore e quello inferiore, un tempietto tuscanico (il "Bersò"), la villa di Bellosguardo.
A testimonianza dell'apporto progettuale del C. resta il disegno 6352del Fondo Martelli nel Gabinetto delle stampe degli Uffizi, ed il carteggio con i Puccini nella Marucelliana, Carte C. D., filza 42.
Importante fu la sua attività di consulenza e di progettazione nel settore dell'architettura teatrale. Nel 1812 dava pareri e suggerimenti per la progettazione del teatro di Volterra (Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filza 18); su suo progetto, e sotto la sua direzione furono costruiti nel 1813-14 il teatro degli Arrischiati in piazza S. Maria Novella a Firenze (ibid., filza 17: Teatro degli Arrischiati), e nell'anno 1818 il teatro dei Gelosi-Impazienti ad Empoli. Fu anche il successo di quest'ultima opera, giudicata dai contemporanei "grandiosa e perfetta in tutte le sue parti "a procurare al C., più tardi, l'incarico del teatro di Prato, oggi teatro Metastasio, al quale lavorò dal 1827 al 1830 e che resta l'opera sua più notevole in quel campo (ibid., filza 18).
Dopo varie vicende e un progetto poi rielaborato di G. Valentini, fu officiato il C. che accettò "garbatamente" l'incarico senza esigere alcun corrispettivo. Il suo progetto fu presentato agli azionisti il 5 apr. 1827ed approvato, ma il C. dovette redigerne un altro a causa di particolari problemi incontrati nel corso dei lavori diretti dal Martelli. Il teatro (i disegni del C. sono in Arch. di Stato di Firenze, Sottosezione Prato, Arch. Buonamici)fu inaugurato l'8 sett. 1830:la sala aveva una pianta semicircolare con raccordi rettilinei in prossimità del proscenio, secondo il modello ormai collaudato del S. Carlo di Napoli e della Scala di Milano. Gli stucchi furono realizzati dal Catani mentre le pitture della volta, dei prospetti dei palchi e del sipario (oggi purtroppo perdute) furono eseguite dal pratese A. Marini, grande amico del C., al quale aveva decorato la residenza fiorentina.
Del 1818 è la dogana delle Filigare, sull'Appennino bolognese, in prossimità del passo della Raticosa (Arch. di Stato di Firenze, Scrittoio, filza 3080: Della nuova dogana delle Filigare). L'edificio, che segna il risultato più felice dell'ideologia architettonica del periodo napoleonico - anche se fuori del termine cronologico - sembra indicare nel C. una svolta radicale, poi accantonata, della sua progettazione.
L'accurata eliminazione programmatica di ogni aggettivazione sovrastrutturale, l'espunzione assoluta degli ordini e di ogni anche parziale reminiscenza formale portano alla realizzazione di un organismo rigoroso, essenziale, dove, saldato ogni debito verso il classicismo rinascimentale e verso l'assemblaggio combinatorio cui ha dato luogo, sembra di assistere alla presa di coscienza di quelli che saranno gli obiettivi del Movimento Moderno: infatti l'adesione al purismo stereometrico di Ledoux, e meglio, di Morris, si unisce ai ricorsi a Boullée per dar luogo ad un oggetto-limite di altissima qualità, dove il messaggio si affida unicamente alla capacità sottile di "presa" dell'assoluto geometrico.
Per la città di Livorno, dove con probabilità fin dal 1810 aveva già diretto vari lavori per il porto (Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filza 42: è una dettagliata minuta di perizia di spesa per la costruzione di una diga o molo di centocinquanta metri di lunghezza redatta in francese dall'"ingegneur en chef du depertemente de la Mediterranée"), realizzò nel 1820 il nuovo acquedotto (ibid., filza 18), eseguì nel 1827-28 un progetto per l'ospedale (Firenze, Biblioteca nazionale, Carte C. D., ms. da ordinare 166, e cass. 61, 3, 1 e 71, 4, 8), e nel 1828 aprì una nuova porta nel bastione del Casone (Bibl. Marucelliana, Carte C. D., filza 18).
Il Missirini gli attribuisce, più in generale, la responsabilità dell'"ampliamento della città di Livorno". Sulle opere livomesi si veda anche alla Nazionale di Firenze, Carte C. D., cass. 71, 4, 16; alla Marucelliana, Carte C. D., filza 42; Arch. di Stato di Firenze, Scrittoio, filze 1873, 1874, 2193, 2340.
La chiesa di S. Maria Assunta dei Bagni di Montecatini (1824-27), che è forse l'opera sua più nota, fu sconsideratamente demolita dopo il 1950. Restano soltanto alcuni disegni (Biblioteca nazionale, Carte C. D., cass. 146, 3, 3/b) ed una documentazione fotografica presso lo studio fotografico F. Rossellini di Montecatini.
La chiesa costituisce l'ultimo sobrio anello del tessuto urbanistico e architettonico della località termale, che riflette l'impronta unitaria degli interventi del maestro del C., Paoletti. Essa "si riporta all'antica severità ed eleganza greca" (Missirini), e può essere assunta, assieme con poche altre opere, come uno dei più fortunati modelli del purismo neoclassico toscano nell'età della Restaurazione; la pianta a croce greca, preceduta da un atrio a doppio ordine di colonne su un'imponente gradinata d'accesso, e conclusa da un'esedra semicircolare definente lo spazio sacro dell'altare ma priva di cupola e di tiburio extradossati, è un esempio, semplice e coerente, dell'eleganza progettuale del Cambray Digny.
Il modello tipologico dell'unica grande aula parallelepipeda e timpanata ritorna puntualmente nelle successive elaborazioni del C. ed in particolare nel progetto della chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Livorno, che è del 1832 (Biblioteca nazionale, Carte C. D., cass. 136, 3, 11).
L'aula rettangolare è, in pianta, molto vicina alla tipologia allora ricorrente per le cappelle cimiteriali, ma dagli alzati si evince un carattere sostanzialmente laico, fra l'ufficio doganale (la Barriera) ed il magazzino commerciale. Il risultato è quindi ambiguo; la carica ideologica degli esordi sembra ormai spenta in una routine professionale corretta e responsabile ma creativamente svagata e forse sommaria.Nel 1827 eseguì progetti per l'"Ammazzatoio pubblico" di Firenze (Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filza 43), e sempre nello stesso anno e nella stessa città realizzò la loggia reale del Prato, dal Martelli ridotta poi ad ubitazione privata.
Si trattava del palco reale permanente, edificato per il granduca e la corte nel Prato dove, a carnevale, si svolgevano le corse dei barberi. Sono conservati i disegni del progetto: la pianta e il prospetto alla Nazionale di Firenze, Carte C. D., cass. 146, 3, 3 a; mentre nel Fondo Martelli del Gabinetto delle stampe degli Uffizi sono contenuti diciannove disegni, alcuni dei quali probabilmente dovuti allo stesso Martelli (nn. 6039-6057). Per l'impegno progettuale messovi dal C., per l'interessante sperimentazione del ferro impiegato per staffare l'architrave in conci di pietra (sull'esempio parigino della S.te Geneviève del Sufflot, diffuso dal Rondelet, ma che il C. doveva conoscere per esperienza diretta), e per le cure rivolte alla sua realizzazione (fu decorata da L. Ademollo), la loggia può essere a ragione considerata, assieme alla chiesa di Montecatini, l'opera emblematica della sua maturità.
Tra le altre opere di questo periodo si ricorda la decorazione della cappella dei Principi nella chiesa di S. Lorenzo (1828-36). Il C. appare come responsabile del programma iconografico complessivo e del relativo ponteggio necessario all'esecuzione (Saltini, p. 98).
Il granduca Ferdinando III, che per evitare gli oneri del restauro aveva fatto demolire a cannonate la splendida villa buontalentiana di Pratolino, affidò al C. l'incarico di progettare, nel parco ristrutturato, una palazzina "alla costruzione della quale attese principalmente il Martelli" (Saltini, p. 6 nota 1: numerosi disegni sono nel Fondo Martelli del Gabinetto delle stampe degli Uffizi, nn. 6337-6350).
Di molti restauri e altri lavori minori, da lui programmati e diretti sia a Firenze sia altrove in Toscana negli anni dal 1819 al 1833, le testimonianze sono alla Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filze 17 e 18, alla Biblioteca nazionale, Carte C. D., cass. 69, 2, 11 e 71, 4, 12; alla Bibl. dell'Accademia, filza 40 B, 1821, n. 129. Di non secondario interesse la direzione della ristrutturazione della cappella del coro e della chiesa di S. Remigio: "molti risarcimenti ed ornati", ed "in specie fra gli altri, il nuovo pavimento, la maestosa scalinata prossima alla Tribuna" (Biadi, p. 49).
Al C. va il merito di aver concretamente avviato ad esecuzione, tra il 1842 e l'improvvisa morte avvenuta l'anno dopo, nella sua qualità di gonfaloniere, l'opera di urbanizzazione del nuovo quartiere di Barbano, che avrebbe dovuto risolvere il problema delle abitazioni popolari all'interno della città storica. I lavori, iniziati nel 1844, vennero condotti a termine solo nell'anno 1853.
La documentazione relativa è alla Marucelliana, Carte C. D., filza 17, e in Arch. di Stato di Firenze, Segr. di Gabinetto, App., filza 119, ins. 2, dove sono contenute la "memoria del Gonfaloniere C. D. ..." dell'11 sett. 1842, la sua memoria al Magistrato civico del 16 nov. 1842 in cui veniva fissata la procedura operativa, e importanti documentazioni sui lavori eseguiti dopo la sua morte.
M. Dezzi Bardeschi
Fonti e Bibl.: Per la storia della famiglia Cambray Digny e l'attività dei suoi membri nell'amministrazione finanziaria vedi le fonti e la bibliografia sub voce Cambray Digny, Luigi Guglielmo, in questo Dizionario. Tra di esse, le Carte Cambray Digny conservate presso la Bibl. Marucelliana e presso la Bibl. nazionale di Firenze contengono molti documenti relativi all'attività del C. come amministratore e come architetto. Imponente è il materiale documentario da consultare per quanto attiene l'opera svolta dal C. presso la direzione dello scrittoio delle RR. Fabbriche, per la quale vedi in particolare: Archivio di Stato di Firenze, filza 2358 (Repertorio generale degli affari relativi ai lavori approvati dal Sig. Direttore, 1820), filza 2316 (Lettere di Firenze, autorizzazioni direttoriali, 1820), filze 2404 e 2405 (Firenze. Lavori eseguiti con autorizzazione direttoriale, 1824); Firenze, Bibl. nazionale, cass. 66, 1, d (Memoria di ristrutturazione dello Scrittoio, 1835); Ibid., Fondo Cappugi 298 (Stato dei lavori da eseguirsi alle II. e RR. Fabbriche nell'anno 1821compilato dal Direttore C. D.). Vedi anche le filze relative agli Affari del Maire e del Gabinetto del Sindaco presso l'Arch. storico comunale di Firenze, non ancora riordinato.
Fra gli scritti inediti del C. si ricorda l'elogio dell'architetto Antonino Benini, pronunziato il 27 ott. 1827 alla sua morte (Biblioteca Marucelliana, Carte C. D., filza 13). Particolare significato riveste la sua corrispondenza con gli artisti con lui in amicizia e in confidenza, e in particolare quella con gli architetti Cacialli, Fabiani, Parini, Salvi, Nini, con gli scultori Bartolini, Costoli, Pozzi, Fontana, Demi, e con i pittori Benvenuti, Careggi, Gazzarini, Sampieri, Marini e Nenci (Firenze, Biblioteca nazionale, Carte C. D., cass. 146, 5, 4: Copie di corrispondenza intervenuta fra il 1803 e il 1839 fra il conte Luigi e artisti vari). Delle lettere da lui inviate all'architetto e suo allievo G. Martelli, che ne ha in gran parte diretto i lavori e proseguito l'opera, di notevole interesse per la storia della cultura neoclassica e in parte contenute (con la corrispondenza con l'architetto Filippo Nini) nelle Carte C. D. della Marucelliana, filza 8, alcune sono state edite dal Saltini. Allo stesso fondo appartengono gli appunti e gli abbozzi per una dissertazione che il C. aveva pensato di elaborare per il concorso lombardo del 1796, oggi pubblicati da A. Saitta, Alle origini del Risorgimento: i testi di un "celebre" concorso, Roma 1964, II, pp. 369-376.
Si veda, inoltre, G. Gargiolli, Elogiodel conte L. de C. D., in Continuazione degli atti della I. e R. Acc. economico-agraria dei Georgofili di Firenze, XXI, Firenze 1843, pp. 250-256, G. Baldasseroni, Memorie 1833-1859, a cura di R. Mori, Firenze 1959, pp. 15 s.; G. Mori, L'industria del ferro in Toscana dalla Restaurazione alla fine del granducato (1815-1859), Torino 1966, ad Indicem;L. Biadi, Notizie delle fabbriche di Firenze non terminate, Firenze 1824, pp. 49, 219, 226; M. Missirini, Quadro delle arti toscane, Firenze 1836, passim;G. E. Saltini, Della vita e delle opere di G. Martelli, Firenze 1888, pp. 3, 5 s., 70 s., 97 ss., passim;L. Bortolotti, Livorno dal 1748 al 1958, Firenze 1970, ad Indicem;L. Ginori-Lisci, Ipalazzi di Firenze nella storia e nell'arte, Firenze 1972, pp. 93, 305 s., 791.
M. Dezzi Bardeschi-R. Romanelli