CAMERA REGIS
Nella struttura istituzionale delle monarchie europee tra XI e XIII sec. la Camera regia rappresentava genericamente un luogo ‒ sia fisico che metaforico ‒ dove, sotto la medesima denominazione, erano compresi due ambiti funzionali distinti: il primo più vicino alle origini semantiche del termine Camera, inteso come appartamento privato del sovrano, e comprendente quindi, per estensione, la sfera di servizi e di personale domestico addetto alla cura del sovrano, l'altro più tecnico che, identificando la Camera con il tesoro personale del re, riguardava le funzioni di tesoreria, comprendendo anche il personale addetto alla riscossione dei tributi. Così in Inghilterra, dove la Camera con competenze di tesoreria comincia già a individuarsi in seno alla Household del sovrano sin dal XII sec., così, solo in parte, per il Regno di Sicilia già in età normanna, dove il termine Camera, identificato da una corrente storiografica come tesoro centrale e quindi come ufficio con spiccata inclinazione finanziaria e luogo dove confluivano tutte le entrate del Regno (Jamison, 1913), risulta piuttosto come un termine generico usato a volte come sinonimo di Curia e a volte come sinonimo di Dohana (Mazzarese Fardella, 1966).
La stessa indeterminatezza si può cogliere anche in età fridericiana, nonostante una maggiore specificazione delle funzioni istituzionali dei vari organismi dell'amministrazione regia.
Le numerose informazioni fornite dalla superstite documentazione cancelleresca rimandano infatti a un quadro complesso, ma che può essere ricondotto alla caratterizzazione della Camera come corte regia, ambito personale del sovrano. In altri termini, la Cameraregis, al pari delle altre istituzioni o magistrature di ampio raggio giurisdizionale, non era un organismo istituzionale con funzioni definite e sue proprie. Se si assume come principio generale, per la comprensione dell'assetto istituzionale del Regno nel suo complesso, che la indeterminatezza delle funzioni sia proporzionale all'ampiezza delle competenze e all'importanza dei singoli ufficiali o degli specifici ambiti, allora la Camera risulta tra le entità di cui è più difficile definire un quadro generale. Appare pertanto opportuno affidarsi alla documentazione e tentare di tracciare un'immagine della Camera che rimane comunque assolutamente specifica e legata a un particolare momento.
Innanzitutto occorre rilevare che la distinzione fra il termine Camera e il termine Curia è spesso inesistente, al punto che talvolta i due vocaboli sono usati in alternativa l'uno all'altro, intendendo entrambi il luogo dove il sovrano risiede con i suoi apparati domestici. Esemplificativo di questa sostanziale identità è il caso di un ordine inviato da Federico nel novembre 1239 a Oberto Fallamonaca, allora secreto di Palermo, affinché scegliesse cinque fra i giovani schiavi di colore già di proprietà della Curia, li facesse addestrare a suonare la tromba e la trombetta e li inviasse al più presto "ad presenciam nostram" (Il registro della cancelleria, 2002, p. 219); nel successivo mese di gennaio il sovrano ordinava al secreto di Messina di far costruire le trombe e la trombetta e di inviarle al più resto "in Camera nostra" (ibid., p. 424); contemporaneamente scriveva al Fallamonaca ordinandogli di far pervenire al più presto i cinque suonatori "ad curiam nostram", così come già ordinato in precedenza, insieme agli strumenti musicali che stavano per arrivare "in curia" (ibid., p. 425): dalla comparazione fra questi tre mandati, aventi lo stesso oggetto, risulta evidente che i termini Camera e Curia fossero usati senza alcuna differenza e l'omologazione alla formula adpresenciam nostram conferma il significato generale dell'espressione.
La Camera regis era dunque un luogo astratto, corrispondente alla persona del re e all'entourage che ruotava attorno a lui, e quindi itinerante come il sovrano stesso; ma nel contempo era anche il luogo fisico dove egli di volta in volta dimorava. La documentazione attesta la presenza di varie Camerae, fra le quali quelle di Melfi, Canosa, Napoli, Lentini.
L'organizzazione domestica della Camera e dei singoli luoghi dove essa veniva fissata era affidata ‒ almeno per il periodo coperto dalla documentazione e quindi per gli anni 1239-1240 ‒ a un unico addetto, il dominus Giovanni Moro, designato semplicemente come de Camera. La sua attività è particolarmente chiarificatrice dei meccanismi di funzionamento del complesso apparato funzionariale del Regno e dell'interazione fra i vari ambiti giurisdizionali sul territorio. I mandati redatti su ordine del Moro, infatti, erano inviati a vari funzionari regionali i quali avevano l'obbligo di fornire servizi che esulavano totalmente dagli ambiti propri del loro ufficio: ad esempio, nell'aprile del 1240, erano commissionate al giustiziere di Capitanata, Riccardo de Montefuscolo, duecento bardature per gli asini e diciotto per i cammelli della "Camera nostra", da consegnare su richiesta di Giovanni Moro (ibid., p. 777); e ancora, su mandato del "dominus de Camera", era ordinato al secreto di Messina, Maiore de Plancatone, di provvedere alla realizzazione e all'invio alla "Camera nostra" di sessanta gualdrappe per leopardi e trenta per sellature di equini (ibid., p. 835).
Sotto la giurisdizione del Moro ricadeva la gestione del personale domestico. Le singole Camerae erano affidate ai custodes Camerae, i quali avevano alle loro dirette dipendenze alcuni servi, ed erano forniti di cavalcature e di indumenti adeguati al ruolo, direttamente a spese della Curia. Bonaventura, designato a ricoprire l'incarico di custode della Camera di Lentini, era rifornito del necessario a spese del secreto di Messina, su ordine di Giovanni Moro (ibid., p. 853).
Le Camerae regie funzionavano anche come grandi opifici specializzati, dove a spese della Curia lavoravano esperti artigiani: tappezzieri e intagliatori, pellettieri e maestri d'arme, sempre sotto il controllo e la giurisdizione di Giovanni Moro (ibid., pp. 68 ss., 801). Nelle Camerae confluivano anche i generi di lusso, stoffe preziose, oggetti e gioielli, acquistati presso mercanti stranieri; e ancora spezie e ingredienti rari, da utilizzarsi, ad esempio, per la confezione di sciroppi e zucchero di viola da destinarsi appunto ai bisogni della Camera (ibid., pp. 552-553).
Le Camere regie erano dunque opifici, ma anche, con ogni probabilità, harem. Nella Camera dimoravano le ancille, anch'esse rifornite di vestiti a spese della Curia e sorvegliate da eunuchi, le domicillae, i valletti e i servitelli nigri. Una chiara influenza dei costumi orientali si riflette nel personale della Camera, per lo più di origine saracena: così probabilmente Giovanni Moro, così certamente un Abdolla, "servus Camerae", mandato a spese della Curia presso un magister Ioachim, affinché impari a leggere e scrivere in arabo (ibid., p. 308). Lo splendore delle Camerae regie così come di quella itinerante ‒ il seguito del re, composto da schiere di schiavi, ancelle ed eunuchi e da un ricco serraglio con animali esotici, dall'evidente sapore orientale ‒ fu bersaglio degli anatemi di papa Innocenzo IV al concilio di Lione e di attacchi espliciti riportati dalle cronache: lo Svevo fu infatti accusato di sodomia e di tenere presso di sé un harem gomorraico.
Nonostante la recisa negazione fatta da Kantorowicz, il quale sostenne che le Camerae regie fossero esclusivamente opifici e arsenali e che la Camera itinerante fosse l'unico retaggio orientale del sovrano, la documentazione superstite mostra un accentuarsi delle funzioni 'domestiche' della Camera e il potenziamento delle sue strutture nel senso proprio del consolidarsi di uno stile di vita che molto condivideva con quello apprezzato da Federico durante le sue permanenze in Oriente.
Risulta invece di minor peso l'altro ambito funzionale proprio della Camera, quello cioè connesso con il tesoro e con la riscossione delle entrate. Alla Camera nostra ‒ genericamente e senza alcun riferimento ad un organismo specifico ‒ erano materialmente assegnate le somme che derivavano dai mutui concessi alla Curia dai mercanti stranieri, per la cui restituzione il sovrano dava mandato di volta in volta a uno dei suoi funzionari provinciali: al secreto di Messina, ad esempio, o all'Erario di S. Salvatore (ibid., pp. 80, 105, 107). Alla Camera direttamente erano assegnati i proventi della collecta generale del Principato e della Terra di Lavoro (ibid., p. 936) e ancora alcuni tributi speciali, quali ad esempio il canone pagato dai saraceni di Lucera per lavorare le terre demaniali loro concesse e la gizia, la tassa personale che essi pagavano per aver garantita la libertà di religione, e le relative scritture contabili (ibid., p. 359).
Il termine Camera indicava anche l'archivio centrale del sovrano, quello che seguiva il corteo reale nei suoi spostamenti: in Camera nostra si conservavano infatti documenti di particolare rilevanza politica, attinenti a inchieste giudiziarie di entità considerevole: è il caso di una cedola presentata a corte da un Ruggero de Polluto per testimoniare di alcuni fatti criminosi relativi a un Gentile de Grandinato, sui quali fatti il sovrano ordinava al giustiziere d'Abruzzo di indagare (ibid., p. 101); o ancora quello della cedola contenente le accuse contro Ruggero Spataforus e Giovanni Bussus, sui quali doveva investigare il giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana (ibid., p. 185); custoditi in nostra Camera per ordine del re erano anche il quaternus contenente i nomi dei deportati di Centorbi e Capizzi, inviato al re dal giustiziere della Sicilia ultra, Ruggero de Amicis (ibid., p. 296), e l'elenco dei beni redatto insieme all'atto di passaggio del Castel dell'Ovo di Napoli dalla custodia di Angelo de Marra al nuovo custos Giovanni de Amato, responsabile della Camera dell'imperatrice e subentrato nella carica di castellano nel 1240 quando l'imperatrice decideva di risiedere a Napoli (ibid., p. 564).
Fonti e Bibl.:Historia diplomatica Friderici secundi; Acta Imperii inedita, I; Die Konstitutionen Friedrichs II. für das König-reich Sizilien, a cura di W. Stürner, in M.G.H., Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, Supplementum, 1996; Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Vendittelli, Roma 2002. Oltre alle opere complessive sulla realtà politico-istituzionale fridericiana, si rinvia specificamente ai seguenti studi e alla bibliografia ivi citata: E. Jamison, The Norman Administration of Apulia and Capua, "Papers of the British School at Rome", 6, 1913, pp. 211-482; W. Heupel, Der sizilische Grosshof unter Kaiser Friedrich II., Stuttgart 1940; E. Mazzarese Fardella, Aspetti dell'organizzazione amministrativa nello stato normanno e svevo, Milano 1966; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266, 1-4, München 1973-1982; E. Kantorowicz, Federico II, imperatore, Milano 1976; H. Enzensberger, La struttura del potere nel Regno: corte, uffici, cancelleria, in Potere, società e popolo nell'età sveva, 1210-1266. Atti delle seste giornate normanno-sveve (Bari-Castel del Monte-Melfi, 17-20 ottobre 1983), Bari 1985, pp. 49-70; M. Caravale, Ordinamenti giuridici dell'Europa medievale, Bologna 1994.