CAMERA (dal gr. καμάρα "vòlta", poi "camera con vòlta", attraverso il lat. camĕra; fr. chambre; sp. cāmara; ted. Kammer, Zimmer; ingl. chamber, room)
Termine generico che denota qualunque locale abitabile di una casa o di un appartamento e più specialmente la stanza destinata al sonno (v. stanza).
Per una facile metonimia camera passò a designare l'assemblea che in essa teneva le sue tornate, e il modo di procedere della riunione.
Camera nel linguaggio tecnico, oltre che il significato ordinario di locale, assume anche quello di spazio limitato con destinazione speciale: così, per esempio, camera d'aria (v. pneumatico), camera di calma (v. ventilazione), camera di mina (v. mina), camera di piombo (v. solforico, acido), camera di fumo e di vapore (v. caldaia). Inoltre per la camera fotografica v. fotografia e per la camera lucida v. lucida, camera. Per la camera ardente, v. morte: Riti e usi funebri.
Camera significa nella bassa latinità il tesoro o il fisco dell'imperatore, del re, e della stessa provincia. Il termine ritorna spesso fino all'età moderna per indicare varie istituzioni e magistrature inerenti all'amministrazione pubblica. Nel regno di Napoli Carlo I istituì un ufficio di revisione dei conti, detto Summaria audentia rationum, più tardi Camera della summaria. Le sue mansioni si estesero col tempo, invadendo il massimo organo finanziario del regno, la Grande Curia dei maestri razionali, finché Alfonso d'Aragona abolì quest'ultima nel 1450, concentrando tutti i poteri nella Camera della sommaria. Ferdinando I le attribuì pure la giurisdizione suprema in materia fiscale. Negli stati di Savoia esisteva già nel sec. XIV una magistratura collettiva chiamata Camera dei conti, alla quale rendevano i conti tutti gli ufficiali che maneggiavano pubblico denaro. Dapprima ve n'era una sola, finché Emanuele Filiberto ne costitui una seconda, che risiedeva a Torino. La camera dei conti di Chambéry fu soppressa nel 1520 da Vittorio Amedeo II. Analoga magistratura costituiva in Toscana Pietro Leopoldo col nome di Camera granducale e a Milano Maria Teresa col nome di Camera dei conti. A Venezia l'ufficio, costituito per riscuotere e amministrare il prestito imposto ai cittadini per sostenere le spese della guerra del 1164 e del 1171 contro il Barbarossa e contro Emanuele Comeno, si chiamò la Camera degli imprestiti e fu il primo dei Monti della Repubblica veneta.
Camera apostolica. - La chiesa di Roma possedeva fin dai tempi di Gregorio I ricchi patrimonî in Italia, che si accrebbero in seguito, e furono amministrati dalla Camera domini papae, poi Reverenda camera apostolica. Questa era presieduta dal camerario camerlengo, una delle più alte dignità nella gerarchia ecclesiastica. Oltre all'amministrazione fiscale dello Stato della Chiesa (Cencio Savelli, detto Cencio Camerario, poi Papa Onorio III, fece nel 1192 l'inventario delle entrate della Santa Sede, il famoso Liber censuum), il camerlengo aveva la giurisdizione civile e criminale sui chierici di camera, e, da Bonifacio VIII fino al 1870, l'ufficio di arcicancelliere della Sapienza. La Camera apostolica si componeva dei chierici di camera, in numero indeterminato fino al tempo di Eugenio IV, che nel 1438 li ridusse a 7 e li designò col nome di clerici camerae numerarii per distinguerli dai clerici camerae supernumerarii, i quali non partecipavano alle adunanze della Camera se non quando uno o più chierici fossero impediti. Il numero dei chierici di camera oscillò successivamente da 7 a 12, finché Leone XII nel 1826 li ridusse a 9. Tra di essi vanno segnalati: il thesaurarius o tesoriere generale che custodiva il tesoro, registrava le entrate, ordinava le erogazioni per le spese, e soprintendeva ai collectores, o esattori delle imposte, e che cessò di esistere nel 1870; una classe di funzionarî, chiamati camerales, aventi voto consultivo, e, in assenza del camerlengo, voto decisivo unico (ricavato a maggioranza dal loro collegio) nelle adunanze della camera. Fra questi camerales va ricordato l'auditor camerae, o uditore generale della camera, esistente fin dal sec. XV, che ha poteri giurisdizionali, e provvede all'esecuzione delle bolle e delle lettere papali; il vicecamerarius, spesso prima del sec. XVIII, e poi sempre fino al 1870, governatore della città di Roma, con giurisdizione civile e criminale; l'advocatus fisci, l'advocatus pauperum, il praesidens camerae, il commissarius camerae, il procurator fiscalis generalis Urbis, nonché una serie di chierici preposti a varie altre branche dell'amministrazione, come le armi, le strade, l'annona, la zecca, ecc. Le attribuzioni della camera apostolica, ampliate da numerose bolle pontificie, subirono una prima restrizione per opera di Pio VII e di Gregorio XVI al principio del secolo scorso, quando fu costituito un ufficio apposito per l'amministrazione delle finanze. Le restarono tuttavia le funzioni giurisdizionali, esercitate nella triplice forma: del tribunale della piena camera, per giudicare in appello delle controversie intorno all'erario; del tribunale criminale della reverenda camera apostolica, per giudicare in materia di frode dell'erario; della Congregazione camerale, per giudicare in prima istanza delle controversie in materia di erario e d'imposte. Dopo il 20 settembre 1870, ridotte al semplice obolo di S. Pietro le entrate della Chiesa, si restrinsero ancora le funzioni della camera apostolica, la cui importanza è oggi ancora veramente notevole soltanto durante la vacanza della Santa Sede, poiché tocca al camerlengo di constatare formalmente la morte del papa, di prender possesso dei palazzi apostolici in nome della camera, di curare la redazione degl'inventarî, di disporre il conclave. Un tempo, durante la vacanza, il camerlengo rappresentava il potere temporale di fronte al Sacro Collegio che rappresentava quello spirituale, e faceva battere moneta con lo stemma della propria casa e le chiavi incrociate sotto il padiglione, segno della sede vacante.
Bibl.: P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli 1723, XI, cap. v; Pecchio, Storia civile e politica del Regno di Napoli, Napoli 1777-1796; I, cap. xxiv, III, capp. xv e xx; Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, VII, Venezia 1841, s. v. camera e camerlengo; C. Ducange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Parigi 1840-50, s. v. camera e camerarius; P. Hinschius, Das Kirchenrecht der Katholiken und Protestanten in Deutschland, I, Berlino, 1869, p. 405 segg.; F. Ciabatta, De reverenda Camera apostolica, Roma 1869; A. Gottlob, Aus der Camera apostolica des 15. Jahrhunderts, Innsbruck 1889; P. M. Baumgarten, Aus Kanzlei und Kammer, Friburgo in B. 1907.
Camera imperiale. - Termine usuale per indicare la Reichshofkammer, cioè la più alta autorità giudiziaria del Sacro Romano Impero, istituita da Massimiliano I nel 1495, e caduta con l'Impero nel 1806. Risiedette dapprima a Francoforte, poi (dal 1693) a Wetzlar. Il numero dei suoi membri, fissato dalla pace di Westfalia, doveva essere di 50, poi abbassato (1719) a 25, scelti, dopo il riconoscimento dei riformati, per metà fra costoro. La competenza del tribunale, in origine, doveva estendersi specialmente ai perturbatori più pericolosi della pace pubblica; poi - sebbene i limiti della sua competenza non fossero mai fissati rigorosamente - giudicava in appello sugli stati immediati dell'Impero, esclusi i principati elettorali, e, in cause civili, anche su quelli mediati.
La procedura era lentissima, e aggravata ancora dal fatto che i giudici, nominati dall'imperatore, dagli elettori, dai circoli, e non retribuiti, o retribuiti scarsamente, non si presentavano a esercitare le loro funzioni o si mostravano molto spesso venali.
Camera Stellata (Star chamber). - Sorta di tribunale inglese che ebbe gran fama e gran forza sotto il regno di Enrico VII. Esisteva veramente già prima (chambre des estoiles di Westminster, già nel 1341); ma solo nel 1487 essa ebbe uno statuto e una composizione fissa (sette o otto membri). Suo compito era quello di sorvegliare gli sceriffi, di lottare contro la corruzione dei giurati, di reprimere le rivolte e le assemblee illecite, in una parola, di giudicare i casi, specialmente a sfondo politico, ritenuti troppo gravi per essere lasciati alla magistratura ordinaria. Grazie a questa lotta contro gli abusi, essa ha avuto notevole importanza politica nell'evoluzione storica dell'Inghilterra sotto il primo Tudor.
Bibl.: A. F. Pollard, The reign of Henry VII, voll. 3, Londra 1913.
Camera ardente. - Così venne chiamato il tribunale speciale, istituito da Enrico II di Francia l'8 ottobre 1547, e incaricato di perseguire i colpevoli di eresia. Si chiamava anche la seconde Tournelle; ma il nome rimasto e noto è quello che derivò al consesso dal suo triste compito d'inviare la gente al rogo.
Bibl.: N. Weiss, La chambre ardente, Parigi 1889.
Camere di riunione.
Per impadronirsi di tutte le più notevoli piazzeforti poste ad oriente del regno di Francia, il governo francese pensò, dopo la pace di Nimega, di valersi della formula adoperata nelle cessioni a Luigi XIV dal 1648 in poi: che cioè le varie provincie e città erano alienate "insieme con le loro dipendenze", senza specificare se vi si dovesse comprendere le attuali o anche quelle di un remoto passato. Già prima della pace di Nimega, il gran re si era servito di quell'espressione vaga e di altrettali frasi indeterminate per reclamare e assoggettarsi subito le dieci città imperiali e i dominî imperiali dell'Alsazia. Ora, sulla base di un cosiffatto precedente, venne accampata una specie di teoria politico-territoriale, che tutti i possedimenti che fossero stati, quando che fosse, in una qualunque relazione di dipendenza dalle provincie o città, cedute al re per effetto del trattati di Vestfalia e di Nimega, avessero a ricongiungersi ad esse. In particolare poi, si sostenne qualcosa di più: non essendo il duca di Lorena restaurato esplicitamente nel suo dominio, la Lorena avrebbe dovuto appartenere, senz'altro, alla Francia, e insieme con essa ogni possesso che, in qualunque momento, le fosse stato unito. Era una singolare teoria di riunione, che veniva esposta e che si applicò in una forma affatto unilaterale, dacché il re di Francia, per mezzo dei suoi magistrati, finiva con l'interpretare i trattati, senza nessun accordo né discussione con le altre parti contraenti.
I tre vescovi di Metz, Toul e Verdun, ai quali fu intimato di dichiarare quali fossero stati i loro dominî feudali nel passato, chiesero la costituzione di uno speciale tribunale, per indagare e rispondere alla domanda, non essendo essi in grado di farlo. Così il re formò una Camera di riunione nel seno del parlamento di Metz (dicembre 1679); la quale, a rigore, fu l'unica Camera di riunione, poiché negli altri casi vennero investiti di tali funzioni i parlamenti di Besançon e di Breisach. Queste città, con Metz, furono le sedi delle cosiddette Camere di riunione. La Camera di Metz sentenziò francese la più parte del ducato del Lussemburgo; il parlamento di Besançon, con due sentenze successive, aggiudicò a Luigi XIV Blâmont e Montbéliard, da riunirsi alla Franca-Contea; il Gran Consiglio di Breisach dichiarò che tutti i cavalieri, i principi e le città imperiali spettassero al langravio di Alsazia, che era appunto il re di Francia. Tutti si sottomisero (1680-1681). L'acquisto più importante fu quello di Strasburgo. Le riunioni, compiute conforme alle decisioni delle Camere, danneggiarono l'arcivescovo di Spira, l'elettore di Treviri, l'elettore palatino, il re di Svezia, il duca del Württemberg, e indussero l'imperatore a protestare; ma nessuno volle e poté subito levarsi in armi contco Luigi XIV, poiché la Spagna era cosi decaduta da mancare d'ogni risorsa per muover guerra, e l'imperatore aveva la tremenda preoccupazione dell'avanzata turca. Passata la bufera turca, l'elettore del Brandeburgo s'interpose tra la Spagna e la Francia e l'Impero; e così queste potenze conchiusero un trattato a Ratisbona (agosto 1684) per la durata di un ventennio, con il patto che le riunioni effettuate sino al 1° agosto 1681, con l'aggiunta di Strasburgo e Lussemburgo, rimanessero, per venti anni, a Luigi XIV, il quale si obbligava però a restituire quelle di data posteriore.
Bibl.: Oltre le storie generali del regno di Luigi XIV, v. E. Bourgeois, Louvois et Colbert de Torcy. Les Chambres de réunion, in Revue Historique, XXXIV (1887), pp. 413-418; H. Kaufmann, Die Reunionskammer zu metz, Metz 1899. Il testo dei trattati, su cui si fondò la pretesa di Luigi XIV, in H. Vast, Les grands traités du règne de Louis XIV, I, Parigi 1893.
Camera di consiglio.
Termine usato specialmente per indicare il luogo dove si riuniscono i giudici per prendere le loro deliberazioni e per emettere fuori dell'udienza i provvedimenti loro demandati dalla legge.
In tal senso, detta voce trova una specifica accezione nel codice di procedura penale; ma nella pratica forense il richiamo alla camera di consiglio, come luogo di deliberazione dei provvedimenti del giudice fuori dell'udienza, è assai frequente. Un provvedimento può essere poi emesso e deliberato in camera di consiglio, tanto nel corso o all'esito di un pubblico dibattimento, quanto nei casi nei quali il dibattimento non è richiesto dalla legge.
In altro significato, la voce camera di consiglio sta ad indicare la speciale forma alla quale sottostanno determinati procedimenti, e quindi il rito al quale ci si deve uniformare per la risoluzione di certe controversie, omesso il pubblico dibattimento. Il rito della camera di consiglio non esclude, in materia penale, né il contraddittorio, né la pubblicità (effettiva o virtuale) del provvedimento, una volta deliberato: esso importa, esclusivamente, l'omissione del dibattimento, e quindi della discussione orale, in pubblica udienza.
In base alla nostra legislazìone penale, sono soggetti al rito della camera di consiglio:
a) tutti, indistintamente, i provvedimenti da emettersi dal giudice durante l'istruttoria: qualunque sia la natura (incidentale, o principale, preparatoria, coercitiva o definitiva) della pronunzia; qualunque sia il grado in cui si trova il procedimento istruttorio; e qualunque sia il giudice competente, per materia, a emettere la pronunzia (giudice istruttore per regola; sezione di accusa, altrimenti detta sezione istruttoria, per i reati di competenza delle Assise; Corte di cassazione in tema di rimessione dei giudizî, ecc.);
b) tutti, indistintamente, i provvedimenti da emettersi dal giudice in corso di esecuzione della condanna penale (incidenti di esecuzione);
c) taluni procedimenti speciali, come quelli coordinati alla risoluzione delle controversie concernenti i conflitti di giurisdizione, la riabilitazione, l'astensione o ricusazione dei giudici, la delibazione delle sentenze straniere (sia agli effetti del loro riconoscimento in Italia, sia agli effetti dell'estradizione), e simili.
Come organo giudiziario infine, la Camera di consiglio costituisce in alcune legislazioni straniere (e costituiva nella nostra, fino a quando non fu soppressa con l'entrata in vigore del codice processuale del 1913) una magistratura collegiale, più o meno autonoma, per funzione e per composizione, così rispetto al giudice istruttore (organo di raccolta delle prove) come rispetto al giudice del dibattimento (organo di giurisdizione piena, unico competente a condannare, oltreché ad assolvere).
La Camera di consiglio era composta presso di noi, per il codice del 1865, di due giudici del tribunale, e del giudice istruttore; e la sua funzione era presso di noi - come lo è, più o meno, dove permane - prevalentemente istruttoria, avendo per attribuzione: di conoscere della legittimità dello stato di coercizione del prevenuto (legittimazione dell'arresto o della cattura dell'imputato; revoca del mandato di cattura nei congrui casi; pronunzia sulla domanda di libertà provvisoria); e di pronunziare infine, all'esito delle prove raccolte dal giudice istruttore, il rinvio a giudizio oppure il proscioglimento dell'imputato. La vera origine di questo istituto è alquanto incerta. Taluno lo ritiene un'importazione del diritto inglese, nel quale si stabilì, si può dire ab antiquo, non potersi far luogo al pubblico dibattimento - nei reati più gravi, di competenza delle Assise - se un giurì di accusa non avesse previamente esaminato le prove, e riconosciuto ch, e l'accusa avesse un certo fondamento, almeno secondo le dichiarazioni dell'accusatore e dei suoi testimonî; omesso di sentire l'accusato e i testimonî di quest'ultimo.
A un sistema analogo s'inspiravano le leggi francesi del 16-29 settembre 1791 e del 7 piovoso dell'anno IX. Col codice francese del 1808, peraltro, il giurì di accusa fu soppresso, e venne istituita la Camera di consiglio, composta di giudici permanenti, che deliberavano sul processo scritto, risultato di una istruzione preliminare affidata a un giudice (anch'esso permanente) il quale partecipava come relatore alla Camera di consiglio, competente a conoscere del proscioglimento o del rinvio a giudizio per i reati meno gravi; mentre la Camera di accusa (corrispondente alla nostra sezione d'accusa) era unica competente a pronunziare il rinvio a giudizio (o a prosciogliere l'imputato) nei più gravi reati di competenza delle Assise, ed era altresì giudice di appello contro le pronunzie emesse dalla Camera di consiglio. Con la legge del 7 luglio 1856 la Camera di consiglio fu in Francia abolita, e tutte le attribuzioni già conferite a essa passarono al giudice istruttore.
Il sistema francese informò di sé una grande parte delle legislazioni europee. L'ordinanza del regno di Prussia (1852) e il codice per gli stati a esso aggregati (1867) riprodussero il sistema francese del 1808; i codici di Württemberg (1860) e d'Assia (1865) riprodussero invece il sistema risultante dalla legge francese del 1856 Ma il codice germanico del 1877 soppresse definitivamente tanto la Camera di consiglio, quanto la sezione d'accusa, ammettendo in ogni caso un solo grado di giurisdizione istruttoria, e confemndo nella maggior parte dei casi la delibazione preliminare delle prove allo stesso giudice collegiale chiamato a procedere al giudizio.
Il regolamento austriaco del 1863 seguì un sistema autonomo, stabilendo che alla procura di stato spettasse di decidere se dovesse elevarsi l'accusa, e di formularla; soltanto ove l'imputato si fosse opposto all'accusa contro di lui elevata, poteva farsi luogo a un previo giudizio sull'ammissibilità dell'accusa stessa; ma la pronunzia era in ogni caso limitata ai soli punti sui quali cadeva la controversia.
In Italia la Camera di consiglio era ammessa (secondo il sistema francese del 1808) nel motuproprio per la Toscana (1838) e nel codice per gli Stati Sardi (1847). Non era invece ammessa nei codici delle Due Sicilie (1819), di Parma (1820), degli Stati Pontifici (1871), del Lombardo-Veneto (1853), e Sardo-Italiano (1859).
Essa fu abolita, come è stato già detto, con il codice di procedura penale del 1913; sicché si può dire ormai che la Camera di consiglio, come organo giudiziario autonomo e con funzioni istruttorie, è un mero ricordo storico presso di noi, e forse destinata a sparire dappertutto.
Bibl.: Masucci, Camera di consiglio, in Digesto italiano; Andreotti, idem, in Enciclopedia giuridica; F. Carrara, Invio a giudizio, ecc., in Opuscoli, IV; Casorati, Giud. di accusa, in Enciclopedia giuridica; B. Alimena, Il giudizio di accusa, in Studi di proc. pen., Torino 1906, p. 244 segg.; E. Pessina, La libertà individuale e il nuovo codice di proc. pen. del Regno d'Italia, in Rendiconto dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, III, p. 29 segg.; S. Longhi, Istruttoria, in Commento al codice di proc. pen., Torino 1913, segg., IV, p. 665 segg.
Camera dei deputati.
La Camera dei deputati è un organo autonomo dello stato, che insieme con il Senato costituisce il Parlamento nazionale; è detta pure Camera elettiva, avuto riguardo alla sua origine, e in contrapposto al Senato, o Camera bassa, a imitazione dell'uso inglese, o Camera rappresentativa, in quanto realizza il principio politico della rappresentanza popolare.
La Camera dei deputati fu istituita con l'art. 39 dello statuto albertino. Le legislature si contano ininterrottamente dal 1848. Il numero dei deputati, componenti la Camera andò crescendo dal 1848 sino al 1925, in relazione al numero degli abitanti stabilito dal censimento decennale e per effetto degl'ingrandimenti territoriali del Regno, ma fu ridotto poi in forza dell'art. 1 della legge 17 maggio 1928, n. 1019 (art. 44, testo unico, 2 settembre 1929, n. 1993). Nel regno sardo il numero di essi era di 204 (art. 63 r. ed., 17 marzo 1848, n. 680); elevato a 260 (art. 62 decr. legge 20 novembre 1859, n. 3778) nel 1859 in seguito alle prime annessioni; a 443 (art. 62 decr. legge 17 dicembre 1860, n. 4512) nel 1860 in seguito alla proclamazione del Regno d'Italia; a 493 (art. 1 decr. legge 13 ottobre 1866, n. 3282) in seguito all'annessione della Venezia nel 1866; a 507 (art. 1 decreto legge 15 ottobre 1870, n. 5932) nel 1870, per l'annessione di Roma, successivamente corretto in 508 (decr. legge 6 novembre 1870, n. 5985); a 535 (art. 2 decr. legge 20 marzo 1921, n. 330) nel 1921, in seguito alle annessioni successive alla grande guerra, e infine a 560 (art. 1 legge 15 febbraio 1925, n. 122, art. 40 testo unico 17 gennaio 1926, n. 118), numero di fatto mai raggiunto poiché nel corso della stessa XXVII legislatura venne approvata una nuova legge elettoriale che ridusse il numero dei deputati a 400 (art. 1 legge 17 maggio 1928, n. 1019, art. 44 testo unico 2 settembre 1928, n. 1993) riduzione adottata per la XXVIII legislatura.
Il secondo comma dell'art. 7 del proclama reale 1848 annunnunciante la prossima concessione dello statuto, stabiliva che una delle due camere sarebbe "elettiva sulla base del censo da determinarsi". Ma la pressione degli elementi liberali, gli avvenimenti d'Europa, fra i quali preminente l'insurrezione del 23 febbraio a Parigi, determinarono la larga dizione dell'art. 39 dello statuto: "la camera elettiva è composta di deputati scelti dai collegi elettorali conformemente alla legge". Tale disposizione permise all'Italia un'evoluzione del suo diritto elettorale verso forme pienamente democratiche e da ultimo un assetto inspirato all'organizzazione corporativistica della società italiana.
Il r. editto 17 marzo 1848, n. 680, richiedeva per la concessione dell'elettorato attivo ai cittadini, requisiti di cultura e di censo, oltre all'età di 25 anni. Non era richiesta capacità intellettuale per gli abitanti della Sardegna (art. 115 r. e.). Quanto alla cultura, come requisito attribuente capacità, con la legge 20 novembre 1859, n. 3778, e con la grande riforma elettorale del 1882 (testo unico 24 sett. 1882, n. 999) si stabilì il principio per cui ogni cittadino italiano che avesse superato l'esame del corso elementare obbligatono aveva diritto di essere elettore. Un piccolo censo integrava la minor capacità, limitata al saper leggere e scrivere. La legge 30 giugno 1912, n. 665 (testo unico pari data, n. 666) compì la riforma democratica della legislazione italiana, riconoscendo l'elettorato a tutti i cittadini che avessero compito i 30 anni o solamente 21, qualora fossero in possesso di requisiti di censo e di cultura o avessero prestato servizio effettivo nelle forze armate dello stato. La legge 15 agosto 1919, n. 1401 (testo unico 2 settembre 1919, n. 1495) abbassò il limite di età a 21 anni senz'altre distinzioni. È degna di nota la disposizione eccezionale della legge 26 dicembre 1919, n. 1985, che accordava a tutti i cittadini militari stati mobilitati il diritto elettorale ancorché non avessero raggiunto i 21 anni. La legge 17 maggio 1928, n. 1091 (testo unico 2 settembre 1928, n. 1993) uniformandosi al riordinamento corporativistico pone a base del riconoscimento del diritto elettorale la qualità di produttore o di contribuente del cittadino.
La legge stabilisce la procedura per la formazione delle liste elettorali. L'iscrizione avviene d'ufficio (art. 10 testo unico cit.) o su domanda art. 15). Contro qualsiasi iscrizione, cancellazione. diniego d'iserizione, omissione è ammessa l'azione popolare.
La legge prevede incapacità specifiche all'esercizio del diritto elettorale per causa di condizioni particolari, elencate dalla legge, per cui la libertà dell'elettore debba considerarsi minoritaria. Nettamente distinte da questa incapacitá elettotale sono le incompatibilità derivanti dall'esercizio di un'altra funzione e da situazioni particolari del cittadino.
Sono eleggibili tutti i cittadini italiani di sesso maschile, ancorché non iscritti nelle liste elettorali, che abbiano compiuto entro il giorno dell'elezione l'età di 25 anni (art. 102, testo unico). Sono ineleggibili i minori di 25 anni e quanti non possono essere elettori per le incapacità stabilite dalla legge (articoli 107-108-109-118 testo unico).
L'Italia fece una larghissima esperienza di sistemi elettorali. Il collegio uninominale fu in vigore per 14 legislature, dal 1848 al 1882. Quindi fu introdotto lo scrutinio di lista con la legge 7 maggio 1888, n. 725; sistema che durò per tre legislature (XV, XVI, XVII). Con la legge 5 maggio 1891, n. 210, si tornò al sistema uninominale che rimase in vigore sino al 1919 quando con la legge 15 agosto, n. 1401 (testo unico 2 settembre, n. 1495) venne istituito il sistema proporzionale o sistema delle liste concorrenti. Con la legge 18 novembre 1923, n. 2444, si adottò un sistema che potrebbe chiamarsi della maggioranza rinforzata, dal fatto che al partito risultante in maggioranza relativa erano attribuiti i due terzi del numero totale dei deputati (art. 82 testo unico).
Con la legge 17 maggio 1928, n. 1019 (testo-unico 2 settembre 1928, n. 1993). venne adottato un sistema direttamente rispondente alle finalità volute dall'organizzazione corporativistica della società italiana, introdotta con la legge 3 aprile 1926, n. 563. Ridotto il numero dei deputati a 400 e costituito lo stato in collegio unico nazionale, si stabilì che l'elezione dei deputati avvenisse mediante la proposta dei candidati anzitutto da parte delle confederazioni nazionali di sindacati legalmente riconosciute, in numero doppio dei deputati da eleggere e secondo un riparto stabilito dalla legge stessa (art. 47 testo unico) quindi da parte di enti morali legalmente riconosciuti e di associazioni esistentì, anche solo di fatto, d'importanza nazionale, cui con decreto reale viene riconosciuta tale facoltà, in misura della metà dei deputati da eleggersi secondo un riparto stabilito da successivo decreto (r. decr. 17 gennaio 1929, n. 13); e quindi mediante la designazione successiva dei quattrocento deputati da parte del Gran consiglio fascista, che li sceglie liberamente nell'elenco dei candidati proposti e anche fuori per comprendervi persone di chiara fama eventualmente rimaste escluse (art. 52, testo unico) e quindi mediante l'approvazione del corpo elettorale (art. 46 testo unico). Quando la lista proposta dal Gran consiglio all'approvazione degli elettori risultasse respinta, la corte d'appello di Roma può ordinare con un suo decreto la rinnovazione delle elezioni con liste concorrenti fra i trenta e i quarantacinque giorni dalla data del decreto (art. 88 testo unico).
La Camera è sola competente per giudicare della validità dei titoli d'ammissione dei proprî membri (art. 60 stat., art. 86 testo unico 1928). I deputati prima di essere ammessi all'esercizio delle loro funzioni debbono prestare giuramento di fedeltà al re, sotto pena, in caso di rifiuto o di giuramento condizionato, di decadenza (art. 103 testo unico). Decadono pure quando - salvo legittimo impedimento - non giurino entro due mesi dalla convalidazione della loro elezione (art. 104, testo unico). I deputati possono cessare dalla loro carica, oltre che per lo scioglimento della camera: per dimissioni, che possono venire accettate esclusivamente dalla Camera stessa (art. 104 testo unico); per l'acquisto della qualità di membro del Senato (art. 64 stat.); per decadenza che può avvenire sia per il già citato caso di rifiuto o mancato o condizionato giuramento, sia per il verificarsi di quelle condizioni che importino ineleggibilità (art. 103 testo unico).
La posizione della Camera è protetta da guarentigie che si riferiscono alla Camera nel suo complesso e da altre che riguardano i singoli membri.
Il deputato è pubblico funzionario, il suo ufficio secondo lo statuto (art. 50) non deve essere retribuito, tuttavia i deputati e in alcuni casi gli ex deputati godono della franchigia ferroviaria e a titolo di rimborso spese di ufficio è corrisposta dal giorno del giuramento una somma annua di lire 24.000, non rinunciabile, né cedibile, né sequestrabile (legge 24 maggio 1925, n. 790). Il presidente ha un'indennità inscritta ogni anno nel bilancio della Camera.
Particolare manifestazione dell'autonomia della Camera è la facoltà di determinare per mezzo di regolamenti interni ", il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni (art. 60 stat.)". Questi regolamenti, per il fatto che la Camera non ha propria personalità, ma è organo dello stato, costituiscono atti dello stato, ma non fanno parte del sistema generale del diritto dello stato cui non possono tuttavia derogare né aggiungere, ma sul quale invece si fondano. La Camera ha un regolamento generale (testo unico 31 ottobre 1925, con aggiunte e modificazioni 3 marzo 1927, 8 dicembre 1927 e 10 maggio 1929) e un regolamento interno della giunta per la verificazione delle elezioni.
I deputati sono eletti per cinque anni, dopo questo termine cessano di pieno diritto dalla carica e occorre procedere alla rinnovazione totale della Camera (art. 42 stat.).
La Camera ha un ufficio di presidenza nominato per ogni sessione dalla stessa Camera, composto dal presidente, 3 vicepresidenti, 6 segretarî, 2 questori. Per disposizione dell'art. 59 dello statuto la Camera non può ammettere l'intervento attivo ai propri lavori di persone estranee, eccettuati i ministri e i commissarî del governo (art. 59 stat.). I ministri hanno voto in quanto siano deputati (art. 66 stat.).
L'articolo 353 dello statuto stabilisce per la validità delle sedute e delle deliberazioni la presenza della maggioranza assoluta dei membri. Tale maggioranza è sempre presunta sino a che la verifica del numero legale non sia chiesta da 30 deputati (art. 35 testo unico reg. Camera). Le votazioni si fanno a scrutinio segreto, per alzata o seduta, per divisione nell'aula, per appello nominale (art. 86 reg. Camera).
L'assemblea si divide per estrazione a sorte in nove uffici (art. 8 testo unico), rinnovati ogni quattro mesi (att. 10). Vi sono inoltre la giunta permanente per il regolamento interno, la giunta delle elezioni, la commissione per l'esame delle domande di autorizzazione a procedere, la commissione di vigilanza per la biblioteca, tutte nominate dal presidente (art. 12), e la commissione per l'esame dei bilanci e dei rendiconti consuntivi, la commissione per le petizioni, la commissione per l'esame dei decreti registrati con riserva, la commissione per l'esame dei trattati di commercio, nominate dalla Camera stessa insieme con altre previste da leggi speciali (art. 13).
I lavori parlamentari sono di regola pubblici. Dieci o più deputati possono richiedere che si deliberi in segreto (art. 52 stat.).
I deputati hanno l'obbligo di esercitare il loro ufficio e non possono assentarsi senza ottenere un congedo (art. 37 testo uniCO reg. Camera) Nessuno può parlare senza il permesso del presidente (art. 39), cui spetta un potere disciplinare che si esplica con richiami all'ordine, esclusione del deputato dall'aula, interdizione a comparire per un termine da due a otto giorni (articoli 40-41 testo unico).
Le funzioni della Camera possono distinguersi in legislative, finanziarie, ispettive. La funzione legislativa, peculiare e massima funzione della Camera, si esplica con l'iniziativa (che di regola spetta al re, ma è attribuita anche ai membri del Parlamento per l'articolo 10 dello statuto), detta iniziativa parlamentare, inammissibile per tutti quegli atti che, per la loro natura, debbono essere preparati e posti in essere dal governo, ad es. bilanci e tributi (art. 30 stat.). La Camera gode d'un diritto di priorità sull'iniziativa regia per ciò che riguarda le leggi d'imposizione dei tributi (art. 10 stat.). Il potere d'iniziativa dei membri della Camera ha precisa limitazione nell'art. 6 della legge 24 dicembre 1925, n. 2263, il quale stabilisce che nessun oggetto può essere messo all'ordine del giorno di una delle due Camere senza l'adesione del capo del governo. La proposta di legge d'iniziativa di uno o più deputati dev'essere autorizzata almeno da tre uf6ci (att. 125). Si passa quindi alla discussione del progetto di legge che segue di solito il sistema degli uffici. L'assemblea, dopo che il disegno è stato esaminato dai singoli uffici e dopo la relazione dell'ufficio centrale passa alla discussione generale (art. 73), durante la quale ciascun deputato può presentare un ordine del giorno. L'ordine del giorno puro e semplice ha la precedenza (art. 74). Chiusa la discussione generale, è data facoltà ai ministri di parlare per semplici dichiarazioni a nome del governo e ai deputati per spiegare il proprio voto (art. 75). Si procede quindi alla discussione di ogni singolo articolo (art. 55 stat., art. 76 reg. Camera). Gli articoli aggiuntivi e gli emendamenti dovranno di regola essere presentati 24 ore prima della discussione degli articoli a cui si riferiscono (art. 78 reg. Cam.) sempre con la limitazione dell'adesione del Capo del governo. Quando ritorni alla Camera un progetto di legge emendato dal Senato, la discussione avverrà su quei soli emendamenti (art. 6, legge 24 dicembre 1925, n. 2263) Del pari si. avrà la discussione sui soli emendamenti quando il. capo del governo richieda una nuova votazione sopra un progetto di legge rigettato da una delle due camere (art. 5 legge cit.). Il voto finale avviene a scrutinio segreto (att. 63 stat., art. 86 regol. Cam.). È prevista una procedura abbreviata contro le protrazioni artificiose delle discussioni (art. 77 regol. Cam.) e può essere dichiarata l'urgenza su richiesta del governo o di un deputato (art. 59, reg. Cam.).
La funzione finanziaria della Camera consiste nell'approvazione mediante legge dei bilanci e conti dello stato, cioè del bilancio di previsione dell'esercizio finanziario futuro (1° luglio-30 giugno) e del rendiconto generale dell'esercizio scaduto (art. 10 stat., art. 30 segg. r. decr. 18 novembre 1923, n. 2440).
La funzione ispettiva si esplica mediante le interrogazioni, semplici domande se un fatto sia vero, se alcuna informazione sia giunta al governo o sia esatta, se il governo intenda comunicare alla Camera documenti che al deputato occorrono, o abbia preso o sia per prendere risoluzione su oggetti determinati (att. 105 reg. Cam.); e mediante le interpellanze, domande rivolte al governo circa i motivi e gl'intendimenti della sua condotta (art. 113 reg. Cam.). Il govemo può anche rifiutarsi di rispondere così alle interrogazioni come alle interpellanze ed è pure necessaria l'adesione del Capo del governo perché queste siano iscritte all'ordine del giorno (art. 6, legge 24 dicembre 1925, n. 2263). Quando l'interpellante non sia soddisfatto della risposta del governo e intenda promuovere una discussione sulle spiegazioni date dal governo, presenta una mozione (art. 117 reg. Cam.). Questa facoltà, quando non sia esercitata dall'interpellante, spetta a qualsiasi deputato. Quando la mozione non sia preceduta da un'interpellanza deve essere approvata da tre uffici (art. 117, reg. Cam.), o firmata da 10 deputati. Si conclude con un voto. Vi ha infine il potere d'inchiesta, equiparato a ogni altro d'iniziativa parlamentare (art. 128 reg. Cam.). L'inchiesta ha per oggetto d'investigare su qualsiasi ramo della pubblica amministrazione, e su qualsiasi fenomeno di ordine sociale e politico; si delibera generalmente con legge e si compie mediante commissioni nominate dalla Camera o dal presidente, spesso miste di deputati e di senatori.
La Camera ha il diritto di accusare i ministri e di tradurli dinnanzi all'Alta Corte di giustizia (art. 47 stat.). L'accusa pronunciata dalla Camera interrompe l'eventuale procediment0 dinnanzi all'autorità giudiziaria.
Secondo la dottrina più autorevole, non sempre seguita dalla giurisprudenza, la competenza della Camera dovrebbe riguardare i soli reati ministeriali, quelli cioè commessi nell'esercizio delle funzioni di ministro anche per un interesse privato, a causa o per mezzo o in occasione della qualità di ministro. Su tali reati, così definiti, la competenza dell'Alta Corte, e quindi il diritto d'accusa della Camera, è esclusiva; nell'inerzia cioè della Camera non può intervenire l'autorità giudiziaria. Poiché il nostro diritto positivo non regola la competenza rispettiva dell'Alta Corte e dell'autorità giudiziaria, in caso di dichiarazione d'incompetenza di entrambi gli organi, si avrebbe un conflitto non risolubile.
Qualsiasi cittadino maggiorenne può inviare petizioni alla Camera (art. 57 stat., art. 100 reg. Cam.). Quelle attinenti a disegni di legge vengono inviate alle rispettive commissioni, le altre ad apposita giunta detta delle petizioni. La Camera, su proposta della commissione o di un deputato, può deliberare di prendere in considerazione una petizione o di passare su di essa all'ordine del giorno. Quando sia presentato un ordine del giorno, questo sarà considerato come mozione (art. 101 reg. Cam.). La Camera ha uffici varî, diretti dal segretario generale, particolarmente incaricato di far redigere, sotto la sorveglianza dell'ufficio di presidenza, i processi verbali (art. 133 reg. Cam.). Ha biblioteca, archivî, ecc. Pubblica all'inizio di ogni legislatura il manuale dei deputati, raccolta delle leggi principali e di notizie riguardanti il Parlamento nazionale. Dal maggio 1927, a cura del segretario generale, esce il Bollettino parlamentare, che dà conto dell'attività della Camera. Le discussioni della Camera sono pubblicate negli Atti del Parlamento nazionale.
Per le Camere dei deputati estere e per la storia, v. parlamento.
Camera di commercio.
La prima Camera di commercio (fr. chambre de commerce; sp. cámara de comercio; ted. Handelskammer; ingl. chamber of commerce), istituzione rappresentante gl'interessi del commereio e dell'industria delle rispettive circoscrizioni, sorse in Francia per iniziativa privata (Marsiglia 1599), ma ben presto l'esempio fu seguito e le camere di commercio divennero, per impulso dello stesso potere centrale, organi consuntivi del governo e con tale qualità si diffusero in quasi tutta l'Europa continentale durante l'epoca napoleonica. Le camere di commercio inglesi, d'istituzione relativamente recente (la prima è quella di Jersey del 1768, ma si svilupparono soprattutto intorno al 1880) sono invece associazioni completamente libere create per iniziativa privata, per lo più sotto forma di società a responsabilità limitata (limited) e senza alcun carattere ufficiale; nonostante però l'assenza d'una regolamentazione comune esse differiscono poco tra loro circa l'organizzazione e l'attività; le più deboli si sono inoltre riunite e fuse in camere a più larga circoscrizione territoriale, come la fiorente South of Scotland chamber of commerce. Anche negli Stati Uniti d'America le camere di commercio sono tutte associazioni libere e neppure raggruppate in federazioni; esse fanno però quasi tutte parte della Camera di commercio degli Stati Uniti (fondata nel 1918), che può dirsi la più potente associazione commerciale del mondo. In Germania, poiché la rappresentanza degl'interessi commerciali è di competenza di ciascuno stato confederato, le camere di commercio presentano la più grande varietà, dal tipo ufficiale all'associazione libera (nel 1861 per iniziativa della Camera di commercio del Baden fu istituito però il Deutscher Handelstag che riunisce oggi tutte le camere di commercio tedesche oltre a numerose associazioni economiche).
Le camere di commercio e industria italiane, esistenti in gran parte fin dall'occupazione francese, furono una prima volta regolate sotto il nome di Camere di commercio e arti, dalla legge del 6 luglio 1862; riorganizzate quindi con legge del 20 maggio 1910 n. 121 e con r. decr. legge 8 maggio 1924 n. 750, furono successivamente soppresse in seguito all'istituzione dei Consigli provinciali dell'economia (v.). Esse erano organi consultivi dello stato e degli enti locali per tutte le questioni riflettenti l'industria e i commerci della circoscrizione che rappresentavano, funzionavano da osservatorio del movimento economico, formavano listini di prezzi e mercuriali, amministravano le borse di commercio e adempivano a numerose altre funzioni loro demandate dalla legge. Nel 1901 su proposta della Camera di commercio di Milano, esse si federarono, dando origine all'Unione delle Camere di commercio, anch'essa ora soppressa.
Camere di commercio all'estero. - Mentre le camere di commercio interne hanno per scopo lo sviluppo e la protezione d'interessi locali ed esercitano spesso anche funzioni amministrative, le camere di commercio all'estero (raggruppamenti volontarî di commercianti e di industriali di una stessa nazione residenti in un paese estero) mirano unicamente allo sviluppo del commercio e soprattutto della esportazione del paese d'origine; e, se per la struttura e per la forma possono assimilarsi alle prime, per il programma d'azione si avvicinano invece assai più agli organi di rappresentanza commerciale all'estero, sia privati (agenti di singole ditte), sia pubblici (addetti commerciali). Le camere di commercio all'estero, mediante pubblicità e scambio di corrispondenza, pubblicazioni di notizie e informazioni varie, organizzazione di esposizioni ecc., facilitano il collocamento della merce nazionale sui mercati esteri e collaborano con i governi nella loro opera di penetrazione commerciale.
Anche esse sorsero per iniziativa privata e le prime furono fondate da commercianti belgi, inglesi e francesi rispettivamente a New York (1867), Parigi (1872), Nuova Orléans e Lima (1878), precorrendo un movimento generale che ebbe inizio dopo il 1880, si allargò nei primi anni del sec. XX e raggiunse il suo pieno sviluppo solo nel dopoguerra.
Man mano che più nettamente si profilava l'importanza dell'espansione commerciale e il problema della rappresentanza degli interessi nazionali all'estero, alcuni governi intervennero attribuendo un carattere più o meno ufficiale alle camere di commercio all'estero e facilitando la collaborazione tra queste istituzioni e l'organizzazione consolare. Altri invece credettero più opportuno lasciarle organizzarsi e funzionare liberamente. In ogni modo però anche quelle riconosciute ufficialmente conservano il carattere di associazioni private, sulle quali il governo non può esercitare se non un controllo relativo, e la partecipazione ad esse è sempre volontaria.
Varia essendo la politica dei governi circa le camere di commercio all'estero, varia risulta pure la loro configurazione. Carattere d'indipendenza e insieme di collaborazione su piede di eguaglianza con gli organi consolari presentano le camere belghe, inglesi e americane. Istituzioni semiufficiali sono invece quelle svedesi e norvegesi, sussidiate dallo stato. Una più stretta dipendenza dalle autorità diplomatiche e consolari e l'obbligo di sottomettere all'approvazione dei governi il loro statuto e i bilanci, caratterizza poi le camere di commercio francesi, italiane e spagnole. I tipi estremi, scarsamente rappresentati, sono dati dalle camere aventi esclusivamente carattere privato e da quelle prive di ogni autonomia che i Tedeschi, che ne sono i principali fautori, chiamano Beiräte, perché adempiono effettivamente alle sole funzioni di un consiglio privato del console.
Varî tentativi si fecero nell'anteguerra per rinforzare i legami di solidarietà fra le diverse nazioni per mezzo delle camere di commercio e a Londra, Costantinopoll, Buenos Aires e altrove si costituirono raggruppamenti e federazionì di camere, e si tennero inoltre sei congressi internazionali delle camere stesse. Interrotta questa opera di avvicinamento dalla guerra mondiale, fu ripresa nel congresso di Atlantic City del 1919, e su proposta della Camera di commercio degli Stati Uniti si decise la creazione d'un organo commerciale permanente a carattere essenzialmeme privato, che rappresentasse il commercio e l'industria alla Società delle Nazioni e fosse in un certo qual modo la contropartita dell'Ufficio internazionale del lavoro. Nel successivo congresso, tenuto fra i cinque stati fondatori (America, Inghilterra, Belgio, Francia e Italia), a Parigi il 21 giugno 1920, fu quindi costituita la Camera di commercio internazionale.
Bibl.: Vedasi sull'argomento la ricca bibliografia nell'opera di C. G. Drossinis, Les chambres de commerce à l'etranger, Parigi 1921.
Camera del lavoro.
La camera del lavoro (fr. bourse du travail, sp. cámara del trabajo, Junta de obreros; ted. Arbeitskammer; ingl. trade-union) che ha struttura e vita assai diversa nei varî paesi, è, in origine, un ufficio destinato a fornire ogni indicazione relativa alla domanda e all'offerta di mano d'opera, ai salarî, e alle condizioni del lavoro. Mentre all'estero le camere del lavoro hanno avuto generalmente un riconoscimento giuridico e sono per lo più obbligatorie per legge, in Italia si chiamarono con questo nome le associazioni operaie di carattere locale, sorte per tutelare gl'interessi dei soci nel campo del lavoro. Sia per il ritardato sviluppo della grande industria, sia perché fino circa il 1890 il movimento operaio non può dirsi distinto da quello politico, il movimento associativo professionale propriamente detto si manifestò con notevole ritardo nel nostro paese rispetto agli altri stati. Le prime camere con scopi nettamente economici e professionali sono del 1891; nel 1893, al congresso di Parma, cui parteciparono le 13 camere esistenti, si diede vita alla Federazione delle camere del lavoro. In seguito ai fasci siciliani del 1894 e ai disordini di Milano nel 1898, esse furono sciolte; ogni volta tuttavia si ricostituirono in maggior numero.
Dalle camere del lavoro, che radunavano i lavoratori di ogni categoria nelle singole città o paesi, vanno distinte le Leghe operaie, di natura professionale e locale insieme, che facevano capo alle Federazioni nazionali per categoria. Le une e le altre poi convergevano nella Confederazione del lavoro, creata a Milano nel 1906, alleata al partito socialista e con finalità collettiviste, che da 190.000 iscritti, nel 1907, giunse ad averne 2.320.000 nel 1920, anno del suo massimo sviluppo; da questa si staccò nel 1912 l'Unione sindacale del lavoro, nettamente classista e indipendente da qualsiasi partito. I membri delle leghe e quindi delle federazioni potevano pure far parte delle camere: man mano però che la lotta di classe veniva innestandosi sui primitivi scopi puramente economici, queste ultime andarono perdendo d'importanza di fronte alle prime.
Di diritto le camere del lavoro come pure le leghe operaie hanno cessato di esistere, dopo l'entrata in vigore della nuova legge sindacale, 3 aprile 1926, n. 563, ma di fatto erano state già in gran parte disciolte, in seguito al r. decr. legge 24 gennaio 1924, n. 64, per il quale al prefetto era attribuita la vigilanza sulle associazioni mantenute coi contributi dei lavoratori, e, qualora vi fossero fondati sospetti di abusi e di illecite erogazioni e trasformazioni di fondi, a danno degl'interessati o per scopi diversi da quelli di assistenza economica e morale ai lavoratori, anche la facoltà di procedere a ispezioni, revocare o annullare gli atti e sciogliere i rispettivi consigli d'amministrazione, nominando un commissario.
Bibl.: O. Gnocchi-Viani, Dieci anni di camere del lavoro, Bologna 1899; F. Pergolesi, Sindacalismo operaio, Città di Castello 1922; G. Balella, Lezioni di legislazione del lavoro, Roma 1927.