Paul Biya era già primo ministro nel 1982, quando succedette per via costituzionale al dimissionato presidente Ahmadou Ahidjo: da allora è rimasto ininterrottamente alla guida del Camerun vincendo sia le elezioni presidenziali del 1997 – le prime nel paese – che quelle successive del 2004. Il suo ultimo e più importante successo politico, l’approvazione di un emendamento costituzionale nell’aprile 2008 che ha eliminato il limite vigente dei due mandati presidenziali, gli ha assicurato poi la possibilità di ricandidarsi nelle prossime elezioni, fissate per il 2011; elezioni che il Front social-démocratique ha minacciato di boicottare in caso di scarsa trasparenza e irregolarità nella fase organizzativa.
Se da una parte la lunga e continuativa direzione politica di Biya ha assicurato al paese notevole stabilità interna, dall’altra, fondandosi su di un network di potere fatto di lealtà etniche e personali, rappresenta in qualche modo il segno più evidente di una democrazia che funziona più sulla carta che nella realtà. Il precario confine tra forma e sostanza del sistema democratico in Camerun annovera anche altre palesi contraddizioni. La riforma della costituzione approvata nel 1996, infatti, prevede diverse disposizioni a cui il governo di Yaoundé non ha mai fatto seguito: dall’introduzione di una seconda camera parlamentare, il Senato, da affiancare all’Assemblea nazionale, all’istituzione della Corte costituzionale, passando per la creazione di un sistema decentralizzato di consigli regionali. Tutte misure volte a limitare la concentrazione di potere nelle mani del presidente, ma rimaste ad oggi incompiute.