MARTELLI, Camilla
– Nacque il 17 ott. 1547 a Firenze da Antonio di Domenico e dalla seconda moglie di questo, Fiammetta di Niccolò Soderini. Benché i genitori provenissero da ricche e potenti casate aristocratiche, la famiglia della M. non godeva di una posizione elevata. Il padre, definito povero o addirittura miserabile da quasi tutti i biografi della M., non era tuttavia sprovvisto di mezzi, avendo ereditato nel 1559 dal fratello maggiore Girolamo vari poderi in territorio pisano.
La M. ricevette la prima educazione presso il monastero agostiniano di S. Monica. Sue lettere scritte nel corso del tempo, autografe soltanto nella firma, attestano una scarsa dimestichezza con la scrittura.
All’età di circa vent’anni divenne l’amante del duca di Firenze Cosimo I de’ Medici. A favorire il sorgere della relazione fu senza dubbio il fatto che l’amante precedente del duca, Eleonora degli Albizzi, era cugina per parte di madre della Martelli. L’allontanamento della Albizzi, fatta sposare nel settembre 1567 a Bartolomeo Panciatichi, fu di poco posteriore all’inizio del nuovo legame e al concepimento dell’unica figlia della coppia, Virginia, che nacque il 28 maggio 1568.
All’epoca dell’incontro con la M., Cosimo, che aveva circa quarantotto anni, era vedovo da cinque anni e si era già volontariamente ritirato dal governo, lasciando gli affari di Stato nelle mani del figlio primogenito Francesco (1° maggio 1564), riservandosi tuttavia il titolo ducale. Mentre i genitori della M. furono ben felici dell’impari unione, come riferisce lo stesso Cosimo («datami con buona grazia del padre et madre», lettera di Cosimo a Francesco, s.d., cit. in Saltini, p. 240), altrettanto non fu per la famiglia del duca, specialmente quando nacque la figlia: Virginia fu subito allontanata dalla corte e mandata in casa di Antonio Ramirez de Montalvo, primo cameriere ducale, che la fece passare per sua nipote.
Nonostante il ritiro a vita privata, Cosimo non aveva deposto l’ambizione politica e dinastica e proprio in quel periodo stava trattando con il pontefice Pio V per ottenere il titolo di granduca. Sembra che nei colloqui confidenziali che precedettero l’incoronazione, fissata a Roma il 5 marzo 1570, il pontefice insistette molto con Cosimo perché interrompesse il concubinato, ma il duca rifiutò. Gli fu allora ingiunto di regolarizzare l’unione mediante legittimo matrimonio e pertanto, una volta tornato a Firenze, il 29 marzo 1570, fu celebrato il matrimonio in forma strettamente privata, alla presenza dei genitori della M. e del confessore di Cosimo I, che officiò la cerimonia.
Si trattò di un matrimonio morganatico, dunque avente effetti religiosi, ma con esclusione della moglie dallo status del marito, dai titoli e dalle prerogative della sovranità. Nonostante ciò, alla notizia i figli del granduca furono colti da ira e sgomento. In particolare, Francesco, cui Cosimo aveva indirizzato una lettera personale nella quale attribuiva la decisione di sposare la M. unicamente agli scrupoli di coscienza e assicurava che il matrimonio non avrebbe leso i diritti patrimoniali dei figli e dei nipoti, rimase molto turbato e per molti giorni non fu in grado di informare i fratelli. «Questo accidente mi ha travagliato di maniera che mi son dimenticato di me stesso», ebbe a scrivere al fratello, il cardinale Ferdinando, che velatamente lo rimproverava per aver dovuto apprendere la notizia dal papa, prima che dalla sua famiglia (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 5085, c. 117; 5087, c. 6). Anche gli altri figli di Cosimo, sebbene con sfumature diverse, furono sfavorevolmente colpiti, e attribuirono la decisione del padre a indebolimento senile, opinione generalmente condivisa anche dai cortigiani e dai sudditi.
Dopo le nozze, la M. visse quasi sempre lontana da palazzo Pitti, residenza ufficiale della famiglia granducale: abitò per lo più nella villa di Castello, nel suburbio settentrionale di Firenze, o in quella di Poggio a Caiano. D’inverno la M. e Cosimo trascorrevano lunghi soggiorni a Pisa, dove il clima era più mite. Conducevano una vita semplicissima, avendo Cosimo ridotto drasticamente il personale di servizio.
La M. cominciò subito a impetrare favori e onori per i suoi parenti: nel 1571 il padre fu creato cavaliere dell’Ordine di S. Stefano, con dispensa dalle «provanze» di nobiltà; per il cugino Domenico Martelli chiese che fosse nominato cameriere di don Pietro de’ Medici, ma non riuscì nell’intento. Ottenne invece la dote per la sorella maggiore, Maria, che, rimasta vedova di Gaspare Ghinucci, passò a nuove nozze con Baldassarre Suarez. Con i proventi della rendita personale assegnatale, la M., già nel dicembre 1571, poté comprare villa Le Brache, nel Comune di Sesto Fiorentino, non lontana dalla villa di Castello, proprietà che negli anni successivi estese con nuovi acquisti di terra. Ricevette da Cosimo, oltre a vari preziosi doni in gioielli e ornamenti, anche un mulino nel territorio di Grosseto.
Ben presto, in virtù del matrimonio, la figlia Virginia fu legittimata e poté vivere insieme con i genitori.
Dopo i primi due anni di matrimonio, mentre la salute di Cosimo declinava, la M. cominciò a mostrarsi sempre più insofferente verso Cosimo e i suoi disturbi. Di pari passo cresceva la sua passione per i gioielli e gli abiti elaborati e costosi, tanto che i figli di Cosimo cominciarono a guardarla con sospetto e avversione crescenti. In particolare Francesco, temendo che la M. approfittasse della senescenza del marito per farsi attribuire sempre più dotazioni e regali, fece redigere alla fine di febbraio 1574 una protesta, rogata dal notaio Francesco Giordani, in cui si affermava che eventuali provvedimenti del padre a favore della M. o della figlia Virginia, non sarebbero stati da lui ratificati. Francesco faceva spiare la M. dal proprio segretario Antonio Serguidi, inviato a Pisa per informarlo sullo stato di salute del padre.
Le lettere di Serguidi sono piene di osservazioni malevole e di critiche per la M., nei confronti della quale l’ostilità del segretario era alimentata anche dal contrasto sull’assegnazione di un beneficio ecclesiastico, oltre che dall’atteggiamento arrogante che la M., ritenendosi ingenuamente al riparo da ogni pericolo, teneva verso i segretari e gli stessi familiari.
Nel gennaio 1573 Cosimo fu colpito da un attacco apoplettico che quasi lo paralizzò e lo rese impedito nella parola e sordo. Fu allora portato a Firenze in palazzo Pitti, dove, accudito dalla M., trascorse in precarie condizioni gli ultimi mesi di vita.
La morte di Cosimo, avvenuta il 21 apr. 1574, comportò per la M. un radicale mutamento di condizione. Poche ore dopo, per ordine del granduca Francesco I la M., con le dame del seguito e le donne di servizio (in tutto 14 persone), fu fatta partire alla volta del monastero benedettino delle Murate, dove si osservava una stretta clausura, cui anche le nuove ospiti avrebbero dovuto conformarsi.
La vita nel monastero fu subito insopportabile per la M. che, attraverso il padre, cercò di ottenere dal granduca una destinazione meno punitiva. Sulle prime Francesco I parve irremovibile, ma poi, informato del fatto che le monache stesse desideravano che la forzata convivenza con la M. avesse termine, acconsentì al trasferimento. Il 10 ag. 1574 la M. con le donne del suo seguito si spostò nel monastero agostiniano di S. Monica, dove aveva trascorso l’infanzia.
La vita della M. in questo secondo convento era improntata a regole meno rigide: pur permanendo il divieto di uscire senza licenza speciale del granduca, le monache le permettevano di ricevere visite con una certa larghezza. Incontrò, così, più volte l’inviato del duca di Ferrara Alfonso II, Ercole Contile, quando si preparava il matrimonio tra la figlia Virginia e il figlio naturale del duca, Cesare d’Este. Ma l’inattività, la solitudine e le costrizioni che anche la nuova sistemazione le imponevano finirono col minarne la salute. Nonostante ciò il rigore non si allentò e la M. poté lasciare per breve tempo il monastero solo nel febbraio 1586, in occasione del matrimonio di Virginia e per speciale intercessione di Bianca Cappello, seconda moglie di Francesco I. Quest’ultimo, alcuni giorni prima, aveva preteso dalla M. la rinuncia a favore della figlia della villa Le Brache che la M. aveva acquistato in proprio, e inoltre di tutto quel che le era stato donato da Cosimo.
Tornata in monastero, la M. mostrò di sopportare peggio di prima la reclusione ed ebbe sempre più frequenti disturbi psichici, tanto che nell’aprile 1587 fu chiesta al papa l’autorizzazione a farla esorcizzare come indemoniata, e nel gennaio 1588 un’ebrea fu accusata di averle fatto fatture e malie. Finché visse Francesco I, tuttavia, le porte del monastero rimasero chiuse per lei. Le cose cambiarono in meglio quando, nell’ottobre 1587, successe a Francesco il fratello Ferdinando de’ Medici, già cardinale, che si era sempre mostrato nei confronti della M. meno intransigente del fratello e, in una sua visita nel gennaio 1588, aveva constatato che si trovava «in mal termine di sanità» (de’ Ricci, p. 515). Le mise pertanto a disposizione la villa medicea di Lappeggi, sulle colline meridionali di Firenze, nella quale la M. rimase circa un anno, fino ai primi mesi del 1589. In questo luogo si tratteneva all’aria aperta, faceva passeggiate e riceveva le visite dei parenti e degli amici, cosa che migliorò notevolmente il suo stato fisico e mentale. Il granduca spinse la sua disponibilità fino al punto di invitarla a esprimere quali fossero i suoi bisogni, invito al quale la M. rispose chiedendo un’udienza privata (lettera del 31 genn. 1589 in Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 5926, c. 220). Sembra che la M. volesse confidare al granduca il desiderio di risposarsi ma egli, intuite le sue intenzioni, le negò il colloquio per questo e le ordinò di far ritorno al più presto nel monastero di S. Monica.
L’ultima uscita della M. dal suo reclusorio avvenne in occasione delle nozze di Ferdinando I de’ Medici con Cristina di Lorena, celebrate a Firenze il 25 maggio 1589, quando la M. fu invitata per alcuni giorni a palazzo Pitti. Sembra che le venissero usate molte cortesie, ma alla fine dei festeggiamenti dovette tornare in monastero. Cadde nuovamente preda dei disturbi nervosi e della depressione, che in breve la condussero a morte.
La M. morì a Firenze il 30 maggio 1590 e fu sepolta in S. Lorenzo in forma privata. Dieci mesi più tardi morì anche il padre.
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