VALENTI, Camilla
Nacque a Mantova verso il 1520 da Valente di Simone e da Violante Gambara, bresciana, di Gianfrancesco e Alda Pio di Carpi.
I Valenti erano un’antica e nobile famiglia che vantava origini longobarde e che si era trasferita a Mantova nel XIV secolo, entrando a far parte del notabilato cittadino. Nel 1518, per decreto del marchese Francesco II Gonzaga, a cagione dei servizi resigli, il padre di Camilla aveva ottenuto il privilegio di fregiarsi delle insegne dei Gonzaga e di aggiungerne il loro cognome al proprio. La famiglia della madre aveva origini ancora più illustri. Nel Medioevo, i Gambara erano arrivati a dividersi con i Martinengo una sorta di piccolo Stato nella Bassa Bresciana. A partire dal XV secolo la famiglia scelse come centro principale Pralboino. Gianfrancesco, nonno di Camilla, combatté per i veneziani nella battaglia della Ghiaradadda (1509); schieratosi poi con i francesi, divenne gentiluomo da camera di Luigi XII e ottenne nuove terre a Verolanuova e Cremona, nonché i feudi di Manerbio e Quinzano. La madre Violante, insieme con i quattro fratelli maschi e le due sorelle, ricevette un’ottima educazione umanistica.
La tradizione di famiglia dei Gambara, più che quella dei Valenti, permise che Camilla crescesse in un ambiente culturalmente fecondo e fosse avviata agli studi classici benché donna. Il latino, in prosa e soprattutto in poesia, fu la sua disciplina di elezione, ma dal carteggio con Partenia Gallerati risulta che fosse stata istruita «literis Grecis et latinis».
Poco sappiamo della breve vita di Camilla. Le fonti parlano di una donna di eccellente cultura classica, forse (ma pare poco probabile) membro dell’effimera Accademia degli Ortolani di Piacenza, brillante scrittrice di epigrammi e altri versi latini, che però non giunsero alle stampe. Alcune poesie le sono attribuite nel ms. Parigi, Bibliothéque nationale, Ancien Fonds Français, 22865, c. 34v. Brevi e manierate lodi le riservano alcuni letterati a lei contemporanei, come Bernardo Tasso nell’Amadigi, il conte Niccolò d’Archi in un epigramma, Giuseppe Betussi nelle Donne illustri, Ludovico Domenichi nel sonetto Beati campi, fortunate rive, Pietro Aretino in una lettera alla zia Veronica Gambara. Ancor meno sappiamo delle scelte religiose e delle frequentazioni di Camilla. A questo proposito, tre sono i dati che le fonti hanno messo in evidenza, relativi a tre diversi ambiti: una corrispondenza a carattere religioso con il vescovo di Capodistria Pietro Paolo Vergerio; l’amicizia letteraria con la cremonese Partenia Gallerati Mainoldi (1526-71); la morte tragica e prematura, seguita immediatamente a quella del marito.
La conoscenza con Vergerio, probabilmente maturata attraverso legami familiari, è attestata da uno scambio di lettere che risale al 1540, di cui sono note solo le due trascritte nelle Lettere volgari curate da Paolo Manuzio. La giovane scrive al vescovo, che si trovava in quel momento alla corte di Francia nelle vesti di nunzio, assorbito dall’ambiente culturale e religioso che ruotava intorno a Margherita di Navarra, annunciando l'intenzione di accogliere un precedente consiglio di Vergerio: superare, cioè, una iniziale riluttanza e intraprendere lo studio delle Sacre Scritture, forse al di sopra delle proprie capacità. Si intuisce che la proposta del vescovo non fosse di natura filologica, ma spirituale. Vergerio scrive a Camilla di averla menzionata alla regina di Navarra, perché «la nostra età non ha donna più dotta di voi nelle lettere humane, ne più eloquente nello stile latino». Le promette inoltre che sarebbe tornato a Mantova e l’avrebbe seguita personalmente negli studi religiosi. Tutto ciò è evidentemente troppo poco per permetterci di fare illazioni su eventuali propensioni eterodosse di Camilla, in quel tempo o successivamente.
Inedito è l’intero scambio di lettere tra Camilla e Partenia Gallerati, conservato in piccola parte nel Fondo civico della Biblioteca statale di Cremona. Restano cinque lettere di Partenia da Cremona (16 luglio e 26 novembre 1539, 13 settembre 1541, 4 agosto 1542, una senza data) e una sola risposta di Camilla da Mantova, che risale al 26 settembre 1539. Le lettere sono redatte in un latino piuttosto scolastico, anche se quella del 13 settembre 1541 contiene, verso la fine, una breve interpolazione in greco. In esse si alternano un registro più letterario e un tono più intimo e familiare: si susseguono dichiarazioni di modestia delle giovani in merito ai propri talenti letterari, le lodi all’amica e qualche piccolo cenno alla vita quotidiana. Si fa menzione di uno scambio abbastanza costante di versi ed epigrammi. Sono le parole di Partenia a rivelare come si trattasse di un’amicizia epistolare che le ragazze ritenevano profondissima, in nome di una sorte che, come letterate e classiciste in un mondo culturale dominato da uomini, sentivano di condividere. Nelle lettere è contenuto qualche riferimento a conoscenze in comune: la zia acquisita di Camilla, Virginia, moglie di Brunori Gambara, che doveva aver agito da intermediaria fra loro; il duca di Mantova bambino, Francesco III Gonzaga; il vescovo di Alba Marco Gerolamo Vida. L’ultima lettera della raccolta contiene le congratulazioni (piuttosto struggenti) per le nozze di Camilla con il conte di Sanguinetto e Bobbio, Giacomo Michele del Verme.
Del matrimonio di Camilla si conosce poco. Per le nozze Ercole Gonzaga volle commissionare al suo maestro di cappella, Jacquet Berchem, un epitalamio a cinque voci, Formoso Vermi. A parte questo sonoro inizio, si sa che l’unione durò undici anni circa ed ebbe la reputazione di essere felice.
In realtà, anche la fine è nota. Alcune fonti, tra cui Scipione Agnello Maffei, indicano che, quando il marito si ammalò improvvisamente e morì in modo inaspettato, Camilla si gettò sul suo cadavere e lei stessa, per lo strazio, si spense poco tempo dopo. Tiraboschi mostra dubbi legittimi su questa versione, supponendo che i due, ancora in giovane età, fossero stati colpiti entrambi da una malattia contagiosa e letale. L'anno probabile della morte di Camilla è dunque vicino a quello del marito, il 1554.
Cremona, Biblioteca statale, Fondo Civico, Aa 8.18, cc. 14-16; Lettere Volgari, a cura di P. Manuzio, Venezia 1542, pp. 105-107; L. Domenichi, Rime, Lucca 1544, p. 8; G. Betussi, Additione al libro delle donne illustri del Boccaccio, Venezia 1545, pp. 229 s.; B. Tasso, Amadigi, Venezia 1560, p. 271; F.A. Della Chiesa, Theatro delle donne letterate, Mondovì 1620, pp. 115 s.; S. Maffei, Gli Annali di Mantova, Tortona 1675, pp. 859 s.; Francesco Arisi, Cremona literata, Parma, vol. II, 1705, pp. 256-257; S. Bettinelli, Delle lettere e delle arti mantovane, Mantova 1774, pp. 116 s.; N. Ratti, Selectiora doctorum virorum testimonia de Camilla Valentia femina sui temporis praestantissima in unum colletta et adnotationibus aucta, Roma 1795; A.J. Schutte, The Lettere Volgari and the Crisis of Evangelism in Italy, in Renaissance Quarterly, XXVIII (1975), pp. 668-670; J. Stevenson, Women Latin Poets: Language, Gender, and Authority, from Antiquity to the Eighteenth Century, Oxford 2005, pp. 171, 281, 313; Palestrina e L’Europa, a cura di G. Rostirolla - S. Soldati - E. Zomparelli, Palestrina 2006, p. 77; V. Cox, Women’s writing in Italy, 1400-1650, Baltimore 2008, pp. 52, 86, 284, 463.