AMICI, Camillo
Di famiglia originaria di Ussita, nelle Marche, nacque a Roma nel 1802 da Vincenzo e da Carolina Brancadoro.
Sempre a Roma compì gli studi ecclesiastici con esito brillante, avviandosi rapidamente verso la carriera prelatizia. Nel 1836 entrò come referendario nella Segnatura di giustizia, della quale l'anno seguente divenne decano. Ma abbandonò ben presto l'attività forense (salvo una breve parentesi nel 1843, quando dovette occuparsi della successione dei beni Sforza Cesarini in causa col fisco di Parma; su questa causa ha lasciato uno scritto: Sulla successione ai beni Sforza Cesarini nel ducato di Parma. Consultazione legale, Roma 1844), per dedicarsi agli affari politico-amministrativi.
Era stato già chiamato, nello stesso 1836, a far parte, quale segretario, della Commissione straordinaria di pubblica incolumità, istituita da Gregorio XVI per le misure da prendere in caso di epidemia di colera. L'anno successivo, quando la malattia raggiunse la sua massima diffusione anche nello Stato pontificio, l'A. si prodigò con zelo infaticabile nello svolgimento del suo incarico, a conclusione del quale curò la compilazione della Statistica di coloro che furono presi dal cholera asiatico in Roma nell'anno 1837, umiliata alla S. di N.S. Papa Gregorio XVI dalla Commissione straordinaria di pubblica incolumità, Roma 1838. Nel 1839-40 fu delegato di Spoleto, dove fece eseguire importanti opere pubbliche, come l'inalveazione dei fiumi Maroggia e Tesino, e diede impulso agli scavi archeologici nella zona di Norcia. Edi questo periodo il suo opuscolo Visita del sagro Monte di Pietà nella città di Terni, Roma 1840.
Fu quasi certamente per la buona fama allora acquistata in questi uffici che, pur essendo stato lasciato in ombra negli ultimi anni del pontificato di Gregorio XVI, nel clima di riforme instaurato da Pio IX nel '46 l'A. fu nominato segretario della Commissione consultiva per la costruzione delle strade ferrate; in tale qualità redasse un interessante rapporto sulle diverse società concorrenti per il finanziamento dell'impresa (Rapporto umiliato alla S. di N. S. sulla impresa delle strade ferrate nello Stato Pontificio, Roma 1847).
Divenne nel 1847 segretario del Consiglio dei ministri e fece parte della commissione per la revisione della legge sulla stampa; insieme con i card. Ferretti e Antondi, i mons. Morichini e Pentii, il principe Barberii, gli avv. Armellini, Sturbinetti e Piazza, entrò anche in quella incaricata di elaborare il regolamento per la Consulta di stato, e, secondo il Liìtzow, un suo progetto al riguardo sarebbe stato utilizzato da Pio IX per il motu proprio del 15 ottobre. Il 2 nov. '47 fu nominato vicepresidente della Consulta, ma prese parte solo alle prime due sedute, perché con il motu proprio del 30 dicembre (del quale pure sembra che egli sia stato uno dei principali redattori) a lui, che aveva allora fama tra i liberali di essere "amico dei civili progressi" (Farmi), fu affidato il ministero degli Interni. Ma in questa carica, difficile e delicata date le circostanze, rimase solo fino al 12 febbr. 1848, quando anche qui, come alla vicepresidenza della Consulta, fu sostituito da mons. Pentinì: non si conoscono le ragioni del suo allontanamento; nel Diario di A. Chigi è un accenno a una volontaria dimissione.
Dopo la restaurazione del governo pontificio nel '49, l'A. fu inviato ad Ancona quale commissario straordinario delle Marche e delegato apostolico in sostituzione di mons. Savelli, nominato ministro degli Interni e di Polizia. Vi rimase fino al 1856, quando fu trasferito a Bologna, come pro-legato e commissario straordinario per la legazione delle Romagne. Nello svolgimento di questi incarichi, "per la sua indole mite e lo spirito conciliativo" (Pirri), riuscì ad accattivarsi una certa stima anche tra gli avversari politici, soprattutto per il suo atteggiamento di fronte alle autorità austriache. Nel 1859, prima ancora degli avvenimenti che portarono alle annessioni al Piemonte, fu richiamato a Roma, dove fu nominato ministro del Commercio, Belle Arti, Lavori pubblici, Industria e Agricoltura. Dal 1861 al 1870 rimase al governo come ministro senza portafoglio. Fu anche consultore della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari e membro della Commissione di archeologia sacra.
Divenuto cieco e colpito da apoplessia, trascorse gli ultimi anni dimenticato da tutti. Morì a Roma il 1 apr. 1877.
Fonti e Bibl.: Roma, Museo centrale del Risorgimento, Buste 18, 20, 22, 30, 33, 75,200, 316, 370; A. Chigi, Diario,Tolentino 1906, II, pp. 6, 13, 96; L. C. Farmi, Lo Stato romano dal'anno 1815 al 1850, I, Firenze 1850, pp. 288, 343; G. Spada, Storia della rivoluzione di Roma, I, Firenze 1868, pp. 278 s., 392; L. Zini, Storia d'Italia dal 1850 al 1866, Milano 1875, I, pp. 153, 154, 855, 856; R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa, Roma 1907, I, pp. 173, 177; P. Pirri, Ussita, Roma 1920, pp. 246-249; A. M. Ghisalberti, Nuove ricerche sugli inizi del pontificato di Pio IX e sulla Consulta di Stato, Roma 1939, passim.