BOITO, Camillo
Nacque a Roma il 30 ott. 1836, primogenito di Silvestro e di Giuseppina Radolinska. A quattordici anni incominciò a seguire i corsi dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, subendo l'arido metodo d'insegnamento del purista neoclassico F. Lazzari. Per la formazione e la successiva carriera fu fondamentale l'insegnamento di P. Selvatico, succeduto al Lazzari.
Il Selvatico propugnava l'aderenza "alle nostre costumanze, ...alla nostra civiltà", e l'abbandono delle "aberrazioni delle vecchie accademie", allo scopo di mettere "in opera un'architettura nazionale conforme al pensiero cristiano" (P. Selvatico, Scritti d'arte, Firenze 1859, p. 371). Esplicitamente egli consigliava agli allievi delle scuole di architettura di esercitarsi negli "stili nazionali del medio evo" italiano: questi, sosteneva, assecondano l'esigenza di "verità", in quanto hanno "l'impronta di un costume" che è diretta espressione della civiltà di un popolo; e additava in Venezia un esempio insuperato di "quella varietà pittoresca di linee, e quella gentilezza di ornature che meglio al costruire odierno importerebbe applicare" (ibid., p. 331).
Il 15 genn. 1856 il B. fu chiamato dal Selvatico come professore aggiunto alla cattedra di architettura (v. Prolusione..., in Lo Spettatore, II, n. 16, 20 apr. 1856, pp. 184-186); ma alla fine dell'anno, volendo proseguire l'attività di studio e di ricerca ed avendo ottenuta una "pensione provvisionale", compì dei viaggi in Toscana e a Roma. Qui si dedicò particolarmente allo studio dell'arte cosmatesca, sulla quale scrisse (1857) un saggio (I Cosmati; ripubblicato poi in Architettura del Medioevoin Italia, Milano 1880, pp. 117-182; vedi anche L'architettura cosmatesca, in La Perseveranza, 5 maggio 1860), mentre a Firenze studiò i monumenti del gotico. Ritornato a Venezia nel 1859, poco prima dell'inizio della guerra, raggiunse ben presto a Milano il fratello Arrigo, il quale studiava allora al conservatorio. Il B. aspirava a ottenere una cattedra all'Accademia di Brera (v. lettere inedite del B. a Carlo Tenca, 25 agosto e 9 sett. 1859, nel Museo del Risorgimento di Milano, Carte Tenca, cartella 1, fasc. 1). E infatti fu invitato, nel 1860, a coprire il posto di professore di architettura lasciato vacante da F. Schmidt, uno dei maggiori esponenti del neogotico, e resse la cattedra sino al 1º genn. 1909, diventando uno dei maggiori promotori del rinnovamento della cultura architettonica italiana. Nello stesso periodo fu presidente dell'Accademia, carica che mantenne sino alla morte. Per quarantatré anni consecutivi insegnò anche al politecnico: dal 1865, per due anni, storia dell'architettura e rilievi e restauri di edifici; dal 1867, per dieci anni, stili classici e del medioevo, dal 1877 al 1908 architettura. A Brera, fra gli altri, furono suoi allievi L. Beltrami, L. Broggi, G. Moretti, il prediletto R. Berlani e G. Sommaruga, che divenne ben presto suo radicale oppositore.
L'attività pratica, di progettazione e di intervento, del B. si sviluppò lungo un quarantennio. Nel 1860, secondo il Marangoni (p. 418), il B. avrebbe partecipato a un concorso per la sistemazione della piazza del Duomo di Milano con un progetto in stile neogotico, esposto nel luglio dello stesso anno a Brera (ma ricerche presso l'Archivio civico non confermano questa notizia). Due anni dopo era tra gli avversari dell'assegnazione dell'incarico al Mengoni. Risale al 1861 il primo intervento: il restauro della Pusterla di Porta Ticinese, opera ancora molto vicina agli atteggiamenti del Viollet-le-Duc.
La porta ad arcata unica, eretta nel 1171 e fiancheggiata da due torri cui erano state addossate le case, fu dal B. liberata e trasformata mediante l'apertura, per il passaggio pedonale, di due fornici laterali archiacuti alla base delle torri. I fornici, con la loro differenziazione stilistica, avrebbero dovuto mostrare sia "indipendenza verso l'originario stile del monumento" (L. Grassi) sia il fatto di essere stati aperti posteriormente. La scelta però dell'arco acuto rivela una completa aderenza all'immagine, ancora romantica, del medioevo.
A Gallarate, nel 1865, il B. costruì nel nuovo camposanto le cappelle di recinzione ed il sepolcro Ponti, improntati a una sincerità costruttiva la cui volontà era esplicitamente dichiarata da lui in uno scritto del 1867: "...or lo stile del Cimitero [di Gallarate] è tutto schietto, tutto amico della verità: i materiali son quel che paiono; non c'è cemento né stucco...". Nel 1869, sempre per Gallarate, preparò il progetto dell'ospedale civico (finito di costruire nel 1874), che rivelava una raggiunta maturità e nel quale appariva evidente "la ricerca di un rinnovamento linguistico e la tendenza a trarre da elementi strutturali una ragione di espressione estetica" (Grassi).
Nel 1872 il B. vinse (con Pio Soli suo allievo) il concorso per il restauro del palazzo provinciale di Treviso, ma il suo progetto non venne eseguito (v. M. Peratoner, Il pal. provinciale di Treviso, Treviso 1877, pp. 76 s.). Fra il 1873 e il 1880 eseguì a Padova tre opere d'impegno che, nella passiva adesione a una schematica ambientazione, rivelano certe contraddizioni tipiche del pensiero e dell'opera del B.: il palazzo delle Debite (1873-74); la sistemazione del piazzale, l'edificio d'ingresso e lo scalone del Museo civico (1879); le scuole elementari alla Reggia Carrarese (1880). Solo quest'ultimo fabbricato, forse perché libero da vincolanti situazioni ambientali, risulta più vicino alle idee innovatrici dell'autore.
A Venezia, con lo scalone di palazzo Franchetti (1882), il B. fornì un interno di indubbia eleganza, che, caratterizzato da accurata attenzione al particolare e dall'impiego di materiali pregiati, sembrerebbe in contrasto con le teorie di schiettezza e semplicità architettoniche da lui sostenute. Le scuole elementari di via Galvani in Milano (del 1888) segnano uno sviluppo e un approfondimento dei temi funzionali e distributivi che appaiono giunti a definizioni di indubbia chiarezza. Sempre a Milano, la cappella per la famiglia Occa nel cimitero monumentale, eseguita nel 1889, è invece opera decisamente mediocre.
Lungo e meditato fu lo sforzo di rilettura del B. per la ricomposizione dell'altare di Donatello nella basilica del Santo a Padova. Si convinse di aver recuperato alle sculture di Donatello la collocazione originaria. Ma la critica posteriore, pur non riuscendo a pervenire a una ricostruzione sicura del complesso, ha potuto chiarire che il B. inserì sculture non facenti parte originariamente dell'altare, e anche che, per una lettura errata delle fonti, ignorò completamente il problema della strutturazione architettonica donatelliana dell'altare (vedi per tutta la questione H. W. Janson, The sculpture of Donatello, Princeton 1957, II, pp. 171 ss.).
Sempre per la basilica del Santo il B. disegnò, nel 1895, le porte bronzee (C. B. Imposte di bronzo de la porta maggiore della Basilica di S. Antonio a Padova, in Arte ital. decor. e industr., IV [1895], p. 98). L'ultima opera del B. architetto è la milanese Casa di riposo per musicisti "G. Verdi", del 1899: dei due progetti elaborati fu eseguito il secondo. Nel trattamento delle superfici murarie e delle decorazioni, come giustamente rileva il Meeks, si possono avvertire echi di motivi preraffaelliti ed una misurata adesione al floreale nell'uso di materiali naturali e nella libera combinazione di memorie stilistische di epoche diverse. Il B. fu anche presente, e spesso ne fu arbitro, in quasi tutte le più importanti questioni di architettura dell'Italia unita: dal concorso per una nuova facciata del duomo milanese alle lunghe vicende del compimento della cattedrale di Firenze, dal monumento a Vittorio Emanuele II al palazzo di Giustizia a Roma (si veda l'elenco delle relazioni di concorsi nel vol. commemorativo del 1916, pp. 175-183, o in Grassi, pp. 45-52).
Il B. morì a Milano il 28 giugno 1914.
Nel 1862 aveva sposato la cugina Cecilia Guillaume (figlia di una sorella di sua madre) e nel 1887 Madonnina Malaspina dei marchesi di Portogruaro.
L'attività culturale svolta dal B. con l'insegnamento, la ricerca storica e teorica e la critica militante supera largamente i limiti della sua produzione architettonica. La ricerca fu soprattutto volta al tentativo di contemperare esigenze e spinte culturali diverse: da un lato, la necessità di estrarre dalla società a lui contemporanea i significati più veri, anche attraverso l'aderenza alla realtà sociale, sicché identificava nella casa "il monumento essenziale, il contenente, ... del mondo architettonico"; dall'altro, l'accettazione di una sovrapposizione di scelte stilistiche al proprio fare quale conseguenza della riscoperta romantica del passato medievale nazionale.
Predilezione, quindi, per un'istanza etica di sincerità, di memorie del passato architettonico ritenuto più schietto, elevato a contraltare dell'accademismo classicistico: che, tra l'altro, s'identificava allora con i significati antirisorgimentali e antinazionali della Restaurazione. Il volume Architettura del Medio Evo in Italia (Milano 1880) è preceduto da una introduzione Sullo stile futuro dell'architettura italiana (ristampata nel vol. commemorativo del 1916, pp. 57-100), nella quale sono raccolte tutte le più importanti proposizioni alle quali il B. approdò nei primi venti anni di insegnamento e di attività professionale.
Il B. ebbe anche lucida cognizione che la "nuovissima irrazionalità eclettica" era una delle più evidenti conseguenze del deteriorarsi del Romanticismo. Fu per questo accanito oppositore di quella pratica di indiscriminata adozione dei vari stili del passato, che aveva ridotto molta architettura a "trastullo della fantasia, ... sbizzarrimento di matite...", nella più assoluta indifferenza per i significati storici ed espressivi connessi alle manifestazioni artistiche d'ogni tempo.
Il "fondo della questione" fu dunque per il B. quello di individuare nell'architettura quelle che per lui erano le componenti fondamentali e che definì "parte organica e parte simbologica", intendendo per parte organica "l'ossatura, logica più razionale, che artistica", dovuta ai caratteri distributivi e funzionali, alle qualità strutturali e materiche dell'edificio, e per parte simbologica le qualità estetiche espresse "con allegorie direttive, con astratte analogie o con l'indefinibile spirito dell'arte".
Gli scritti del B. sul restauro rivelano una particolare lucidità, sempre sul piano teorico: i principali furono I restauri e la ricchezza dell'arte vecchia a Verona e a Padova, in Nuova Antologia, giugno 1873, p. 469; I restauratori, Firenze 1884; I nostri vecchi monumenti. Necessità di una legge per conservarli, in Nuova Antologia, 16 giugno 1885, pp. 640-662 e 1º luglio 1885, pp. 58-73; I nostri vecchi monumenti. Conservare o restaurare ?, ibid., 1º giugno 1886, pp. 480-506; I restauri in architettura, in Questioni pratiche di Belle Arti, Milano 1893, pp. 3-48.
In contrasto con le tre più importanti metodologie contemporanee del restauro, quella "stilistica" del Viollet-le-Duc, quella "romantica" di John Ruskin e quella "storica" del Beltrami, il B. sostiene, quale quarta ipotesi, la conservazione ed il rispetto assoluto del monumento, inteso soprattutto come testimonianza di storia oltre che come prodotto di uno stile. L'approccio all'edificio del passato è proposto dal B. in una pratica di interventi discreti, che prevedono il consolidamento e poi, in casi più difficili, la riparazione attuata con "caratteri e materiali diversi", con l'obiettivo però di non alterare l'aspetto attuale dell'opera. Il B. individua poi, in relazione alle "tre qualità" che egli definisce essere insite nei monumenti architettonici, e cioè "l'importanza archeologica, l'apparenza pittoresca, la bellezza architettonica", tre tipi di restauro: quello archeologico per le antichità, quello pittoresco per il Medioevo e quello architettonico per edifici dal Rinascimento in poi.
Nella realtà, però, il B. ebbe un atteggiamento ambiguo sia quando si trovò ad operare, come nel restauro della Pusterla di Porta Ticinese a Milano, sia quando si trovò a giudicare nei concorsi, quali quelli per le facciate del duomo di Milano (v. le relazioni pubblicate nel 1887, nel 1888 e infine Per la facciata del Duomo di Milano,relaz. all'on. Ministero della P. I., Milano 1909) e del duomo di Firenze, per la quale sostenne il progetto, poi realizzato, del De Fabris (La facciata di S. Maria del Fiore dal 1490 al 1843, in Nuova Antologia, 16 aprile 1880, pp. 672 ss.; cfr. anche Della facciata per S. Maria del Fiore..., in Il Politecnico, XXVIII [1866], pp. 369, 451).
In Questioni pratiche di Belle Arti il B. riunì saggi che aveva già pubblicato sul restauro, sui concorsi artistici, sulla situazione professionale degli architetti in Italia. Alcuni degli scritti su quest'ultimo argomento sono riportati anche nel volume commemorativo del 1916, ma vale la pena notare che già nell'anno 1859 (31 gennaio, 15 e 28 febbraio) il B. firmava alcuni articoli su L'architettura odierna e l'insegnamento di essa, nel Crepuscolo diretto da C. Tenca.
Riportiamo qui, come esempio dei suoi orientamenti di gusto, due giudizi dati dal B. su contemporanei. Delle opere di Alessandro Antonelli, "nella loro essenza e nel loro aspetto assolutamente irragionevole", la cupola di S. Gaudenzio a Novara viene liquidata con una drastica definizione: "Un cannocchiale a tubi, che si accorcia o allunga per trastullo" o anche "ameno mausoleo pensile" (cfr. Insegnamento e professione, in Questioni pratiche di Belle Arti, pp. 412 s.). Sconcertante è poi il giudizio oltremodo positivo che egli dette sul Sacconi e sul suo monumento a Vittorio Emanuele II a Roma, al quale veniva attribuita "solenne purezza", e che al suo compimento sarebbe stata "la più grande opera monumentale moderna" (Il monumento in Campidoglio,ibid., p. 251). A questo proposito è necessario ricordare l'assoluta insensibilità del B. per l'integrità degli ambienti urbani: giustificò l'operazione di sventramento per far luogo alla nuova opera, prima con motivi igienici e poi sminuendo il valore e l'interesse degli edifici distrutti.
Il B. collaborò alla Nuova Antologia dal 1865 al 1899, e fino al 1878 fu responsabile della rassegna artistica, occupandosi anche di artisti stranieri. A queste cronache attinse per il volume Scultura e pittura d'Oggi. Ricerche di C. B. (Torino 1877), che offre un quadro abbastanza completo della situazione delle arti figurative in Italia per la prima metà del sec. XIX e oltre. Scrisse occasionalmente di arte anche sull'Illustrazione Ital. (25 apr. 1875 su Giovanni Stazza; 5 dic. 1875 su Federico Pastoris), dove furono anche pubblicate alcune delle relazioni del B. commissario di pubblici concorsi: particolarmente interessante quella per il monumento a Garibaldi a Roma (20 genn. 1884, p. 42), dove egli fa alcune considerazioni sul valore intrinseco dei pubblici concorsi. Sullo Spettatore, oltre alla citata prolusione del 1856 e a un saggio firmato per esteso (Sull'architettura romana del sec. XIII, anno IV, n. 25, 20 giugno 1858, pp. 290-292; e n. 27, 4 luglio 1858, pp. 311-313), compaiono suoi scritti di vari argomenti (anche letterari e musicali) siglati C-o. B-o. nei seguenti fascicoli: nn. 29 e 39 dell'anno III (1857); nn. 3, 6, 11, 13, 14 dell'anno IV (1858).
Un argomento che lo appassionò fu quello dell'arte industriale, di cui trattò sia nella Nuova Antologia, a proposito di mostre generali (sett. 1874, pp. 125-142; 1º ott. 1881, pp. 493-509) 0 particolari (1º maggio 1887, pp. 64 ss.), sia nella Illustrazione Italiana dove scrisse (28 genn. 1877) sulla scuola di disegno per artigiani di Padova diretta dal Selvatico (v. anche Nuova Antologia, apr. 1876, pp. 860-872; 16 febbr. 1881, pp. 596-611). All'insegnamento e alla diffusione delle arti minori dedicò anche volumi: Ornamenti di tutti gli stili classificati in ordine storico... Stoffe, intarsi ed altri ornamenti piani..., Milano 1881; I principi del disegno e gli stili dell'ornamento ad un maestro novello..., Milano 1882; Arte utile..., Milano 1894. Questo interesse viene documentato ancor più dall'aver il B. diretto Arte italiana decorativa e industriale dal luglio del 1892 alla fine (dic. 1911); nella Lettera agli editori nel II volume della rivista (1892, pp. 3 s.) il B. spiega la grande importanza che attribuiva alle arti minori e applicate. Questa rivista, l'unica del genere in Italia per oltre un decennio, anche se fu tra le prime pubblicazioni europee impegnate a fornire modelli grafici per l'industria, non seppe poi "tenere il passo con la decisa prova di posizione anti-eclettica dei modernisti" (R. Bossaglia, Il Liberty in Italia, Milano 1968, p. 36).
L'esperienza narrativa del B., pur marginale e occasionale nel quadro complessivo della sua attività di uomo di cultura, rivela un autentico temperamento di scrittore.
Le Gite d'un artista (Milano 1884), che felicemente si inseriscono nel "filone impressionistico che Soffici riprenderà agli inizi del nostro secolo" (G. Spagnoletti, prefazione a Opere scelte, p. XX), non rientrano nella narrativa propriamente detta. Del B. narratore restano due volumi di racconti: Storielle vane (Milano 1876) e Senso. Nuove storielle vane (Milano 1883), cui bisogna aggiungere il racconto Il maestro di setticlavio, apparso nel 1891 sulla Nuova Antologia (che aveva accolto diversi altri suoi racconti) e riesumato da G. Bassani nel 1945.
Il primo volume comprende racconti composti tra il 1867 (l'anno in cui apparve L'Alfier nero del fratello Arrigo) e il 1875, ma alcuni indizi lasciano supporre che qualche primo saggio narrativo possa risalire al 1860. Fanno parte del volume sette racconti (Un corpo, Dall'agosto al settembre,Il colore a Venezia, Baciale il piede e la man bella e bianca, Pittore bizzarro, Tre romei, La notte di Natale), alcuni dei quali, come il terzo e il quinto, "sono appunti di taccuino, ma non così assorbiti nel gusto pittorico, o distratti nel piacere degli effetti coloristici, da non ricondurci all'interesse per certi dati sensuali che eserciteranno una loro forte suggestione" (A. Borlenghi, I, p. 582). Probabilmente per questa natura di taccuino pittorico, Il colore a Venezia fu escluso dalle successive edizioni del volume. Uno sguardo ai motivi di questa raccolta ci richiama senza equivoci all'atmosfera della Scapigliatura, sebbene lo stile si tenga lontano da certi effetti truculenti che appaiono frequentemente nelle pagine degli scapigliati. Il gusto per il fantastico e il macabro di origine hoffmanniana, introdotto nella narrativa italiana ad opera specialmente di I. U. Tarchetti, si trova non di rado nelle pagine del B., accanto a un vivo interesse per le arti figurative e per la persona stessa dell'artista bohémien che spesso compare in veste di protagonista. Si potrebbero riscontrare altri elementi del gusto del tempo, come una pretesa di fredda analisi scientifica esercitata su tranches de vie di evidente influsso naturalistico e la grande importanza che assumono la muliebrità e la passione amorosa, come nei romanzi del primo Verga. Un corpo è forse la più tipica di queste prime "storielle", con l'evocazione della bohème viennese e con il concentrarsi dell'interesse, tra atmosfere angosciose di presagi sinistri, sul corpo di una donna, giovane e ansiosa di vita, che muore e finisce sul tavolo di uno scienziato che riuscirà a conservarne intatte le bellissime sembianze, mentre un pittore che l'aveva amata e ritratta, perduto ogni interesse per quelle spoglie inanimate, si rifugia nella contemplazione del quadro che la ritrae e in cui la donna vive ormai eternamente. Evidente allusione al primato della bellezza sulla stessa vita, oltre che dell'arte sulla scienza, la quale pure alla bellezza paga il suo tributo d'omaggio. Anche tipici di questa prima raccolta possono considerarsi i racconti Notte di Natale, in cui sullo sfondo di vita milanese, è ritratta una donna avida e brutta, con una crudezza impietosa che già ai contemporanei parve di sapore zoliano, e Baciale il piede e la man bella e bianca, in cui il Nardi vide un'anticipazione della "divagazione" panziniana. Di questo volume videro la luce sette edizioni: la terza, del 1895, riveduta e corretta dall'autore, la settima del 1913.
Le prove più mature del narratore si trovano comunque nel secondo volume, che apparve nel 1883 e comprende i racconti seguenti: Vade retro Satana, Macchia grigia, Il collare di Budda, Santuario, Quattr'ore al Lido, Meno di un giorno, Il demonio muto, Senso. Atmosfere e motivi della prima raccolta compaiono anche nella seconda: Quattr'ore al Lido, per esempio, si può collegare alle pagine di taccuino di cui s'è detto, mentre spunti di "demonismo" si ritrovano in Vade retro Satana,Macchia grigia, Il collare di Budda,Il demonio muto. Ma l'esperienza del verismo italiano non è passata invano e se ne ha la sensazione specialmente dalla lettura di Senso, che dà il titolo al volume e può considerarsi, nei limiti di un narratore minore come il B., un piccolo capolavoro. Tratto da un immaginario "scartafaccio segreto della contessa Livia", come suona il sottotitolo, il racconto si snoda con forza e coerenza offrendoci una viva immagine di gentildonna spregiudicata e crudele - amante di un cinico ufficiale austriaco che la tradisce e che farà fucilare - sullo sfondo della crisi storica delle guerre d'indipendenza. Come è noto, Luchino Visconti trasse dal racconto un film che ne accentua l'intimo, amaro decadentismo.
Notevole anche Il maestro di setticlavio, in cui la strutturazione narrativa e l'accordo tra umorismo e tragedia trovano soluzioni felici. Nella rievocazione nostalgica della vita musicale di Venezia, condotta con freschezza goldoniana, il B. introduce uno spunto autobiografico, ritraendo nell'incantevole personaggio del basso Luigi Zen, musicista all'antica e avverso a ogni novità, il maestro Luigi Plet, il quale negli anni dell'adolescenza veneziana educò affettuosamente alla musica i fratelli Boito.
Nonostante il successo attestato dalle numerose edizioni, la fortuna critica del B. fu stentata e tarda. Il Croce gli dedicò pagine alquanto generiche, il Pancrazi introdusse un racconto (Meno di un giorno) nella sua benemerita antologia, sinché, nel secondo dopoguerra, le qualità narrative del B. hanno avuto adeguati riconoscimenti.
E. GIACHERY
Fonti e Bibl.: Una bibl. aggiornata al 1956 in L. Grassi, C. B., Milano 1959 (con un elenco degli scritti d'arte del B.); si veda inoltre: Padova, Archivio del Museo Civico: P. Selvatico, Relazione sul progetto di C. B. per la sistemazione del Museo Civico di Padova, 1875; G. Marangoni, Artisti contemporanei: C. B., in Emporium, XXVIII (1908), pp. 405-22; E. Baroffio, Arquitecto C. B., Montevideo 1914; B. A. Deon, C. B., Reggio Emilia 1915; C. B., a cura del Comitato per le onoranze alla sua memoria, Milano 1916 (contiene la commemorazione di Giov. Beltrami, i discorsi di G. Moretti e di G. Rosadi e scritti del B.); C. Macchi, Le opere di C. B., in Rassegna gallaratese di storia e d'arte, IV (1933), pp. 11-16; N. Tarchiani, L'architettura italiana dell'Ottocento, Firenze 1937, pp. 66 s.; A. Annoni, Tre architettidell'800, in Metron, VI (1950), pp. 44 s.; S. Lodovici (Samek Ludovici), Storici,teorici e critici delle arti figurative..., Roma 1942, pp. 59-62 (con elenco degli scritti del B. e bibl.); E. Lavagnino, L'arte moderna, I, Torino 1956, pp. 488-494; L. Grassi, L'intuizione moderna nel pensiero di C. B., in Casabella-continuità, n. 208, 1955, pp. 70-78 (contiene belle riproduzioni); R. Gabetti, Da Torino a Milano, in La casa, l'architetturamoderna in Italia, n. 6, Roma s.d., pp. 22 s.; C. L. V. Meeks, The real liberty of Italy,The Stile Floreale, in The art bulletin, XLIII (1961), p. 116; Id., Italian Architecture,1750-1914, New Haven and London 1966, pp. 207-09, 237 s.; F. Borsi, L'architettura dell'unità d'Italia, Firenze 1966, pp. 182-196 e passim; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, IV, pp. 233 s.; Encicl. Ital., VII, p. 295; R. Bonelli, in Encicl. univ. dell'arte, XI, col. 346, s.v. restauro; Diz. encicl. di archit. e urbanistica, I, p. 388.
G. MianoSul B. letterato si vedano in particolare: F. Filippi, Storielle vanedi C. B., in La Perseveranza, 10 luglio 1876; P. G. Molmenti, Nuove impressioni letterarie, Torino 1879, pp. 37-45; P. Nardi, Vita di A. B., Milano 1942; G. Bassani, introduzione a C. B., Il maestro di setticlavio, Roma 1945; G. Ferrata, Racconti lombardi dell'ultimo 800, Milano 1949; B. Croce, C. B., in La letteratura della nuova Italia, 3 ed., V, Bari 1950, pp. 311-316; E. Colombo-C. Linati, Racconti della Scapigliatura, Milano 1959, pp. 241-327; V. Spinazzola, Racconti della Scapigliatura milanese, Milano 1959, pp. 342-402; P. Nardi, introduzione a C. B., Senso e altrestorielle vane, Firenze 1961; A. Borlenghi, Narratori dell'Ottocento e del primo Novecento, Milano-Napoli 1961, I, pp. 581-583; G. Mariani, Storia della Scapigliatura, Caltanissetta-Roma 1967, ad Indicem; G. Spagnoletti, prefazione a C. B., A. G. Cagna e R. Zena, Opere scelte, Milano 1967.
E. Giachery