CASTIGLIONE, Camillo
Figlio di Baldassarre e di Ippolita Torelli, nacque a Mantova il 25 ag. 1520. Cresciuto, dopo la morte del padre (1529), sotto la protezione della famiglia Gonzaga, e in particolare del cardinale, Ercole e di Ferrante, si avviò alla professione delle armi, entrando nel 1537 al servizio imperiale, alle dipendenze dello stesso Ferrante: con lui combatté contro i Francesi in Piemonte e poi nelle Fiandre e in Germania. Nel 1544, col grado di colonnello, partecipò al comando di un reggimento di fanteria alla sfortunata battaglia di Ceresole. Servì nell'esercito spagnolo di Lombardia anche durante il governo milanese del Gonzaga, continuando tuttavia il suo servizio di gentiluomo alla corte mantovana, per conto della quale nel 1550 si recò a Roma a rendere omaggio al nuovo pontefice Giulio III.
L'anno successivo partecipò alla guerra di Parma. Caduto prigioniero dei Farnesiani, ebbe una prolissa questione cavalleresca con il marchese Bartolomeo del Monte, relativa alle condizioni della sua cattura.
Di tale contesa, che ebbe risonanza e suscitò discussioni in varie corti italiane. furono raccolti e pubblicati cinque anni dopo, a Pesaro, i numerosi documenti, con il solito apparato di consulti e pareri di illustri giuristi e gentiluomini.
Dopo la liberazione, il C. entrò nell'amministrazione civile dello Stato di Milano. Del 1552 è un suo viaggio a Roma, inviatovi dal governatore "para tratar con su Santidad de los problemas pendientes en Italia" (Papeles de Estado, p. 56), dei problemi, cioè, relativi alla guerra di Siena e ai tentativi di pacificazione operati dal pontefice tra gli Imperiali e i Francesi.
Tornato a Milano, ottenne la carica di vicario di provvisione, che aveva ancora due anni dopo, allorché, esautorato Ferrante Gonzaga, anch'egli fu sottoposto all'inchiesta amministrativa ordinata da Carlo V.
Ai due commissari spagnoli, Bernardo de Bolea, reggente della Cancelleria d'Aragona, e Francisco Pacheco, che investigavano sulla venalità delle cariche e sulla corruzione nella pubblica amministrazione milanese, il C. dichiarò di essere stato nominato vicario di provvisione da Ferrante Gonzaga, ad istanza del fratello di lui, il cardinale Ercole, e di aver sollecitato la consegna del decreto di nomina dal maggiordomo del governatore, Marco Antonio Bagno, al quale aveva fatto pervenire il modesto omaggio di una tazza d'argento e di altri regali, per un valore complessivo di 20 scudi. Non risulta che, per questo motivo o per altri, il C. dovesse subire danni dall'inchiesta.
Il C. combatté ancora, negli anni successivi, nelle campagne in Piemonte contro i Francesi e nelle Fiandre: qui comandava quattro compagnie di cavalleggeri.
Chiamato a far parte del Senato milanese, nel 1567 fu tra i protagonisti - insieme al presidente del Senato, Gabriele Casati, e ad altri senatori - di una lunga vertenza giurisdizionale con l'arcivescovo Carlo Borromeo.
La questione nacque il 6 luglio di quell'anno per l'iniziativa, presa dal bargello arcivescovile su precise disposizioni del Borromeo, di arrestare Anton Maria Castiglione, un nobile di Gallarate, probabilmente congiunto del C., sotto l'accusa di concubinato. Tale iniziativa, presa al di fuori di ogni contatto con le autorità civili, urtò profondamente il Senato milanese, geloso dei suoi privilegi e di quelli della nobiltà e sospinto alla difesa dell'inquisito gallaratese anche dalle pressioni del C., che difatti veniva poi indicato dalla Curia arcivescovile come uno dei maggiori responsabili delle ritorsioni decise dal Senato. Questo ordinò l'arresto del bargello, lo condannò a tre tratti di corda e l'espulse dallo Stato.
La reazione dell'arcivescovo fu assai decisa. Le più aspre sanzioni canoniche, sino alla scomunica, vennero prese contro le autorità di polizia che avevano eseguito l'ordine del Senato; gli stessi senatori ritenuti principali responsabili dell'arresto del bargello, tra cui il C., furono citati a comparire davanti all'arcivescovo, per giustificare il proprio operato. A tanta intransigenza il C. e i suoi compagni risposero con altrettanta fermezza, inviando presso l'arcivescovo alcuni procuratori, i quali, nonché giustificare i propri rappresentati, riaffermarono davanti al Borromeo i privilegi del Senato milanese e respinsero, invalidandola, la citazione.
Subito dopo il Senato faceva ricorso a Roma, presso il pontefice, contro l'iniziativa del Borromeo; e questi, a sua volta, informava il papa dell'episodio e suggeriva che i senatori fossero citati a Roma a giustificarsi. Respingendo nettamente la posizione dei senatori, Pio V accettava il suggerimento del nipote e convocava a Roma quei tutori ostinati dell'autonomia senatoria. A questo punto il governatore di Milano e lo stesso Filippo II si mossero in favore dei senatori milanesi e della questione fu investita la diplomazia. Per le pressioni del re, Pio V annullò la citazione, ma il contrasto tra il cardinale arcivescovo e il Senato non trovò allora una soddisfacente formula di risoluzione e finì per diluirsi nel più generale conflitto giurisdizionale tra il Borromeo e l'amministrazione spagnola.
Nel 1573 il C. ottenne dal duca d'Urbino, Guidobaldo II, il feudo dell'Isola del Piano, nell'Urbinate, quale risarcimento per l'espropriazione compiuta nel 1522 da Francesco Maria Della Rovere del feudo pesarese di Novilara, in danno di Baldassarre Castiglione, al quale Francesco Maria l'aveva concesso nel 1513.
Tre anni dopo il C. chiedeva alla Congregazione dell'Indice che il capolavoro paterno, già compreso nell'Indice dei libri proibiti, fosse liberato dalla condanna ecclesiastica in cambio degli emendamenti suggeriti dalle autorità religiose. Con tali emendamenti Il Cortegiano non fu tuttavia ristampato se non nel secolo XVIII.
Il C. passò quindi dal servizio spagnolo a quello del duca di Mantova, assumendo, col grado di generale, il comando dell'esercito dei Gonzaga. Nel 1582 fu nominato governatore del marchesato del Monferrato, carica che conservò sino alla morte, avvenuta a Casale nel 1598. Aveva sposato Caterina Mandelli, figlia del conte Bernardino di Piacenza. Da questo matrimonio nacquero tre figli: Cristoforo, Baldassarre e Giulia.
Fonti e Bibl.: Manifesti et cartelli passati fra gli illustr. signori il signor Bartolommeo delli marchesi del Monte Santa Maria, et il signor conte C. C. …, Pesaro 1556; Papeles de Estado. Milan y Saboya (siglos XVI y XVII). Catal. XXIII del Archivo de Simancas, a cura di R.Magdaleno, Valladolid 1961, pp. 56, 57, 117, 122, 125; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, Milano 1936, p. 157; F. Chabod, Usi e abusi nell'ammin. dello Stato di Milano a mezzo il '500, in Studi stor. in onore di G. Volpe, I, Firenze 1958, p. 125; M. Bendiscioli, Politica, amministraz. e religione nell'età dei Borromei, in Storia di Milano, X, Milano 1957, pp. 213 ss.; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Castiglioni, tavola V.