COLONNA, Camillo
Nacque nella seconda metà del sec. XVI; era un fratello minore di Pier Francesco duca di Zagarolo (vedi docc. pubblicati da G. Costa, 1964, pp. 213 s.; comunicazione dello stesso), e pertanto figlio di Marzio duca di Zagarolo.
Assai scarse sono le notizie sulla sua educazione e sulla sua vita, svoltasi tra Napoli e Roma. In gioventù (prima del 1592) fu anche a Pisa, dove conobbe il Galilei e Luca Valerio, coi quali si intrattenne in discussioni di filosofia. Partecipò attivamente alla vita delle accademie del tempo, in particolare a quella degli Umoristi di Roma, di cui fu principe nel 1638, e a quella napoletana degli Oziosi, dove conobbe il Della Porta e l'Imperato. Nel 1645 il C. fondò un'Accademia, che teneva riunioni settimanali nella sua casa napoletana di S. Carlo alle Mortelle, e che pertanto fu detta Colonnese o delle Mortelle.
Colonnese o "atemista" fu definita la filosofia dei C., elaborata attraverso le discussioni di filosofia e di discipline scientifiche e letterarie dell'Accademia. Muovendo dal presupposto che la filosofia peripatetica, definita un "gioco di parole", aveva ormai fato il suo tempo con il suo dogmatismo, il C. intendeva favorire un ritorno a Platone e ad Epicuro che fosse l'avvio di un rinnovamento sulla base dello sperimentalismo baconiano-galileiano. Era infatti convinto che solo per mezzo del senso l'uomo Può giungere alla conoscenza; l'atomismo di Democrito, di Epicuro e di Lucrezio, più che agli insegnamenti della filosofia d'oltralpe, doveva saldarsi nel pensiero del C. con l'eredità sempre viva del pensiero telesiano e campanelliano. Se l'epicureismo napoletano fu una vera e propria moda (il suo momento culminante si ebbe nel 1669 con la versione di Lucrezio del Marchetti, che era scolaro del Borelli), fu anche una sfida all'Inquisizione e un passo avanti sulla strada della libertà di indagine, che dal naturalismo rinascimentale portò al rinnovamento della filosofia e della scienza moderne.
Alla vita dell'Accademia partecipavano sia laici che religiosi: il C. ne elesse presidente il padre benedettino Domenico Quesada (più tardi abate di Montecassino), che sostenne una disputa con G. B. Manso, marchese di Villa, sull'immortalità dell'anima in Platone e in Aristotele. Il D'Andrea, che il C. conobbe nel 1643per mezzo di Cesare Della Marra, assistette a questa disputa, ma ne riportò un'impressione non molto favorevole; e se in seguito contribuì alla diffusione della notorietà dell'Accademia, affermò anche che alle dispute ivi dibattute preferiva gli studi di oratoria. in cui gli fu di guida lo stesso Colonna.
Su di lui si era diffusa anche una certa fama di superbia, di presunzione e di disprezzo del popolo, rafforzata dalle dicerie sulle aspre liti in cui fu coinvolto, come quella con Pompeo Colonna suo nipote, che s'intitolava impropriamente principe di Gallicano (e figlio di un fratello del. C., Pier Francesco già morto); per poterla dirimere ci volle l'intervento del viceré, il duca di Medina de las Torres, e di Mattia Casanate, padre di Girolamo, allievo del Colonna. Tra i suoi allievi, infatti, il C. contava, oltre al futuro fondatore della biblioteca Casanatense, il Giannone, il D'Andrea e molti altri giovani; nella storia della cultura napoletana del secondo Seicento, attraverso Tommaso Cornelio e Leonardo di Capua, l'influsso del C. dovette giungere anche al Vico. Egli era in contatto con le accademie più innovatrici del tempo, gli Investiganti di Napoli e i Lincei; di esse condivise metodi ed esperienze: introdusse l'uso del microscopio per l'analisi di piante e di animali, come faceva il Cesi; discusse più volte con lo Stelluti sui metodi di rilevazione e di illustrazione di certi fenomeni naturali; conobbe la teoria dei punti matematici; concordò col Caramuel nel suo tentativo di conciliare l'atomismo democriteo con la dottrina platonica delle idee, e nell'ammettere in via di ipotesi probabile una teoria, anche se in sospetto alla Chiesa.
L'Accademia Colonnese si acquistò così l'accusa di ateismo - peraltro mai professato dal C. -, ma poté stornare da sé le ire dell'Inquisizione per l'opera del Casanate, sostenitore dei diritti della cultura laica di fronte ad una autorità ecclesiastica'priva ormai del dominio assoluto. L'Accademia, di fatto, passata sotto la direzione del De Josa, del Basso, del Bruni, cessò di esistere nel 1657, probabilmente a causa della terribile peste dell'anno precedente. Tuttavia, anche se non caddero direttamente sull'Accademia, i fulmini dell'Inquisizione colpirono gli echi di essa nel 1692-93, al tempo del famoso processo contro gli "ateisti" napoletani conclusosi con la condanna di due imputati minori e l'assoluzione di tre amici del Vico.
Oltre che di filosofia, il C. si occupava anche di letteratura; fu mediocre poeta (scrisse delle satire; alcune sue liriche si leggono in una raccolta intitolata, Monumentum Romanum, Romae 1638), e sostenne l'imitazione del Petrarca e del Della Casa in funzione antimarinista.
Sulla moda del "casismo", che a Napoli diede vita ad una vera e propria scuola, il C. influì soprattutto con il proprio insegnamento, raccolto da un gruppo di giovani tra cui emergeva il D'Andrea. Non è tuttavia possibile stabilire con esattezza l'entità dell'influsso del C. esercitato sui discepoli, anche perché i suoi manoscritti, in mano all'Aulisio, e forse conosciuti dal Giannone, andarono dispersi nel corso del Settecento.
Va infine ricordato un aspetto filantropico dell'attività del C.: insieme ad Antonio Basso, Giuseppe Barrile, Claudio Rangone ed altri fondò, prima del 1648, la Giunta per la povertà, un'istituzione benefica che, tra l'altro, permise all'Accademia Colonnese di avere una sede dignitosa.
IlC. morì certamente a Napoli; non risulta l'anno esatto della sua morte, che può comunque situarsi tra il 1657 e il 1678, anno in cui, dalle lettere di G. Battista, si apprende che il C. era già morto; lo stesso Battista, accademico degli Oziosi, recitò l'orazione funebre.
Fonti e Bibl.: G. Battista, Lettere, Bologna 1678, pp. 59, 160; G. Galilei, Opere, X, Firenze 1900, p. 240; B. Maioli d'Avitabile, Vita di F. D'Andrea, in Vite degli Arcadi illustri, I, Roma 1708, p. 37; G. M. Crescimbeni, Comentari intorno alla sua Istoria della volgar poesia, IV, Roma 1711, p. 142; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Bologna 1739, p. 681; L. Giustiniani, Breve contezza delle Accad. istituite nel Regno di Napoli, Napoli 1801, pp. 38, 52; C. Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli, in Arch. stor. per le prov. napoletane, IV (1879), p. 389; A. Favaro, G. Galilei e lo Studio di Padova, I, Firenze 1883, p. 30; R. Zagaria, Vita e opere di N. Amenta, Bari 1913, pp. 45 s.; N. Cortese, I ricordi di un avvocato napoletano del Seicento: F. D'Andrea, Napoli 1923, pp. 13, 24, ss., 36, 83, 119 ss., 194, 204; Id., L'età spagnola, in Storia dell'Univ. di Napoli, Napoli 1924, p. 426; B. Croce. Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1929, p. 70; M. Maylender, Storia delle Accad. d'Italia, IV, Bologna 1929, pp. 62, 185; V, ibid., 1930, p. 379; F. Nicolini, La giovinezza di G. B. Vico, Bari 1932, pp. 77 s., 150; E. Garin, La filosofia, II, Milano 1947, pp. 307, 347; L. Marini, P. Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950, p. 12; F. Nicolini, Su F. C. e la sua accademia filosofica, in Archivi stor. delle aziende di credito, I (1954), pp. 1-19; R. Trifone, Unosguardo agli scritti dei giuristi napoletani del Seicento, in Atti della Società naz. delle scienze di Napoli, LXX (1959), p. 30; N. Badaloni, Introduz. a G. B. Vico, Milano 1961, pp. 38, 148, 153; G. Costa, Un collaboratore italiano del conte di Boulainviller: F. M. P. Colonna, in Atti e mem. dell'Accad. Toscana di scienze e lettere La Colombaria, XXIX (1964), pp. 213 ss.; E. Garin, Da Campanella a Vico, in Atti del Convegno int. sul tema: Campanella e Vico, Roma 1969, p. 20; G. Costa, La fortuna europea della filosofia colonnese, in Il libertinismo in Europa, a cura di S. Bertelli, Milano-Napoli 1980, pp. 417-33.