CAMILLO DE LELLIS, santo
Nacque a Bucchianico (Chieti), il 25 maggio 1550, figlio di Giovanni e di Camilla de Compellis.
Il padre, uomo d'arme, prese parte alle campagne militari che si ebbero in Italia a partire dal 1525, combattendo al servizio imperiale prima, poi spagnolo; intorno alla metà del secolo ebbe il comando di una guarnigione per la difesa delle coste adriatiche dalle incursioni dei Turchi. Il giovane C. si avviò ben presto a seguire l'esempio paterno; nel 1567 si recò a Francavilla al Mare per arruolarsi al soldo dei Veneziani, ma il tentativo andò a vuoto. Fu ripetuto a distanza di pochi anni, questa volta in compagnia del padre il quale però, ammalatosi, morì nei pressi di Loreto. Trovandosi in miseria e in cattive condizioni di salute, C. pensò, sia pure per breve tempo, alla possibilità di farsi frate. Ospite per alcuni giorni del convento francescano di S. Bernardino a L'Aquila, dov'era guardiano lo zio materno fra' Paolo, abbandonò senza difficoltà il progetto e si recò a Roma. Qui egli si ricoverò all'Ospedale di S. Giacomo per farsi curare una piaga ulcerosa alla caviglia destra da cui fu afflitto per tutta la vita. Rimase in ospedale dal 7 marzo al 31 dic. 1571, prima come malato, poi - dal 1º aprile - come membro del personale salariato. Di questo periodo C. conservò ricordi, poi raccolti dal suo confratello e biografa S. Cicatelli, di continui litigi dovuti al suo carattere "molto terribile" e dalla sua tendenza a sottrarsi agli obblighi di assistenza agli altri infermi "per essere lui così al gioco delle carte inclinato che spesso... se ne andava sopra le rive del Tevere a giuocare con i barcaroli di Ripetta" (Scritti..., p. 2).
Fu licenziato e, arruolatosi al soldo di Venezia, partecipò alla campagna contro i Turchi fino alla sua conclusione; dal 1573 al 1575 fu soldato nelle armate spagnole. I ricordi che C. nell'età matura conservava di questi anni documentano le asprezze e la ferocia del mestiere delle armi al livello umilissimo a cui egli lo sperimentò: epidemie, stragi, miseria, perfino episodi di cannibalismo, e una divorante passione per il gioco che ingoiava periodicamente tutto il danaro accumulato. Non v'è traccia di una qualunque giustificazione religiosa (o d'altro genere) della guerra contro i Turchi. L'esperienza religiosa sembra essere stata solo quella, elementare, del ricorso a Dio per scampare dalla morte, nella forma del voto di diventare frate, come avvenne il 28 ott. 1574 durante una burrasca di mare mentre C. si trovava in viaggio tra Palermo e Napoli. La miseria più nera, di cui un residuo orgoglio nobiliare lo faceva arrossire quando gli accadeva di incontrare un compaesano, lo spinse fino a chieder l'elemosina sulla porta delle chiese di Manfredonia alla fine del 1574, e fu qui che gli venne offerto di lavorare come manovale per conto dei cappuccini della città. Nel contatto quotidiano coi religiosi si maturò la conversione di C., ch'egli stesso datò al 2 febbr. 1575, sulla via di Manfredonia, e di cui attribuì il merito al padre Angelo, guardiano del convento di S. Giovanni: questi lo convinse, con espressioni adatte alla mentalità ed al linguaggio dell'ex soldato, a porsi al servizio di Dio "sputando in faccia al demonio" (Cicatelli, p. 27). Così l'impulso ricorrente a vestire l'abito di religioso sembrò concretarsi definitivamente per C. con l'ingresso come novizio nell'Ordine cappuccino. Ma, dopo un breve periodo di noviziato, venne dimesso con la promessa di riaccoglierlo se fossero migliorate le sue condizioni di salute, minacciate dall'aggravarsi della piaga alla caviglia destra.
C. si recò a Roma e, il 23 ott. 1575, si fece ricoverare di nuovo all'Ospedale di S. Giacomo degli Incurabili dove restò ininterrottamente fino al 20 giugno 1579. Durante quegli anni, la guarigione della piaga non fu ottenuta se non parzialmente, ma si verificarono altri fatti ben più decisivi per la sua successiva attività: l'esperienza della vita dell'ospedale da un lato, che fu anche esperienza di responsabilità crescenti (da garzone a infermiere, a maestro di casa), e dall'altro il maturare e prender corpo della sua scelta a favore della vita religiosa nel contatto con un confessore e direttore spirituale come s. Filippo Neri. Nel 1579, fra il giugno e l'ottobre, si verificò il secondo tentativo di C. di entrare nell'Ordine dei cappuccini; ma, ancora una volta, dopo quattro mesi di noviziato trascorsi a Tagliacozzo col nome di fra' Cristoforo, gli si riaprì la piaga e dovette tornarsene all'Ospedale di S. Giacomo. Qui, col titolo di maestro di casa, restò fino al 1584, occupandosi dell'amministrazione dell'ospedale e dei rapporti col personale salariato. Fattosi sciogliere dai voti (quelli cioè di entrare, prima, nei minori osservanti, poi nei cappuccini), C. si dedicò ai problemi interni dell'ospedale. Fu nel contatto quotidiano con tali problemi e nell'esercizio della carità al servizio di malati e poveri, raccolti e racchiusi in numero sempre crescente nelle istituzioni ospedaliere, che C. concepì il piano di una congregazione totalmente dedita alla cura fisica e spirituale degli infermi: cioè "una compagnia d'huomini pii e da bene, che non per mercede, ma volontariamente e per amor d'Iddio servissero gli infermi con quella charità et amorevolezza che sogliono far le madri verso i lor proprii figliuoli infermi" (Scritti..., p. 52). Il progetto, condiviso da altri fra i quali don Francesco Profeta, cappellano dell'ospedale, si realizzò dapprima in un oratorio all'interno di S. Giacomo, dove il piccolo gruppo (si ricordano cinque nomi) si raccoglieva nelle ore libere per meditare e pregare. Ma l'ostilità di una parte del personale verso l'attività particolarmente fervida e spontanea di questo gruppo, condivisa dalle autorità ecclesiastiche che temevano in quella conventicola un qualche segreto progetto di impadronirsi della direzione dell'ospedale, concluse questo episodio. La forma della confraternita laicale non era attuabile per C., al quale restava aperta solo l'altra strada, quella del vero e proprio ordine religioso. Un primo passo su questa via fu la decisione di diventare sacerdote; se all'ex soldato, che si indovinava ancora nell'irruenza dei modi e nella vigorosa e imponente taglia fisica, non si riconoscevano doti e capacità di direzione spirituale, una tale scelta era in qualche modo obbligata. Nel 1582 C. fu ammesso, presso il Collegio romano della Compagnia di Gesù, alla prima classe di grammatica, dove, con grande sforzo, raggiunse una preparazione sufficiente per ottenere gli ordini sacri.
Il suo incontro con le lettere non fu agevole, come venne rilevato costantemente sia dai contemporanei sia dalla tradizione del suo Ordine. Non si trattava però solo di indifferenza o estraneità alla cultura delle scuole; come si espresse la Congregazione dei Riti a proposito degli scritti di C., da un lato essi appaiono "scorretti e pieni di falsa grammatica, di sconcordanze, improprietà di elocuzione e cattiva ortografia", dall'altro, si aggiunge, "Iddio non gli accordò talento da profittare nell'humana letteratura e nel comporre opere e trattati" (Scritti..., p. IX). In effetti tali scritti, se sul piano formale non sono particolarmente corretti o limati, dal punto di vista dei problemi a cui sono dedicati rivelano una meticolosa attenzione ai modi e alle forme dell'esercizio dell'assistenza agli infermi ma all'interno di una religiosità tutta calata nella pratica delle opere, in cui si risolvono inquietudini e problemi religiosi di fondo (come, ad esempio, il problema della giustificazione, accennato in pochi ma significativi passi). Parlare quindi di carattere "popolare" della figura e dell'opera di C. ha senso solo se si intende far riferimento a un popolo in cui i fermenti e i dibattiti religiosi, così diffusi in età pretridentina, tendono ormai a venir cancellati e sostituiti dall'esercizio di determinate pratiche nell'ambito delle istituzioni ecclesiastiche della Controriforma. Alla pietà e alle idee religiose del primo Cinquecento italiano si collega quello che è il tema dominante dell'opera di C.: la contemplazione e l'imitazione del Cristo sofferente e povero.
Il 26 maggio 1584 C. fu ordinato sacerdote e il 10 giugno celebrò la sua prima messa. Dopo la breve parentesi di un viaggio a Bucchianico tornò a Roma, dove dette inizio alla sua Compagnia dei servi degli infermi (nome più tardi cambiato in "ministri degli infermi"). Il centro spirituale della compagnia fa stabilito presso la chiesa della Madonna dei Miracoli, di cui C. era cappellano, ma la vera sede della sua attività fu l'Ospedale di S. Spirito. Non furono inizi facili: le difficoltà vennero sia dal camerlengo dell'ospedale di S. Giacomo, monsignor Cusano sia da s. Filippo Neri che, ritenendo C. incapace di governare una congregazione, per essere appunto "idiota e senza lettere", venne a contrasto con lui e ne abbandonò la direzione spirituale. Tra la fine del 1584 e l'inizio del 1585 furono redatte le regole della Compagnia: in esse particolare rilievo veniva dato all'obbligo della povertà con l'impegno a non accettare nessuna donazione ereditaria dagli infermi.
Le regole non si soffermano tanto, però, sulla regolamentazione della vita religiosa dei confratelli quanto piuttosto sulla descrizione degli "ordini et modi che si hanno da tenere nelli hospitali in servire li poveri infermi" (Scritti..., pp. 67-71). Qui, attraverso una precisa e minuta descrizione dei modi e delle forme del rapporto coi malati, si afferma il principio del servizio agl'infermi: come rifare i letti, servire i pasti, fare le pulizie. Lo spirito di servizio implica anche il rifiuto di interessarsi dei "maneggi delle cose temporali" (cioè amministrazione dell'ospedale) e, soprattutto, l'obbligo di non coartare la volontà del malato, nemmeno quando si tratta di farlo accostare alla confessione. Quest'ultimo punto, come pure il fatto che non ci si proponesse di esercitare il ministero della confessione, sollevarono le obbiezioni della Congregazione dei vescovi e regolari, alla quale le regole furono sottoposte nel 1585. La nuova Congregazione ottenne l'approvazione papale con breve del 18 marzo 1586 e, con breve del 18 giugno, l'assenso alla richiesta di portare una croce di panno rosso sopra la veste come segno distintivo dei "ministri degli infermi".
Il 20 aprile C. fu eletto superiore. Dietro richiesta dei preti dell'Oratorio, fu disposta anche la creazione di un nuovo centro di attività a Napoli, dove C. accompagnò il primo gruppo nell'ottobre 1588, lasciandovelo sotto la direzione del padre Biagio Oppertis. Iniziava intanto l'azione per trasformare la Congregazione in ordine vero e proprio, con l'appoggio dei cardinali Vincenzo Laureo e Gabriele Paleotti. Per ottenere questo, che C. considerava un "perfezionamento" della sua "povera pianticiola" (Scritti..., p. 84), fu però necessaria la grande prova fornita dalla Congregazione a Roma durante l'epidemia degli anni 1590-91. In questo periodo l'attività assistenziale ebbe uno sviluppo straordinario, tanto da far temere a taluni, come al padre Oppertis, che ciò avvenisse a discapito del "profitto nello spirito" e da costringere lo stesso C. a regolare meglio i turni di lavoro. Il 21 sett. 1591 la bolla Illius qui pro gregis di Gregorio XIV riconosceva il nuovo Ordine, caratterizzato dai tre voti consueti e da un quarto voto, quello di servire gli infermi anche se colpiti da peste. La bolla fu pubblicata da Innocenzo IX e C. poté annunziare per l'8 dicembre la solenne professione, sottolineando con orgoglio che "non è poco haverla criata una nova Riligione" (Scritti..., p. 93). Seguirono alcuni anni di grande espansione durante i quali C., eletto generale il 7 dic. 1591, cominciò a spostarsi, con viaggi che si fecero sempre più frequenti, da Roma a Napoli, a Bucchianico e poi, via via, verso altre città, dove portava consigli e incoraggiamenti alle nuove sedi o studiava la possibilità di impiantarle; nel corso dei viaggi C. svolgeva anche un suo particolare tipo di predicazione, ispirato probabilmente a modelli cappuccini, e distribuiva o faceva distribuire immagini sacre, corone o altri tipi di veicoli materiali di devozione, con annesse indulgenze (alle quali attribuì sempre molta importanza). Il costante ricorso all'autorità e al consiglio di eminenti figure della Compagnia di Gesù, come il padre Vincenzo Bruni, non sembra aver sollecitato C. a indirizzare maggiormente se stesso e il proprio Ordine sulla via della formazione teologica; al contrario, proprio il fatto che i "ministri degli infermi" non avessero, fra i loro compiti specifici quello di predicare e confessare (e, in questo senso, egli fu sempre attento nell'evitare che singoli religiosi si assumessero sia pure eccezionalmente compiti del genere) lo portava a insistere sull'obbligo del non stare oziosi, dell'esercitare indefessamente l'assistenza ai malati, ponendo quindi in primo piano l'impegno ad una attività fisica incessante. Questo atteggiamento, unito all'aumento della consistenzanumericae delle zone di attività dell'Ordine, gli suscitò contro le critiche di chi desiderava invece maggiore spazio per la preparazione teologica e spirituale. Il padre Oppertis si fece portatore di queste esigenze, trovando, a quanto afferma il Cicatelli, buona disposizione in C., allora (1594) impegnato fra Milano e Genova per impiantarvi nuove fondazioni. Ma in realtà la sua concezione degli scopi dell'Ordine divergeva sostanzialmente da quella dell'Oppertis e il conflitto tra le loro posizioni divenne ben presto esplicito, configurandosi non tanto come un contrasto personale, quanto come fase culminantediun dibattito generale sulle linee di sviluppo dell'Ordine stesso, per il quale si prospettò addirittura la possibilità di una scissione. Il dibattito ebbe luogo nei capitoli generali del 1596 e del 1599, dove venne posta quella che nella storia dell'Ordine fu chiamata la questione degli ospedali, originata dalla decisione presa da C. a Milano nel 1594 di fare assumere ai religiosi il carico completo del servizio materiale, con l'obbligo di risiedere all'interno dell'ospedale.
Il nome di "servi degli infermi" veniva cioè preso alla lettera dal fondatore, per il quale le cure fisiche erano inscindibili dall'opera di conforto spirituale e prendevano un rilievo quasi esclusivo; si doveva, come C. fece mettere agli atti della Congregazione del 20 maggio 1599, "servire negl'hospedali all'infermi nella cura et bisogni corporali, cioè nettargli le lingue, dargli da mangiare, da sciacquare, far letti, et scaldarli, ... et fare altre cose simili" (Scritti.., p. 195). Dall'altra parte si desiderava invece privilegiare l'assistenza spirituale o aiuto al "ben morire" che, in quanto tale, poteva essere - e di fatto fu - amministrato non solo negli ospedali ma nelle prigioni, nelle case private; questa seconda via comportava anche una maggiore importanza della preparazione teorica, in quanto studio dei casi di coscienza e delle tecniche del "confortare".
Dopo una serie di conflitti che rischiarono di paralizzare l'Ordine, minacciato perfino di estinzione nel 1600 col divieto di ammettere novizi, C., pur ostacolato dai consultori che gli furono associati nel governo per controllarlo, riuscì, con notevole abilità e dispiegando un'energia straordinaria, a far trionfare nella sostanza la sua posizione: il 28 dic. 1600 la bolla Superna dispositione di Clemente VIII concedeva ai religiosi di abitare negli ospedali. Partendo da questa base e dopo essersi liberato dal controllo della Consulta (1602), recuperando così i pieni e assoluti poteri di governo, C. percorse tutta l'Italia moltiplicando il numero degli ospedali nei quali i "ministri degli infermi" dovevano assicurare la loro opera disimpegnando ogni genere di servizi, con la sola esclusione delle fatiche "grosse". Alla carenza di uomini provvide rendendo più elastiche le norme che regolavano i periodi di prova e di noviziato. Ma le resistenze, mai scomparse, alla linea che egli rappresentava trovarono un valido motivo nelle difficoltà finanziarie dell'Ordine per imporre un cambiamento di direzione; convocato dal cardinal protettore Ginnasi pervolontà di Paolo V nel settembre 1607, C. fu posto di fronte alla situazione in termini tali da non lasciargli altra via d'uscita che la rinuncia al generalato. Già altre volte egli aveva usato la minaccia di dimissioni come mezzo di pressione per ottenere i suoi scopi, ma stavolta le dimissioni furono accettate. Sotto la direzione dell'Oppertis, che gli successe nella carica, C. assunse una posizione particolarmente riservata, non partecipando al capitolo generale che si tenne nel 1608 ed esercitando piuttosto una funzione di stimolo e di modello vivente. A tal fine chiese e ottenne di poter fissare la sua residenza nell'Ospedale di S. Spirito, dove si dedicò al servizio totale e senza limitazioni degli infermi. Quando però, nel 1609, l'Oppertis nel corso di una visita alle case dell'Ordine tentò di realizzare il suo programma di ridurre alla sola assistenza spirituale i compiti dei "ministri degli infermi", C. reagì prontamente. Senza tener conto dell'ordine del generale che lo inviava a Bucchianico, sostenne davanti alla Consulta, al cardinal Ginnasi e allo stesso Oppertis le sue posizioni, costringendo quest'ultimo a ritrattarsi.
Negli ultimi anni della sua vita C. abitò, con brevi interruzioni, presso l'Ospedale di S. Spirito; si recò nel 1610 ancora una volta nel suo paese natale, dove la fama della sua santità era ormai diffusa, e di questo ultimo soggiorno rimase memoria come di un periodo di miracoli - moltiplicazione di pani e di cibi, trasformazione dell'acqua in vino - non insoliti né strani per un personaggio la cui esperienza era così strettamente legata ai problemi della fame e delle carestie. Nel 1613 accompagnò il nuovo generale padre Nigli nella visita alle case dell'Ordine ma, giunto a Milano, fu costretto dall'aggravarsi delle sue condizioni di salute a tornarsene a Roma. Qui, tra il 14 giugno e il 10 luglio 1614, sentendo prossima la morte, redasse e inviò a diverse comunità una sua lettera testamento, nella quale ribadiva la sua concezione della natura e dei fini dell'Ordine, ricordando ad esempio "che non si pigli mai cura dello spirituale assoluta, senza il corporale" (Scritti…, p. 461). Il 12 luglio dettò il suo testamento spirituale e il 14 dello stesso mese morì.
Il C. venne beatificato il 7 aprile 1742 e canonizzato quattro anni dopo, il 29 giugno 1746.
Fonti e Bibl.: I suoi scritti sono editi da M. Vanti, Scritti di s. C. de L., Milano-Roma 1965. Gli atti dei processi di beatificazione sono conservati in Arch. Segr. Vat., Riti 2613-2637;le "posizioni" ed i sommari a stampa alla Bibl. naz. di Parigi, H. 773-780. Si veda inoltre, S. Cicatelli, Vitadelp. C. de L., Viterbo 1615; C. Lenzo, Annal. relig. cler. reg. ministrantium infirmis..., Neapoli 1641; M. Endrizzi, Bibliografia Camilliana, Verona 1910; M. Vanti, S. C. de L. Roma 1929, Id., S. Giacomo degli Incurabili di Roma nel Cinquecento..., Roma 1938; Id., S. C. de L. e i suoi ministri degli infermi, Roma 1957; B. Croce, S. C. de L., in La Critica, XXIX (1931), pp. 310 ss.; Il primo processo per s. Filippo Neri..., a cura di G. Incisa Della Rocchetta-N. Vian, Città del Vaticano 1957-1963, ad nomen; Bibliotheca Sanctorum, III, coll. 707-722.