DI PIETRO, Camillo
Nacque a Roma il 10 genn. 1806 da Domenico e da Faustina Caetani, secondogenito di sette figli.
A partire dalla metà del secolo precedente la famiglia paterna era diventata tra le più in vista della città per potenza economica. Il padre era nipote di Michele Di Pietro, un cardinale fra i consiglieri più ascoltati di Pio VI e figlio di Panfilo, un mercante di campagna che aveva fatto fortuna in epoca rivoluzionaria come fornitore dei Francesi e aveva investito parte dei ricavi in una vivace politica di compravendita dei beni nazionali, che lo avevano reso il più grosso proprietario d'origine borghese dell'Agro romano (su di lui cfr. R. De Felice, La vendita dei beni naz. nella Repubblica Rom. del 1798-99, Roma 1960, pp. 60-63, 75, 93). Intendente, e quindi affittuario generale dei beni di F. Caetani duca di Sermoneta, Panfilo aveva ben simboleggiato lo status d'un ceto in ascesa allorché, nel 1803, aveva ottenuto per il figlio Domenico ia mano di Faustina Caetani, concludendo un matrimonio al quale il nobile, in gravi difficoltà economiche, si era rassegnato pur di "accomodare sino a un certo punto le domestiche faccende" (Alcuni ricordi di M. Caetani..., Milano 1904, p. 13).
Intrapresi gli studi nel Collegio Romano, il D. vi conseguì la laurea in filosofia; passato poi nel Seminario romano, il 30 ag. 1827 ebbe l'onore di sostenere una pubblica disputa "de historia ecclesiastica" davanti a Leone XII, prima manifestazione delle capacità oratorie che nel 1830 lo avrebbero fatto prescegliere come oratore per i funerali di Pio VIII. A quell'epoca il D., che il 10 maggio 1829 si era laureato in diritto canonico e civile, aveva già intrapreso quella carriera prelatizia che si sarebbe sviluppata per un decennio portandolo, attraverso una lunga serie di incarichi, al sacerdozio ed alla porpora: prelato domestico nel 1829, ponente di S. Consulta (1829-32), delegato apostolico prima ad Orvieto (1833) e quindi a Spoleto (1834-35), uditore di S. Rota dal 1835 al 1839. In questo stesso anno, nello spazio di poche settimane tra il maggio e il giugno, fu promosso all'Ordine dei suddiaconi, poi dei diaconi, infine dei preti (conditio sinequa non per passare alla nunziatura di Napoli cui era stato appena destinato); nel luglio fu nominato arcivescovo di Berito inpartibus, e la successiva consacrazione ebbe luogo il 14 luglio del 1839.
Com'era tradizione, la solennità fu ricordata nei versi d'un poeta cortigiano (C. Trucchi, All'eccellenza... don C. D. nel giorno della sua consacrazione..., Roma 1839); ma per comprendere la personalità del D. migliori indicazioni vengono forse dalla feroce invettiva ("ch'hai de pietra er cognome com'er grugno, / botte de furberia scerta in ner mazzo...") che sotto forma di sonetto caudato (Er marignano) gli aveva lanciato contro nel 1831 G. G. Belli, esasperato dallo spirito di sopraffazione con cui il giovane prelato aveva affrontato in una questione d'affari il commediografo G. Giraud. A quanto sembra, però, quello del guadagno non era il solo aspetto della vita mondana che aveva esercitato un istintivo richiamo sul D.: nella Rome des papes, nel capitolo dedicato a "Le clergé et les nonces" (I, Bâle 1859, pp. 100-04), L. Pianciani, che conosceva bene il D. per essergli legato da vincoli di parentela, avrebbe lasciato il ritratto di un giovane monsignore tutto dedito alle avventure galanti, in cui è riconoscibilissima la figura del futuro nunzio che, sorpreso durante un'uscita notturna dal convento in cui si preparava spiritualmente all'ordinazione, sarebbe riuscito a conservare l'incarico già assegnatogli solo per la volontà di Gregorio XVI di evitare le "mille suppositions" e le "interprétations fâcheuses" cui a Napoli il mancato invio avrebbe dato la stura.
A Napoli, ove restò fino al maggio 1844, l'azione diplomatica del D. si snodò nel solco sicuro di quella convenzione del 29 ag. 1839 tra S. Sede e Regno delle Due Sicilie che, frutto dell'abilità di negoziatore di mons. F. Capaccini, aveva assicurato a Roma una posizione di sostanziale privilegio in materia di rapporti tra Stato e Chiesa. Più complessa e meno fortunata negli esiti finali fu invece la successiva missione a Lisbona (1844-1858). Anche, qui il D. era stato preceduto dal Capaccini che, nelle vesti di internunzio, era riuscito, dopo una faticosa trattativa, a riallacciare quelle relazioni che le vicende rivoluzionarie vissute in anni recenti dal Portogallo avevano seriamente compromesso. Il graduale approssimarsi ad una conciliazione, che in due concistori del 1843 aveva indotto Gregorio XVI ad annunziare "il riordinamento delle cose ecclesiastiche di Portogallo" (Moroni, LIV, p. 278), ebbe un seguito nell'attività del D. e culminò nella convenzione del 21 ott. 1848 che poneva fine alla politica giurisdizionalistica di Lisbona e gettava le basi per la riorganizzazione dei seminari e il ritorno tanto dei gesuiti (1853) quanto di altri Ordini religiosi. Dove, invece, l'accordo tardò a venire fu sulla spinosa questione del "padroado", la secolare prerogativa di rappresentanza della S. Sede conferita alla Corona portoghese nei territori asiatici, che il breve Multa praeclare di Gregorio XVI (1838) aveva di fatto e unilateralmente abolito sottraendo tutte le diocesi, tranne quella di Goa, al patronato e affidandole a vicari apostolici che però si erano trovati a dover fronteggiare l'ostilità delle popolazioni e del clero locale. Alla situùzione di grave disordine così determinatasi il D. cercò di porre termine con un concordato che, firmato il 21 genn. 1857, finiva tuttavia per restituire al Portogallo gli antichi diritti, ed era quindi per Roma una vera sconfitta diplomatica la cui portata si poteva ancora cogliere nella risentita lettera con cui il 16 ott. 1858 il segretario di Stato G. Antonelli sollecitava il D. a non prorogare ulteriormente il soggiorno a Lisbona.
Per un antico privilegio della monarchia lusitana, e come conseguenza diretta della trasformazione della sua carica da internunzio a pronunzio con cui la S. Sede aveva inteso sancire il ristabilimento delle buone relazioni con Lisbona (1855), il D. aveva in quel momento già ottenuto la porpora: cardinale in pectore il 19 dic. 1853, pubblicato da Pio IX nel concistoro del 16 giugno 1856, al ritorno a Roma (1859) ebbe il titolo della chiesa di S. Giovanni a Porta Latina.
Dalla lunga permanenza all'estero il D. aveva però riportato in patria, oltre alla fama di raffinato uomo di mondo e di piacevole conversatore, anche il ricordo di una disavventura la cui eco, giunta fino a Roma, gli aveva attribuito nel 1846 una sorta di incidente diplomatico con un addetto militare russo che l'aveva sfidato a duello per una questione sentimentale. In quel frangente il Vaticano aveva incaricato i nunzi a Madrid e a Parigi di svolgere un'inchiesta che naturalmente non aveva appurato nulla di concreto a carico. Il D. però non si sarebbe più scrollato di dosso una certa aura di dissolutezza al punto che, nel 1867, un anonimo abitante di Albano chiedeva al papa di annullare la sua traslazione a quella diocesi ricordandone i "troppo noti precedenti" che a suo dire gli avrebbero impedito di "riprendere il Clero, e punire certi disordini contra sextum" (Arch. segr. Vat., Arch. Pio IX, Oggetti vari, n. 2037). Tutto ciò non poteva non offuscare e rendere precario quell'atteggiamento di relativa apertura verso i problemi del suo tempo che il D. aveva assunto già nel 1848 quando, commentando gli ultimi sviluppi della politica papale, aveva osservato: "Ora che il sistema costituzionale è introdotto credo che bisogni entrarvi di buona fede, e come si deve, altrimenti non so come la cosa anderà a finire" (lettera a S. Urbani, 1° luglio 1848, Roma, Museo centr. del Risorgimento, busta 41/27).
L'aver vissuto per tanti anni in diplomazia aveva conferito al D. una rilevante capacità di mediazione, di ricerca del superamento degli ostacoli anziché della loro esasperazione, e questo all'indomani del 1860 ne fece uno dei pochi elementi del S. Collegio che, pur con qualche ambiguità, sembrava disposto a scendere sul terreno della trattativa per una soluzione della questione romana. C'era stato anzi un periodo, tra il 1859 e il 1860, in cui la Francia aveva visto con favore la prospettiva di una sua successione all'Antonelli, e qualche inviato del Cavour l'aveva indicato come il candidato su cui contare per un eventuale conclave, cosa che invece un consulente dell'ambasciata di Francia a Roma, l'avv. F. Lasagni, aveva ritenuto qualche tempo dopo di poter escludere, in considerazione dello spirito affaristico del porporato, del suo "genre de vie" e delle sue "escapades de jeunesse trop connues" (Weber, Kardin¨åle und Prälaten..., II, p. 653). Il D. dal canto suo, mentre si mostrava disposto ad assecondare questi progetti, si muoveva con gran cautela e per il momento si accontentava di sostituire l'Antonelli, il quale non pareva troppo preoccupato della sua ascesa, alla presidenza del Consiglio di Stato (1860-63). Tra i due, in effetti, c'era dal punto di vista politico minore distanza di quanto si potesse credere.
Infatti nel 1863 si trovarono entrambi esposti all'attacco portato dai fautori dell'intransigente card. de Merode attraverso le provocatone rivelazioni di C. Vaccari Diotallevi: l'Antonelli come protettore di uno dei capi del cosiddetto "partito piemontese", il D. come "addetto" allo stesso (R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa…, p. 400). Con qualche differenza sul piano dello stile - il D. amava atteggiarsi a gran signore che disponeva con prodigalità della sua sostanza, ma al contempo non disdegnava il contatto con gli umili che gli consentiva di far mostra di una sua bonaria semplicità -, ambedue erano accreditati da osservatori non parziali di un'eccessiva inclinazione al godimento dei beni materiali e di una certa noncuranza per l'aspetto pastorale della propria carica. Il liberalismo del D. poteva dunque essere giudicato, oltre che come una sincera aspirazione alla fine del contrasto con l'Italia appena unificata, come il mezzo prescelto per trovare altrove un sostegno alle proprie ambizioni di potere, che erano forti ma che non potevano costituire, come per l'Antonelli, la sola ragione di vita.
Dopo una pausa imposta dal coinvolgimento nella sorda lotta tra l'Antonelli e il de Merode, tali ambizioni si ridestarono sul finire del 1866 quando B. Ricasoli, allora capo del governo, spedì a Roma, quasi in parallelo con la missione ufficiale di M. Tonello, la sua amica inglese F. Macknight, incaricandola di compiere sondaggi informali per l'avvio di una trattativa.
In una serie di lunghi colloqui col D. la Macknight si rese conto di avere di fronte "un uomo probo e sincero fino all'eccesso" (Carteggi Ricasoli, XXIV, p. 588), che desiderava fortemente l'accordo tra la S. Sede e l'Italia ma che, per "troppa ed eccessiva prudenza" (ibid., p. 584), preferiva non mettersi "in opposizione dichiarata" e si limitava a qualche consiglio sul modo migliore con cui affrontare la questione non senza, tuttavia, sottolineare come tutto si sarebbe potuto risolvere per il meglio se al posto dell'Antonelli ci fosse stato lui (ibid., p. 583). Ad ogni modo anche al suo possibilismo una cosa appariva chiara sin da allora, ed era che qualunque progetto per la libertà della Chiesa in uno Stato laico sarebbe naufragato se non avesse assicurato "un resto, solo un resto, un brano di potere temporale al papa" (ibid., XXV, p. 169).
Fedele alla sua immagine di cardinale liberaleggiante, il D. fu tra i primi ecclesiastici ad accettare contatti e scambi di idee con le autorità italiane dopo il 1870 nella speranza di arrivare rapidamente e senza troppi traumi a definire un modus vivendi fondato se non sui principî almeno "sopra questioni di fatto" (Carte di G. Lanza, VI, p. 239), quali la difesa della religione dagli eccessi del giornalismo radicale ed il controllo dello Stato sull'istruzione pubblica, anche se non mancava chi lo assegnava a quel partito di cardinali "ostile ancora ad una conciliazione ma in opposizione sistematica ai Gesuiti ed all'Antonelli" (Docc. dipl. ital., s. 2, III, p. 331).
Con il trasferimento alla diocesi di Porto e S. Rufina (12 marzo 1877) e poi a quella di Ostia e Velletri (15 luglio 1878) il D. arrivò a realizzare enormi guadagni - secondo R. De Cesare le sue entrate annue ammontavano a circa 100.000 lire - che però, venuto meno da anni il patrimonio familiare, non bastavano a sollevarlo dai debiti contratti un po' per la sua vecchia "mania di costruire, cambiare, comprare e vendere tanto una villa ed una tenuta quanto la merce accatastata sul baroccino di un robivecchi" (Pesci, I primi anni di Roma capitale, p. 41), un po' per quella inclinazione alla generosità che lo aveva reso tanto popolare a Roma. Alla morte di Pio IX fu lui che, presiedendo come sottodecano alla congregazione preparatoria dell'elezione del nuovo papa, riuscì con un vigoroso intervento a battere l'opinione di quanti volevano portare il conclave fuori d'Italia col motivo che esso non si sarebbe potuto svolgere in quelle condizioni di libertà e sicurezza che invece i ministri P. S. Mancini e F. Crispi avevano garantito al D. di persona. Quanto alla votazione, qualcuno vide in lui il "grande elettore" di V. G. Pecci, mentre altri, forse meno plausibilmente, lo dissero non solo estraneo ma addirittura contrario all'elezione del futuro Leone XIII. Questi, in uno dei primi atti del suo pontificato, lo nominò camerlengo (28 marzo 1878) e inizialmente si avvalse dei suoi frequenti consigli ma, come annota il De Cesare, "poi cessò la frequenza, poi cessarono i consigli" (Weber, Quellen und Studien..., p. 345). Andava così delusa la speranza di chi, come M. Caetani duca di Sermoneta, cugino del D., aveva scorto in quel gesto la prova che Leone XIII intendesse "favorire i moderati e i prudenti" (Epistolario, Firenze 1902, I, p. 246) e quindi aprire la via a una pacificazione.
Il D. morì a Roma il 6 marzo 1884, pochi giorni dopo aver rivolto a nome del S. Collegio un indirizzo di felicitazione al papa nel sesto anniversario dell'incoronazione.
Fonti e Bibl.: I dispacci delle due nunziature del D. sono conservati in Arch. segr. Vaticano, Segret. di Stato, Rubrica 252, buste 469-471, e Rubrica 250, anni 1844-1858. Pure Ibid., Spogli dei cardinali, sono custodite 7 buste di carte del D. contenenti documenti relativi al patrimonio familiare e alle liti coi Caetani per la divisione dei beni della famiglia materna, nonché materiale d'ufficio dei tempi in cui il D. aveva presieduto il Consiglio di Stato e il tribunale della Segnatura. Tra le fonti edite si segnalano qui T. Azzocchi, Descrizione della disputa tenuta in S. Apollinare il 30 ag. 1827, s. l. n. d. [Roma 1827]; G. Moroni, Diz. d'erudiz. st-ecclesiast. (per la consultazione si veda il vol. V dell'Indice gen. alfabetico, p. 223); Diario del principe d. Agostino Chigi dal 1830 al 1855, Tolentino 1906, ad Indicem; W. Maturi, La convenz. del 29 ag. 1839 tra la S. Sede e il Regno delle Due Sicilie secondo docc. dell'Arch. Vaticano, in Arch. stor. per le provv. napolet., n. s., XXXIV (1953-54), pp. 353, 369; G. G. Belli, I sonetti, a cura di M. T. Lanza, Milano 1965, I, p. 214; E. Brazão, Relações diplom. de Portugal com a Santa Sé. Um ano dramático (1848), Lisboa 1968, adIndicem; N. Roncalli, Cronaca di Roma 1844-1870, a cura di M. L. Trebiliani, I (1844-1848), Roma 1972, ad Indicem; E. Brazão, Portugal e a Santa Sé, Lisboa 1976, ad Indicem. Più numerosi i riferimenti al D. nelle raccolte documentarie relative al periodo 1858-1878. In partic. Quirinus [I. von Dollinger], Lettersfrom Rome on the Council, London 1870, pp. 170, 202, 562 s.; L. Thouvenel, Le secret de l'Empereur, Paris 1889, ad Indicem; Le carte di G. Lanza, a cura di C. M. De Vecchi di Val Cismon, Torino 1936-41, XI, ad Indicem; P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, II, La Questione romana 1856-1864, Roma 1951, ad Indicem; Docc. diplom. ital., s. 1 (1861-1870), I, Roma 1952, ad Indicem; XIII, Roma 1963, ad Indicem; s. 2 (1870-1896), I-III, Roma 1960-69, ad Indicem; Carteggi di Cavour. Indice gen. dei primi 15 voll., a cura di C. Pischedda, Bologna 1961, ad nomen; The RomanQuestion. Extracts from the Despatches of Odo Russell from Rome, 1858-1870, a cura di N. Blakiston, London 1962, ad Indicem; N. Miko, Das Ende des Kirchenstaates, Wien-München 1964-1970, IV, ad Indicem; Carteggi di B. Ricasoli, voll. XXIV-XXV, a cura di S. Camerani-G. Arfé, Roma 1970-72, passim; G. Manfroni, Sulla soglia del Vaticano 1860-1901, Milano 1971, ad Indicem; E. Perodi, Roma italiana 1870-905, Roma 1980, ad Indicem. Una breve biografia del D. in Enc. cattolica, IV, ad nomen; per i dati sulla sua carriera ecclesiastica si veda R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica Medii et Recentioris Aevi, VII-VIII, Patavii 1968-69, ad Indicem. Una ricca documentaz. è utilizzata e riprodotta da C. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates..., Stuttgart 1978, ad Indicem; lo stesso studioso, nel volume Quellen und Studien zur Kurie und zur Vatikan. Politik unter Leo XIII, Tübingen 1973, ad Indicem, ripubblica il commosso articolo che al D. aveva dedicato il giornalista e studioso R. De Cesare, del quale si vedano pure Dal conclave di Leone XIII all'ultimo concistoro..., Città di Castello 1899, pp. V, 23, 26, 102, 106, 166-70, 193-96, 201-04, 209, 228, 273, 287, 303 s., 307, 311 s., 314 s., 317, 321, 341, e Roma e lo Stato del papa. Dal ritorno di Pio IX al XX settembre (1850-1870), Roma 1975, pp. 80, 400, 503, 657; altro breve ritratto è quello tracciato da U. Pesci, I primi anni di Roma capitale 1870-1878, Roma 1971, pp. 41 s. Per i problemi della nunziatura in Portogallo si vedano Portogallo e Italia, V, Roma lusitana, Milano 1926, pp. 287, 354; J. de Castro, Portugal em Roma, Lisboa 1939, II, pp. 291 s.; R. Aubert, Il Pontificato di Pio IX (1846-1878), Torino 1964, p. 284; A. da Silva Rego, Le patronage portugais de l'Orient. Aperfu histor., Lisboa 1967, pp. 166-220; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, ad Indicem; H. Jedin, Storia della Chiesa, VIII, Milano 1975, I, p. 230; 2, pp. 281, 317. Sul ruolo del D. nel conclave del 1878 si veda E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, Milano 1932-33, ad Indicem.