GOLGI, Camillo
Terzogenito di quattro figli, nacque a Corteno (dal 1956 Corteno Golgi), nel Bresciano, il 7 luglio 1843. Il padre Alessandro, che aveva sposato la cugina Carolina Golgi, era medico condotto a Corteno; in seguito trasferì la famiglia a Pavia ed esercitò la professione prima nella Pia Casa degli incurabili di Abbiategrasso, poi nella condotta medica di Cava Manara, borgo alle porte del capoluogo. Il G. frequentò le scuole secondarie nell'imperial regio ginnasio liceale di Pavia (oggi liceo Ugo Foscolo), distinguendosi negli studi e manifestando sentimenti antiaustriaci e ideali patriottici, tanto da incorrere in un periodo di sospensione dalla scuola. Alla fine del 1860 si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Pavia, uno tra i più antichi e prestigiosi atenei italiani, in cui confluiva la maggior parte degli studenti lombardi, ricco di tradizioni e aperto al nuovo.
Durante gli anni universitari il G. frequentò assiduamente le lezioni, i laboratori, i reparti ospedalieri, acquisendo una solida e completa formazione di base; in particolare, seguì i corsi di S. Tommasi, di B. Panizza e di E. Oehl, dal quale apprese le tecniche di ricerca microscopica. Subì l'influenza del clima culturale del positivismo evoluzionistico e materialistico, specialmente diffuso in ambito medico, di cui a Pavia si faceva promotore C. Lombroso, titolare dell'insegnamento di clinica delle malattie nervose e mentali. Il G. prese a frequentare il reparto del Lombroso, in cui si compivano ricerche tese a ridurre la psichiatria a neuropatologia e antropologia, e con lui si laureò nel 1865 discutendo una tesi sull'eziologia delle malattie mentali.
Dopo un breve periodo trascorso come medico militare, cominciò a lavorare in qualità di assistente ospedaliero al S. Matteo di Pavia nella clinica psichiatrica di Lombroso, ove sviluppò la sua tesi di laurea, fino a pubblicare un ottimo lavoro (Sull'eziologia delle alienazioni mentali in rapporto alla prognosi e alla cura, in Annali universali di medicina, CCVII [1869], pp. 564-632, e in Opera omnia, III, pp. 741-795) in cui, utilizzando una vasta casistica raccolta nell'ospedale, cercò di stabilire i rapporti tra la malattia mentale e una serie di fattori (ereditari, ambientali, patologici e "morali") che possono esserle eziologicamente collegati.
Ma il sodalizio col Lombroso s'interruppe, principalmente a causa del modo disinvolto di quest'ultimo di praticare il "metodo sperimentale", malgrado le affermazioni di principio.
Nella concezione del G. la ricerca scientifica deve fondarsi - secondo una impostazione che definiremmo oggi "induttivistica" - su un'ampia, sistematica e rigorosa osservazione e descrizione di fatti "bene accertati" e, a partire da questi, su caute e ponderate generalizzazioni (le corrette "ipotesi di lavoro"), e non deve invece lasciare spazio, come frequentemente accadeva al Lombroso, a ipotesi "ardite", "speculative", prive di base empirica. Questo presupposto metodologico "induttivistico", al quale fa continuo riferimento lungo tutto il corso della sua attività di ricerca, aiuta allora a comprendere il successivo orientamento del G. verso la neuroistologia piuttosto che verso la psichiatria, poiché la prima gli appariva come un campo di studi dominato più dai "fatti" che dalle "ipotesi", e perciò potenzialmente più idoneo a svelare la causa della malattia mentale, riconducibile per lui in ultima analisi ad alterazioni anatomiche del sistema nervoso. Rende inoltre comprensibile l'esaltazione e l'apologia più volte espressa del "pensiero anatomico", che poneva la conoscenza morfologica macro e microscopica alla base di ogni interpretazione fisiologica e di ogni progresso delle scienze biomediche, in contrasto con l'acquisita autonomia della fisiologia rispetto all'anatomia, sancita alla metà del secolo da Claude Bernard.
Distaccatosi dal Lombroso, il G. cominciò a frequentare il laboratorio diretto dal giovane G. Bizzozero, titolare della cattedra di patologia generale (già allievo a Pavia di P. Mantegazza e di Oehl), col quale strinse una solida amicizia e del quale sposerà nel 1877 la nipote ex sorore Evangelina (Lina) Aletti. Il Bizzozero si era posto in contatto con gli studiosi tedeschi all'avanguardia nelle indagini microscopiche (e in particolare con R. Virchow) e aveva rinnovato l'anatomia patologica e la fisiopatologia nell'Università di Pavia. Con la guida dell'amico e maestro il G. rivolse il suo interesse verso la ricerca anatomo-microscopica e iniziò a sperimentare varie sostanze caratterizzate dalla proprietà di indurire e colorare i tessuti. Giunse così a pubblicare i primi lavori di anatomia patologica e di istologia del sistema nervoso, che furono bene accolti, anche in campo internazionale; specialmente apprezzato fu il lavoro sulla nevroglia (Sulla sostanza connettiva del cervello, in R. Istituto lombardo di scienze e lettere. Rendiconti, III [1870], pp. 275-277, e in Opera omnia, I, pp. 1-4), nel quale dimostrò che il tessuto interstiziale gliale non è composto, come ritenuto da alcuni autori, da una sostanza "amorfa", ma da cellule di forma arrotondata o lenticolare o stellare, comunque distinte dagli elementi più propriamente nervosi. Grazie a questi studi, la facoltà medica gli affidò nel 1871, come docente privato e a titolo gratuito, l'incarico dell'insegnamento di microscopia clinica.
La precaria situazione economica, tuttavia, lo spinse a partecipare al concorso per il posto di primario medico-chirurgo della Pia Casa degli incurabili di Abbiategrasso. Risultato vincitore, il 1º giugno 1872 iniziò la nuova attività che lo tenne lontano dai centri di ricerca pavesi; ma il G. non tradì la sua vocazione e riuscì a impiantare nel complesso ospedaliero che ospitava malati cronici un piccolo laboratorio di indagini istologiche. E fu qui che, nel 1873, compì la rivoluzionaria scoperta del metodo microscopico di colorazione dei tessuti nervosi chiamato della "reazione nera" o "reazione cromoargentica".
Dopo la vigorosa ripresa, nella prima metà dell'Ottocento, delle ricerche microscopiche e la formulazione della teoria cellulare, anche per il sistema nervoso aveva avuto inizio una fase di approfondite indagini istologiche. I progressi compiuti furono strettamente legati allo sviluppo degli strumenti e delle tecniche d'osservazione microscopica: non solo, infatti, si ebbero a disposizione microscopi sempre più potenti e perfezionati, dotati di maggior potere di definizione e risoluzione, ma anche si misero a punto e si affinarono tecniche sempre più adeguate di preparazione del materiale da osservare. Tra esse, in particolare, acquistarono una grande importanza i metodi di colorazione, dovuti ai progressi dell'industria chimica dei coloranti.
Un iniziale passo avanti fu compiuto con l'impiego dei primi metodi di colorazione al carminio e all'ematossilina, che permisero di osservare e distinguere alcuni corpi cellulari e filamenti nervosi. Con l'aiuto di tali metodi, Joseph von Gerlach cominciò a elaborare alla fine degli anni Sessanta la teoria della "rete protoplasmatica", secondo la quale negli organi nervosi centrali i prolungamenti protoplasmatici, suddividendosi e anastomizzandosi con quelli delle cellule vicine, formerebbero una rete, a cui si collegherebbero in modo continuo le fibre nervose. Vi sarebbe dunque una struttura reticolare complessa, composta di filamenti non tutti bene identificati ma prevalentemente provenienti dai prolungamenti protoplasmatici, interposta tra cellule e fibre nervose. Solo le fibre nervose motorie deriverebbero direttamente dai corpi cellulari.
La teoria della "rete protoplasmatica" di Gerlach era il frutto più maturo ed elaborato di un'idea sulla struttura del sistema nervoso che si era affermata negli anni Cinquanta in contrasto con la dottrina cellulare e che sarebbe stata prevalente fino alla fine degli anni Ottanta, secondo la quale, dal punto di vista morfologico, il sistema nervoso e il cervello in particolare sarebbero costituiti da una struttura reticolare. Le osservazioni microscopiche dell'epoca, infatti, inducevano a ritenere il tessuto nervoso non formato da un insieme di tante unità cellulari distinte, analogamente agli altri organi e in accordo con la teoria cellulare di M. Schleiden e T. Schwann, bensì costituito, specialmente il cervello, da un'intricata matassa di fili, all'interno della quale si potevano distinguere dei corpi cellulari. Si affermò allora l'idea che il carattere proprio del substratum (o dell'organo) della mente fosse la sua struttura a forma di rete, che si accordava bene sia con l'interpretazione fisiologica che considerava l'asse cerebro-spinale come sistema addetto alla trasmissione di un impulso nervoso di natura elettrica, sia con la dottrina "unitaristica", allora dominante, di M.-J.-P. Flourens contraria alle localizzazioni cerebrali.
La teoria cellulare pareva dunque presentare un'eccezione per quanto riguarda il sistema nervoso, la cui componente di base non sarebbe tanto la cellula quanto la fibra: secondo immagini allora ricorrenti, esso sarebbe formato da "strade", da "binari", da "fili elettrici", lungo i quali si troverebbero le cellule come tante "stazioni di passaggio" o come "pali telegrafici". In tal modo, il presupposto atomistico-riduzionistico che sottendeva la teoria cellulare - secondo il quale ogni organo del corpo è formato da un gruppo discreto di cellule specifiche e manifesta funzioni e processi morbosi che sono la somma delle funzioni e alterazioni delle singole cellule - si rovesciava in un'assunzione di carattere olistico, per la quale il neurasse era considerato come una struttura continua e le sue funzioni come il risultato dell'attività di tutto un insieme complesso, come un'azione collettiva.
Quando il G., alla fine degli anni Sessanta, iniziò le sue ricerche di neuroistologia, si trovò dunque di fronte un quadro concettuale dominato dall'idea di "rete nervosa" e dalla teoria del Gerlach. Egli comprese che, per compiere sostanziali progressi, occorreva perfezionare i metodi d'indagine istologica e in particolare le tecniche di colorazione. Animato da tale convinzione, proseguendo nei tentativi già iniziati a Pavia negli anni precedenti, riuscì a mettere a punto nell'ospizio di Abbiategrasso quell'importante metodo di ricerca microscopica che avrebbe permesso di fare un enorme passo avanti nella conoscenza della "fina struttura" del sistema nervoso e che si sarebbe rivelato una vera pietra miliare.
Dopo averlo anticipato in una lettera del 16 febbr. 1873 all'amico e collega N. Manfredi, il G. dette notizia del suo nuovo metodo nell'articolo Sulla struttura della sostanza grigia del cervello (in Gazzetta medica italiana - Lombardia, XXXIII [1873], pp. 244-246, e in Opera omnia, I, pp. 91-98), nel quale illustrava anche i primi risultati ottenuti grazie al suo impiego. La tecnica consisteva nella "fissazione" di tessuto nervoso con bicromato di potassio e nella sua "impregnazione" con nitrato d'argento: si otteneva in tal modo un preparato che al microscopio rivelava, colorate in nero e perfettamente nitide, tutte le strutture della cellula nervosa, con una chiara visualizzazione dei contorni cellulari e dello sviluppo dei prolungamenti. Fino ad allora le cellule nervose erano state osservate mediante le tecniche di colorazione al carminio o all'ematossilina, con le quali, però, non era possibile distinguere bene i numerosi filamenti. Il metodo del G. mostrava invece, con estrema chiarezza, tutta la conformazione della cellula nervosa, con l'estensione e la ramificazione dei prolungamenti nervoso e protoplasmatici, osservabili nel loro percorso fino a grandi distanze.
Occorre ribadire, a questo punto, che la scoperta del cruciale metodo della "reazione nera" (che fu superato, per certi aspetti, solo negli anni Cinquanta del Novecento con l'introduzione del microscopio elettronico) non può essere considerata in alcun modo un evento fortuito, frutto del caso, effetto di imprevedibili e accidentali circostanze favorevoli, così come sostenne l'istologo spagnolo Santiago Ramón y Cajal nella sua polemica col G. e come hanno interpretato alcuni storici. Si può invece dimostrare che la messa a punto di tale metodo, risultato di una lunga e paziente ricerca, già iniziata a Pavia, che mirava proprio a migliorare le tecniche d'indagine microscopica, è il frutto di precise scelte consapevoli, rischiose e faticose.
A partire dal 1873, il G. si trovò dunque a disporre di un potente strumento d'indagine e davanti a sé un enorme campo da esplorare; e cominciò a intraprendere, nel tempo libero dagli impegni clinici e assistenziali, un intenso lavoro di ricerca istologica applicando sistematicamente il suo metodo, a cui apportò continui miglioramenti. Già nell'articolo del 1873 fu in grado di comunicare alcuni importanti risultati: da un punto di vista morfologico, è possibile distinguere bene nella cellula nervosa il prolungamento nervoso (o assone, termine introdotto solo nel 1896 da R.A. von Kölliker) dai prolungamenti protoplasmatici o dendriti, come sarebbero stati chiamati nel 1889 da W. His; non sempre il prolungamento nervoso rimane "semplice", ma spesso emette rami collaterali, contrariamente all'opinione di O. Deiters; non tutti i prolungamenti nervosi entrano nella costituzione di una fibra nervosa, ma molti si ramificano subito a breve distanza dall'origine, formando un complesso intrico di filamenti; diversamente dall'ipotesi del Gerlach, i prolungamenti protoplasmatici terminano "liberi" e non formano una "rete protoplasmatica" da cui avrebbero origine le fibre nervose; vi è una probabile anastomosi tra filamenti di prolungamenti nervosi provenienti da cellule diverse (getta in tal modo le basi della futura teoria della "rete nervosa diffusa"). Negli anni passati ad Abbiategrasso tra il 1873 e il 1875 il G. pubblicò anche due notevoli lavori sul cervelletto e sui bulbi olfattori (Sulla fina anatomia del cervelletto umano, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, VII [1874], pp. 69-72, e in Opera omnia, I, pp. 99-111; Sulla fina struttura dei bulbi olfattorii, in Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale, I [1875], pp. 403-425, e in Opera omnia, I, pp. 113-132), nei quali trovarono conferma molte delle sue precedenti osservazioni.
Con queste prime pubblicazioni il G. vide aumentare la sua reputazione e tentò di rientrare in un ruolo universitario. Alla fine del 1875 riuscì a ottenere a Pavia l'incarico dell'insegnamento di istologia, che tuttavia tenne per breve tempo, poiché già nel 1876 vinse il concorso per professore ordinario di anatomia all'Università di Siena, dove prese servizio a maggio dello stesso anno. Nel frattempo, mentre il Bizzozero, già da tre anni professore a Torino, tentava di farlo trasferire in quell'Università, la facoltà medica di Pavia lo chiamò alla cattedra di istologia a partire dal 1° nov. 1876. Nel 1879 fu incaricato anche dell'insegnamento, resosi vacante, di patologia generale, finché nel 1881 ottenne la cattedra di tale disciplina, tenendo per incarico quella di istologia fino alla collocazione a riposo, nel 1918. Con il ritorno a Pavia, assunse pure la direzione dell'istituto e del laboratorio di patologia generale situato nell'orto botanico, il quale, benché povero di mezzi, acquisì una fama progressivamente crescente in Italia e in Europa. In esso lavorarono numerosi suoi allievi e collaboratori, autori di significative scoperte, e vi trascorsero un periodo di studi anche scienziati stranieri, tra cui l'americano H.H. Donaldson, il norvegese F. Nansen e il rumeno G. Marinesco.
Stabilitosi a Pavia, il G. riprese con vigore le ricerche istologiche sul sistema nervoso e, tra le altre strutture, fermò l'attenzione sulle terminazioni nervose sensitive dei tendini, allo scopo di chiarire il problema fisiologico della sensibilità tendinea e muscolare a partire da dati anatomici. Riuscì a mettere in luce le modalità di terminazione dei nervi nei tendini, scoprendo due tipi di corpuscoli caratteristici: gli "organi nervosi terminali muscolo-tendinei", che mise in rapporto con la sensibilità della tensione muscolare, e i "corpuscoli di Golgi-Mazzoni" (così chiamati dopo ulteriori approfondimenti di V. Mazzoni nel 1891), simili ai corpuscoli di Pacini, connessi alla sensibilità barestesica (scoperte enunciate in due articoli del 1878 e ricapitolate nel lavoro Sui nervi dei tendini dell'uomo e di altri vertebrati e di un nuovo organo nervoso terminale muscolo-tendineo, in Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, XXXII [1880], pp. 359-386, e in Opera omnia, I, pp. 171-198). A questi studi sono collegate le ricerche sull'istologia dei nervi volontari, che lo condussero a fornire una delle prime descrizioni dei fusi neuro-muscolari (Annotazioni intorno alla struttura normale e patologica dei nervi volontari, in Archivio per le scienze mediche, V [1881], pp. 194-236, e in Opera omnia, I, pp. 199-234). Con tali lavori e scoperte, il G. recò un contributo di primaria importanza allo studio delle basi istologiche della sensibilità propriocettiva.
In collaborazione con l'allievo R. Rezzonico studiò inoltre la struttura istologica dalla mielina, che gli apparve sotto l'aspetto di una catena di imbuti conici inseriti l'uno nell'altro, all'interno dei quali passa la fibra nervosa (Sulla struttura delle fibre nervose midollate periferiche e centrali, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XII [1879], pp. 926-934, e in Opera omnia, I, pp. 149-170). La scoperta suscitò perplessità e critiche, finché non fu accolta da L. Ranvier nel suo famoso Traité technique d'histologie (1875-86).
Oltre al sistema nervoso periferico, l'interesse del G. in questi anni si volse anche, e in modo prevalente, al sistema nervoso centrale. In particolare in tre articoli (Sulla origine centrale dei nervi, in Giornale internazionale delle scienze mediche, III [1881], pp. 225-234, e in Opera omnia, I, pp. 243-249; Studii istologici sul midollo spinale, in Archivio italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali, XVIII [1881], pp. 155-165, e in Opera omnia, I, pp. 235-242; Origine del tractus olfactorius e struttura dei lobi olfattorii dell'uomo e di altri mammiferi, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XV [1882], pp. 216-224, e in Opera omnia, I, pp. 251-260), confermò e mise meglio a punto alcuni risultati già ottenuti nei lavori precedenti; tra questi, nello studio sul midollo spinale pose in luce l'esistenza dei rami collaterali nelle fibre nervose dei cordoni midollari, scoperta questa che, annunciata dal Cajal come propria nel 1890 (poiché ignorava l'articolo del G.), dette l'avvio a una polemica tra i due studiosi che oltrepassò la questione della sua priorità e mise a confronto due differenti teorie anatomo-fisiologiche.
Nel frattempo il G. assemblò l'insieme dei risultati raggiunti sull'istologia del sistema nervoso centrale in un grande lavoro di sintesi, Studj sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso, presentato al R. Istituto lombardo di scienze e lettere per il concorso del premio Fossati del 1880 (che egli vinse). La memoria, che comprende le più importanti scoperte e teorie anatomo-fisiologiche del G. e che costituisce uno dei maggiori contributi alla conoscenza del sistema nervoso nel XIX secolo, fu pubblicata in sette puntate dal 1882 al 1885 sulla Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale (VIII [1882], pp. 165-195, 361-391; IX [1883], pp. 1-17, 161-192, 385-402; XI [1885], pp. 72-123, 193-220, e in Opera omnia, I, pp. 295-394, II, pp. 397-536), fu poi raccolta in un unico volume (stampato nel 1884 e, ampliato, nel 1885 dalla tipografia S. Calderini di Reggio Emilia) e infine pubblicata e diffusa dall'editore Hoepli di Milano, nel 1886, con il titolo Sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. Questo lavoro, che riprende anche suoi studi precedenti, descrive la "fina anatomia" delle circonvoluzioni centrale anteriore e occipitale superiore della corteccia cerebrale (strutture alle quali ricerche contemporanee avevano attribuito, rispettivamente, funzioni motorie e sensoriali), del cervelletto, del piede d'ippocampo, del corpo calloso, dei lobi olfattori. Inoltre, dopo un primo capitolo di carattere generale sulla cellula nervosa, contiene un capitolo sulla nevroglia e uno sui metodi di impregnazione metallica derivati dalla "reazione nera", ed è corredato da 24 pregevoli tavole che raffigurano vari tipi di cellule nervose. Il libro, arricchito da altri studi e per interessamento di R.A. von Kölliker, fu poi tradotto e pubblicato, in edizione ampliata, in tedesco: Untersuchungen über den feineren Bau des centralen und peripheren Nervensystem, Jena 1894.
Sull'istologia del sistema nervoso, prima delle ricerche del G., si avevano idee vaghe e imprecise, e rimanevano aperti e insoluti molti problemi. In particolare, si dovevano ancora definire con precisione le caratteristiche morfologiche della cellula nervosa con tutti i suoi prolungamenti; descrivere, classificare e ordinare le varie specie di cellule nervose nelle diverse parti del neurasse e specialmente nella corteccia cerebrale (e nell'affrontare questo problema il G. è tra i primi a fondare la "citoarchitettonica" del sistema nervoso); determinare i rapporti tra cellule e fibre nervose, che apparivano come due strutture distinte; individuare le possibili connessioni tra prolungamenti di cellule diverse; studiare i rapporti tra la morfologia cellulare delle varie aree del cervello e le loro specifiche funzioni. Il G. affrontò tutti questi problemi con il suo nuovo metodo d'indagine microscopica e conseguì notevoli risultati, per lo più esposti nel libro del 1886, che si possono riassumere in alcuni punti.
Pervenne a una descrizione completa e precisa della cellula nervosa, distinguendo bene dal punto di vista morfologico il prolungamento nervoso dai prolungamenti protoplasmatici. Prima delle sue ricerche la distinzione tra assoni e dendriti non era sempre molto chiara, e alcuni scienziati pensavano a classi di cellule dotate di due o più prolungamenti nervosi. Il G. invece asserì e dimostrò come "legge" generale che tutte le cellule nervose, mentre possono avere diversi prolungamenti protoplasmatici, hanno un solo prolungamento nervoso, che può emettere rami collaterali (i quali a loro volta si ramificano ulteriormente), contro l'opinione precedente che lo considerava privo di ramificazioni.
Offrì una significativa classificazione delle cellule nervose in base alla struttura del loro prolungamento nervoso, distinguendo cellule di "primo tipo" il cui prolungamento nervoso, pur emettendo rami collaterali, conserva la propria individualità ed entra nella costituzione di una fibra nervosa; e cellule di "secondo tipo", il cui prolungamento nervoso poco dopo la sua origine si suddivide in una miriade di rami, formando un complesso intreccio che si espande nello spazio circostante. Dimostrò in modo inequivocabile, pertanto, che gran parte dei prolungamenti nervosi non partecipa alla costituzione di una fibra, come pensava il Deiters, bensì si ramifica ripetutamente nella sostanza grigia formando un fitto intrico. Avanzò anche l'ipotesi che le cellule del "primo tipo" abbiano una funzione motoria e quelle del "secondo tipo" una funzione sensoriale.
Fornì una classificazione morfologica delle fibre nervose, le quali prima che si affermasse la teoria del neurone erano considerate come entità diverse dalle cellule nervose. Anche in questo caso distinse come fibre di "prima categoria" quelle che, pur emettendo rami collaterali, sono costituite dai prolungamenti nervosi provenienti da cellule nervose; e come fibre di "seconda categoria" quelle che all'interno della sostanza grigia si suddividono in un'infinità di rami e che non sembrano avere un rapporto diretto con un corpo cellulare. Analogamente alle cellule, per le prime ipotizzò una funzione motoria e per le seconde una funzione sensoriale.
Dimostrò che i prolungamenti protoplasmatici, dopo essersi ramificati, terminano "liberi", cioè non vanno a formare una "rete" anastomizzandosi con i dendriti di altre cellule, così come sosteneva la teoria allora molto accreditata del Gerlach; e il G. sottolineò più volte l'importanza di questa scoperta per giungere a capire le "vere" caratteristiche strutturali del tessuto nervoso. I dendriti, perciò, non svolgerebbero alcun ruolo nella conduzione dell'impulso nervoso, ma potrebbero essere implicati - secondo l'ipotesi da lui avanzata e in seguito aspramente criticata dal Cajal - nella nutrizione della cellula nervosa.
Sulla base delle osservazioni compiute, prospettò una propria teoria anatomo-fisiologica del sistema nervoso, in sostituzione di quella del Gerlach: l'esistenza nella sostanza grigia di una intricatissima, fine e fitta rete di filamenti nervosi, che chiamò "rete nervosa diffusa", alla cui formazione concorrerebbero i rami collaterali (più volte ramificati) degli assoni delle cellule di "primo tipo", tutto il prolungamento nervoso delle cellule di "secondo tipo", i rami collaterali delle fibre nervose della "prima categoria", tutto l'intrico dei rami in cui si dividono, nella sostanza grigia, le fibre della "seconda categoria".
Questa struttura, che ha origine dai prolungamenti nervosi ed è perciò essenzialmente diversa da quella ipotizzata dal Gerlach, e che si estende per tutta la sostanza grigia della corteccia cerebrale, del cervelletto e del midollo spinale, apparì ai suoi occhi come l'organo principale del sistema nervoso, quello da cui partono e a cui arrivano le fibre nervose, quello che collega tra loro anatomicamente e funzionalmente le cellule di diverse regioni. La "rete nervosa diffusa" è quindi la struttura che trasmette in ogni direzione, attraverso un insieme esteso di maglie, l'impulso nervoso, che così può raggiungere diverse aree cellulari nel cervello e varie fibre nervose. Perciò essa costituisce un intermediario tra parti diverse dell'asse cerebro-spinale, collegando gli organi periferici di moto e di senso con estese aree cellulari della corteccia, e le varie aree cerebrali tra loro.
Il G. ritenne che, con tutta probabilità, si trattasse di una "rete" nel senso proprio della parola, ammettendo cioè l'esistenza di anastomosi tra filamenti nervosi provenienti da cellule diverse. Tuttavia, in mancanza di elementi morfologici certi a sostegno di tale interpretazione, ammise anche la possibilità (e questo prima che venisse formulata la teoria del neurone) dell'esistenza solo di un "intreccio" di filamenti, cioè privi di anastomosi tra loro. In ogni caso, sia che si tratti di una vera e propria rete, sia solamente di un intreccio, sostenne l'esistenza di questa struttura reticolare come un fatto certo e non come una semplice ipotesi.
Partendo da tale acquisizione morfologica, il G. affrontò anche il problema delle localizzazioni cerebrali e prospettò una soluzione di tipo "unitaristico" e "globalistico". Negli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento, questo problema si era posto al centro dell'attenzione e del dibattito dei neurologi. Infatti, dopo che nel 1870 G. Fritsch ed E. Hitzig avevano dimostrato che alla corteccia cerebrale sono collegate funzioni motorie, era iniziata quella che è stata chiamata "l'età d'oro delle localizzazioni cerebrali", cioè un periodo in cui fisiologi, clinici e anatomo-patologi tentavano di localizzare nella corteccia circoscritte aree preposte a singole e specifiche funzioni motorie, sensoriali e, più in generale, "psichiche".
Il G., che era intervenuto in modo specifico su tale questione nel 1882 (con il saggio Una parola dell'anatomia a proposito di una questione di fisiologia e di clinica, in Gazzetta degli ospitali, III [1882], in varie parti da p. 481 a p. 570; poi pubblicato in francese, Considérations anatomiques sur la doctrine des localisations cérébrales, in Archives italiennes de biologie, II [1882], pp. 237-253, 255-268; e infine ristampato con il titolo Considerazioni anatomiche sulla dottrina delle localizzazioni cerebrali, in Opera omnia, I, pp. 261-293), pensò di poter dare un contributo originale, in quanto in grado di trattare l'argomento da un punto di vista morfologico, diverso dal consueto punto di vista della sperimentazione fisiologica e della osservazione clinica e anatomo-patologica, e di poter fondare la fisiologia corticale sulla citoarchitettonica. Basando le sue argomentazioni sui dati istologici del cervello da lui raccolti, cioè in definitiva sulla distinzione tra cellule nervose del primo e del secondo tipo e sulla esistenza della "rete nervosa diffusa", finì per avvicinarsi, pur con molte cautele riprese da L. Luciani, alla posizione neounitaristica di F.L. Goltz e della "scuola di Strasburgo", idealmente eredi di M.-J.-P. Flourens; si trovò in sintonia con quanti pensavano che non era possibile assegnare a ogni funzione una specifica area corticale da cui dipendere, ma ritenevano che la corteccia non fosse suddivisibile in tanti centri separati.
Come si può facilmente comprendere alla luce delle conoscenze attuali, se appaiono corrette e fondamentali le sue ricerche e le sue scoperte sulla morfologia della cellula nervosa e sulla struttura istologica di molte parti del sistema nervoso (oltre, naturalmente, l'invenzione del metodo microscopico della "reazione nera"), risultano però errate le sue conclusioni e teorie anatomo-fisiologiche, e specialmente la teoria della "rete nervosa diffusa".
Per capire come il G. sia arrivato alla sua formulazione, non basta prendere atto che egli credeva di "vedere" nei preparati impregnati con nitrato d'argento una rete di filamenti nervosi; bisogna anche tener conto del fatto che la pratica microscopica, almeno nel XIX secolo, non offriva osservazioni assolutamente oggettive su cui tutti potessero concordare; occorreva sempre interpretare, generalizzare, estrapolare, in altre parole formulare "teorie" istologiche. Anzi, a ben vedere, le teorie dei microscopisti non erano solo mere dottrine morfologiche, bensì anche fisiologiche, in quanto il modello di una certa struttura nervosa implicava sempre determinate modalità di trasmissione dell'impulso nervoso e ipotesi circa le funzioni delle diverse zone del neurasse.
Ebbene, come abbiamo detto, negli anni Sessanta e Settanta dell'Ottocento le teorie a un tempo istologiche e fisiologiche dei microscopisti erano sottese dall'idea-guida, dall'immagine dominante secondo cui il sistema nervoso ha una struttura reticolare e trasmette l'impulso nervoso con un'azione d'insieme. Questo "nucleo" concettuale olistico-reticolarista, già incorporato nella teoria della "rete protoplasmatica" del Gerlach, era quindi ben presente nella mente del G. allorché iniziò le sue ricerche microscopiche. Le sue prime osservazioni sembrano confermare l'esistenza di una rete, e per di più dimostrano che non si tratta della rete di prolungamenti protoplasmatici ipotizzata dal Gerlach, ma di una nuova, inaspettata rete di prolungamenti nervosi. Questa conferma morfologica della rete, accompagnata da quella che riteneva una nuova scoperta, lo convinsero allora della correttezza del principio olistico-reticolarista, il quale acquistò sempre di più la forza di "assioma", condizionando le ulteriori ricerche anatomiche e interpretazioni funzionali, e spiega la sua "chiusura" sia nei confronti della teoria del neurone, sia nei riguardi delle localizzazioni cerebrali.
Benché la tecnica della "reazione cromoargentica" rappresentasse una vera rivoluzione, un decisivo salto di qualità negli strumenti di indagine microscopica del sistema nervoso, e benché i risultati ottenuti dal G. con il suo impiego, a partire dal 1873, fossero di grande valore, sia l'una sia gli altri furono conosciuti con molto ritardo dagli scienziati europei. Causa principale di questa situazione fu il fatto che il G. pubblicò le sue ricerche in riviste italiane poco diffuse all'estero. A partire dagli anni Ottanta, però, si rese conto della scarsa risonanza internazionale dei suoi lavori e decise di renderli più palesi, da un lato raccogliendo nel citato volume Sulla fina anatomia… gli articoli usciti sulla Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale, dall'altro lato pubblicando una sintesi dei suoi risultati più importanti in riviste francesi, tedesche e inglesi. In tal modo, alla metà degli anni Ottanta, il metodo della "reazione nera" cominciò a essere conosciuto negli ambienti specialistici, sia in Italia, sia all'estero; ma s'impose nella comunità scientifica grazie all'autorità di R.A. von Kölliker, che ne divenne un convinto sostenitore dopo che il G. gli ebbe inviato alcuni preparati di tessuto nervoso colorati con la sua tecnica. E fu Kölliker ad accreditare sul piano internazionale dapprima l'opera del G. e in seguito quella del Cajal. Con lo scienziato svizzero, professore a Würzburg, il G. strinse una solida amicizia, come dimostra un nutrito epistolario intercorso tra i due e protrattosi per quasi venti anni.
Le ricerche di istologia del sistema nervoso, nettamente prevalenti durante gli anni Settanta, si intrecciarono negli anni Ottanta con quelle in altri campi di indagine. Nel 1879 e 1880, insieme con Bizzozero prima e con A. Raggi poi, il G. mise a punto il metodo terapeutico della trasfusione di sangue per via peritoneale, che evitava, prima della scoperta dei gruppi sanguigni, le reazioni negative osservate nella trasfusione endovenosa (Della trasfusione del sangue nel peritoneo e della sua influenza sulla ricchezza globulare del sangue circolante, in Archivio per le scienze mediche, IV [1880], pp. 67-77, e in Opera omnia, III, pp. 923-932, in collaborazione con G. Bizzozero; Trasfusione di sangue dal peritoneo in un alienato oligocitemico; effetti sul sangue circolante e sullo stato generale del paziente. Comunicazione preventiva, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XIII [1880], pp. 86-90, e in Opera omnia, III, pp. 933-937, in collaborazione con A. Raggi; Primo caso di trasfusione peritoneale ripetuta, con un nuovo successo felice in un alienato oligocitemico, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XIII [1880], pp. 544-548, e in Opera omnia, III, pp. 943-949, in collaborazione con A. Raggi; Secondo caso di trasfusione peritoneale con esito felice in un alienato oligocitemico, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XIII [1880], pp. 206-209, e in Opera omnia, III, pp. 939-941, in collaborazione con A. Raggi). Studiò a lungo l'istologia, l'istopatologia e l'istogenesi dei reni, ponendo in luce tra l'altro il rapporto (che gioca un importante ruolo nella regolazione della pressione sanguigna) tra il polo vascolare del corpuscolo di Malpighi e il tubolo renale (Sulla ipertrofia compensatoria dei reni, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XV [1882], pp. 591-598, e in Opera omnia, III, pp. 951-959; Neoformazione dell'epitelio dei canalicoli oriniferi nella malattia di Bright, in Archivio per le scienze mediche, VIII [1884], pp. 105-116, e in Opera omnia, III, pp. 961-979; Annotazioni intorno all'istologia dei reni dell'uomo e di altri mammiferi e sull'istogenesi dei canalicoli oriniferi, in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, cl. di scienze fisiche, matem. e naturali, s. 4, V [1888], 1, pp. 334-342, e in Opera omnia, III, pp. 543-553).
Come titolare della cattedra di patologia generale e direttore di un piccolo reparto ospedaliero al S. Matteo, il G. volse la sua attenzione anche verso problemi clinici, interessandosi delle malattie infettive e delle loro cause microbiologiche: argomento, questo, che era diventato il cuore della medicina di quegli anni, dopo le scoperte di J. Lister, L. Pasteur e R. Koch, e che fin dai tempi di A. Bassi aveva avuto una solida tradizione nell'Università di Pavia. Incoraggiò e sviluppò, pertanto, ricerche batteriologiche e parassitologiche, mettendo a disposizione il suo laboratorio; e lasciò una traccia profonda soprattutto nello studio della malaria o "paludismo".
Dopo la scoperta da parte di A.C.L. Laveran, approfondita da E. Marchiafava e A. Celli, del plasmodio come agente patogeno della malaria, scoperta che contraddiceva la tesi del batterio sostenuta da C. Tommasi-Crudeli e A.E. Klebs, il G. volle indagare più a fondo il problema. Nel 1885 si recò all'ospedale S. Spirito di Roma, dove lavorava il Marchiafava, e si convinse delle sue conclusioni; ma comprese anche che, per fare un passo avanti, si doveva correlare il ciclo biologico del parassita con l'intermittenza della febbre. Tornato a Pavia, analizzò al microscopio il sangue di 40 malati affetti da quartana e scoprì che l'accesso febbrile insorge a ogni nuova segmentazione dei plasmodi, cioè a ogni nuova generazione di parassiti che viene messa in circolo. Per non essere anticipato da altri, nel dicembre 1885 fece annunciare dal Bizzozero all'Accademia medica di Torino questo risultato, che pubblicò l'anno dopo (Sull'infezione malarica, in Archivio per le scienze mediche, X [1886], pp. 109-135, e in Opera omnia, III, pp. 989-1012). Durante il 1886, il G. passò a studiare il sangue di ammalati di terzana e notò caratteristiche sostanzialmente diverse nel ciclo biologico dei parassiti, tanto da sospettare che poteva trattarsi di una specie differente da quella responsabile della quartana (Ancora sulla infezione malarica, in Gazzetta degli ospitali, VII [1886], pp. 419-422, e in Opera omnia, III, pp. 1013-1021).
Dopo aver chiarito il ciclo evolutivo della quartana e della terzana, mise a punto un'adeguata posologia del chinino per una più efficace azione del farmaco in relazione alle fasi cliniche della malattia: fornì in tal modo una serie di prescrizioni che, da allora, divennero correnti nella pratica medica (A qual punto del ciclo evolutivo dei parassiti malarici la somministrazione della chinina, arrestandone lo sviluppo, valga ad impedire il più vicino accesso febbrile, in Bollettino della Società medico-chirurgica di Pavia, III [1888], pp. 39-42; Azione della chinina sui parassiti malarici e sui corrispondenti accessi febbrili, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XXV [1892], pp. 163-184, 335-361, e in Opera omnia, III, pp. 1143-1183). Studiò inoltre il processo di "fagocitosi" durante l'infezione malarica, stabilendo le modalità del suo svolgimento (Il fagocitismo nell'infezione malarica, in Bollettino della Società medico-chirurgica di Pavia, III [1888], pp. 14-17, e in Opera omnia, III, pp. 1023-1032).
Nel frattempo, erano continuate le divergenze e le polemiche tra i sostenitori della tesi del parassita e quelli della ipotesi del batterio, una controversia scientifica alla quale parteciparono anche A. Mosso e G.B. Grassi, in un primo momento dubbiosi riguardo a un'eziologia parassitaria della malaria. Soprattutto un medico istriano, B. Schiavuzzi, aveva sperimentato e argomentato a favore del preteso Bacillusmalariae. Il suo lavoro, esaltato dal Tommasi-Crudeli, fu invece aspramente criticato dal G., che denunciò numerosi errori metodologici e grande superficialità nelle conclusioni; dopo aver ripetuto correttamente gli esperimenti dello Schiavuzzi, dimostrò infatti, in modo conclusivo, che il cosiddetto Bacillus malariae non ha alcuna azione patogena specifica (Intorno al preteso "Bacillus malariae" di Klebs, Tommasi-Crudeli e Schiavuzzi, in Archivio per le scienze mediche, XIII [1889], pp. 93-128, e in Opera omnia, III, pp. 1033-1061). Con questo articolo, si può dire che il G. seppellì definitivamente l'ipotesi del batterio di Tommasi-Crudeli e aprì al più largo consenso internazionale la tesi del plasmodio.
Sulla base di un'ampia casistica di ammalati, il G. tornò sul problema delle differenze riscontrate nel ciclo biologico dei parassiti nelle varie forme malariche. Riuscì così a dimostrare l'esistenza di specie diverse di plasmodio per la terzana (in seguito denominato Plasmodium vivax), per la quartana (in seguito denominato Plasmodium malariae) e per le altre forme febbrili a periodicità più lunga o irregolare (per le quali identificò un parassita a forma di "semiluna"), e descrisse le caratteristiche morfologiche e biologiche di tutti questi microrganismi, con una documentazione che utilizzava le tecniche fotografiche da poco introdotte nelle ricerche biologiche (Sul ciclo evolutivo dei parassiti malarici nella febbre terzana. Diagnosi differenziale tra i parassiti endoglobulari malarici della terzana e quelli della quartana, in Archivio per le scienze mediche, XIII [1889], pp. 173-196, e in Opera omnia, III, pp. 1063-1083; Sulle febbri intermittenti malariche a lunghi intervalli. Criteri fondamentali di classificazione delle febbri malariche, in Archivio per le scienze mediche, XIV [1890], pp. 293-313, e in Opera omnia, III, pp. 1085-1103; questi lavori uscirono anche in francese e tedesco).
Nel 1893 il G. riprese a indagare le febbri irregolari, poco diffuse in Lombardia e invece predominanti in estate e in autunno nell'Agro romano. Marchiafava aveva studiato questo genere di infezioni estivo-autunnali ad andamento irregolare e ne aveva fornito una classificazione clinico-eziologica che contemplava una forma malarica con ciclo febbrile quotidiano e una con accesso febbrile paragonabile alla terzana ma con decorso più grave (terzana maligna), causate a suo parere da due specie di parassiti (l'Amoeba febris quotidianae e l'Amoeba febris tertianaeaestivo-autumnalis) caratterizzati da una fase riproduttiva che avviene negli organi interni anziché nel sangue. Per studiare il problema, il G. si recò una seconda volta a Roma nel 1893, ospite di G. Baccelli, direttore del reparto di clinica medica dell'ospedale S. Spirito e influente uomo politico. Analizzando una serie di casi, giunse alla conclusione che le febbri estivo-autunnali sono ad andamento irregolare e sono causate da un parassita con caratteri morfologici diversi da quelli delle due specie di plasmodio da lui già individuate. Tale parassita presenterebbe l'aspetto a "semiluna" che aveva notato nelle ricerche condotte a Pavia e si riprodurrebbe negli organi interni anziché nel sangue, come peraltro avevano già messo in luce E. Marchiafava e A. Celli, a cui si deve l'identificazione e la descrizione nel 1889 del parassita responsabile della terzana maligna (Sulle febbri malariche estivo-autunnali di Roma, in Gazzetta medica di Pavia, II [1893], pp. 481-493, 505-520, 529-544, 553-559, e in Opera omnia, III, pp. 1185-1235).
Con l'accertamento del rapporto tra ciclo biologico dei parassiti e intermittenza della febbre, e con l'identificazione di due differenti specie di plasmodio responsabili della terzana e della quartana, il G. aveva tagliato un traguardo fondamentale nella storia delle ricerche sulla malaria, dopo quello conquistato da Laveran e da Marchiafava e Celli, e prima di quello raggiunto da Grassi con la scoperta che l'infezione è trasmessa da zanzare del genere Anopheles e con la descrizione, insieme con A. Bignami e G. Bastianelli, delle fasi di sviluppo del plasmodio in tali insetti (scoperta parzialmente anticipata da P. Manson e R. Ross). Il successo e la "sconfitta" degli avversari si doveva in gran parte alla rigorosa applicazione del "suo" metodo sperimentale, poiché egli aveva sempre tratto conclusioni di carattere generale solo dopo aver accertato una gran quantità di "fatti", cioè dopo aver esaminato una casistica molto ampia, senza mai accontentarsi - come spesso facevano altri scienziati - di poche e/o mal condotte osservazioni.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, oltre agli studi sulla malaria, cominciarono a essere conosciute in campo internazionale anche le ricerche neuroistologiche del Golgi. Tuttavia, mentre era generalmente apprezzato il metodo della "reazione nera", una certa perplessità suscitavano le sue idee sulla esclusione dei dendriti dalla trasmissione nervosa, sulle differenti funzioni motorie e sensitive delle cellule di I e II tipo, sull'esistenza della "rete nervosa diffusa". In particolare, nel 1886 e 1887, W. His, A. Forel e F. Nansen avevano avanzato l'idea che, oltre ai prolungamenti protoplasmatici (come aveva dimostrato il G.), anche i prolungamenti nervosi terminino "liberi", cioè non formino anastomosi con altri elementi nervosi; supposero perciò che ogni cellula nervosa fosse un'unità indipendente e separata dalle altre, ponendo in tal modo la prima pietra per la "teoria del neurone".
Nel 1887 il metodo microscopico della "reazione nera" venne a conoscenza del giovane istologo spagnolo S. Ramón y Cajal, che ne comprese subito l'importanza e iniziò ad applicarlo sistematicamente, apportandovi alcuni miglioramenti. Raccolse così molti dati osservativi, i quali però gli apparvero in contrasto con la teoria della "rete nervosa diffusa" e invece, a partire dal 1888, gli suggerirono una diversa interpretazione. Cominciò allora a elaborare quella dottrina anatomo-fisiologica che sarebbe stata chiamata nel 1891 da H.W.G. Waldeyer-Hartz "teoria del neurone" e rappresentò uno dei maggiori risultati scientifici lasciati in eredità dal XIX secolo. Nella costruzione di tale dottrina, Cajal fu affiancato da altri scienziati, tra cui Kölliker, G.M. Retzius, M. Lenhossék, A. van Gehuchten e, in Italia, E. Tanzi ed E. Lugaro, ma senza dubbio fu lui il "capocordata" e il principale architetto.
Secondo tale teoria, ogni neurone deve essere considerato una "individualità" morfologica, funzionale, genetica (o embriologica), rigenerativa (o trofica), reattiva (cioè un'individualità nel reagire ai processi morbosi), le cui caratteristiche anatomiche, fisiologiche, embriologiche e patologiche possono essere ben individuate e descritte. In particolare, insieme con van Gehuchten, Cajal formulò la cosiddetta "legge della polarizzazione dinamica", secondo cui dal punto di vista funzionale ogni neurone può essere immaginato composto da un apparato ricevente (costituito dal corpo cellulare e dai prolungamenti protoplasmatici o dendriti), da un apparato di conduzione (il prolungamento nervoso o assone e le sue diramazioni) e da un apparato di emissione o organo di scarica (la ramificazione terminale dell'assone e dei suoi collaterali). Il trasporto di un impulso nervoso avviene, allora, o per mezzo dell'assone di un solo neurone o attraverso una catena di neuroni che si pongono in contatto tra loro ("connessioni interneuroniche" o, come le avrebbe poi chiamate C.S. Sherrington, "sinapsi"); il contatto si verifica sempre tra le estremità dell'assone (dei suoi collaterali o delle sue ramificazioni) di una cellula e i dendriti o il corpo cellulare di un'altra cellula (e non tra prolungamenti nervosi di cellule diverse, come pensava il G.).
I risultati ottenuti dal Cajal, che mettevano in difficoltà la teoria della "rete nervosa diffusa", e la crescente approvazione che incontrava negli ambienti scientifici, irritarono il G., cosicché, quando il Cajal nel 1890 affermò in una pubblicazione di aver scoperto i rami collaterali dei cordoni midollari, il G. reagì risentito accusandolo di essersi attribuito una scoperta che invece egli aveva compiuto molti anni prima (Über den feineren Bau des Rückenmarkes, in Anatomischer Anzeiger, V [1890], pp. 372-396, 423-435, e in Opera omnia, II, pp. 555-578). Cajal replicò prontamente: ammise la priorità della scoperta del G., ma affermò di non esserne venuto a conoscenza perché pubblicata "in giornali italiani pressoché sconosciuti agli anatomisti"; quindi attaccò la teoria della "rete nervosa diffusa", l'interpretazione fisiologica delle cellule di I e II tipo e l'ipotesi di una funzione non nervosa dei prolungamenti protoplasmatici. Il G. rispose l'anno dopo, con un articolo più pacato (La rete nervosa diffusa degli organi centrali del sistema nervoso. Suo significato fisiologico, in Rendiconti del R.Istituto lombardo di scienze e lettere, XXIV [1891], pp. 594-603, 656-673, e in Opera omnia, II, pp. 579-605), nel quale considerava chiusa la questione della priorità della scoperta e, invece, sviluppava un'ampia difesa della propria dottrina, esposta in modo più dettagliato e ampio, e una critica serrata alla teoria del neurone. Negli anni successivi la polemica tra i due rivali divenne più indiretta, nel senso che ciascuno, in alcune occasioni, trovò il modo di ribadire le proprie tesi e respingere quelle dell'avversario. Il G. non perdeva occasione per utilizzare ogni nuovo dato osservativo contro la teoria di Cajal e in particolare contro la "legge della polarizzazione dinamica".
L'affermazione della dottrina del neurone, in ogni caso, incontrò diversi ostacoli, rappresentati dalla comparsa di nuove teorie reticolari. Alla progressiva costruzione e articolazione della teoria del neurone, infatti, si contrapposero non solo la teoria del G., ma anche le teorie dei "nuovi" reticolaristi, quali S. Apáthy, A. Bethe, F. Nissl e H. Held. Questi ultimi avevano come caratteristica comune quella di considerare la rete costitutiva del sistema nervoso formata dalle neurofibrille osservate all'interno della cellula nervosa. A loro parere le neurofibrille, propagandosi lungo i prolungamenti e passando senza interruzione da una cellula a un'altra, componevano un'intricatissima rete continua a livello subcellulare, la quale assicurava la trasmissione dell'impulso nervoso. La neurofibrilla, dunque, divenne ai loro occhi l'unità elementare del tessuto nervoso prendendo il posto del neurone. Queste strutture neurofibrillari erano state poste in luce tramite metodi di colorazione (soprattutto al cloruro d'oro e al blu di metilene) diversi dalla "reazione nera", che anzi fu ritenuta inadeguata e responsabile della "errata" teoria del neurone.
Le dottrine dei neoreticolaristi si discostavano dalla teoria della "rete nervosa diffusa" del G., secondo la quale l'intreccio era costituito dalle ramificazioni bene osservabili degli assoni e non da un'ipotetica struttura neurofibrillare sottostante, che non poteva esibire sicuri dati di conferma. Inoltre la dottrina del G., benché contraria alla individualità del neurone, non disconosceva l'importanza e la centralità della cellula nervosa, né aspirava a cercare un'altra struttura che fungesse da "mattone" elementare. Tra la teoria del neurone e quella dei neoreticolaristi, il G. si pose, come egli stesso scrisse, in una "posizione intermedia", senza esaltare da una parte il ruolo della cellula nervosa e senza sminuire o negare dall'altra la sua partecipazione alle specifiche funzioni motorie, sensitive e psichiche.
Negli anni Novanta l'attività del G. si divise tra il laboratorio, la didattica e gli impegni amministrativi. Nel 1893 fu eletto consigliere comunale di Pavia nelle file dei moderati e nel 1897 assessore all'Igiene, carica che conservò fino al 1898. Fu anche eletto rettore per gli anni accademici 1893-94, 1894-95 e 1895-96, durante i quali si prodigò per rendere sempre più efficiente e prestigiosa l'Università di Pavia. Avviò la riorganizzazione logistica dell'ateneo, riuscendo ad acquisire il palazzo Botta, dove trasferì nel 1894, in una sede più adeguata e ampia, il suo istituto e il laboratorio di patologia generale e istologia. Ingaggiò una lunga e difficile battaglia per impedire la fondazione dell'Università statale di Milano, promossa dal collega L. Mangiagalli e invece ostacolata dalla maggior parte dei professori pavesi, timorosi della sua vicinanza e quindi della sua concorrenza; lo scontro si protrasse per alcuni decenni e inevitabilmente terminò con la sconfitta del G. e la nascita del secondo ateneo lombardo, anche se la sua azione indubbiamente ritardò l'evento.
Il suo laboratorio, intanto, era diventato il più importante centro di ricerca medico-biologica italiano e un punto di riferimento internazionale. Con l'aiuto dei suoi assistenti A. Monti e L. Sala, che presiedevano rispettivamente alle ricerche di microbiologia e di istologia (sostituiti, dopo aver vinto la cattedra nel 1895, da G. Marenghi e F. Radaeli), in esso si formarono generazioni di ricercatori e di docenti universitari e si realizzarono numerose e importanti scoperte. Tra i più brillanti allievi, si segnalò Edoardo Gemelli, che nel 1903 vestì la tonaca francescana con il nome di Agostino.
Le ricerche condotte dal G. in questi anni spaziarono su argomenti diversi, nella maggior parte dei quali lasciò un contributo originale: la cura della tubercolosi, per la quale Koch aveva messo a punto un procedimento controverso (Sulla cura antitubercolare col metodo di Koch, in Bollettino della Società medico-chirurgica di Pavia, VI [1891], 1, pp. 20-25); il perfezionamento del metodo di colorazione al bicloruro di mercurio (Modificazione del metodo di colorazione degli elementi nervosi col bicloruro di mercurio, in La Riforma medica, VIII [1891], 2, pp. 793 s., e in Opera omnia, II, pp. 607-611); l'anatomia patologica degli organismi colpiti da rabbia (Über die pathologische Histologie der Rabies experimentalis, in Berliner Klinische Wochenschrift, XXXI [1894], pp. 325-331, e in Opera omnia, III, pp. 1237-1253); la patogenesi delle forme malariche irregolari (Sulle febbri malariche estivo-autunnali di Remer, in Opera omnia, III, pp. 1185-1235); la fine anatomia di una zona del mesencefalo, considerata come il nucleo di origine del trigemino da alcuni e del trocleare da altri (Intorno all'origine del quarto nervo cerebrale (patetico o trocleare)…, in Rendicontidella R.Accademia dei Lincei, cl. di scienze fisiche, matem. e naturali, s. 5, II [1893], 1, pp. 379-389, 443-450, e in Opera omnia, II, pp. 624-642); l'istologia delle ghiandole peptiche (Sulla fina organizzazione delle ghiandole peptiche dei mammiferi, in Gazzetta medica di Pavia, II [1893], pp. 241-247, e in Opera omnia, II, pp. 613-621), indagine che lo portò alla scoperta di un sistema di canalicoli nelle cellule parietali delle ghiandole, indipendentemente dall'istologo svedese E. Müller.
Liberatosi dagli impegni del rettorato alla fine del 1896, poté dedicare più tempo alla ricerca; e nell'aprile 1898, in una seduta della Società medico-chirurgica di Pavia, annunciò l'importante scoperta "di un fino ed elegante reticolo nascosto entro il corpo cellulare", da lui chiamato "apparato reticolare interno" e in seguito conosciuto come "apparato" o "complesso" o "corpo di Golgi", al quale è rimasto storicamente legato il suo nome, insieme con l'invenzione del metodo della "reazione nera" (Intorno alla struttura delle cellule nervose, in Bollettino della Società medico-chirurgica di Pavia, XIII [1898], pp. 3-16, e in Opera omnia, II, pp. 643-653).
Analizzando con la sua tecnica microscopica (alla quale aveva apportato alcune variazioni) cellule dei gangli spinali, nel corso del 1897 si era accorto che nel corpo cellulare era presente una struttura filamentosa caratteristica, un reticolo citoplasmatico che non poteva essere confuso con le neurofibrille messe in luce da M. Schultz, Apáthy, Bethe, Nissl e altri. Osservò lo stesso apparato nelle cellule di Purkinje e giunse a descrivere in modo dettagliato e preciso questa struttura in diverse specie di mammiferi, differenziandola nettamente dalle altre componenti del citoplasma. I risultati ottenuti furono pubblicati in una serie di articoli tra il 1898 e il 1900, usciti anche in francese e tedesco. Dopo altre ricerche condotte nel suo laboratorio dai suoi allievi (soprattutto da A. Pensa, A. Negri ed E. Gemelli), fu possibile generalizzare le osservazioni anche per cellule non nervose e, infine, affermare l'esistenza dell'"apparato reticolare interno" in tutte le cellule eucariotiche.
Alla fine del secolo la fama del G. toccava vette elevate e le maggiori accademie e società, italiane e straniere, facevano a gara per annoverarlo fra i loro soci; tra le più importanti ricordiamo: il R. Istituto lombardo di scienze e lettere (1879), l'American Neurological Association di New York (1881), la R. Accademia di medicina di Torino (1883), la Società medico-chirurgica di Pavia (di cui fu tra i fondatori e primo presidente nel 1885), l'Accademia dei Lincei (socio corrispondente nel 1887 e nazionale nel 1890), la Società delle scienze di Gottinga (1892), la Royal Microscopical Society di Londra (1895), la Société de neurologie di Parigi (1900), l'Académie de médecine di Parigi (1900), il Verein für Psychiatrie und Neurologie di Vienna (1900), l'Imperiale Accademia delle scienze di Pietroburgo, la Reale Accademia delle scienze di Svezia, la Reale Accademia delle scienze di Berlino, l'Imperiale Accademia delle scienze di Vienna, la Reale Accademia delle scienze olandese, la Société royale des sciences médicales et naturelles di Bruxelles.
Fu chiamato a far parte del comitato direttivo ed editoriale di diverse riviste mediche italiane e straniere. Fu nominato dal re cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1890) e cavaliere dell'Ordine civile di Savoia (1902); ottenne per molti anni (dal 1893-94 al 1908) un finanziamento dalla fondazione Elizabeth Thompson della Harvard Medical School per ricerche sulla malaria; gli fu assegnato nel 1894 il prestigioso premio Rinecker dell'Università di Würzburg, per le indagini sull'istologia del sistema nervoso, e il premio Riberi dell'Accademia di medicina di Torino per gli studi malariologici; nel 1907 gli fu conferita la medaglia Mary Kingsley dell'Università di Liverpool; ricevette la laurea honoris causa in medicina dalle Università di Cambridge (1898), di Ginevra (1908), di Kristiania (Oslo) e di Atene (1912), dalla Sorbonne di Parigi (1923).
Nel 1900, d'accordo con Kölliker, organizzò a Pavia il XIV congresso della Anatomische Gesellschaft tedesca (18-21 aprile), la più prestigiosa società anatomica del mondo; e nello stesso anno fu nominato senatore del Regno dal re Umberto I per alti meriti scientifici. Come senatore, spese le sue energie e la sua influenza per promuovere leggi a favore della prevenzione e profilassi della malaria, per finanziare l'Università di Pavia e in particolare il nuovo Politecnico, per bloccare i tentativi di dar vita all'Università di Milano, per approvare provvedimenti a beneficio degli assistenti universitari.
Dal 1901 al 1909 il G. fu di nuovo eletto rettore e l'incarico assorbì molte sue energie: per rafforzare l'autonomia economica dell'Università, e sbarrare la strada a un ateneo milanese, promosse il Consorzio universitario lombardo; riuscì a farsi approvare e finanziare dagli organi ministeriali la costruzione di un nuovo policlinico; cercò, senza riuscirci, di impedire la nascita a Milano di istituti clinici di perfezionamento in medicina, voluti da Mangiagalli come primo nucleo della futura università. Pur riducendo la sua attività scientifica, il G. continuò tuttavia a seguire i lavori degli allievi nel suo laboratorio, che si trovò di nuovo al centro dell'attenzione internazionale per le ricerche di A. Negri sull'istopatologia della rabbia e di A. Perroncito sulla rigenerazione dei nervi, queste ultime condotte con il metodo di Cajal dell'argento ridotto (derivato dalla "reazione nera"). Nel 1905 moriva Kölliker, ponendo fine a uno dei più fecondi sodalizi scientifici e rapporti di amicizia nella storia delle scienze medico-biologiche, benché tra i due non ci fosse accordo sulla teoria del neurone.
In seno al Karolinska Institutet di Stoccolma era intanto maturata l'idea di premiare un esponente delle ricerche istomorfologiche; la candidatura del G. era stata ininterrottamente sostenuta da Kölliker, Retzius e C.M. Fürst, mentre a favore di Cajal si erano pronunciati altri scienziati, tra cui O. Hertwig, i quali ritenevano che fosse troppo lontana la scoperta del metodo della "reazione nera" e non condivisibile la teoria della "rete nervosa diffusa". Alla fine, nel settembre 1906, il comitato svedese decise di assegnare il premio Nobel per la medicina o fisiologia congiuntamente al G. e al Cajal.
I discorsi che i due scienziati pronunciarono all'Accademia delle scienze nei giorni 11 e 12 dicembre furono diversamente impostati: più distensivo quello di Cajal, più polemico quello del Golgi. Il testo di Cajal, The structure and connexions of neurons (in Nobel Lectures. Physiology or medicine. 1901-1921, Amsterdam 1967, pp. 220-253), è un'esposizione delle sue scoperte e teorie con riferimento agli studi più recenti e aggiornati; e non contiene critiche dirette alla dottrina del G. (anzi più volte lo cita per ricordare alcuni suoi importanti contributi), ma si rivolge solo contro le teorie neurofibrillari dei neoreticolaristi. Cajal mostra ormai di essere più impegnato contro i sostenitori dei reticoli neurofibrillari che contro i "vecchi" fautori delle reti nervose. Diverso fu il contenuto e il tono del discorso del G., La dottrina del neurone: teoria e fatti (ibid., pp. 189-217, e in Opera omnia, IV, pp. 1259-1291): avvertendo che la sua teoria perdeva consensi mentre trionfava la rivale, approfittò dell'occasione per rivolgere, da una tribuna così autorevole e ascoltata in tutto il mondo, una serrata critica alla teoria del neurone, malgrado alcuni apprezzamenti di maniera nei confronti dello spagnolo.
Le argomentazioni sviluppate dai due contendenti muovono dalle osservazioni microscopiche. Con estrema sintesi, possiamo dire che ciascuno sostiene che la propria teoria poggia su un'ampia e sicura base di dati istologici, mentre la teoria dell'avversario è sorretta da osservazioni incerte o sbagliate, ed è quindi inattendibile e inaccettabile. Così, Cajal considera un fatto sicuro, accertato, la mancanza di anastomosi e di continuità tra i prolungamenti di cellule diverse; e perciò nega che si possa parlare in qualunque senso di una rete, sia della rete nervosa del G., sia delle reti neurofibrillari dei "nuovi" reticolaristi. Mostra invece che c'è una gran quantità di dati non solo istologici, ma anche fisiologici, embriologici, patologici, in grado di avvalorare la teoria del neurone. Il G., da parte sua, non vuole pronunciarsi sulla questione della continuità o contiguità: in realtà, in un primo momento aveva pensato a un'anastomosi tra filamenti nervosi di cellule diverse; ma poi, per timore di essere smentito dai progressi della microscopia, aveva lasciato aperto il problema. Sostiene però con forza che l'esistenza di una struttura reticolare formata dalle ramificazioni degli assoni è una cosa certa, è l'elemento morfologicamente più evidente della sostanza grigia, sia che si tratti di una rete in senso stretto (cioè con una continuità tra gli elementi nervosi), sia che si abbia un semplice intreccio (cioè con elementi nervosi in semplice contatto tra loro). Quindi la "rete nervosa diffusa" costituisce la struttura anatomo-fisiologica principale del cervello: fatto, questo, che contrasta con la teoria del neurone, la quale considera invece la cellula nervosa come l'elemento morfologico e funzionale basilare.
Possiamo notare, inoltre, che il G. respinge la teoria di Cajal con argomentazioni che fanno appello, come egli scrive, "ai principi del metodo sperimentale", i quali prescrivono, a suo parere, che bisogna accogliere solo quelle ipotesi o teorie che poggiano su fatti bene accertati. Gli bastava perciò sostenere che la teoria del neurone non possedeva il requisito di essere sorretta da "fatti" sicuri per giustificare il suo rifiuto per coerenza con il metodo sperimentale. Ma in questo caso, poiché la teoria del neurone aveva una base osservativa almeno altrettanto valida (se non di più) della teoria della "rete nervosa diffusa", l'appello ai principî del metodo scientifico aveva solo una funzione strumentale, finiva per essere più un artificio retorico che il ricorso a un giudice obiettivo e imparziale.
Vorremmo chiederci, a questo punto, quali furono le ragioni profonde che portarono il G. a sostenere con accanimento la sua teoria reticolare e a opporsi invece alla teoria del neurone, la quale, almeno a partire dai primi anni del Novecento, si stava imponendo nella comunità scientifica. Vorremmo tentare di spiegare una sorta di paradosso storiografico: il G. con il suo rivoluzionario metodo microscopico ha inaugurato un nuovo corso negli studi di istologia del sistema nervoso e più di ogni altro, negli ultimi decenni dell'Ottocento, ha esaminato, approfondito e chiarito la struttura della cellula nervosa; eppure egli non ha saputo (o potuto) cogliere appieno i frutti del suo lavoro ed elaborare quella teoria del neurone che, proprio grazie alla sua tecnica di colorazione, fu invece formulata una quindicina d'anni dopo la sua scoperta da Cajal. E non solo il G. non è arrivato a concepire la nuova teoria, ma, una volta che essa è sbocciata in virtù del suo stesso metodo di ricerca microscopica, vi si è opposto con forza.
La ricostruzione, anche meticolosa, delle sue indagini anatomo-microscopiche non sembra che basti per comprendere un paradosso del genere. Solo lo sforzo di rintracciare le assunzioni di fondo che condizionano e guidano il suo lavoro e di mostrare come "dietro" e "sotto" la sua teoria della "rete nervosa diffusa" si trovi l'idea-guida olistica può dare nuovi lumi. Si comprende allora come questo postulato rappresenti una sorta di "lente ideale" con la quale il G. compie le ricerche microscopiche e risulti tanto "forte" da impedirgli l'accettazione della teoria di Cajal, che si palesava allora fondata sui dati microscopici almeno quanto la sua. Queste due contrastanti idee-guida, quella olistica e quella atomistico-riduzionistica "informano" e rendono possibili le opposte teorie della "rete nervosa diffusa" e del "neurone", e sono a fondamento del loro insanabile conflitto.
Alla luce della scienza di oggi sappiamo che Cajal aveva sostanzialmente ragione, anche se in seguito la sua teoria fu modificata in alcune parti e finì per accogliere alcune idee dei reticolaristi. Se ci sforziamo però di considerare gli avvenimenti nel momento storico in cui sono accaduti, dobbiamo ammettere che tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento non sussistevano "fatti" decisivi a favore dell'una o dell'altra teoria (non era possibile, per esempio, vedere lo spazio intersinaptico); sicché ciascuno dei due contendenti poteva esibire una serie di dati osservativi che, a suo parere, "verificava" la propria teoria e "falsificava" quella dell'avversario. Apparentemente, quindi, il contrasto tra il G. e Cajal si riduceva a un dissidio d'ordine "fattuale", a un disaccordo sulle osservazioni, a una differenza di giudizio sui dati microscopici; ma in realtà, a ben vedere, il loro contrasto poggiava sul terreno "ideale", nel senso che ciascuno dei due possedeva una diversa idea-direttrice, faceva riferimento a un differente "paradigma" che condizionava la pratica microscopica e le interpretazioni morfologiche e funzionali.
Dopo l'assegnazione del Nobel, malgrado i gravosi impegni amministrativi, accademici e didattici cui doveva far fronte, il G. non rinunciò a impostare nuove ricerche. Per meglio studiare l'"apparato reticolare interno", apportò modifiche significative alla tecnica dell'argento ridotto di Cajal, riuscendo in tal modo a identificare e descrivere questa struttura nelle cellule della mucosa gastrica e intestinale (Di un metodo per la facile e pronta dimostrazione dell'apparato reticolare interno delle cellule nervose, in Bollettino della Società medico-chirurgica di Pavia, XXII [1908], pp. 81-87, e in Opera omnia, IV, pp. 1293-1297; Di una minuta particolarità di struttura dell'epitelio della mucosa gastrica ed intestinale in alcuni vertebrati, in Bollettino della Società medico-chirurgica di Pavia, XXIV [1909], pp. 1-22, e in Opera omnia, IV, pp. 1299-1333). A partire dal 1908, mise a punto un programma di cure sistematiche e intensive su intere popolazioni affette da malaria (denominato "bonifica umana") per estirpare la malattia da determinate zone; un programma che, grazie al coordinamento del suo allievo A. Negri, ebbe un notevole successo. Nel 1909 contribuì a dar vita alla Lega nazionale per la malaria, presieduta da Baccelli, e da lui stesso per la sezione lombarda. Negri intanto impegnava il laboratorio di patologia in una faticosa lotta contro un'epidemia di colera, ma la sua prematura scomparsa, nel 1912, creò non pochi problemi al laboratorio, che fu affidato al coordinamento degli assistenti A. Perroncito ed E. Veratti.
Il G. riepilogò i risultati delle sue ricerche e teorie anatomo-fisiologiche e svolse alcune riflessioni sul valore e i limiti della conoscenza scientifica in occasione di riunioni di vario genere promosse da società e accademie. Particolarmente significative sono due conferenze, tenute nel 1909 presso la Società italiana per il progresso delle scienze e nel 1914 presso l'Istituto lombardo di scienze e lettere.
Nella prima conferenza, Evoluzione delle dottrine e delle conoscenze intorno al substrato anatomico delle funzioni psichiche e sensitive (in Atti della Società italiana per il progresso dellescienze, terza riunione, 1909, Roma 1910, pp. 69-140, e in Opera omnia, IV, pp. 1341-1419), traccia dapprima un profilo storico delle teorie sulla localizzazione delle funzioni del cervello, riassume poi tutte le sue principali conclusioni anatomo-fisiologiche (classificazione dei neuroni in base alle caratteristiche dei loro prolungamenti nervosi, teoria della "rete nervosa diffusa", ecc.), attenuando le asserzioni circa la funzione prevalentemente trofica dei dendriti, ricapitola infine le sue obiezioni alle dottrine delle localizzazioni cerebrali, alla teoria del neurone e alle ipotesi delle reti neurofibrillari. Dalle sue pagine emerge, da un lato, la sua concezione olistica, esposta quasi con le stesse parole usate nel discorso pronunciato in occasione del Nobel; dall'altro lato si palesa, più chiaramente che in altre occasioni, il suo pensiero epistemologico: un'immagine della scienza intesa come edificio che si costruisce pazientemente mattone dopo mattone, a cui corrisponde un'idea "induttivistica" del metodo scientifico, che distingue tra "ipotesi di lavoro", legittime poiché espresse a partire dai dati osservativi, e "ipotesi speculative", illegittime perché non fondate sui "fatti" ma su altre "concezioni ipotetiche".
Con la seconda conferenza, La moderna evoluzione delle dottrine e delle conoscenze sulla vita (in Istituto lombardo di scienze e lettere. Rendiconti, XLVII [1914], pp. 53-104, e in Opera omnia, IV, pp. 1421-1467), il G. si avventurò con cautela su un terreno per lui inconsueto e tracciò i contorni del suo "credo filosofico". In questo saggio, in parte anticipato dal discorso che aveva pronunciato anni prima in occasione dell'inaugurazione dell'a.a. 1883-84 (Lo sperimentalismo nella medicina, in Annuario dell'Università di Pavia… 1883-84, Pavia 1884, pp. 15-66), presenta un'immagine della scienza di derivazione positivistica, ma con delle limitazioni rispetto allo "scientismo" più radicale. La posizione del G. può essere definita come quella di un "positivismo senza miti": egli crede che l'unica forma di conoscenza concessa all'uomo sia quella scientifica, ma non vuole affermare, come gli "scientisti" dogmatici, che essa risolverà tutti i problemi e in particolare che sarà in grado di ridurre totalmente i fenomeni vitali e psichici alle leggi fisico-chimiche (come sostenevano i materialisti), né come gli agnostici alla Du Bois-Reymond vuole porre confini invalicabili alla scienza, asserire una irriducibilità a priori della vita e della psiche all'inorganico.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale il G., che era stato interventista (e aveva manifestato insofferenza per il nazionalismo e il militarismo tedeschi, malgrado ammirasse i successi scientifici della Germania), assunse la direzione dell'ospedale militare che era stato collocato nel collegio Borromeo, requisito per far fronte all'emergenza (1915), e successe a Baccelli nella presidenza del Consiglio superiore della sanità pubblica (1916). Intervenne in Senato a favore di una legge per la protezione e assistenza degli invalidi di guerra (1917).
Nel 1918 fu collocato a riposo, ma come professore emerito continuò a frequentare la facoltà e il laboratorio. L'avvento del fascismo non lo trovò del tutto ostile; e in occasione del suo ottantesimo compleanno, Giovanni Gentile dispose che il laboratorio di patologia generale fosse intitolato a suo nome e Benito Mussolini, in una seduta del Consiglio dei ministri, propose per lui l'alta onorificenza del gran cordone mauriziano. Intanto la salute declinava e una vasculopatia cerebrale gli rendeva faticosi i movimenti e la parola, finché una forma di setticemia stroncò il suo fisico già provato. Morì a Pavia il 21 genn. 1926.
Il G. ha pubblicato un gran numero di articoli in riviste italiane e straniere, la maggior parte dei quali fu raccolta nei 4 volumi Opera omnia, I-III, a cura di R. Fusari - G. Marenghi - L. Sala, Milano 1903; IV, a cura di L. Sala - E. Veratti - G. Sala, ibid. 1929. Furono anche riuniti assieme i suoi studi sulla malaria: Studi di C. Golgi sulla malaria, a cura di A. Perroncito, Roma 1929. Alcuni lavori del G. sono stati ristampati di recente: il libro Sulla fina anatomia degli organi centrali del sistemanervoso, a cura di A. Oliverio, Firenze 1995; gli articoli Sulla sostanza grigia del cervello (1873), La dottrina del neurone. Teoria e fatti (1906), Evoluzione delle dottrine e delle conoscenze intorno al substrato anatomico delle funzioni psichiche e sensitive (1910), La moderna evoluzione delle dottrine e delle conoscenze sulla vita (1914), in C. Golgi, L'istologia del sistema nervoso, a cura di G. Cimino, Roma 1995.
Fonti e Bibl.: Materiale inedito è conservato nel Museo per la storia dell'Università di Pavia; preparati originali del G. e fotografie sono reperibili nell'Istituto di patologia generale Camillo Golgi di Pavia. Un inventario di documenti inediti in P. Mazzarello - A.L. Calligaro, Fonti archivistiche per la storia della malaria in Italia. Documenti conservati nell'Archivio Golgi del Museo per la storia dell'Università di Pavia, in Medicina nei secoli, n.s., X (1998), pp. 495-510. La corrispondenza tra il G. e Kölliker è stata pubblicata: L'epistolario di A. Kölliker a C. G. al Museo per la storia dell'Università di Pavia, a cura di L. Belloni, in Memorie dell'Istituto lombardo. Accademia di scienze e lettere, cl. di sc. matem. e naturali, XXVI (1975), pp. 135-243. Altri documenti sono pubblicati in: B. Zanobio, Il soggiorno di C. G. "premio Nobel 1906" a Stoccolma, attraverso lettere familiari, in Rendiconti dell'Istituto lombardo. Accademia di scienze e lettere, scienze chimiche e fisiche, geologiche, biologiche e mediche, CXII (1978), pp. 143-158; P. Mazzarello, Un inedito autobiografico di C. G., in Istituto lombardo. Accademia di scienze e lettere. Rendiconti, cl. di lettere e scienze morali e storiche, CXXVII (1993), pp. 327-341.
Un elenco di commemorazioni, biografie e studi su G., a cura di L. Belloni, si trova in L'epistolario di A. Kölliker a C. G.…, e, aggiornato, in P. Mazzarello, La struttura nascosta. La vita di C. G., Bologna 1996 (trad. inglese, Oxford 1999). Tra i principali studi ricordiamo: A. Pensa, C. G., in Discipline e maestri dell'ateneo pavese, Verona 1961, pp. 268-282; B. Zanobio, The work of C. G. in neurology, in Essays on the history ofItalian neurology, a cura di L. Belloni, Milano 1963, pp. 179-193; G. Cimino, Idee direttrici e presupposti metodologici nell'opera neurologica di C. G., in Physis, XVII (1975), pp. 140-148; Id., La mente e il suo substratum. Studi sul pensiero neurofisiologico dell'Ottocento, Pisa 1984, pp. 223-381; A. Pensa, Ricordi di vita universitaria, a cura di B. Zanobio, Milano 1991; G.M. Shepherd, Foundations of the neuron doctrine, New York-Oxford 1991, pp. 79-101, 259-270; L. Santamaria, C. G. as clinical pathologist: epicritical reading of G.'s works on malaria, in Medicinanei secoli, n.s., VI (1994), pp. 581-608; P. Mazzarello, La struttura nascosta. La vita di C. G., cit.; G. Cimino, Reticular theory versus neuron theory in the work of C. G., in Physis, XXXVI (1999), pp. 431-472; Journal of the history of the neurosciences, VIII (1999), 2 (numero monografico sul G.); A. Hirsch, Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzte…, II, pp. 791 s.; Enc. Italiana, XVII, p. 495.