GUERRA, Camillo
Nacque a Napoli il 21 maggio 1797, secondo di cinque figli, da Pasquale e Angela d'Angelo. Il padre, capocantiere degli scavi di Pompei, proveniva da una famiglia di artisti e morì nel 1813 lasciando i suoi in ristrettezze. In tale circostanza il G., già alunno della Regia Scuola d'arte, ottenne un aumento del sussidio mensile grazie all'intervento di Costanzo Angelini, suo maestro, che lo considerava un ottimo allievo.
Nel 1822 a Roma concorse al primo Pensionato artistico, riuscendo vincitore; si trasferì quindi dal 1823 in palazzo Farnese, dove continuò gli studi sotto la guida dapprima di T. Conca, quindi di V. Camuccini. Proprio l'influenza dei neoclassici Camuccini e P. Benvenuti, le cui opere costituirono a lungo per il G. un modello ispiratore, indirizzò l'artista alla pittura di storia e mitologia e a concentrarsi - essendo già esperto disegnatore - sul colore. L'affermazione, nell'ambito romano, del neoraffaellismo purista - stile riconducibile a T. Minardi, allora presidente dell'Accademia di S. Luca - rivelò al G. il valore dei grandi artisti del Cinquecento, quali maestri insuperati nel disegno, nella composizione e nell'armonia cromatica. Il pensionato si concluse nell'aprile del 1826, come attestato da un documento conservato nell'Archivio Camuccini; in quell'anno il G. espose, presso il Real Museo Borbonico di Napoli, il dipinto Ossian e Malvina (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte), dimostrando così quanto appreso nel corso degli studi romani.
Al termine dell'alunnato il G. mantenne comunque lo studio a palazzo Farnese sino al 1834; occasionalmente tornava a Napoli partecipando alla vita artistica della città: è del 1830 infatti la presentazione alla mostra napoletana del Giulio Sabino (Museo di Capodimonte), dipinto che, riscuotendo un generale apprezzamento per la composizione e qualche critica per i toni spenti, fu acquistato dal re Ferdinando II alla stima (4000 ducati) fattane da Camuccini, il quale aveva lodato l'opera per la composizione, il disegno e l'impegno profuso dall'autore nel coordinare i numerosi modelli che avevano posato per lui.
L'attività romana del G., a partire dal 1829 e sino al suo definitivo ritorno a Napoli, è caratterizzata dalla stretta collaborazione con il letterato E. Pistolesi per la redazione del Vaticano illustrato, guida in otto volumi alle bellezze artistiche e archeologiche vaticane: nell'ambito della realizzazione dell'opera il G. diresse l'équipe di disegnatori e incisori delle tavole illustrate, tra i quali si ricordano L. Cremonesi, F. Pagliuolo e G. Bianchi. L'esperienza maturata in quest'impresa editoriale lo indusse a progettare la pubblicazione di una storia di Napoli e di una Bibbia illustrate: restano molti bozzetti e disegni preparatori, ma le opere non trovarono finanziatori. A Roma il G. operò inoltre come ritrattista per committenti privati, ma di questa attività - in seguito trascurata - restano a oggi pochi esempi, tra i quali spicca per acutezza d'analisi introspettiva il Ritratto del generale dei cappuccini (Guerra jr., p. 87).
Sin dagli esordi, la carriera artistica del G. appare eminentemente legata agli incarichi pubblici che gli giungevano da Napoli: già nel 1826 aveva realizzato delle sovrapporte a monocromo per la reggia di Caserta, di tema greco (depositi della Reggia); l'anno successivo fu nominato professore onorario del Regio Istituto d'arte; nel 1833 divenne quindi socio corrispondente della Reale Accademia di Napoli, chiaro segno della stima di cui il pittore già godeva presso la corte borbonica. Nel 1830 Francesco I gli aveva infatti commissionato una pala d'altare raffigurante S. Giuseppe per la chiesa di S. Francesco di Paola, il tempio neoclassico innalzato - su progetto di P. Bianchi - come voto di ringraziamento per la fine del regime napoleonico e il ripristino della monarchia borbonica. Alla decorazione della chiesa furono chiamati i più insigni rappresentanti del neoclassicismo: V. Camuccini, P. Benvenuti, G. Landi, P. Tenerani e alcuni loro allievi. Tre anni dopo il G. presentò alla Mostra borbonica il bozzetto del Transito di s. Giuseppe, che concluse nel 1834. Il dipinto, che si caratterizza per una evidente ispirazione raffaellesca nella cromia chiara e nella composizione, è incentrato sulla figura di Cristo benedicente, a destra, e sul trepido gesto di Maria all'opposto, mentre la morte di s. Giuseppe si svolge in secondo piano, alla presenza di angeli.
Al principio del 1834, a seguito della morte di J. Franque, fu bandito il concorso per la cattedra di pittura dell'Accademia. Il tema assegnato era il "Commiato di Adone e Venere", soggetto che il G. risolse - aggiudicandosi la vittoria - con una raffigurazione delicata, che evoca memorie ingresiane. Il dipinto, ambientato in un bosco all'alba, è una delle realizzazioni più felici del pittore per la grazia delle figure slanciate e per i toni rosati e limpidi, che a tratti si accendono di rosso, memori della grande tradizione pittorica napoletana. Unanimemente apprezzato, il quadro, "monumento glorioso della napolitana pittura" (Capecelatro Ricciardi), costituì una tappa importante per lo sviluppo di una scuola pittorica neoclassica a Napoli.
Nominato professore, il G. intraprese dei cambiamenti significativi nell'insegnamento delle discipline pittoriche: dallo studio accademico dell'antico si passò alla riflessione sul Rinascimento italiano, conosciuto per mezzo di stampe, di riproduzioni in gesso e di visite al Museo Borbonico. Promosse la ripresa della pittura a fresco, di cui fu buon esecutore, e adottò sempre la pratica della copia dal vero, difendendo - quando si voleva proibire alle modelle di posare in Accademia - il diritto per gli studenti di avere modelli viventi di entrambi i sessi (Guerra jr., p. 109). Il G. intese l'insegnamento accademico con alto senso dell'ufficio: affiancò alla pratica la scrittura - anche a uso degli allievi - di numerosi saggi storiografici e di commento delle opere più celebri del passato, che egli analizzava alla ricerca delle leggi immutabili del bello. Alcuni di questi scritti, nati da interventi presso le numerose accademie di cui fu socio o corrispondente, furono riuniti nella collettanea Opuscoli di belle arti (Napoli 1849) e illuminano sui principî istitutori dell'arte del G.: primato dell'arte italiana rinascimentale e in specie di Raffaello, adozione di soggetti letterari, volontà di continuare la tradizione della pittura murale. Nel 1844 risulta aver consegnato all'Accademia di S. Luca a Roma alcuni suoi testi (documentazione inedita, conservata negli archivi dell'Accademia), forse nella speranza di divenire socio. Allacciò inoltre rapporti con letterati e studiosi, e si legò di profonda amicizia con il compositore S. Mercadante.
Il 13 febbr. 1836 furono celebrate le sue nozze con Nicolina Ametrano, unione dalla quale nacquero otto figli: tre maschi (i primi due, Augusto e Stanislao, morirono in tenera età; Alfonso divenne architetto) e cinque femmine; la famiglia risiedeva nei pressi della parrocchia di S. Giuseppe.
Negli anni seguenti l'artista operò soprattutto al servizio della corte e della curia arcivescovile. Rivestì incarichi di sovrintendenza ai restauri per le opere del Museo Borbonico; stimò valori e suggerì acquisti; dipinse inoltre opere sacre per le chiese cittadine come l'Apparizione della Vergine a s. FilippoNeri (Napoli, chiesa della Concezione) e La Vergine dei Raggi della chiesa di S. Nicola di Tolentino (andata perduta). Negli anni Quaranta, insieme con G. Maldarelli, F. Marsigli e G. Cammarano, partecipò alla decorazione del nuovo appartamento delle Feste (oggi Biblioteca nazionale) del palazzo reale: affrescò la volta di una delle stanze, rappresentandovi, entro quattro ovati, le Stagioni. Il programma iconografico, per illustrare il quale il G. redasse le Dichiarazioni su alcuni affreschi nella reggia di Napoli (1852), associa le età della vita alle stagioni, secondo un'antica metafora, esemplandole su celebri favole mitologiche. Il tema narrativo non appesantisce le opere, che presentano sfondi di cielo e una tavolozza dai toni pastello, su cui spiccano accenti di lapislazzuli.
Risalgono agli anni compresi tra il 1846 e il 1852 gli affreschi della cupola della chiesa napoletana dei gerolomini (semidistrutti dai bombardamenti del 1943), l'opera più impegnativa del Guerra. Questi ricevette la commissione dai padri filippini, dopo la demolizione della precedente decorazione a stucco, e rappresentò il Paradiso, ispirandosi alla visione dell'Apocalisse di s. Giovanni Evangelista. Il pittore, come spiega nella Dichiarazione della dipintura a fresco nella cupola e tamburo della chiesa dei gerolomini di Napoli (Napoli 1852), interpretò il soggetto proposto come "un solenne e vastissimo fatto istorico" e vi raffigurò, oltre alla Trinità e ai santi della Chiesa, anche personaggi del Vecchio Testamento, realizzando oltre trecento figure. La composizione, ordinata a registri paralleli secondo una "gerarchia semplicemente cronologica, la quale anziché la gloria del Paradiso, ci dà l'idea di un indice di compendio storico" (Colucci, p. 100), presenta una rigidità di schema e una eccessiva definizione disegnativa delle figure; la gamma cromatica piuttosto scura, a base di terre, sembra derivare da una maggior perizia nella pittura a olio. L'opera, benché suscitasse pareri contrastanti, è ricordata da tutte le guide e le cronache del tempo come l'ultima grande impresa a fresco della pittura napoletana.
È del 1850-51 il grande dipinto Carlo III alla battaglia di Velletri (reggia di Caserta, sala di Alessandro), eseguito in competizione con il Carlo di Borbone abdica in favore di Ferdinando di G. Maldarelli, entrambi da collegarsi al programma di celebrazione dinastica promosso da Ferdinando II. Lo stesso intento dimostrano gli affreschi della volta dello studio del re nel palazzo reale di Napoli (1854-56), ispirati alla storia di Carlo d'Angiò. Gli affreschi, che presentano un'ambientazione medievale immaginaria e una gestualità teatrale, risentono della pittura di storia dell'età romantica, e segnatamente dei Vespri di F. Hayez, allora a Napoli. Contemporaneamente agli incarichi regi, il G. proseguiva la sua collaborazione con la Chiesa, godendo la fama di essere l'ultimo grande frescante. È del 1852 l'affresco con la Pesca miracolosa della cattedrale di Caserta, che riprende gli arazzi di Raffaello; nel biennio successivo il G. attese alla decorazione pittorica dell'abside della cattedrale di Aversa, con scene della vita di s. Paolo.
Nel 1860 fu incaricato di eseguire i ritratti dei sovrani, lasciati incompiuti per la morte di Ferdinando II e i successivi eventi storici. Negli ultimi anni, estromesso dagli incarichi ufficiali, si dedicò soprattutto agli studi.
Il G. morì a Napoli il 10 marzo 1874.
Fu allievo del G., tra gli altri, il nipote Achille, nato a Napoli il 18 giugno 1832 da Filippo e Maria Bodardo. Achille ricalcò le orme dello zio nei soggetti e nello stile: è suo, infatti, il dipinto datato 1855 e normalmente ascritto a Camillo, Fermezza nella fede cristiana (Napoli, Museo di Capodimonte: Guerra jr., p. 55), in cui una matrona romana e un uomo anziano, in carcere, sono colti in atto di preghiera. Nel 1859, all'Esposizione di belle arti di Napoli, Achille presentò i Neofiti, dipinto ancora non identificato (Dalbono, 1859).
Ancora giovane, il pittore si trasferì a Roma, e cominciò a esporre alle mostre di interesse nazionale, alla ricerca di un mercato più vasto di quello partenopeo. In tale luce è da intendere la sua partecipazione alla Galleria dantesca, singolare iniziativa artistica e editoriale svoltasi a Firenze nel 1861: su disegno di F. Bigioli, furono dipinti ventisette grandi quadri - di gusto tardoneoclassico - tratti dalla Divina Commedia, poi esposti nella chiesa di S. Croce. Oltre al Bigioli e ad Achille, furono coinvolti i pittori A. Chierici, F. Grandi e V. Paliotti. Venne pubblicata anche una serie di incisioni tratte dalle opere, che però non illumina sulle qualità pittoriche del Guerra. La Galleria dantesca fu esposta nuovamente nel 1921.
Risale al tempo dell'abate Michele Morcaldi (1878-94) la sua collaborazione con la badia di Cava de' Tirreni, dove dipinse La disciplina monastica e il Miracolo della sporta dei pesci nella volta della sala capitolare e un S. Mauro (1881) per la chiesa. A Maiori (Salerno) realizzò quattro dipinti nella chiesa della Congregazione del Carmine. Non si hanno notizie sugli ultimi anni di vita dell'artista, che morì a Roma il 23 genn. 1903.
Fonti e Bibl.: I. Capecelatro Ricciardi, Giulio Sabino e Adone e Venere. Dipinti di C. G., in D. Del Re, Rimembranze storiche e artistiche della città di Napoli, Napoli 1846, pp. 40-58; R. Colucci, La cupola dei gerolomini dipinta a fresco da C. G., in Albo artistico napoletano, Napoli 1853, pp. 97-107; P. Ulloa Calà, Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine, Genève 1859, p. 232; C.T. Dalbono, Ultima mostra di belle arti in Napoli, Napoli 1859, p. 33; Id., Nuova guida di Napoli e dintorni, Napoli 1876, pp. 28 n., 95, 320 s.; A De Gubernatis, Diz. degli artisti italiani viventi, Firenze 1889, ad indicem (per Achille); A. Borzelli, L'Accademia del disegno dal 1815 al 1860, in Napoli nobilissima, I (1901), 8, pp. 125 s.; C.G. Gattini, La chiesa di S. Francesco di Paola in Napoli, Matera 1907, pp. 15-18; G. Guerrieri, Di alcuni affreschi nelle sale della Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, in Accademie e biblioteche d'Italia, 1928, n. 3, pp. 27-32; C. Lorenzetti, L'Accademia di belle arti in Napoli, Firenze 1952, pp. 223-225; C. Guerra jr., La vita e le opere del pittore napoletano C. G. 1797-1874, Napoli 1959; M. Causa Picone, Disegni della Società napoletanadi storia patria, Napoli 1974, pp. 53-55, 105, 107-109, ill. n. 230; La badia di Cava, a cura di G. Fiengo - F. Strazzullo, II, Napoli 1990, p. 408 (per Achille); I. Ceccopieri, L'Archivio Camuccini. Inventario, Roma 1990, ad indicem; A. Porzio, in La Pittura in Italia. L'Ottocento, II, Milano 1990, pp. 864 s.; G. D'Alessio, in La pittura napoletana dell'Ottocento, a cura di F.C. Greco, Napoli 1996, ad vocem; M. Picone, C. G., in Civiltà dell'Ottocento. Le arti a Napoli dai Borbone ai Savoia (catal.), I, Napoli 1997, p. 514 e schede 17.118 a-b; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 237.