CORSI, Camillo Maria
Nato a Roma il 13 maggio 1860 da Tito e da Teresa Mazzetti, entrò nel 1874 nella Regia Scuola di marina e ne uscì dopo cinque anni di studi e di navigazione (il suo primo imbarco fu sulla "Vittorio Emanuele") con il grado di guardiamarina. Tenente di vascello nel 1887, partecipò alla campagna d'Africa dell'anno successivo. Comandò poi l'avviso "Archimede" in una crociera per la visita e lo studio di numerosi ancoraggi dell'isola di Creta, e nel 1900 con il cacciatorpediniere "Lampo" svolse una breve crociera nel Baltico toccando porti mai visitati prima da navi da guerra italiane. Capitano di fregata nel 1901, continuò la sua attività al comando dell'incrociatore "Umbria", e con esso tra il 1904 e il 1905 visitò le coste dell'America centrale e meridionale giungendo successivamente, nel Pacifico, fino a Vancouver. Promosso capitano di vascello nello stesso anno 1905, fu per due anni capo di gabinetto dell'amm. C. Mirabello ministro della Marina, e lavorò come fedele interprete delle sue direttive, intese al rinnovo del materiale.
Aveva frattanto iniziato un'attività di studioso e di pubblicista di problemi navali. Interessanti si presentano i suoi studi sull'impiego delle torpediniere (Impiego tattico delle torpediniere, in Rivista marittima, XXVIII [1895], 10, pp. 31-38) e sugli insegnamenti da trarre dalla guerra ispano-americana (Alcuni insegnamenti della guerra di Cuba, Roma 1898).
Le torpediniere venivano considerate dal C. mezzi primari di offesa bellica, che dovevano agire non solo in difesa delle coste, ma accanto alle navi maggiori, attaccando poi a fondo, di notte, da distanza ravvicinata l'avversario. Ma se le torpediniere erano efficaci strumenti di potenza marittima, la recente guerra tra Spagna e Stati Uniti, avvertiva ancora il C., aveva messo in risalto anche la importanza delle grandi e moderne corazzate che avevano condizionato l'avversario anche quando non erano intervenute direttamente nel combattimento.
Passato al comando della corazzata "Roma", alla vigilia della guerra italo-turca, fu promosso contrammiraglio. Iniziate le ostilità, divenne il comandante della prima divisione della prima squadra e nello stesso tempo capo di Stato Maggiore del viceammiraglio L. Viale.
Con la prima divisione assunse una posizione d'appoggio per la prima impresa dei Dardanelli bombardando i forti turchi, e operò nel tentativo di attirare fuori dai porti la flotta avversaria. Nel 1912, seguendo le direttive della politica di Giolitti intesa ad ottenere la resa a discrezione della Turchia senza per altro suscitare reazioni negative tra le grandi potenze, operò nell'Egeo occupando diverse isole tra cui Rodi, Scarpanto e Cos, e le altre Sporadi, evitando, nei limiti del possibile, spargimenti di sangue e di recar danno a cittadini stranieri. Ovunque, dopo aver messo fuori combattimento il presidio nemico ed aver arrestato le autorità turche, organizzò per mezzo di ufficiali di Marina i più importanti servizi amministrativi chiamandovi a partecipare, per guadagnarsi le simpatie delle popolazioni, le locali autorità di lingua greca. Fu infine a conoscenza ed incoraggiò il secondo forzamento dei Dardanelli effettuato da E. Millo.
Insignito per la campagna della croce dell'Ordine militare di Savoia, fu nel 1914 comandante della Accademia navale e della divisione navi scuola durante la campagna estiva degli allievi. Dichiarata la guerra all'Austria, fu promosso vice-ammiraglio, e divenne il comandante della prima squadra a Taranto, innalzando l'insegna sulla "Conte di Cavour". Il 30 sett. 1915 veniva nominato ministro e capo di Stato Maggiore della Marina, il 20 novembre dello stesso anno senatore.
I motivi del concentramento delle due cariche, politica e militare, andavano ricercati nelle stesse vicende del primo periodo di guerra. Le prime operazioni non avevano avuto i risultati attesi dall'opinione pubblica: non si erano ottenuti successi di rilievo ed anzi erano andati perduti i due grandi incrociatori "Amalfi" e "Garibaldi". Uscite in missione rischiosa le navi erano state silurate, e fu fatto carico ai responsabili della preparazione e della guerra sul mare di agire in maniera scoordinata e di non aver valutato adeguatamente l'importanza delle nuove armi, in particolare i sommergibili contro cui sembrava non esserci difesa. Attaccato dalla stampa e da diversi uomini politici il ministro Viale si era dimesso, ed il capo di Stato Maggiore Thaon di Revel aveva preferito il comando dell'alto Adriatico non condividendo, tra l'altro, la condotta della flotta ad opera di Luigi Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi. Subentrato ad entrambi, il C. cercò di evitare rischi inutili invitando i comandanti a sviluppare la guerra con unità sottili ed insidiose. Portò una maggiore energia nell'organizzazione degli arsenali, dei cantieri, dei rifornimenti e nella cura del personale, ottenendo giudizi positivi presso diversi uomini politici dell'epoca. Sotto di lui la Marina poté vantare il notevole successo del salvataggio di gran parte dell'esercito serbo, per il quale vennero approntati parecchi piroscafi e svolte un gran numero di crociere tra il novembre del 1915 ed il febbraio del 1916. Ma la caduta della Serbia aveva reso delicatissima la situazione delle truppe italiane che occupavano l'Albania. In un convegno dei ministri interessati tenutosi a Roma il 22 genn. 1916 sorsero notevoli contrasti tra Cadorna, che voleva abbandonare Durazzo, e Sonnino, seguito più cautamente da Salandra, che voleva tenere la città. Con il ministro degli Esteri si schierò il C., e i contrasti si fecero ancora più vivaci quando si trattò di decidere lo sgombero di Valona. Il ministro della Marina propose di difendere ad oltranza la città per meglio controllare il canale d'Otranto e impedire i movimenti del naviglio austriaco, e fu appoggiato da Sonnino che temeva che la Albania venisse occupata dagli alleati. Ma Cadorna non mutò d'opinione neppure in questo secondo caso. I due uomini erano portatori evidentemente di due linee entrambe settoriali: la prima rivolta esclusivamente al fronte dell'Isonzo, e la seconda preoccupata in particolare degli aspetti marittimi della guerra, ma anche indicativa di un pensiero e di un atteggiamento politico, che si svilupperà meglio in seguito, desideroso di ottenere dalla guerra, oltre all'indipendenza delle province irredente, un'affermazione di prestigio e la premessa per l'espansione nei Balcani.
Il 1916, a parte la dolorosa perdita della "Leonardo da Vinci" dovuta, per altro, al tradimento, vide una maggiore attività della Marina la quale si fece più aggressiva in alto Adriatico grazie all'impiego dei M.A.S., stimolato dal C. e dal Revel, mentre il basso Adriatico diveniva proibitivo per le operazioni delle navi austriache. Infatti nel maggio del 1917, in seguito ad un attacco allo sbarramento del canale d'Otranto, si ebbe un notevole successo navale grazie alla ben organizzata vigilanza che aveva consentito il pronto intervento delle forze congiunte italiane, inglesi e francesi. Qualche mese prima il C. si era recato a Londra per discutere in una conferenza con i capi militari alleati la questione degli approvvigionamenti, la difesa dai sommergibili e la protezione al traffico del Mediterraneo da ottenersi in particolare con la vigilanza dell'imbocco dell'Adriatico. Aveva ottenuto per quest'ultimo compito lo aumento delle siluranti alleate, mentre contemporaneamente aveva sostenuto con successo la necessità di lasciare all'Italia la direzione delle operazioni; e quanto era stato predisposto dal C. aveva infatti costretto gli Austriaci a desistere dal forzamento del canale d'Otranto. Ma tra gli alti comandi italiani persistevano ancora diversi e notevoli motivi di tensione.
Alla caduta di Salandra il C. fu riconfermato ministro nel gabinetto Boselli; poco dopo però la stampa, nonostante la censura, aveva nuovamente criticato la condotta delle operazioni navali attaccandone il comandante, Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, facendogli carico di voler tendere alla battaglia navale decisiva e di svolgere per questo scopo un'attività troppo onerosa e rischiosa. Il C. tentò di scindere la carica di ministro da quella di capo di Stato Maggiore, e, a questo proposito, prese contatto con Revel con l'intento di affidargli quest'ultimo incarico, e in tal modo controllare meglio o diminuire almeno le proprie responsabilità nei confronti dei duca degli Abruzzi; ma Revel rifiutò. Intervenne allora il Consiglio dei ministri che decise la sostituzione di Luigi Amedeo di Savoia e dello stesso C., rimproverando a quest'ultimo (almeno così è lecito supporre) di non aver voluto o potuto imporre al duca diverse direttive. Lasciata la carica di ministro, il C. assunse il 26 luglio 1917 il comando della squadra da battaglia. Collocato in posizione ausiliaria il 1° apr. 1918, passava poco dopo nella riserva navale.
Dopo la guerra, come senatore partecipò più volte ai lavori parlamentari intervenendo su diverse questioni di carattere militare e marittimo.
Nei mesi immediatamente successivi alla fine del conflitto invitò alla rapida smobilitazione della Marina, ponendo l'accento sulle gravi condizioni in cui versava il settore mercantile e sulla gravità della situazione nel servizio dei rifornimenti per le deficienze del tonnellaggio nazionale (Marina mercantile per la pace e per la guerra. Smobilitiamo!, in Nuova Antologia, 16 nov. 1918, pp. 159-164). A suo avviso i cantieri avrebbero dovuto lavorare quasi esclusivamente per la costruzione di navi da trasporto. Presentò a questo proposito, con altri ammiragli tra cui Revel, una importante interrogazione al Senato sui provvedimenti da assumere sul regime delle requisizioni, per lo sviluppo delle nuove costruzioni navali, del credito navale e per l'ampliamento dei porti. Ma in un secondo tempo, in relazione all'opera del ministro G. Sechi, giudicò eccessiva la smobilitazione della marina militare e la flotta non più adeguata a difendere gli interessi nazionali. In sintonia con il clima nazionalistico sviluppatosi nel dopoguerra, si fece sostenitore di una potente linea di corazzate: fu favorevole al ripristino della "Leonardo da Vinci", e propose e sostenne con fermezza il completamento della corazzata "Caracciolo" che nelle intenzioni del ministro doveva essere abbandonata. Intrattenne a questo proposito rapporti con Thaon di Revel, Millo e U. Cagni, senza tuttavia riuscire nel suo intento.
Si spense a Roma il 17 luglio 1921.
Fonti e Bibl.: Necrol. in La Tribuna, 19 luglio 1921; Roma, Minist. d. Difesa, Arch. dell'Ufficio storico della Marina, fascicolo personale; Atti Parlamentari, Camera, leg. XXIV, Discussioni, tornata del 16 marzo 1916, pp. 9504-9511; Senato, leg. XXIV, Discussioni, tornate del 15 dic. 1915, p. 1877; 8 apr. 1916, p. 2252; 20 dic. 1916, pp. 2955-56; 17 marzo 1917, pp. 3232-34; 26 marzo 1917, p. 3390; 28 marzo 1917, pp. 3416-17; leg. XXV, Discussioni, 24 giugno 1920, p. 894; 13 luglio 1920, p. 1186; leg. XXVI, Discussioni, 18 luglio 1921, pp. 144-145; Elenchi storici e statisticidei senatori del Regno dal 1845 al 1° gen. 1935, Roma 1935, p. 84; Ufficio dei capo di Stato Maggiore della Marina (Ufficio storico), Cronistoriadocumen. della guerra marittima italo-austriaca, L'impiego delle forze navali, Roma 1918-1922, I, pp. 14, 23, 52, 74, 79, 81; G. Roncagli-C. Manfroni, Guerra italo-turca (1911-12). Cronistoria d. operazioni navali, Milano 1918, II, pp. 81, 124, 172; G. Giolitti, Mem. della mia vita, Milano 1967, p. 255; L. Albertini, Vent'anni di vitapolitica italiana, Bologna 1950, II, pp. 116, 157, 160, 162, 244, 518; V. Tur, Plancia ammiraglio, Roma 1958-1963, II, ad Indicem; O.Malagodi, Conversazioni della guerra 1914-1919, Milano-Napoli 1960, II, pp. 259, 363; G. Fioravanzo, La Marina militare ital. nel suo primo secolo divita, 1861-1961, Roma 1961, p. 77; P. Pieri, L'Italia nella prima guerra mondiale, 1915-18, Torino 1968, pp. 108, III; R. Bernotti, Cinquantaanni nella Marina militare, Milano 1971, p. 97; S. Sonnino, Opera omnia, a cura di B. F. Brown, Diario 1866-1916, Bari 1972, 11, pp. 251, 257, 264, 292, 325, 337; Carteggio 1914-1916, Bari 1974, ad Indicem; W. Polastro, La Marinamilitare italiana nel primo dopoguerra (1918-1925), in Il Risorgimento, XXIX (1977), 3, p. 139; Enc. Milit., III, p. 253.