OLIVO, Camillo
OLIVO (Olivi), Camillo. – Nacque nel 1510 a Mantova dal nobile Giovan Matteo.
Il padre possedeva alcuni beni presso Goito, ma il patrimonio familiare doveva essere modesto: in una lettera del 10 dicembre 1562 (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Esteri, Trento, b. 1409, cc. n. n.), Olivo ricordò che i mobili di casa non superavano il valore di 40 scudi. Tuttavia il padre, uomo di lettere (era in contatto, fra l’altro, con Matteo Bandello), trasmise ai figli maschi Camillo, Francesco e Pirro un’educazione umanistica e un tradizionale rapporto di devozione e servizio verso casa Gonzaga, più particolarmente verso il cardinale Ercole.
Alle dipendenze del porporato Olivo entrò relativamente presto, comunque non oltre il 1543, in qualità di segretario. Ciò lo introdusse negli ambienti del potere politico-amministrativo, giacché Ercole Gonzaga tenne lungamente la reggenza del ducato per i nipoti; Olivo, assieme all’altro segretario Endimio Calandra, era il solo autorizzato a decifrare i dispacci più delicati. Dovette quindi occuparsi anche di questioni confinarie e di passaggi di truppe; nel 1553 negoziò inutilmente con gli Estensi un progetto di matrimonio fra Luigi d’Este e Isabella Gonzaga.
Sul piano religioso, il cardinale Gonzaga era in rapporto con gli ambienti degli spirituali, desiderosi di una riforma della Chiesa, e si può supporre che in un primo tempo anche Olivo si sia accostato a quelle posizioni. Mentre però Endimio Calandra perseverò a lungo nelle sue compromettenti frequentazioni, Olivo sembra essere divenuto più prudente fin dai primi anni Quaranta, quando lo stesso cardinale cominciò a prendere le distanze dagli spirituali, dopo essere stato in qualche modo coinvolto nelle clamorose fughe di Bernardino Ochino e Pier Martire Vermigli. La svolta è attestata da una polemica di Olivo con il celebre predicatore Andrea Ghetti da Volterra, pericolosamente vicino alle dottrine della Riforma (Murphy, 2007, pp. 122-127). In effetti, la sua professione di ortodossia convinse anche uno zelante collaboratore dell’Inquisizione come Girolamo Muzio, che trascorse alcuni mesi a casa sua e gli dedicò due scritti controversistici. Lo zelo antiereticale di Olivo è altresì attestato da una dura polemica di Pier Paolo Vergerio, il quale, dopo aver perduto la protezione di Gonzaga ed essere fuggito dall’Italia, polemizzò duramente col cardinalee col suo segretario, accusando specialmente quest’ultimo di essere stato l’ispiratore dei più recenti decreti mantovani contro i protestanti. Vergerio insinuò anche che Olivo avesse indirizzato, in pieno conclave del 1550, versi omofili a un certo Annibale Contini: quest’accusa di omofilia sarebbe stata più tardi ripresa, in tono grevemente scherzoso, anche dal canonico mantovano Antonio Cerruti.
Queste polemiche non nocquero però alla carriera di Olivo, che divenne il principale collaboratore del cardinale Gonzaga, dopo l’allontanamento di Calandra nel 1552, e ottenne alcuni benefici ecclesiastici: fu nominato prima massaro della cattedrale di Mantova nel 1557 e poi canonico della medesima, nonché rettore della chiesa suburbana di S. Giorgio. Migliorò in questi anni anche la situazione economica familiare, grazie a una considerevole dote, proveniente dal matrimonio del fratello Pirro. A Mantova i due fratelli abitavano in una casa situata nella contrada del Leopardo, stimata intorno ai 2000 scudi; negli anni Sessanta comprarono anche terreni «arativi e prativi» nel Mantovano (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Registrazioni notarili ordinarie, anno 1563, c. 677).
Olivo raggiunse l’apice della carriera all’inizio del 1562, quando si recò a Roma per illustrare a Pio IV le condizioni alle quali Ercole Gonzaga avrebbe accettato la legazione al concilio. Il 17 gennaio ricevette l’investitura ad opus et officium secretariatus in rebus et negotiis nostris secretis ad praedictum sacrum Concilium pertinentibus.
Presente a Trento da aprile, ebbe l’incarico di sbrigare la corrispondenza segreta del collegio dei legati e di trasmettere – secondo le direttive di Gonzaga – i pagamenti della S. Sede a quel centinaio di vescovi italiani che venivano sussidiati per consentire la loro presenza a Trento. Anche per questo Olivo fu coinvolto, tra il marzo e il giugno 1562, nella grave crisi del Concilio sul tema dell’obbligo di residenza dei vescovi. Gonzaga e il suo segretario, duramente criticati dal cardinal legato Ludovico Simonetta, caddero in disgrazia presso Pio IV, con il quale tentarono di giustificarsi per il tramite del cardinale Francesco Gonzaga, membro della congregazione di curia per gli affari del Concilio. In particolare, Olivo dovette difendersi dall’accusa di avere esercitato pressioni sui vescovi italiani interessati alle distribuzione dei sussidi per indurli a sostenere il diritto divino dei vescovi.
La risentita consapevolezza da parte di Olivo della propria dignità e delle buone ragioni del suo signore gli procurarono l’ostilità del cardinale Simonetta, nonché l’accusa da parte di Pio IV di eccessiva «mordacità» (Ŝusta, III, 1911, p. 273). Indubbiamente le sue lettere hanno un contenuto polemico: quella del 30 luglio 1562, in particolare, rivolge esplicite critiche all’indirizzo di Carlo Borromeo (Drei, 1916, pp. 283-285). Ciò nonostante, dopo la morte di Gonzaga nel marzo 1563, Olivo fu riconfermato nelle sue delicate mansioni dal cardinale Giovanni Morone, nuovo presidente del collegio dei legati, con una provvigione di 40 scudi al mese. Verso la conclusione del Concilio, Olivo chiese a Roma una pensione annua di 300 scudi e altri 1000 scudi per dotare due nipoti. Gli arrivò invece la richiesta di rendere conto delle somme erogate per ordine dei legati. La spinosa questione rimase in sospeso dal giugno al novembre 1563, per l’impossibilità di documentare tutti i pagamenti ordinati oralmente dal cardinale Gonzaga: difficoltà ulteriormente aggravata dalle frodi del tesoriere generale Donato Matteo Minali, che furono scoperte solo nel 1567-68. Pur non avendo potuto giustificare tutte le spese, alla fine del Concilio Olivo ricevette lettere ufficiali di elogio e una ricompensa pecuniaria.
Con la conclusione del Tridentino si aprì la fase più oscura della vita di Olivo. Secondo il racconto, peraltro privo di conferme, di Fulgenzio Micanzio (1974), una volta rientrato a Mantova, fu processato da quel tribunale del S. Uffizio e fu anche imprigionato negli ultimi tempi del pontificato di Pio IV, a causa del particolare odio del pontefice nei suoi confronti. Invece, secondo il racconto di Sforza Pallavicino (1745), che poté leggere le carte del S. Uffizio romano, le indagini inquisitoriali su Olivo si svolsero a seguito dell’inchiesta avviata da Pio V a Mantova nel 1567-68 che culminò nell’estradizione del canonico Antonio Cerruti, nel clamoroso processo a Endimio Calandra, in numerose abiure pubbliche e segrete (anche di personaggi della corte mantovana)e in alcune condanne a morte di eretici relapsi. Di fatto però Olivo fu lasciato relativamente indisturbato, benché – secondo Pallavicino – l’Inquisizione romana avesse raccolto circostanziate testimonianze sulle sue antiche simpatie per la Riforma. Verosimilmente, come del resto si vociferò fin da allora, da ecclesiastico esperto qual era, era entrato tempestivamente in contatto con il S. Uffizio di Mantova già nella primavera-estate del 1567, approfittando dell’istituto della ‘spontanea comparizione’, denunciando gli antichi compagni di fede (come la poetessa Lucrezia Gonzaga) e ottenendo quindi per sé un trattamento di favore.
Non gli fu però più possibile ricevere nuovi incarichi dalla corte mantovana o nuovi benefici dalla curia. Perciò trascorse i suoi ultimi anni a Mantova, dove «viveva privatamente» (Micanzio, 1974, p. 1281) assieme alla famiglia del fratello Pirro, impegnandosi nel tentativo di sistemare i nipoti presso potenti protettori. Gli riuscì di collocarne uno con il cardinale Otto Truchsess. Invece nel 1570 Carlo Borromeo rinunciò a chiamare fra i propri camerieri un altro nipote, Volpino (che fu poi canonico di Mantova), con la motivazione ufficiale di una riduzione della famiglia cardinalizia, ma forse anche per il disagio legato alle traversie inquisitoriali che avevano sfiorato l’antico segretario del cardinale Gonzaga. (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Epistolario di Carlo Borromeo, F 118 inf., n. 22, cc. 44 r-45 v).
Fu perciò un Olivo molto amareggiato, sia per il declino dei suoi vecchi ideali religiosi, sia per essere caduto in disgrazia presso la curia, quello che intorno al 1570 incontrò a Mantova il giovane servita veneziano Paolo Sarpi.
Sarpi, che lo apprezzò molto, desiderava essere informato sul Concilio tridentino, e Olivo poteva soddisfare la sua curiosità perché «sapeva tutte le particolarità de’ negozii più secreti, et aveva anco molte memorie» (Micanzio, 1974, p. 1281). A Sarpi dunque Olivo confidò, se non proprio i documenti finanziari del Concilio, su cui l’Istoria di Sarpi appare poco informata, almeno quel suo «Discorso intorno al sacro Concilio», di cui parlano fonti coeve, ma che non è pervenuto. È al ricordo di Olivo nell’Istoria sarpiana e alla vivace rievocazione dei loro colloqui tratteggiata da Fulgenzio Micanzio che il segretario di Ercole Gonzaga deve in parte la sua fortuna postuma. Tutta la storiografia successiva ha riconosciuto il ruolo di quell’incontro mantovano nell’ispirare a Sarpi l’interesse per la storia conciliare; anche se da parte curiale si replicò mettendo in dubbio l’ortodossia di Olivo (Pallavicino, 1745, pp. 10-12) e anche se è stato osservato (Prodi, 1967, p. 423) che i due uomini, lontani per età ed esperienze, non interpretarono col medesimo spirito i contrasti che avevano contrassegnato l’assise conciliare.
Morì a Mantova il 12 gennaio 1573.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, C. D’Arco, Notizie delle Accademie, de giornali e delle tipografie che furono in Mantova e di circa mille scrittori mantovani vissuti dal secolo XIV fino al presente, V, pp. 249-252; Ibid., C. D’Arco, Famiglie mantovane, V, c. 335; Ibid., Esteri, Trento, bb. 1409-1411; Ibid., Registrazioni notarili ordinarie, anno 1563, c. 677; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Epistolario di Carlo Borromeo, F 118 inf., n. 22, cc. 44 r-45 v; P.P. Vergerio, Aquegli venerabili padri dominicani, che difendono il rosario per cosa buona, Poschiavo, D. Landolfi, 1550, cc. 20r-21r; Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini et eccellentissimi ingegni, Venezia, P. Manuzio, 1564, libro I, pp. 140 s.; G. Muzio, Le malitie bettine, Pesaro, eredi di B. Cesano, 1565; Id., Lettere catholiche del Muzio Iustinopolitano, Venezia, G.A. Valvassori, 1571, p. 145; S. Pallavicino, Istoria del concilio di Trento, Milano 1745, I, pp. 10-12; II, pp. 742 s.; III, pp. 16-19, 383 s., 408 s.; I. Sleidanus, De statu religionis et reipublicae Carolo quinto caesare commentarii, III, Kaufbeuren 1785-1786 (rist. Osnabrück 1968), pp. 197 s.; J. Šusta, Die römische Kurie und das Konzil von Trient unter Pius IV, Wien 1904-1914, I, pp. L-LIV, 28, 174; II, pp. 191 s., 207 s., 246 s., 264, 301, 410, 510, 538, 542 s.; III, pp. VIII s., 196, 213, 269, 273, 283, 289, 295 s., 301, 305, 320, 491; IV, pp. 92, 96, 283 s., 306, 321, 328, 341, 347, 397, 402 s., 406, 422, 444-448, 453; G. Drei, Per la storia del concilio di Trento. Lettere inedite del segretario C. O. (1562), in Archivio storico italiano, LXXIV (1916), 1, pp. 246-287; A. Luzio, L’Archivio Gonzaga di Mantova, II, La corrispondenza familiare, amministrativa e diplomatica dei Gonzaga, Verona 1922, pp. 222, 250, 273; P. Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), II, Roma, 1967, pp. 421, 423; C. Bondavalli, C. O. segretario del cardinale Ercole Gonzaga e la sua opera nel Concilio di Trento, tesi di laurea, Università di Bologna, Facoltà di lettere, a. a. 1968-1969; G. Cozzi, Nota introduttiva, in P. Sarpi, Opere, a cura di G. e L. Cozzi, Milano-Napoli, 1969, pp. 4 s., 9, 721; P. Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, a cura di C. Vivanti, II, Torino 1974, pp. 789, 820, 1127, 1132, 1174, 1183, 1194, 1203, 1206, 1208, 1210, 1228, 1251; F. Micanzio, Vita del padre Paolo, ibid., p. 1281; H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, Brescia, IV, 1, 1979, pp. 134 s., 214; IV, 2, 1981, pp. 273-275, 278, 368; U. Mazzone, Sussidi papali e libertà di voto al Concilio di Trento (1561-1563), in Cristianesimo nella storia, I (1980), pp. 185-250; Concilium Tridentinum, III, Diariorum, pars III, II, a cura di H. Mazzone, Freiburg im Breisgau 1985, pp. XXIII s., XXVII, XXXIII-XXXIX, LII, LVI s., 144 s., 153, 166-170, 203, 208, 223-227; S. Pagano, Il processo di Endimio Calandra e l’inquisizione a Mantova nel 1567-1568, Città del Vaticano 1991, pp. 10, 24, 125, 128; S. Cavazza, “Quei che vogliono Cristo senza Croce”: Vergerio e i prelati riformatori italiani (1549-1555), in Pier Paolo Vergerio il Giovane, un polemista attraverso l’Europa del Cinquecento, a cura di U. Rozzo, Udine 2000, p. 123; P. M. Branchesi, Fra Paolo Sarpi prima della vita pubblica (1552-1605). Appunti di ricerca, in Ripensando Paolo Sarpi, a cura di C. Pin, Venezia 2006, pp. 55-56; P.V. Murphy, Ruling peacefully. Cardinal Ercole Gonzaga and patrician Reform in sixteenth century Italy, Washington 2007, pp. 122, 126 s.; L. Gonzaga, Lettere, con appendice di nuovi documenti, a cura di R. Brigantini - P. Griguolo, Rovigo 2009, p. 216.