PELLIZZI, Camillo
PELLIZZI, Camillo. – Nacque il 24 agosto 1896 a Collegno (Torino) secondo figlio di genitori emiliani: Giovanni Battista (dal 1893 psichiatra nel manicomio diretto da Cesare Lombroso) e Giannina Ferrari, sorella del neuropsichiatra Giulio Cesare. La madre morì nel 1904 a Sassari e l’anno dopo il padre si trasferì a Pisa, chiamato all’Università sulla cattedra di psichiatria e neuropatologia, e lì si risposò ed ebbe altri tre figli.
Dal padre ricevette un’educazione «anticlericale e socialistoide» (Autobiografia, in L’Assalto, 11 dicembre 1927). A Pisa Pellizzi si iscrisse a 16 anni all’università, facoltà di Giurisprudenza. Nel 1913 si arruolò come volontario; congedato nel dicembre 1914, fu richiamato nel maggio del 1915: combattente fino a Caporetto, poi ufficiale di propaganda, infine ufficiale legale al Tribunale di Milano (si era laureato, durante una licenza, con Santi Romano nel gennaio del 1917), fu congedato nel dicembre 1919. L’esperienza di guerra fu importante nel condurre Pellizzi a elaborare la tesi della gerarchia delle competenze come formula posta a fondamento di una nuova Italia. A Milano, nell’autunno del 1919, si trovò ad assistere ai primi comizi di Benito Mussolini e l’incontro con il leader dei neonati Fasci di combattimento contribuì ad allontanarlo dal suo iniziale nazionalismo, non ritenendolo più capace di condurre il Paese a un reale cambiamento. Sempre nel 1919 Pellizzi pubblicò i suoi primi articoli che destarono subito interesse. Con La rivolta degli intellettuali (in La riforma, 20 dicembre 1919) egli teorizzò la necessità per i ceti medi intellettuali di organizzarsi e di rivendicare per sé un ruolo attivo.
Il nesso tra lavoro intellettuale, funzione pedagogica e programma politico costituì il primo nucleo di una teoria di impianto elitista che lo porterà a individuare i nuovi ‘aristòcrati’ di volta in volta in diversi soggetti sociali e politici: dai ‘tecnici’ dell’amministrazione ai ‘ras’ del fascismo, nella prima metà degli anni Venti, dai ‘giovani’ ai ‘corporatisti’, negli anni Trenta, fino ai ‘federali’ del partito, nel 1941 (C. Pellizzi, Il partito educatore, Roma 1941).
Nel 1920 Pellizzi partì per un soggiorno di studi in Inghilterra, dapprima a Cambridge e poi a Londra, dove ottenne lo stesso anno una posizione di lecturer. Parallelamente, in qualità di fondatore del Fascio di Londra e, dal 1922, di delegato statale per i fasci in Gran Bretagna e Irlanda, impegnato con successo nel riportare sotto l’egida del fascismo stampa, scuole e associazioni italiane già presenti sul suolo inglese, interlocutore attivo sulla stampa inglese a sostegno dell’immagine del fascismo, corrispondente de Il Popolo d’Italia (1922-29) su incarico personale di Mussolini, Pellizzi acquisì esperienza e meriti politici.
Nel 1924, dopo la sconfitta dei ‘revisionisti’ e il delitto Matteotti, Pellizzi fu tra i pochi intellettuali a segnalare l’avvio di una svolta ‘normalizzatrice’ alla quale egli reagì avvicinandosi agli ‘intransigenti’. Mantenne tuttavia un atteggiamento di fiducia nei confronti di Giovanni Gentile e dei suoi tentativi di riforma istituzionale.
Frutto di questi anni furono tre libri: Gli spiriti della vigilia. Carlo Michelstaedter, Giovanni Boine, Renato Serra (Firenze 1924), analisi dei tre autori, presentati come aristòcrati in nuce, anticipatori della rivolta fascista; Problemi e realtà del fascismo (Firenze 1924), in cui la novità del fascismo era individuata nella volontà, in sintonia con l’idealismo, di attivizzare le masse e di costruire una gerarchia «aperta»; Fascismo-aristocrazia (Milano 1925), una raccolta degli articoli più significativi del biennio precedente, in cui Pellizzi formalizzò la sua teoria come una combinazione di aristocratismo e corporativismo.
Nel 1925, deluso dall’esperienza politica, segnato da una crisi che lo riavvicinò al cattolicesimo e alla Chiesa, Pellizzi rinunciò alla carica di delegato per i fasci del ministero degli Esteri e si impegnò nell’insegnamento all’University College, Dipartimento di studi italiani: qui percorse tutti i gradini della carriera fino alla nomina a professore nel 1934. In quegli anni costruì legami di amicizia con i colleghi italianisti docenti in università inglesi, pubblicò su argomenti letterari, entrò a far parte di circoli e premi. Testimonianza di questo impegno sono: Cose d’Inghilterra (Milano 1926), sette saggi di costume sul Paese che lo ospitava; Le lettere italiane del nostro secolo (Milano 1929), che contiene spunti di riflessione originali sulla letteratura, prima e dopo la marcia su Roma; Il teatro inglese (Milano 1934), interessante lettura del canone teatrale britannico alla luce della grandezza e decadenza della borghesia di quel Paese.
Dopo la svolta del 1925, Pellizzi continuò a svolgere compiti di propaganda a Londra, ma la sua indipendenza economica gli consentì di partecipare con una certa libertà al dibattito politico italiano. Due sono gli ambiti sui quali la produzione di Pellizzi ci permette di mettere a fuoco le novità che l’epoca fascista apportò al ruolo dell’intellettuale nella società italiana: da un lato, l’uso del linguaggio in funzione ‘pedagogica’ e a fini di consenso (numerose furono le sue teorizzazioni della retorica); dall’altro, la fiducia nella regolamentazione pubblica delle relazioni industriali e del lavoro. Sul primo terreno, l’abilità politica di Pellizzi si mostrò soprattutto nella sua capacità di intervenire in sedi diverse utilizzando forme di linguaggio opportune per i vari ‘pubblici’ a cui si rivolse: è il caso della collaborazione in stile aforistico a L’Italiano di Leo Longanesi e Il Selvaggio di Mino Maccari; parallelamente collaborò con continuità e con stile argomentativo e riflessivo a Critica fascista di Giuseppe Bottai. Su questi giornali certi suoi interventi fornirono lo spunto per alcuni dei dibattiti più vivaci di quel decennio: i giovani, la libertà (De Felice, 1974, pp. 239-242) e, soprattutto, il corporativismo, un tema su cui si spese in varie sedi, protagonista della sua riflessione postbellica (Una rivoluzione mancata, Milano 1948). A Londra Pellizzi divenne anche amico del poeta Ezra Pound il quale collaborò, su suo invito, nel 1935 a The British-Italian Bulletin, supplemento de L’Italia nostra (organo del Fascio di Londra), con articoli in cui si esaltavano le riforme economiche fasciste: sarà lo stesso Pellizzi a sostenere nel 1953 la campagna di liberazione del poeta dal manicomio criminale di Washington.
Il delicato equilibrio tra il Pellizzi accademico italianista all’University College di Londra e il Pellizzi animatore del fascismo in Italia fu complicato dagli eventi internazionali. Se la crisi provocata dalla guerra di Etiopia fu superata senza conseguenze nei rapporti con l’università inglese, le cose divennero più difficili successivamente, anche perché Pellizzi desiderava rientrare in Italia: ancor più dopo il matrimonio avvenuto nel 1933 con Raffaella Biozzi, dal quale era nata nel 1934 la prima figlia Giovanna (gli altri due figli sarebbero nati in Italia: Francesco nel 1940 e Antonio nel 1943). L’occasione fu offerta da un concorso, bandito e vinto a Messina nel 1938, per una cattedra di storia e dottrina del fascismo (titolarità non gradita a Pellizzi e che gli varrà nel 1945 l’addebito di apologia del fascismo); accettò però nel 1939 la chiamata su quella cattedra all’Università di Firenze. Molto vicino a Bottai, allora ministro dell’Educazione nazionale, al suo rientro in Italia Pellizzi si impegnò sulla stampa a sostenere progetti di riforma dell’università italiana, sul modello dei college inglesi, ai fini della formazione delle élites.
Nel frattempo, nel 1939, dava alle stampe in Inghilterra il volume Italy scritto su invito dello storico Edward H. Carr: efficace quadro della storia dell’Italia unita, presentata come il frutto del fallimento delle élites dirigenti sia liberali sia marxiste, alle quali il fascismo aveva saputo contrapporre una nuova visione dell’autorità.
Nell’aprile 1940 fu nominato da Mussolini presidente dell’INCF (Istituto Nazionale di Cultura Fascista). Collegate alla presidenza dell’INCF erano anche cariche politiche come quella di consigliere nazionale della Camera dei fasci e delle corporazioni (XXX legislatura) e di ispettore del Partito nazionale fascista, oltre che di direttore della rivista dell’istituto, Civiltà fascista. In questi tre anni Pellizzi mostrò grandi capacità di direzione culturale, ma anche abilità nel gestire i compiti di propaganda assegnati all’istituto. Non poté, tuttavia, evitare, nella primavera del 1943, di farsi carico di alcune trasmissioni radiofoniche antibritanniche che gli costarono nel dopoguerra la rottura dei rapporti con la sua amata università inglese (Londra, Archivio University College, fasc. Pellizzi). Dalla carica di presidente dell’INCF fu destituito il 7 luglio 1943.
Come conseguenza della caduta del fascismo, non avendo egli aderito alla Repubblica sociale italiana, Pellizzi subì dapprima l’epurazione della RSI e poi, nel 1945-46 quella del governo italiano. Nel 1949 i suoi ricorsi al Consiglio di Stato e al ministero della Pubblica Istruzione furono accolti e Pellizzi fu reintegrato nell’insegnamento universitario nella facoltà di scienze politiche di Firenze sulla cattedra di sociologia: decisivo si dimostrò in questi anni l’appoggio dell’ambiente cattolico più sensibile al futuro delle scienze sociali, in particolare padre Agostino Gemelli e don Luigi Sturzo.
Cinquantenne e con alle spalle un’intensa attività intellettuale segnata in egual misura dai rapporti con l’Inghilterra e con il fascismo, Pellizzi, già nei suoi anni da epurato, seppe cogliere le opportunità di rinnovamento degli studi sociologici. A questi scopi piegò anche la sua attività di traduttore, particolarmente intensa in questi anni e che prestò per autori quali James Burnham, Ernst Cassirer, John Locke, Bertrand Russell. Nel 1948, inoltre, seppe trarre un bilancio da studioso del movimento in cui aveva creduto, con Una rivoluzione mancata.
Al di là dell’intensa attività giornalistica e di un progetto politico-culturale che nei primi anni Cinquanta si coagulò attorno alle riviste abc e Il borghese, Pellizzi si volse soprattutto al rinnovamento e alla diffusione della sociologia in Italia – per la quale per un decennio fu l’unico ordinario titolare di cattedra – avviando nuovi centri di ricerca (come il Centro di studi sui problemi del lavoro, a Firenze, 1953), favorendo scambi e soggiorni dei giovani studiosi negli Stati Uniti e inserendosi con successo in un filone di studi sul lavoro e le relazioni industriali per il quale era allora vivissimo l’interesse (e la pressione) da parte dei rappresentanti dell’ERP (European Recovery Program). Grazie all’avvicinamento a Georges Friedmann, influente sociologo francese del lavoro, e all’attività della sua cattedra nel settore di ricerche caldeggiato dall’AEP (Agenzia Europea per la Produttività), Pellizzi fu chiamato nel 1954 a Parigi, presso l’OECE, a capo della divisione Fattori umani della stessa agenzia, dove restò per circa tre anni.
Dal punto di vista metodologico, Pellizzi, riallacciandosi allo studio dell’empirismo inglese nonché del Circolo di Vienna e di Cassirer, era arrivato alla conclusione che il positivismo fosse la strada per superare in Italia l’habitus mentale idealistico e aprire alla sociologia come scienza empirica (Lineamenti di sistematica sociologica, Milano 1964). In questo campo, da un lato pose al centro le relazioni umane e sindacali, favorendo una collaborazione tra scienze sociali e mondo produttivo; dall’altro (Rito e linguaggio, Roma 1964) coltivò un suo filone originale di riflessione intorno ai concetti di comunicazioni umane, di comportamento simbolico e rituale, quali fondamenti di un approccio sociologico di tipo «interpretativo» e «qualitativo» (Breschi - Longo, 2003, p. 338).
Sulla base della vasta rete di giovani collaboratori e di contatti con le migliori scuole sociologiche del mondo, soprattutto anglosassoni, nel 1959 fondò la Rassegna italiana di sociologia, che ebbe sede dapprima a Firenze poi a Roma e, dal 1965, a Bologna. Nell’editoriale del primo numero Pellizzi si schierava per un orientamento deontologico di stampo weberiano, lontano dall’interferenza di ogni principio di valore nello sforzo scientifico. Alla rivista Pellizzi dedicò gran parte della sua attività, che rimase tuttavia intensa in ambito sia accademico sia scientifico e giornalistico.
Morì a Roma il 9 dicembre 1979.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione U. Spirito, Archivio C. P.; Londra, Archivio University College, fascicoli personali.
A. Aquarone, Aspirazioni tecnocratiche del primo fascismo, in Nord e Sud, XII (1964), 52, pp. 109-128; M. Isnenghi - S. Lanaro, Fascismo esorcizzato. Cinque schede sulla ‘rivolta piccolo-borghese’, in Belfagor, XXV (1970), pp. 219-229; E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Roma-Bari 1975, Bologna 1996, pp. 342-347, 402-404, 410-414, 467-473; R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, 1929-1936, Torino 1974, pp. 197, 239-242; N. Zapponi, L’Italia di Ezra Pound, Roma 1976, pp. 63, 135-136; G. Bechelloni, C. P.: ricordo scomodo di un outsider, in Rassegna italiana di sociologia, XX (1979), 4, pp. 545-556; R. De Felice, Mussolini il duce, 2, Lo Stato totalitario, 1936-1940, Torino 1981, pp. 84-86, 100, 305 s.; M. Salvati, Il regime e gli impiegati. La nazionalizzazione piccolo-borghese nel ventennio fascista, Roma-Bari 1992, pp. 78, 100, 102, 176; E. Gentile - G. Longo, La presidenza di C. P. all’Istituto nazionale di cultura fascista (1940-1943), in Storia contemporanea, XXIV (1993), pp. 901-948; G. Longo, Il primo convegno dei gruppi scientifici dell’Istituto nazionale di cultura fascista sull’‘idea di Europa’ (23-24 novembre 1942). Le relazioni di C. P. e di Gaetano Pietra e l’intervento di Ugo Spirito, in Annali della Fondazione Spirito, VI, Roma 1995, pp. 127-186; R. Suzzi Valli, Il fascio a Londra. L’attività politica di C. P., in Storia contemporanea, XXVI (1995), pp. 957-1001; Fascismo e pianificazione. Il convegno sul piano economico (1942-43), a cura e con introduzione di G. Melis, Roma 1997; L. Gallesi, Il carteggio Pound-Pellizzi negli anni del fascismo, in Nuova storia contemporanea, 2002, n. 3, pp. 6-78; D. Breschi - G Longo, C. P. La ricerca delle élites tra politica e sociologia, Soveria Mannelli 2003; L’archivio P.: il percorso di un intellettuale tra fascismo e Repubblica, a cura di L.R. Petese, con introduzione di G. Melis, Roma 2003; M. Salvati, Introduzione a C. Pellizzi, Una rivoluzione mancata, a cura di M. Salvati, Bologna 2009, pp. 7-46.