PROCACCINI, Camillo
PROCACCINI, Camillo. – Nacque a Parma il 3 marzo 1561 da Ercole e dalla sua seconda moglie, Nera Sibilla. Formatosi nella bottega paterna, già nel 1571, a soli dieci anni, Camillo risulta iscritto all’Arte dei bombasari e dei pittori di Bologna (dove la famiglia era tornata dopo il lungo soggiorno parmense), grazie al prestigio goduto da Ercole all’interno dell’istituzione. La prima opera dell’artista è il S. Giovanni Battista alla fonte (1577), ora alla Galleria Estense di Modena, che rivela una riflessione sui modelli offerti da Raffaello, Michelangelo e Pellegrino Tibaldi.
Nel 1582 è attestato un viaggio di Procaccini a Firenze con il pittore Gian Paolo Bonconti. Nello stesso anno Camillo firmò il contratto per l’Assunta dei Ss. Gregorio e Siro a Bologna, portata a termine verosimilmente l’anno successivo.
Nel 1583 l’artista ebbe un figlio dalla moglie, Francesca Dall’Olio, ma entrambi dovettero morire forse poco dopo, poiché non compaiono in documenti successivi (Arfelli, 1959). In questo periodo Procaccini fu coinvolto dal cardinale Gabriele Paleotti nell’esecuzione delle Storie di s. Pietro che decoravano il presbiterio della cattedrale di Bologna, e nello stesso cantiere affrescò, insieme a Bartolomeo Cesi, anche la cripta (1584-85).
Di entrambi questi complessi, eseguiti sotto le strette direttive di Paleotti per le scelte iconografiche, rigidamente legate ai canoni controriformati, si conservano pochi frammenti, mentre è perduta la decorazione della cappella del prelato sempre in cattedrale, terminata entro il 1585, dove Camillo collaborò con Cesi e Giovanni Battista Cremonini.
Oltre a questi prestigiosi incarichi che attestano la sua precoce affermazione a Bologna, l’artista lavorò per altri committenti di spicco in città, eseguendo nel 1584 l’Adorazione dei pastori già nella cappella Ghislieri in S. Francesco (Bologna, Pinacoteca nazionale), nella quale si avvertono echi della pittura di Correggio e Federico Barocci, ed entro il 1585 la pala d’altare, perduta, per la villa di campagna di Ulisse Aldrovandi, indicativa dei rapporti intercorsi tra Camillo e il naturalista (Mazza, in Camillo Procaccini, 2007).
Si situano in parallelo alle prove richiamate gli affreschi perduti (noti attraverso fotografie di inizio Novecento) nella chiesa di S. Clemente nel Collegio di Spagna a Bologna (1582-85), la cui impronta monumentale trova i suoi punti di riferimento, nel contesto bolognese, in Cesi e Bartolomeo Passerotti.
Uno dei momenti più significativi della giovinezza del maestro è rappresentato dalla prima campagna decorativa del presbiterio di S. Prospero a Reggio Emilia, eseguita tra il 1585 e il 1587: nel Giudizio universale del catino absidale, Camillo si mosse con una libertà esecutiva senza precedenti nella sua carriera, unendo echi della pittura di Federico Zuccari a una vena narrativa esuberante e densa di umori caricati e grotteschi. Accanto a questa decisiva impresa, il pittore ricevette in città altre commissioni, tra le quali il telero con S. Rocco che comunica gli appestati (già Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister, perduto nel 1945 e noto grazie a fotografie) per il locale oratorio intitolato al santo, opera alla quale faceva da contraltare l’Elemosina di s. Rocco, eseguita entro il 1595 da Annibale Carracci.
All’ombra di questi incarichi di assoluto rilievo, gli artisti attivi a Reggio promossero, nel 1586, l’istituzione di un’Accademia di pittura e scultura, sotto la guida di Procaccini (Artioli - Monducci, 1973). Nonostante questo prestigioso riconoscimento, il maestro decise di cogliere l’invito del conte Pirro I Visconti Borromeo, trasferendosi a Milano nel 1587 (Berra, 2002) e lasciando incompiuti gli affreschi in S. Prospero, che avrebbe completato solo dieci anni più tardi.
Sfuggono tuttora le circostanze dell’incontro tra Camillo e il conte Visconti Borromeo, un avvenimento cruciale per la carriera del pittore; secondo quanto attesta Carlo Cesare Malvasia (1678, 1841), prima dell’approdo in Lombardia l’artista avrebbe compiuto un viaggio a Roma al seguito del nobile milanese, una notizia riguardo alla quale non abbiamo però riscontri precisi.
Al suo arrivo a Milano, Camillo fu impegnato da Pirro I, tra il 1587 e il 1589, nella decorazione profana della villa di Lainate e degli ambienti spettacolari del suo ninfeo (Morandotti, 2005). Il successo immediato riscosso da queste prime prove, che, testimoniando una piena adesione alla pittura degli Zuccari, di Correggio e di Barocci, risultavano assai innovative nel contesto figurativo milanese, è attestato già nel 1587, quando Giovan Paolo Lomazzo, nelle sue Rime pubblicate quell’anno, celebra un Sacrificio di Isacco dell’artista (Lomazzo, 1587, 2006).
Oltre all’attività a Lainate, Camillo si affermò in quel periodo come pittore di ambito sacro e portò a compimento a Milano, entro il 1590, l’Assunzione della Vergine già in S. Francesco Grande (Pinacoteca di Brera; Cassinelli 2004-2005) e la Trasfigurazione già in S. Fedele (Isola Bella, collezione Borromeo; Cassinelli - Vanoli, in Camillo Procaccini, 2007), subito tradotta da lui stesso in incisione.
Durante questa stagione feconda il maestro sperimentò, infatti, anche la tecnica dell’acquaforte, dedicando quattro stampe al tema del Riposo durante la fuga in Egitto, invenzioni in grado di affascinare i maestri locali, tra i quali l’esordiente Giovan Battista Crespi, detto il Cerano. Il notevole talento di Camillo si rivela anche nella sua prolifica attività di disegnatore, all’interno della quale spiccano le prove giovanili raffiguranti teste caricate (Cassinelli - Vanoli, in Camillo Procaccini, 2007). La cospicua produzione pittorica e grafica del maestro è stata oggetto di un’unica e fondamentale ricognizione monografica (Neilson, 1979).
Uno Stato delle anime del 1590 attesta che Procaccini, allora non sposato, viveva a Milano con i fratelli Carlo Antonio e Giulio Cesare e con il padre Ercole (Besta, 1933), dal quale l’anno successivo ottenne l’emancipatio, vale a dire l’autonomia e l’indipendenza anche nel riscuotere i profitti della sua attività (Berra, 2002). Nello stesso 1591 Procaccini portò a termine il Martirio di s. Agnese per il Duomo di Milano (Isola Bella, collezione Borromeo), la prima commissione ricevuta dal maestro in quel cantiere e avviò il ciclo dedicato alle Storie della Vera Croce a Riva San Vitale, nel Canton Ticino (1591-92).
Nel 1592 la fama di Procaccini sulla scena milanese raggiunse l’apice con la commissione di due ante per l’organo meridionale del Duomo, compiute nel 1595: soprattutto nelle scene con il Trionfo di Davide il maestro rivelava un linguaggio aggiornato sulle tendenze della più moderna pittura riformata, che si distanziava dalle prove degli altri artisti allora in città, ancorati alla tradizione manierista. A testimoniare il successo riscosso da queste creazioni, i fabbricieri del Duomo affidarono al pittore l’esecuzione di un’altra coppia di portelle destinate all’organo settentrionale (1600-02).
A fronte di questa significativa affermazione, dalla fine del Cinquecento si avvertono però un progressivo venir meno della tensione creativa dell’artista e un mutamento decisivo nel suo linguaggio figurativo che, divenuto più pausato e severo, avrebbe reso Camillo uno degli interpreti più efficaci dei canoni controriformati caldeggiati da Federico Borromeo.
La messa a punto di questa formula di successo, alla quale il maestro si sarebbe mantenuto fedele nel corso della sua carriera successiva, gli consentì peraltro di fare fronte, grazie a una fiorente bottega in grado di replicare e variare le sue invenzioni, alla crescente richiesta di sue prove destinate a numerosi centri in Lombardia e nell’Italia settentrionale, che già a un primo censimento condotto nel secondo Seicento da Malvasia (1678, 1841) erano percepite come «una falange d’opre innumerabili».
Il nuovo corso intrapreso dal pittore è già testimoniato, peraltro, da alcune commissioni ricevute nel 1594, come la tela con gli Apostoli alla tomba della Vergine in S. Maria Maggiore a Bergamo (non ancora portata a termine nel 1596) e i dipinti in S. Maria di Campagna a Pallanza, sul lago Maggiore.
Sul fronte dei legami personali, nel 1595 Camillo risulta sposato con Anna Pagani, dalla quale avrebbe avuto numerosi figli e che gli sarebbe sopravvissuta (Caprara, 1977).
Intorno allo scadere dell’ultimo decennio del Cinquecento Procaccini decorò il coro della chiesa di S. Angelo a Milano e nel 1597 ritornò a Reggio Emilia per completare gli affreschi nella basilica di S. Prospero, ricevendo ulteriori incarichi in città (Cadoppi, 2014).
Oltre a questo ritorno in Emilia, nel 1600 venne saldata al pittore la Pentecoste nella chiesa dell’ospedale Maggiore di Lodi (Cavalieri - Comincini, 2010), alla quale è da avvicinare la versione dello stesso soggetto, di qualità più sostenuta e forse poco precedente, oggi nel Duomo di Cremona (Tanzi, 2015).
Ai primissimi anni del Seicento risalgono anche gli impegni nella sagrestia e nella cappella di S. Gregorio in S. Vittore al Corpo a Milano (1601-02), ed entro il 1603 Camillo portò a termine la decorazione del sacello dedicato a s. Giuseppe nel santuario della Madonna Addolorata di Rho (Frangi, 1992).
Lungo il primo decennio del secolo l’artista venne inoltre convocato a Piacenza, dove risulta attivo in più occasioni: in particolare, eseguì la monumentale e concitata Strage degli innocenti nel prestigioso cantiere di S. Sisto (1600-05) e tra il 1605 e il 1609 prese parte al ciclo di affreschi e tele per l’abside e il presbiterio del duomo: un’impresa di notevole rilievo, alla quale fu convocato anche Ludovico Carracci (Longeri Corradini, 2000).
Nel frattempo, tra il 1605 e il 1607, Procaccini aveva concluso le tele destinate alla cappella dell’Immacolata in S. Francesco a Lodi (Cavalieri - Comincini, 2010). Risalgono invece al 1606 sia lo Sposalizio mistico di s. Caterina nella chiesa parrocchiale di Castiglione delle Stiviere (Marinelli, 1994) sia la Madonna e santi già in S. Domenico a Cremona (ora nella parrocchiale di Isola Dovarese, nel Cremonese).
Nel 1607 il maestro aveva inoltre portato a termine il ciclo di dipinti per la collegiata di Bellinzona, e al 1608 risale, con ogni verosimiglianza, la partecipazione alla serie di teleri con le Allegorie delle Province Sabaude per Carlo Emanuele I di Savoia, eseguita insieme a Cerano, Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, Giovan Mauro della Rovere, detto il Fiamminghino, e al fratello Giulio Cesare.
A Camillo spettava l’Allegoria di Aosta, perduta, della quale rimane una testimonianza grafica alla Biblioteca Reale di Torino, probabilmente una traccia fornitagli per l’esecuzione dell’opera (D’Albo, in corso di stampa).
Il benessere economico raggiunto da Procaccini anche grazie a questa produzione frenetica trova riscontro nell’acquisto, nel 1609, di una casa nella parrocchia di S. Calimero a Milano, dove l’artista risiedette per tutta la vita (Caprara, 1977).
Nel 1610 Procaccini partecipò agli apparati per la canonizzazione di s. Carlo Borromeo e nello stesso periodo lavorò alla cappella di S. Diego d’Alcalá in S. Angelo a Milano, mentre nel 1611 venne nuovamente convocato dalla Fabbrica del duomo di Milano per la decorazione del soffitto della sagrestia settentrionale. A queste imprese vanno avvicinate l’Assunzione della Vergine nella chiesa di S. Alessandro a Milano (1612-13) e il Martirio di s. Teodoro nella cappella Trivulzio in S. Stefano a Milano (1613; Squizzato, 2013).
Nella seconda metà degli anni Dieci del Seicento, Procaccini portò a termine altre importanti commissioni sia a Milano, dove eseguì le ante d’organo della basilica di S. Vittore al Corpo (1615-16) e decorò la cappella dedicata alla Vergine in S. Maria del Carmine (1616-19), sia per la chiesa della certosa di Pavia, per la quale licenziò, nel 1616, le pale con l’Annunciazione e la Veronica.
Nel 1618 l’artista dipinse il telero con la Disputa tra s. Ambrogio e s. Agostino posto di fronte al Battesimo di s. Agostino di Cerano nel presbiterio della chiesa di S. Marco a Milano, e allo stesso anno è datata la Nascita della Vergine in S. Maria delle Grazie a Brescia. La fortuna di Camillo nei domini veneziani, dei quali Brescia faceva parte, è attestata anche dalle tele per la cappella di S. Carlo Borromeo in S. Nicola da Tolentino a Venezia (1618 circa; Neilson, 1979).
A ulteriore testimonianza del successo riscosso dal pittore presso la corte dei Savoia, nel 1619 gli furono saldate alcune opere destinate agli appartamenti di Cristina di Francia nel palazzo di S. Giovanni a Torino, eseguite in collaborazione con il fratello Giulio Cesare (Failla, in corso di stampa).
All’inizio del terzo decennio del Seicento il maestro partecipò al ciclo delle eroine veterotestamentarie in S. Maria di Canepanova a Pavia (1620-23) con due tele raffiguranti Maria sorella di Mosè e Rebecca al pozzo (Bertazzoni, 1993), alle quali si può avvicinare, per qualità sostenuta, il Martirio di s. Bartolomeo al Museo Camuno di Breno, in Val Camonica, datato 1622.
In tempi di poco successivi Procaccini dipinse la Crocifissione in S. Alessandro a Milano (1623-26), mentre tra il 1624 e il 1625 fu impegnato negli affreschi con Angeli musicanti nel coro della chiesa dei Ss. Paolo e Barnaba a Milano.
A coronamento di un’intensa carriera, nel 1627 Gómez Suárez de Figueroa duca di Feria, governatore spagnolo a Milano, commissionò a Procaccini due dipinti, perduti, destinati alle collezioni dei reali di Spagna e allestiti nel Salon Nuevo dell’Alcázar di Madrid (Pierguidi, 2012).
La sua ultima opera è forse l’Adorazione dei Magi nella parrocchiale di Biumo Inferiore, a Varese, che reca l’iscrizione in capitale «HIC CAMILLI PROCACINI MANUS INCLYTAE CECIDERUNT» (Zani, 1999).
Le severe fattezze di Camillo ci sono note grazie a un ritratto, nel quale appare intorno ai cinquantacinque anni, ora conservato presso il Museo statale Puškin di Mosca, riferito in maniera dubitativa al fratello Giulio Cesare; un’altra sua effigie perduta e probabilmente successiva, forse un autoritratto, fu incisa negli anni Settanta del Settecento da Antonio Francesco Albuzzi (1772-1778, 2015).
L’artista morì a Milano il 21 agosto 1629.
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