ROSPIGLIOSI, Camillo
– Nacque a Pistoia il 21 aprile 1601 da Girolamo e da Maria Caterina Rospigliosi.
La famiglia, fin dal XII secolo, possedeva vasti e remunerativi appezzamenti nel contado (da Lamporecchio e Groppoli, in zona collinare e pianeggiante, fino a Maresca, più in montagna); dal secondo decennio del Trecento, si era inurbata nel capoluogo, impegnandosi in attività manifatturiere, commerciali e finanziarie. Poco dopo, i Rospigliosi avevano iniziato a distinguersi in incarichi di governo municipale: Antonio era stato eletto fra gli Anziani nel 1388; suo figlio Taddeo aveva raggiunto la carica di gonfaloniere nel 1449. Alle soglie del XVII secolo, dunque, la famiglia era pienamente inserita nel patriziato cittadino.
Rospigliosi fu educato nel collegio dei gesuiti di Bologna. Dopo il suo ritorno a Pistoia, il 22 gennaio 1623 entrò nell’Ordine di Santo Stefano; prese quindi possesso della commenda che il padre aveva fondato per lui a San Miniato e ne fu nominato balì. Sposò nello stesso anno Lucrezia Cellesi, dalla quale avrebbe avuto diciassette figli.
Dopo la morte del padre, guidò la gestione dei beni di famiglia. L’evoluzione della carriera in corte di Roma del fratello maggiore Giulio, in favore della quale fu capace di attivare il sostegno della corte granducale, costituiva una sua costante preoccupazione. Tra il 1630 e il 1631, ne sostenne l’ingresso in prelatura mediante i necessari investimenti finanziari. Contemporaneamente, si affacciò al mondo della committenza artistica dando l’incarico a Giovanni Mannozzi di decorare la cappella di S. Caterina nel suo palazzo pistoiese (nell’attuale via del Duca) con scene dalla vita di s. Caterina di Alessandria.
Negli anni successivi, come testimonia un folto carteggio, i contatti con Giulio si mantennero sempre solleciti: Rospigliosi vigilava sui benefici disponibili, segnalandoli tempestivamente al fratello, che teneva al corrente anche degli investimenti effettuati nella ricca piazza finanziaria romana. Si rivolse a lui, ormai inserito nella cerchia di Urbano VIII Barberini, anche per instradare la formazione di alcuni suoi figli: Girolamo, Giacomo e Felice (il primo sarebbe morto nel 1647, ma il secondo e il terzo sarebbero arrivati al cardinalato). Persino per le pensioni possedute da un altro figlio, Vincenzo (cavaliere di Malta), Rospigliosi non esitò a chiedere l’intercessione del fratello. I loro rapporti non furono intaccati né dalla congiuntura economica meno favorevole all’inizio degli anni Quaranta del Seicento, né dalla guerra per Castro tra il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa nel 1643-44. All’inizio di marzo del 1644, quando gli arrivò la notizia della nomina di Giulio a nunzio in Spagna, Rospigliosi offrì subito il suo sostegno, annunciandogli che lo avrebbe fatto seguire dai figli Girolamo e Giacomo. Il suo impegno fu finalmente ricompensato: quando il 9 aprile 1657 Giulio fu creato cardinale, «il ceto nobile [di Pistoia] si portò a stuoli a congratularsene col balì Cammillo» (cit. in Ademollo, 1888, p. 84 nota 1).
Rospigliosi continuò a dirigere le attività economiche familiari e a collaborare alle articolate iniziative di patronage artistico del fratello Giulio, che coinvolgevano Giovan Lorenzo Bernini e la sua bottega. Concentrò particolarmente i suoi sforzi sul completamento della chiesa di S. Ignazio di Pistoia (oggi chiesa dello Spirito Santo). Il 20 giugno 1667 suo fratello fu eletto pontefice, prendendo il nome di Clemente IX. Nonostante le sue dichiarazioni pubbliche e private di non voler favorire i congiunti, Rospigliosi ne ricavò benefici quasi immediati. Trasferitosi a Roma con tutta la famiglia e preso in affitto il palazzo Peretti di piazza S. Lorenzo in Lucina (proprietà di Lavinia e Ippolita Ludovisi), il 30 agosto 1667 fu nominato generale di Santa Chiesa, con 750 scudi al mese d’oro di stipendio. Già a questa data aveva ricevuto in dono dal fratello 14.000 scudi, ma le provvisioni finanziarie dovevano aumentare. Il 17 settembre Clemente IX gli fece assegnare quasi 2700 scudi una tantum, cui seguirono altri 133,60 scudi al mese soltanto per l’acquisto di cera e torce. Quindi, iniziarono forti finanziamenti da parte della Dataria: non registrati dalla Camera apostolica per espressa disposizione del pontefice, essi arrivarono dal 1° marzo 1668 al 6 novembre 1669 alla cifra di 72.170 scudi, tutti provenienti dalla vendita di uffici di Curia resisi di volta in volta disponibili. Clemente IX coprì anche le spese mediche di Rospigliosi e dei congiunti, sin dal momento della sua assunzione al soglio; gli concesse tratte di grano; gli fece erogare un credito di altri 25.000 scudi dal Monte di Pietà romano. Il 7 gennaio 1669 gli donò infine tutta la quota di patrimonio familiare ancora in suo possesso.
Sulla base di queste dotazioni, che si aggiungevano alle sue rendite personali (calcolate in 18.000 scudi all’anno), Rospigliosi raggiunse immediatamente i vertici della nobiltà romana e puntò al consolidamento della posizione raggiunta: insieme con il pontefice curò il progetto e l’avviamento dei lavori per la nuova villa pontificia di Spicchio a Lamporecchio, su disegno di Bernini, e trasformò in un «luogo di delizie» (Roberto, 2004, p. 111) il palazzo pistoiese di via delle Logge, presso la chiesa di S. Domenico, dove curò altresì l’allestimento di un monumento funebre di famiglia. Di ampio respiro, poi, la sua politica di alleanze matrimoniali: se le figlie Caterina e Maria Maddelena andarono in spose a giovani nobili toscani, rispettivamente a Niccolò Banchieri e a Baldassarre Panciatichi, per Tommaso si preparò il matrimonio con Maria Camilla Pallavicino, di ricca famiglia genovese, che vantava in Curia il sostegno di Lazzaro Pallavicino, decano dei chierici della Camera apostolica. Tommaso tuttavia morì nell’agosto 1669 e Rospigliosi – superando l’iniziale imbarazzo del pontefice – riuscì a sostituirgli l’ultimogenito, Giovan Battista, che effettivamente avrebbe concluso il parentado, dando vita al ramo dei Pallavicino-Rospigliosi.
Dopo la morte di Clemente IX (9 dicembre 1669), Rospigliosi fu inizialmente confermato generale di Santa Chiesa, carica nella quale si era limitato all’ordinaria amministrazione, mentre era stato il figlio Vincenzo a comandare la più importante iniziativa militare del pontificato Rospigliosi, la spedizione di soccorso ai veneziani assediati a Creta. Nei primi mesi del 1670 parve interessato a tornare nel Granducato di Toscana, con il pieno favore dei Medici, che gli avevano promesso l’incarico di governatore di Pisa.
Morì però a Roma il 15 giugno 1670. Fu seppellito nella cappella di S. Ignazio della chiesa del Gesù.
Prima della fine dello stesso anno uscì la Vita, e morte dell’eccellentissimo sig. Balì Cammillo Rospigliosi (in Roma e in Firenze 1670), encomio la cui unica firma certa è quella dell’editore. Un suo ritratto a mosaico, attribuito a Giovanni Battista Calandra, è conservato nel John Paul Getty Museum di Los Angeles.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Archivio Rospigliosi, 1099, 1261-1266, 1269, 1271, 1388; Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 13358-13361, 13376; G. Gigli, Diario di Roma 1608-1670, a cura di M. Barberito, Roma 1994, ad indicem.
A. Ademollo, I teatri di Roma nel secolo decimosettimo, Roma 1888, p. 84 nota 1; P. Pecchiai, Il Gesù di Roma descritto e illustrato, Roma 1952, ad ind.; A. Menniti Ippolito, Il tramonto della curia nepotista, Roma 1999, ad ind.; Ch. Weber, Genealogien zur Papstgeschichte, II, Stuttgart 1999, p. 819; Itinerari rospigliosiani: Clemente IX e la famiglia Rospigliosi, a cura di C. D’Afflitto, Pistoia 2000, passim; S. Roberto, Gianlorenzo Bernini e Clemente IX Rospigliosi: arte e architettura a Roma e in Toscana nel Seicento, Roma 2004, ad ind.; A. Negro, La collezione Rospigliosi: la quadreria e la committenza artistica di una famiglia patrizia a Roma nel Sei e Settecento, Roma 2007, ad ind.; A. Agostini, Pistoia sul mare: i cavalieri di Santo Stefano e Pistoia, Pistoia 2008, pp. 32, 114.