SBARBARO, Camillo
SBARBARO, Camillo (Pietro Giuseppe). – Nacque a Santa Margherita Ligure il 12 gennaio 1888 da Carlo, ingegnere e architetto militare, collocato a riposo per anzianità di servizio nel 1891 con il grado di maggiore, e da Angiolina Bacigalupo.
Nel 1889 nacque la sorella Clelia, chiamata in famiglia Lina, con la quale visse tutta la vita. Nella sua infanzia egli era solito trascorrere le vacanze a Spotorno dove abitavano i nonni materni. Nel 1893, quando aveva cinque anni, venne a mancare la madre, malata di tubercolosi. Sbarbaro e la sorella crebbero così con la giovane sorella della madre, Maria, chiamata Benedetta, mentre il padre divenne il punto fermo della loro fanciullezza e per il poeta – pur fallendo nel tentativo – il modello da seguire.
Nel 1894 la famiglia si trasferì sulla Riviera di Ponente, per un breve periodo a Voze, poi a Varazze, dove Camillo compì i primi studi a casa sotto la guida paterna, per poi frequentare le scuole elementari, dal secondo anno, e il ginnasio presso l’istituto dei salesiani. Furono gli anni della scoperta della Liguria e del suo paesaggio: Sbarbaro mostrò da subito quella capacità di osservare con occhio attento la realtà che lo circondava, che divenne una tra le caratteristiche peculiari della sua poesia. Con il padre faceva lunghe passeggiate alla scoperta della natura e, al tempo stesso, sviluppò una particolare passione per la lettura. Nel 1904 iniziò a comporre i suoi primi versi, incoraggiato dal poeta Remigio Zena, che incontrava spesso nelle passeggiate ai Piani d’Ivrea.
Superato a Genova presso il Regio ginnasio Cristoforo Colombo, da privatista, l’esame di licenza ginnasiale, dal 1904 al 1908 frequentò il liceo Gabriello Chiabrera di Savona, dove si era trasferito con la famiglia. Nel 1906 apparvero le sue prime liriche nella rivista torinese La nuova lettura. Il suo insegnante di filosofia e storia dell’arte, Adelchi Baratono, rivestì un ruolo di primo piano nella sua formazione culturale e attività poetica, mentre Sbarbaro si legò in particolare a due compagni di scuola, Silvio Volta e Angelo Barile, il quale rimase per tutta la vita un amico sincero e partecipe del suo percorso letterario. Nel 1908 iniziò la collaborazione con la rivista di Lugano Pagine libere, continuata nel 1909, anno in cui pubblicò un racconto sulla Scena illustrata. Conseguita la licenza liceale, visse tra l’estate del 1908 e i primi mesi del 1909 un periodo di libertà durante il quale si dedicò alla lettura di Giacomo Leopardi, degli scrittori russi, di Dante, di Jean-Arthur Rimbaud e dei classici greci. Tuttavia, questo momento di felicità fu di breve durata, a causa delle pressioni dei familiari che lo spingevano alla ricerca di un impiego. Tentò così di ottenere una borsa di studio presso l’Istituto di studi superiori di Firenze ma, giunto in città, non si presentò alla prova. Viste le insistenze dei familiari, nel marzo del 1910 cominciò a lavorare alla Società siderurgica di Savona, che l’anno seguente – entrata a far parte dell’Ilva – spostò la direzione a Genova. Sbarbaro seguì le sorti della società, divenendo segretario del direttore generale. Il mondo impiegatizio acuì la sua condizione di estraneità e dopo il lavoro il poeta era solito abbandonarsi a vagabondaggi con gli amici per i vicoli della città.
Nel 1911, con la sottoscrizione dei compagni di liceo, uscì la sua prima raccolta di versi, Resine, edita a Genova dallo Stabilimento d’arti grafiche Caimo, ristampata poi da Garzanti (Milano 1948) nella collana Opera prima diretta da Enrico Falqui, se pur con la manifesta perplessità dello stesso Sbarbaro nel ripresentare le sue prime poesie ai lettori. Alla fine la raccolta venne esclusa, per espressa volontà del poeta, dall’edizione definitiva delle Poesie: tra atmosfere dannunziane e gozzaniane, Resine si presentava come una raccolta intrisa di riferimenti alla tradizione letteraria, nella quale il sonetto rimaneva ancora la forma metrica dominante.
Il 22 novembre 1912 morì il padre e il poeta andò ad abitare a Genova, in via Montaldo. Risale a questo periodo l’amicizia con il pittore e fotografo Carlo Tomba. Nello stesso 1912 iniziò a collaborare alla rivista di Mario Novaro La Riviera ligure. Era stato Baratono a far conoscere a Novaro i versi del poeta, quindi a proporne la pubblicazione.
I suoi testi trovarono negli anni calda accoglienza sulla rivista, a partire dalle due note poesie dedicate al padre, A mio padre I, II, apparse nel numero 9 (settembre 1912), poi confluite in Pianissimo: «Padre, se anche tu non fossi il mio / padre, se anche fossi a me un estraneo, / per te stesso egualmente t’amerei» (Padre, se anche tu non fossi il mio, in L’opera in versi e in prosa, 1985, p. 29). Da quella data, il poeta collaborò alla rivista fino al 1919, anno in cui uscì un unico numero, il 14, tutto dedicato a Trucioli. Con prose, racconti e poesie nel 1913 cominciò a collaborare con La Voce e Lacerba, mentre l’anno successivo pubblicò su Quartiere Latino.
Nel 1912-13 Sbarbaro lavorò alla stesura di Pianissimo. Nell’aprile del 1914, per la preparazione del volume, si recò per un breve soggiorno a Firenze, dove conobbe Giovanni Papini e Ardengo Soffici. Pianissimo, dedicato a suo padre, fu edito in quello stesso anno dalla Libreria della Voce, accolto favorevolmente da Pietro Pancrazi, Emilio Cecchi e Giovanni Boine.
L’importante novità della poesia sbarbariana è chiara fin dalla lirica posta in apertura del volume, Taci, anima stanca di godere, in cui il poeta sembra subito dar prova del suo riuscito ‘attraversamento’ di Gabriele D’Annunzio, del quale trova in Guido Gozzano un valido esempio. Sbarbaro decide però di spingersi oltre: abbandonato ogni atteggiamento ironico, sceglie un verso piano e lineare, che tramite il prevalente uso dell’endecasillabo si apre alla prosa e va alla ricerca di una parola sempre più spoglia.
Ritornato a Firenze nel dicembre del 1914, Sbarbaro conobbe Dino Campana, poi incontrato a Genova, come ricorda nel truciolo Sproloquio d’estate. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Sbarbaro, che quale impiegato dell’Ilva avrebbe potuto ottenere l’esonero dal servizio militare, colse invece l’occasione per abbandonare la vita impiegatizia e si arruolò volontario nella Croce rossa. Nel marzo del 1916 la prima tappa fu Rapallo, poi Ventimiglia. Nel febbraio del 1917 entrò nel 12° fanteria dell’esercito e tra maggio e luglio frequentò il corso allievi ufficiali a Sandrigo (Vicenza). Il 30 luglio partì per il fronte come sottotenente di fanteria; si trovò dapprima nella trincea dell’Assa, vicino ad Asiago, poi in ottobre a Mörar, sull’altipiano, dove rimase fino alla fine di marzo del 1918. Il 23 agosto venne promosso tenente. Tra le località toccate si incontrano Treviso, Bassano, il Monte Asolone, Desenzano, Passirano e Terres in Val di Non. Il congedo fu rinviato all’anno successivo, durante il quale si trovò a San Michele e Franzensfeste, poi a Lüsen, vicino Bressanone, per giungere infine a giugno nel Deposito del 27° fanteria di Ferrara.
Dell’esperienza della guerra rimase testimonianza in alcuni Trucioli, apparsi in rivista e poi raccolti nell’omonimo volume, e nelle lettere ad Angelo Barile, riunite nel volume Cartoline in franchigia (Firenze 1966). Proprio negli anni della guerra, durante i quali non abbandonò le sue letture, Sbarbaro maturò l’idea di realizzare un volume di prose e fece anche la sua prima raccolta di muschi, una passione, quella botanica, che lo accompagnò per tutta la vita.
Fatto ritorno a Genova nell’estate del 1919, lasciò il lavoro all’Ilva e si dedicò alle lezioni private di latino e greco, in seguito alla proposta di Adelchi Baratono di seguire fino alla laurea in lettere un italo-americano impreparato nelle lingue classiche. Il riadattamento alla vita quotidiana non risultò facile: Sbarbaro attraversò una crisi depressiva dalla quale uscì con il tempo riprendendo i rapporti con i familiari e gli amici. Frequentava i caffè dei letterati, in particolare il caffè Diana in Galleria Mazzini, dove incontrava intellettuali e artisti dell’ambiente genovese, tra i quali Adriano Grande, Francesco Messina, Fausto e Oscar Saccarotti, Paolo Stamaty Rodocanachi, ma anche Eugenio Montale, conosciuto grazie a Pierangelo Baratono, che dedicherà all’amico le poesie Caffè a Rapallo ed Epigramma degli ossi di seppia.
Nel soggiorno fiorentino del novembre del 1919, preparatorio alla pubblicazione di Trucioli, che aveva iniziato a scrivere nel 1913, incontrò nuovamente Papini e Soffici, ma avvertì ormai un clima mutato. Nell’estate del 1920, presso Vallecchi, uscì il volume, con dedica ad Angelo Barile, che venne recensito da Montale il 10 novembre successivo su L’Azione. La strada della prosa era già stata percorsa da Sbarbaro con la pubblicazione in rivista di alcuni racconti e con l’idea di raccoglierli in un volume intitolato, da uno di essi, La zia Catta. Il progetto venne presto accantonato a favore dei Trucioli, la cui idea di raccolta in volume risaliva al 1917, come egli stesso confidò all’amico Barile.
Con i Trucioli Sbarbaro inaugurò una nuova prosa, a metà strada tra prosa e poesia, distante dalla prosa d’arte, fatta di brevi notazioni e descrizioni. Si tratta di una raccolta di materiali frammentari ed eterogenei, scaturiti dall’esperienza della sua vita, dall’osservazione di sé e del mondo che lo circonda. Tornano i paesaggi liguri propri di Pianissimo, il cui legame con la raccolta appare chiaro sin dal primo testo. Una sezione compatta del volume è quella formata dai ‘trucioli’ dedicati alla guerra che descrivono i luoghi del fronte e gli incontri con gli abitanti dei paesi toccati. Il poeta esorcizza la guerra in particolare attraverso la contemplazione della natura.
Tra lezioni private, ricerche botaniche e collaborazioni con riviste e giornali – L’Azione, Gazzetta di Genova, Primo Tempo, Il Convegno –, Sbarbaro in quegli anni fece brevi soggiorni all’estero e in Italia, tra i quali quello ad Agliè in omaggio a Gozzano. Nel 1925 venne assunto dai padri scolopi dell’Istituto Calasanzio delle Scuole pie a Cornigliano Ligure come insegnante di greco e di italiano, collaborando anche alla rivista del collegio Ieri e oggi. Passato presso i padri gesuiti dell’Istituto Arecco di Genova nel 1927, non concluse tuttavia l’anno scolastico, non intendendo accettare la tessera fascista e continuando invece, per tutta la vita, l’attività di insegnante privato.
Nel 1928 uscì presso i Fratelli Ribet Liquidazione (Torino), raccolta di prose composte tra il 1920 e il 1928, nella quale sono presenti gli Ammaestramenti di Polidoro, prova di uno sperimentalismo linguistico attraverso l’uso di moduli arcaicizzanti. Passato allo studio dei licheni, nello stesso anno Sbarbaro vendette un erbario di muscinee. Negli anni Trenta frequentò casa Rodocanachi, ospite del pittore Paolo e di sua moglie Lucia, che aveva reso la loro villa Desinge di Arenzano luogo d’incontro per scrittori e artisti. Al tempo stesso divenne per lui abituale recarsi a Solaia, nei dintorni di Siena, nella villa di Leone Vivante, conosciuto in guerra, e di sua moglie Elena De Bosis, con la quale strinse una profonda e sincera amicizia.
Nel 1931 pubblicò i Versi a Dina su Circoli, rivista genovese della quale era membro del comitato di redazione insieme con Barile, Grande, Montale, Guglielmo Bianchi, Giacomo Debenedetti e Sergio Solmi. Si tratta di un piccolo canzoniere amoroso formato da cinque poesie nelle quali forse si celano nella figura femminile due donne reali amate dal poeta. Furono anche gli anni della collaborazione a Il Lavoro di Genova, a La Nazione di Firenze e alla Gazzetta del Popolo di Torino.
Sbarbaro tornò di nuovo a scontrarsi con il fascismo. Invitato a insegnare greco in un college inglese dagli amici Vivante, che si erano rifugiati in Inghilterra, non gli venne consegnato il passaporto a causa del suo voto negativo nelle elezioni a lista unica. Allo stesso tempo, nel 1938, il ministero della Cultura popolare pretese tagli e soppressioni per la pubblicazione di Calcomanie, volume che avrebbe dovuto raccogliere la sua attività di prosatore per l’editore Vallecchi. Sbarbaro decise, allora, di rinunciare alla pubblicazione, ma, nel 1940, distribuì ai suoi più stretti amici alcune copie dattiloscritte del libro con il titolo Trucioli. Scoppiata la guerra, si ritirò con la sorella e la zia a Spotorno, dove ritrovò il suo contatto con la natura e si dedicò all’attività di traduttore: Antigone di Sofocle (Milano 1943), Salambò e Tre racconti di Gustave Flaubert (rispettivamente Torino 1943 e Milano 1945), La certosa di Parma di Stendhal (Torino 1944), Controcorrente di Joris-Karl Huysmans (Milano 1944), Il Ciclope di Euripide (Genova 1945), Storie insolite e racconti crudeli del conte di Villiers de l’Isle-Adam (Milano 1945), Il Porto e altri racconti di Guy de Maupassant (Milano 1945), Le diaboliche di Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly (Milano 1945), La figlia del mare aperto di Jules Supervielle (Milano 1945).
L’accertamento delle precarie condizioni di salute lo assolse dal prendere di nuovo parte alla guerra, conclusa la quale egli fece ritorno a Genova nel novembre del 1945, dove riprese la sua vita abituale tra lezioni private, ricerche botaniche e frequentazione di amici. Continuò inoltre la sua attività di traduttore. Ritornò anche sul progetto del suo volume di prose con il titolo Trucioli (Milano 1948), che uscì per Mondadori con dedica a Elena Vivante.
Il volume riunisce le prose scritte nel periodo 1914-18 (uscite nei Trucioli vallecchiani) e nel periodo 1920-28 (uscite con il titolo Liquidazione), cui Sbarbaro aggiunse una terza parte formata da prose composte fra il 1930 e il 1940. Recensito favorevolmente da Sergio Solmi nella Rassegna d’Italia, il libro fu insignito nel 1949 del premio Saint-Vincent, ex aequo con l’opera presentata da Bruno Barilli.
L’ultimo periodo della sua vita fu trascorso a Spotorno, dove Sbarbaro, insieme con la sorella e la zia, si trasferì nel 1951. Nel 1954 uscì la nuova edizione di Pianissimo da Neri Pozza (Venezia), soggetta a un’ulteriore revisione nel 1960, che comprende le precedenti stesure del 1914 e del 1954, nella quale apportò tagli, eliminazioni e cambiamenti tali da privare l’opera della sua originaria compattezza. Dopo la pubblicazione di Trucioli e Pianissimo aumentarono l’attenzione della critica e il consenso verso la sua opera.
Nel 1953 morì la zia Benedetta, alla quale dedicò Rimanenze, raccolta poetica edita da Scheiwiller (Milano 1955), che contiene i Versi a Dina e le poesie Voze e Liguria. Nel 1955 collaborò con La chimera e La Fiera letteraria, nel 1956 con Botteghe oscure, Officina, Letteratura, Itinerari, Ausonia, nel 1957 con Il Mondo, nel 1959 con Diogene, La Situazione.
Nel 1956 uscirono sempre presso Scheiwiller i Fuochi fatui (Milano; poi pubblicati in edizioni accresciute nel 1958, Milano, e nel 1962 per Ricciardi, Milano-Napoli): si tratta di una raccolta eterogenea che segnò una nuova fase del percorso letterario sbarbariano dopo un lungo silenzio poetico. Nel 1958 fu la volta di Primizie (Milano), volume di versi che recuperò testi della giovinezza, mentre nel 1960 uscì presso Vallecchi Scampoli (Firenze), scelta di prose da Trucioli del 1920 e da Liquidazione e altre pagine mai raccolte in volume, con dedica a Elena Vivante. Il 1960 fu anche l’anno della prima delle tre ondate di disturbi depressivi che colpirono il poeta in quegli anni. Nel 1961 apparve l’edizione delle Poesie (Milano). Nel 1962 gli fu assegnato il premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia nazionale dei Lincei e, nel 1967, il premio Etna-Taormina, insieme con Supervielle.
Pubblicò per le edizioni di Mal’Aria di Arrigo Bugiani diversi libretti: 5 cartoline e In ricordo di Giacomo Natta (Genova 1961), Pensieri (Genova 1962). All’amica Elena De Bosis Vivante, scomparsa il 30 aprile 1963, Sbarbaro dedicò nello stesso anno l’Autoritratto (involontario) da sue lettere (Milano). Per la collana edita da Scheiwiller All’insegna della Baita van Gogh uscirono le plaquettes in 32° Gocce (Milano 1963), «Il Nostro» e nuove gocce (Milano 1964), Contagocce (Milano 1965), Bolle di sapone e Vedute di Genova 1921 (Milano 1966), Quisquilie (Milano 1967), che scandirono gli ultimi compleanni del poeta.
Quando Sbarbaro, che si definì un appassionato raccoglitore di licheni, con l’età non poté più dedicarsi a una delle sue attività predilette, decise di donare il suo erbario di licheni al Museo di storia naturale di Genova. Il 20 maggio 1967 morì l’amico Barile. Quattro mesi prima di morire il poeta consegnò all’editore l’edizione definitiva delle Poesie, che uscì nel 1971 (Milano). Trascorse gli ultimi suoi giorni a curare l’edizione dei Licheni: un campionario del mondo (Firenze 1967) e a correggere le bozze della seconda edizione di À rebours (Milano 1968), volumi che tuttavia non riuscì a vedere pubblicati.
Morì il 31 ottobre 1967 presso l’ospedale S. Paolo di Savona.
Opere. L’antologia Poesia e prosa, a cura di V. Scheiwiller, Milano 1979; L’opera in versi e in prosa, a cura di G. Lagorio - V. Scheiwiller, Milano 1985; l’antologia degli scritti in versi e in prosa Senza rumor di parole, a cura di G. Costa, Milano 1997.
Fonti e Bibl.: Il Fondo Camillo Sbarbaro è conservato a Savona, presso la Biblioteca Angelo Barile, di proprietà di Domenico Astengo; alcuni documenti sono conservati, inoltre, presso il Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia e la Biblioteca nazionale centrale di Roma. Per un elenco dettagliato delle opere si veda: C. Angeleri - G. Costa, Bibliografia degli scritti di C. S., Milano 1986. Fra i carteggi pubblicati: La trama delle lucciole. Lettere ad Angelo Barile (1919-1937), a cura di D. Astengo - F. Contorbia, Genova 1979; Lettere di S. e Barile a Giuseppe Prezzolini, in Resine, 1983, n. 18, pp. 3-16; Il paradiso dei licheni: lettere a Elio Fiore 1960-1966, Milano 1991; Il bisavolo: lettere a Tilde Carbone Rossi (1940-1967), Genova 2003; Cara Giovanna: lettere di C. S. a Giovanna Bemporad (1952-1964), a cura di A. Benucci Serra, Milano 2004; Catalogo delle lettere di C. S. a Lucia e Paolo Rodocanachi (1929-1967), a cura di C. Peragallo, Genova 2006; Lettere a Lucia 1931-1967, a cura di D. Ferreri, Genova 2007; Lettere ad Adriano Guerrini (1954-1967), a cura di D. Puccini, Genova 2009; Lettere a Giorgio Caproni (1956-1967), a cura di A. Padovani Soldini, Genova 2010; Lettere a Enrico Falqui (1928-1967), a cura di D. Divano, Genova 2012.
Si vedano inoltre: G. Barberi Squarotti, C. S., Milano 1971; Clelia Sbarbaro, C. nei ricordi della sorella, in C. Sbarbaro, Poesie, Milano 1971, pp. 127-137; G. Lagorio, S. controcorrente, Parma 1973; L. Polato, C. S., Firenze 1974; Atti del Convegno nazionale di studi su C. S., a cura di A. Guerrini, Spotorno 1974; G. Lagorio, S. Un modo spoglio di esistere, Milano 1981; C. S. Immagini e documenti, a cura di D. Astengo, Milano 1981; M. Guglielminetti, S. poeta, ed altri liguri, Palermo 1983; Tenero e disperato: omaggio a C. S., a cura di L. Anceschi et al., Reggio Emilia 1988; V. Coletti, Prove di un io minore. Lettura di S. «Pianissimo 1914», Roma 1997; A. Padovani Soldini, Ho bisogno d’infelicità, Milano 1997; C. S.: la Liguria, il mondo, a cura di D. Astengo - V. Scheiwiller, Milano 1997; C. S. Atti della Giornata di studio... 2003, a cura di G. Devoto - P. Zoboli, Genova 2003; P. Zoboli, Linea ligure: S., Montale, Caproni, Novara 2006; C. S. in versi e in prosa. Atti del Convegno nazionale di studi, Spotorno... 2007, a cura di D. Ferreri, Genova 2009.