SUPINO, Camillo.
– Nacque a Pisa il 24 settembre 1860 in una illustre famiglia israelita, da Moise, commerciante di tessuti e collezionista d’arte, e da Ottavia Levi, sposata in seconde nozze.
Tra i fratelli si possono ricordare David (1850-1937), senatore, docente di diritto commerciale presso l’Università di Pisa di cui fu anche rettore (v. la voce in questo Dizionario), e Igino Benvenuto (1858-1940), fondatore del Museo civico di Pisa, riorganizzatore del Bargello di Firenze e docente di storia dell’arte presso l’Università di Bologna.
Camillo Supino sposò Emma Morpurgo, dalla quale ebbe Luigi Angelo Benvenuto (1893-1980).
Studiò in un istituto tecnico privato, ma all’età di sedici anni lasciò gli studi scolastici per impiegarsi presso l’azienda di tessuti paterna, continuando a studiare privatamente e dedicandosi all’economia politica.
In quel periodo scrisse diversi lavori impegnativi, che gli diedero una discreta fama tra gli economisti, come La teorica del valore (Milano 1880) e, successivamente, La teoria del valore e la legge del minimo mezzo (in Giornale degli economisti, n.s., 1889, vol. 4, pp. 424-449).
Nel 1887 fu nominato professore di economia politica, statistica e scienze delle finanze presso l’Istituto tecnico di Genova.
Finalmente nel 1895 fu nominato professore presso l’Università di Messina, per trasferirsi nel 1899 all’Università di Siena e nel 1902 presso l’Università di Pavia, dove rimase fino alla fine della carriera accademica.
La nomina a professore universitario si dovette ai numerosi saggi pubblicati e in particolare a La navigazione dal punto di vista economico (Roma 1890), opera che fu in seguito insignita del premio reale dall’Accademia dei Lincei e grazie alla quale fu considerato uno dei massimi esperti di economia della navigazione in Italia.
Fece parte del Consiglio superiore della Marina mercantile e fu presidente della Commissione reale per le definizioni dei conflitti fra armatori e gente di mare (1919-20).
Pubblicò un fortunato manuale di economia politica (Principi di economia politica, Napoli 1904), che ebbe nove edizioni.
Per quanto riguarda la teoria del valore, Supino si propose di trovare una sintesi tra la teoria dell’utilità marginale, che studia la domanda dei beni, e quella classica del costo di produzione, che ne studia l’offerta. Si tratta di un programma che potrebbe essere definito marshalliano.
Si considerò comunque sempre un fedele seguace dell’economia classica anglosassone, rispetto alla quale utilizzò i contributi delle altre scuole per approfondire aspetti particolari. Fece dunque parte di quegli economisti che continuarono ad avere come punto di riferimento l’economia classica in un periodo di prevalenza dell’indirizzo neoclassico.
Secondo Supino, per mezzo dell’economia classica si poteva mantenere un rapporto più ravvicinato con la realtà e affrontare operativamente i grandi problemi del tempo, in primo luogo la questione sociale.
Pur considerando utile il metodo deduttivo, il metodo induttivo doveva essere per lui prioritario (cfr. Scienza economica e realtà economica. Prolusione al corso di economia politica nella R. Università di Messina, letta il 24 febbraio 1896, in La Riforma sociale, III (1896), vol. 5, pp. 404 s.). L’induzione serve, infatti, a stabilire le premesse del ragionamento deduttivo, a controllarne le conclusioni, ad accertare nuovi fatti e a ottenere nuove verità scientifiche.
Interessante è anche un suo saggio a proposito dell’individualismo (La degenerazione dell’individualismo economico, in La Riforma sociale, s. 2, VIII (1901), vol. 11, pp. 1052-1072).
Quest’opera afferma che l’individualismo economico ha svolto una funzione rivoluzionaria nel sovvertire le istituzioni economiche e politiche del Medioevo, stimolando potentemente lo sviluppo economico e l’accrescimento del benessere. Con il proseguire dello sviluppo, tuttavia, la funzione dell’individualismo degenera rapidamente creando instabilità e crisi. Di conseguenza le classi dominanti impongono nuove politiche protezioniste e colonialiste. Tuttavia il nuovo mercantilismo dei primi anni del Novecento «non ha e non può avere altro scopo che la difesa degli interessi privati della classe dominante» (p. 1059). All’opposto, il movimento operaio deve riferirsi al ‘principio sociale’, organizzandosi in associazioni cooperative, di mutuo soccorso e di resistenza e rivendicando l’intervento della legislazione sociale a difesa dei propri diritti. Come reazione, l’individualismo borghese finisce per rinnegare la stessa libertà politica, reclamando governi autoritari, restrizioni al diritto elettorale e leggi eccezionali.
Quanto alla distribuzione del reddito, Supino non nascose l’influenza della teoria marxiana: l’origine del profitto «si ritrova nel fatto che gli operai, dopo aver riprodotto i loro mezzi di esistenza ed il capitale adoperato, hanno ancora tempo disponibile per poter lavorare per conto del capitalista. Il profitto, dunque, sorge dalla potenza produttiva del lavoro» (Principi di economia politica, Napoli 1905, pp. 412 s.).
Nella determinazione del saggio di profitto Supino seguì l’analisi di John Stuart Mill (Principles of political economy, London 1848; trad. it., Milano 1976). Il saggio del profitto dipende infatti dal costo del lavoro, che a sua volta dipende «dalla produttività del lavoro medesimo, dalla rimunerazione reale che esso riceve e dal valore dei generi che compongono questa rimunerazione» (Principi..., cit., p. 367; cfr. Mill, Principles..., cit., p. 599).
Supino dedicò molta attenzione al tema della distribuzione conflittuale del reddito, alla determinazione dei salari e alla funzione dei sindacati operai (cfr. Il capitale salari, Torino 1899; Sull’importanza sociale dell’odierno movimento operaio, in La Riforma sociale, s. 2, X (1903), vol. 13, pp. 97-117; Il proletariato alla conquista del potere, Pavia 1921; Le basi economiche del movimento operaio, Milano 1925; Salario e profitto nell’economia corporativa, in Annali di scienze politiche, 1930, vol. 3, pp. 247-275).
Nel suo manuale Supino iniziò l’analisi dei salari con l’affermazione, ancora una volta di sapore marxiano, che nel capitalismo la forza lavoro si riduce a una merce molto particolare «perché strettamente connessa con l’uomo» (Principi..., cit., p. 384).
Nella distribuzione del reddito gli interessi degli imprenditori e dei lavoratori divergono nell’immediato, poiché la crescita di un reddito si traduce nella diminuzione di quello dell’altra classe. Nel lungo periodo, tuttavia, l’aumento del salario può essere accompagnato da una effettiva diminuzione del costo del lavoro, grazie agli aumenti della produttività del lavoro (pp. 413 s.). L’azione dei sindacati operai favorisce un innalzamento del livello normale dei salari che ha effetti positivi su tutta l’economia, stimolando a rialzare sempre più il livello intellettuale e morale della classe operaia e favorendo l’aumento della produttività del lavoro. Supino concentrò la sua attenzione soprattutto sull’azione economica e riformista dei sindacati, rifacendosi al modello delle Trade Unions.
È interessante infine sottolineare la funzione attribuita da Supino all’istruzione nel contribuire al miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Nel discorso inaugurale dell’anno accademico 1921-22 all’Università di Pavia, Supino notò come l’accesso dei lavoratori all’istruzione permetta loro di assumere pienamente il ruolo cui hanno diritto sia nella vita politica sia nella direzione delle aziende nelle quali lavorano. In questo quadro è individuata una funzione di primo piano per le università nell’impartire l’istruzione superiore alle classi lavoratrici (Il proletariato..., cit., p. 16).
Al capitale Supino dedicò costantemente la sua attenzione di studioso (Il capitale nell’organismo economico e nell’economia politica, Milano 1886; Teoria della trasformazione dei capitali, Torino 1891; La borsa e il capitale improduttivo, Milano 1898; Il capitale immaginario, in Studi nelle scienze giuridiche e sociali, 1932, vol. 17, pp. 5-85). La sua analisi si basa sulla distinzione tra capitale sociale, destinato a nuova produzione, e capitale come sorgente di reddito individuale.
Nell’economia capitalista si forma un capitale improduttivo finanziario che limita la produzione assicurando rendite ai suoi possessori. Esso «non fa che moltiplicare gli atti di scambio privi di ogni scopo economico, portando il disordine nella formazione dei prezzi» (Principi..., cit., p. 263).
Un altro campo di ricerca di Supino fu quello delle crisi economiche, cui in particolare dedicò un impegnativo lavoro (Le crisi economiche, Milano 1907).
Secondo Supino l’origine delle crisi risiede sempre in una sproporzione tra produzione e consumo. Supino criticò la legge di Say, legge basata su premesse che non rispecchiano la realtà economica capitalista. Per lui, infatti, questa legge assumeva implicitamente uno stato stazionario e si riferiva a una economia di baratto. Riprendendo Le teorie sul plusvalore di Karl Marx (cfr. Storia delle teorie economiche, II, Torino 1955, pp. 553, 569), Supino concluse che nell’economia capitalistica i prodotti sono merci che debbono trasformarsi in denaro. Se cresce la domanda della ‘merce generale’, la moneta, si può realizzare una insufficienza della domanda di tutte le merci particolari, i prodotti.
Supino dedicò molto impegno anche allo studio della moneta e del credito (Il saggio di sconto, Torino 1892; Scienza economica e realtà economica. Prolusione al corso di economia politica nella R. Università di Messina, letta il 24 febbraio 1896, in La Riforma sociale, III (1896), vol. 5, pp. 397-415; Il mercato monetario internazionale, Milano 1910; Il saggio di sconto e il saggio di interesse dopo lo scoppio della guerra, in La Riforma sociale, s. 3, XXII (1915), vol. 26, pp. 105-117; Moneta e prezzi, ibid., XXIV (1917), vol. 28, pp. 409-460).
Le variazioni nel movimento degli affari creano automaticamente, in un’economia creditizia, variazioni corrispondenti nella quantità di moneta in circolazione grazie all’emissione di titoli di credito che si muovono secondo le vicende della produzione. Di conseguenza Supino si avvicinò molto a considerare l’offerta di moneta come endogena.
Sostenne inoltre che il tasso di interesse sui prestiti di lungo periodo e il tasso di sconto sulle operazioni a breve termine sono fenomeni del tutto differenti e determinati da diversi fattori: il primo è infatti un fenomeno reale, determinato dalla domanda e dall’offerta di capitale, mentre il secondo è un fenomeno monetario, determinato dalla domanda e dall’offerta di moneta.
Come accennato, Supino fu uno dei primi economisti a studiare l’economia dei trasporti, e in particolare dei trasporti marittimi, alla quale dette un contributo pionieristico internazionalmente riconosciuto (La navigazione dal punto di vista economico, 1890, poi in Biblioteca dell’economista, s. 4, 1905, vol. 3, parte 1, pp. 1-124; La marina mercantile italiana, Bologna 1919).
L’argomento dei trasporti è affrontato dal punto di vista teorico, inquadrandolo nella circolazione e paragonandolo allo scambio e alla funzione dei mezzi di pagamento: la circolazione «è resa possibile e sempre più facile dai mezzi di trasporto, che si prefiggono per iscopo di eliminare e ridurre l’ostacolo, che la distanza pone alle relazioni economiche e morali tra gli uomini» (Principi..., cit., p. 297).
Sono analizzate le leggi economiche che determinano i prezzi, le tariffe del trasporto, i casi in cui è opportuna una gestione diretta o un forte controllo pubblico e quelli che possono essere lasciati alla iniziativa privata.
Benché fosse a favore della libera concorrenza, Supino osservò che se si lasciasse completamente libera la marina mercantile, le nazioni più forti finirebbero per esercitare un monopolio sul traffico marittimo. Di qui la sua preferenza per un protezionismo indiretto: gli Stati debbono aiutare la loro marina commerciale per promuoverne lo sviluppo a vantaggio dei propri interessi.
Morì a Milano il 10 dicembre 1931.
Fonti e Bibl.: E. Fossati C. S., in Giornale degli economisti e rivista di statistica, s. 4, XLV (1930), vol. 71, pp. 629-633; M. Fanno, C. S., ibid., s. 4, XLVII (1932), pp. 1-3; A. Graziani, C. S., in La Riforma sociale, s. 3, XXXIX (1932), vol. 43, pp.121-126; A. Loria, Commemorazione di C. S. letta dal prof. Achille Loria nell’Università di Pavia il 10 maggio 1932, in Studi nelle scienze giuridiche e sociali pubblicati dall’istituto di esercitazioni presso la facoltà di giurisprudenza, 1932, vol. 17, pp. VII-XIX; S. Perri, La diffusione dell’economia ricardiana in Italia: riflessioni sul rapporto bisogni-lavoro-utilità e teoria del sovrappiù, in Le frontiere dell’economia politica. Gli economisti stranieri in Italia: dai mercantilisti a Keynes, a cura di P. Barucci, Firenze 2003, ad ind.; S. Perri, Un fortunato manuale non ‘ortodosso’: i Principi di economia politica di C. S., in L’economia divulgata. Stili e percorsi italiani (1840-1922), I, Manuali e trattati, a cura di M.M. Augello - M.E.L. Guidi, Milano 2007, pp. 277-304; I Supino. Una dinastia di ebrei pisani fra marcatura, arte, politica e diritto (secoli XVI-XX), a cura di F. Angiolini - M. Baldassarri, Pisa 2014.