CAMMARANO, Vincenzo, detto Giancola
Nato a Sciacca (Agrigento) probabilmente nel 1720, giunse a Napoli forse nel 1764 (secondo S. Di Giacomo, nel 1765), e fu dopo qualche tempo raggiunto dalla seconda moglie Caterina Sapuppo e dal figlio Filippo.
Dalla Sapuppo, oltre a Filippo, il C. ebbe altri tre figli maschi: Giuseppe, pittore e attore; Antonio, pittore e anche attore di qualche talento, e Michele che divenne tenore. Dalla prima moglie aveva avuto due figlie: Domenica, cantante e attrice, "servetta buffa" al teatro Fiorentini e per molti anni seconda donna al S. Carlino, e Caterina che seguì le orme della sorella e fu anche cantante al teatro Nuovo.
Prima ancora di entrare a far parte, nel 1765, della compagnia del Fosso, o della Cantina, che, d'inverno, agiva in una cantina - donde i due nomi - e, d'estate, in un baraccone, il C. aveva già portato in giro negli innumerevoli baracconi-teatro disseminati nella città di Napoli alcune piccole commedie. Questa breve e oscura attività che precedette la sua entrata nella compagnia di T. Tomeo, capocomico del Fosso, può aver fatto sorgere la discordanza riguardo alla data del suo effettivo arrivo a Napoli. Comunque, sia giunto a Napoli nel 1765 o l'anno prima come è più probabile, certamente il C. nel 1765 esordì al teatro del Fosso, che si apriva sotto la chiesa di S. Giacomo degli Spagnuoli. Forse non doveva essere quella la prima volta che il C. si recava a Napoli, dato che "tra i meriti di Giancola era pur quello della sua spiccata e naturale pronunzia del dialetto partenopeo, col quale si era così familiarizzato da nascondere in tutto la sua provenienza siciliana" (Di Giacomo, p. 185).
Non sembra da escludersi che il C. abbia compiuto con la sua compagnia qualche giro in Sicilia, nonostante lo stabile impegno a Napoli. Durante uno di tali giri nacque a Sciacca il 4 genn. 1766 il figlio Giuseppe.
Il nomignolo di Giancola era derivato al C., come spiega anche il figlio Filippo, in un sonetto, dal nome di un personaggio, o meglio di un "tipo", l'abate calabrese don Pompilio Pecegreca, di cui egli fu interprete nella commedia di Francesco Cerlone Donzella, maritata e vedova. Il nomignolo lo accompagnò per l'intiera carriera (cfr. F. Cammarano, Vierze strambe e bisbetece..., Napoli 1873): anche quando ebbe assunto la maschera di Pulcinella, succedendo nel teatro del Fosso al Di Fiore, morto nel 1767, il C. fu sempre, per il suo pubblico, "Pulcinella-Giancola". Quando, nel 1770, fu costruito, nel largo del Castello, il teatro di S. Carlino, demolito nel 1884 con la sistemazione della piazza Municipio, il C. vi fu di scena per ben trentadue anni.
Non mancò al C. una sorta di amara filosofia popolare della vita, che si ritrova in alcuni suoi detti rimasti celebri. Così la definizione dell'onore, che Saverio Mattei ricordava in una lettera diretta il 17 dic. 1786 all'abate Cesarotti: "L'onore è n'umore malinconico inventato da' vecchi pe levà lo gusto ali giovani".
La fama del C. come interprete di Pulcinella fu non soltanto italiana, ma europea. David Garrick, il più grande attore inglese del secolo XVIII, non mancò infatti, quando venne a Napoli, di ammirame la mimica e le autentiche qualità sceniche, sebbene non intendesse il dialetto napoletano. Il Cerlone, autore di numerosi drammi ispirati ai filoni narrativi più popolari al suo tempo, intorno al 1774 compose per la compagnia del S. Carlino, e anche per le rappresentazioni che essa continuava a fare nella stagione estiva al teatrino della Fiera, una serie di drammi nei quali inserì la parte di Pulcinella proprio perché fra gli attori era "un graziosissimo pulcinella ... un incomparabile famoso attore", il C. appunto (cfr. Croce, p. 251). Con un ruolo molto importante per il "Pulcinella-Giancola" furono infatti La forza della bellezza, o sia, Il nemico amante che contò dieci repliche, la tragicommedia La morte del Conte di Upsal, L'Ariobante, Zingaro per amore, Sopra l'ingannator cade l'inganno, ecc.
Il 1802 fu l'ultimo anno dell'attività di attore del C., che già dal 1796 si era affiancato il figlio Filippo. Ormai malandato e vecchissimo - aveva 82 anni -, fu costretto a recitare per l'ultima volta stando seduto. Si sentiva prossimo alla morte, e lo confidò al pubblico, non vergognandosi di piangere. Morì a Napoli nel 1809.
Bibl.: Catalogo dell'Esposizione, Napoli 1826, pp. 23, 32; Catalogo dell'Esposizione, Napoli 1830, p. 17; S. Di Giacomo, Cronaca del teatro S. Carlino, Trani 1895, pp. 183-185; B. Croce, I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Bari 1947, pp. 203-204; A. Scaturo, La famiglia Cammarano, in Kronion, III (1951), 6, pp. 426-30; A. G. Bragaglia, Pulcinella, Roma 1953, pp. 234 s.; Id., Storia del teatro popolare romano, Roma 1958, p. 545; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 403, 417, 468, 475; Enc. d. Spett., II, coll. 1579 s.