CAMMELLI, Antonio, detto il Pistoia
Nacque a Pistoia, come ripetutamente attesta egli stesso (sonn. 196, v. 3; 233, vv. 12-14; 479, v. 1; Dialogo, p. 14), e come conferma il soprannome con cui più volte anch'egli si designò (sonn. 56, v. 7; 118, v. 8; 195, v. 19; 238, v. 11; 248, v. 6), di famiglia originaria di Vinci (non il Vinci lemardesco, ma San Piero a Vincio, o a Vico Petroso, borgata e "cappella", cioè parrocchia, a ponente di Pistoia, fuori porta Lucchese, sull'omonimo torrente Vincio), da Biondo di Niccolò di Benedetto Cammelli e da madonna Genevra, nel 1436 (è dichiarato quattordicenne in una portata paterna al catasto di Pistoia del 1450, secondogenito di cinque figli a quella data). Il padre era stato dei Priori nel novembre del 1437 e dei Dodici di Collegio nel marzo del 1440; era ancor vivo nel 1483, come risulta da una testimonianza resa il 2 aprile di quell'anno.
Il cognome Cammelli risulta esplicitamente da un'intimazione di comparizione dei Signori di Pistoia per una vertenza per debiti del 3 ag. 1479, nonché da vari documenti riguardanti il padre, il fratello Gherardo, e due figliuoli; ma la normale sua sottoscrizione è Antonio Vinci o Vincio, latinamente Vinctus o Vintius, talvolta accompagnata (o sostituita) dall'indicazione "da Pistoia" o pistoriensis, e divenuta di famiglia (è adottata anche dal figlio Marco Antonio): A. V. P. nell'intitolazione del codice autografo dei suoi sonetti. I documenti relativi ai due capitanati di Reggio lo designano invece Antonio da Pistoia.
Nulla si sa della sua giovinezza, né di eventuali suoi studi: assai modesti, comunque (le citazioni d'autori, nelle sue opere, sono di tipo proverbiale, e la sua cultura è essenzialmente volgare), a differenza, ad es., di quelli del figlio Francesco, scolaro nella Sapienza di Pistoia nel 1493 e successivamente nello Studio ferrarese, dove nel 1498 fu anche rettore dell'università degli scolari legisti, e che ebbe una dignitosa carriera ecclesiastica. Gli unici documenti, per molto tempo, sono quelli relativi alla nascita dei suoi figliuoli, Francesco e Iacopa (battezzati in S. Piero rispettivamente il 25 febbr. 1472 e il 1º maggio 1478), Bastiano (battezzato in S. Maria fuori delle Porte, sempre dintorni di porta Lucchese, il 23 genn. 1476), ai quali va aggiunto il già nominato Marco Antonio, noto a noi solo più tardi, come collaboratore alle Collettanee in morte di Serafino Aquilano del 1504, e per una lettera del 1505 con cui presentava certi suoi versi a Isabella d'Este. La moglie non è mai nominata. Da detti documenti si ricava che almeno fino al 1478 la famiglia del C. risiedeva in patria. Viceversa è a prima di tale data che si suole assegnare la sua partenza dal "bel paese tosco": sulla labile testimonianza di un sonetto d'addio (4), così collocato a segnare l'inizio della sua "storia", in cui si salutano "patre, matre, fratelli, ... sorelle" (ma non moglie e figli, che con ogni probabilità l'accompagnavano), e nella presunzione che egli fosse gia alla corte di Niccolò da Correggio prima e questi scendesse in Toscana al seguito di Ercole d'Este, capitano generale dei Fiorentini nella guerra (dall'agosto del 1478) seguita alla congiura dei Pazzi. Si aggiunga che il mandato di comparizione del 18 ag. 1479 sopra citato era per due giorni dopo a Firenze, e che i messi comunali Faina e Donzellino dichiarano sotto la stessa data di avere eseguito l'intimazione.
È invece assai meno probabile che fosse suo figlio quel Giovan Battista d'Antonio Cammelli che venne battezzato nel comune di San Piero a Vinci il 27ottobre del 1487 (e tanto meno quel Bernardino d'Antonio Camello battezzato nella cappella di S. Vitale il 2 marzo 1491), quando ormai il C. risiedeva a Reggio, e visto che altri quattro Antoni (fra cui uno zio paterno) si registrano sotto tale cognome.
Il solo dato attendibile, confermato da una consuetudine durata tutta la vita, è che, lasciata una buona volta la Toscana, e messosi "in via, Cercando la ventura, peregrino" (son. 4, vv. 15-16), il primo approdo sicuro fosse, "passata Secchia, ch'è nel Modenese", appunto Correggio e la casa di Niccolò, com'è narrato sotto figura allegorica nel sonetto seguente, che dopo la dedica a Isabella d'Este (son. 1) e la presentazione del suo lavoro (sonn. 2 e 3), vuol essere la testimonianza del suo primo debito di gratitudine. Il verso "una correggia d'or mi strinse il core" significa un legame non solo di sudditanza col gentiluomo e poeta, dopo la morte del C. primo sollecito raccoglitore delle sue poesie. E lo stesso emblema della correggia, unita alla biscia milanese (per parentela materna e per l'investitura di cui, come consigliere e condottiero visconteo, Niccolò godeva) e all'arme dei Colleoni (recata dalla moglie Cassandra, figlia del grande Bartolomeo), avrebbe dovuto coronare la riedificazione della propria casa, e significare il riconoscimento di questa dalla munificenza di lui, in una serie di sonetti (73-81) che traspongono il vieto motivo comico delle stamberghe diroccate e del malalbergo in quello cortigiano del conceduto asilo, e che sono forse da intendere in più lata accezione allusiva, come designazione dei termini del proprio mondo.
Reale o metaforico che fosse l'auspicio un sonetto (69) di una serie contigua (67-70) sulle qualità delle donne di varie città (Siena, Firenze, Ferrara, e ancora Milano) lo segnalerebbe a Ferrara già prima dell'invasione veneziana durante la guerra tra Firenze e Venezia del 1482-84, e spettatore del passaggio del Po da parte degli schiavoni (20 nov. 1482). Ma il primo atto di sudditanza estense (e il primo documento di un'attività del C.) è la nomina, a decorrere almeno dal 6 giugno 1485, a capitano (o "contestabile"), con funzioni di "gabellino", ossia di esattore della gabella, della porta di S. Croce di Reggio, a lire 16 reggiane mensili, quale risulta da una serie di pagamenti a suo ordine (dal Libro autentico della Masseria della città) dall'agosto del 1485 al novembre del 1499 (ma dal 1497 come già decaduto dall'ufficio), e dove spesso gli è aggiunta la qualifica di "maestro".
Di quest'attività qualche cenno affiora dalle rime, in una delle quali (son. 189, v. 1) si presenta al suo signore come "il guardian della sua porta", in un'altra (son. 223, vv. 10-11), con caratteristica circonlocuzione: "stommi in Emilia a guardarti il portello Che il nome suo [leggi: la Santa Croce] ritrovò santa Eléna". E non è da escludere che l'"allogiamento" ("l'orto, ... la casa e ... le mura") di cui rende grazie nel son. 222, vv. 1-2 (ma per contrapporgli il tema delle ristrettezze alimentari), e l'assegnazione, a lui parvenu, di "un tugurio, un peculio, un territoro" di altro sonetto (217, v. 4), rappresentante le mormorazioni dei più anziani servitori della corte, alludano ai benefici di tale sistemazione. Del godimento di "orti suoi dentro da la cittade" e probabilmente del diritto di pesca nelle "fosse" della cinta muraria, minacciatigli da alcuni prepotenti, parla una lettera del duca del 12 apr. 1494 al capitano di Reggio (Matteo Maria Boiardo dal febbraio del 1487) perché faccia cessare i soprusi; mentre la descrizione del cattivo stato della "tor di Santa Croce" (sonn. 264 e 277) concede a ogni modo al tema già detto delle stamberghe (e più generalmente a quello cortigiano del disinteresse dei signori per le condizioni dei loro sudditi). Né si può dire se le "cavalcate" (cioè la spedizione di corrieri) a Ferrara e a Milano del son. 87, v. 9, rientrassero fra le mansioni del suo ufficio. Da uno dei documenti suddetti (1489) sembra che lo coadiuvasse (o almeno lo rappresentasse per le riscossioni della paga) un "Andrea suo nepote".
Al suddetto periodo, e precisamente al maggio del 1490, si riferisce un suo soggiorno a Roma, sulla concorde (ma non si sa se indipendente) testimonianza di una lettera di Raffaele Cupino a Iacopo d'Atri, segretario del marchese di Mantova, e della didascalia del sonetto "Che fa san Marco?" (primo di una serie di quattro, 378, 379, 381, 382, di dialogo con Djem, figlio di Maometto II, prigioniero di Innocenzo VIII) nel cod. 54 dell'Oliveriana di Pesaro, che lo danno composto il 4 di quel mese.
Viceversa l'accenno a una sentenza del Filelfo udita a Roma (dove questi insegnò nel 1474-76) nel son. 186, vv. 13-14 ("che un tratto a Roma mi disse il Filelfo: Bello è il pavon, ma troppo sozzo ha 'l grido") ha i caratteri di una citazione burchiellesca. La firma "Antonius de Pistorio" in calce a lettere d'informazione diplomatica da Roma del 1453, 1454, 1458, conservate nel cod. Ambrosiano Z 219 sup. e fra i documenti dell'Archivio sforzesco, non è argomento sufficiente per attribuirle al giovane C., tanto più se redatte, come quella del '54, in koinè padana.
Non si conoscono le ragioni per cui, il 1º genn. 1497, fu rimosso dal suo ufficio. La data, nonché il fatto, sono confermati da una lettera di richiesta di soccorso ad Ercole (come altra già del 1º maggio 1497) scritta giusto nell'anniversario del fatto ("mo fa l'anno"), il 1º genn. 1498, e in cui s'invocano i meriti del nipote Tonimaso, già cameriere e ormai faudatario del duca: come la precedente, dettata da Reggio. A quest'epoca si voglion far risalire tentativi d'approccio con Ludovico il Moro, già presente del resto in rime degli anni precedenti. Ma l'unico documento è la lettera (senza data) di dedica al Moro di una raccolta di sonetti d'argomento politico che lo riguardano, comprendente il capitolo in morte della moglie Beatrice d'Este (genn. 1497), e serbata incompleta nel cod. 2618 dell'Universitaria di Bologna. Dal che si deduce solo che (a parte il riconoscimento e l'esaltazione di una leadership politica italiana, a cui poteva anche - cfr. Dialogo, p. 11 - considerare legate le sue fortune) gli eventuali rapporti di devozione al Moro, al quale ebbe anche a chiedere danaro (App., I, son. 3), passano attraverso il legame con la famiglia estense (il matrimonio di Beatrice con Ludovico incrociato con quello di Ercole con Anna Sforza). Di soggiorni a Milano, oltre a un elogio o vanto della città (son. 371), c'è solo la testimonianza occasionale di sonetti in cui si salutano e si ricordano personaggi della corte ducale; e anche la "concorrenza" col Bellincioni (morto peraltro nel 1492) ha consistenza soprattutto sul piano poetitico. Così i legami con la corte di Mantova sono anzitutto con la sorella di Beatrice, Isabella, sposa al marchese Francesco Gonzaga. Ed era Isabella, nel dicembre del 1498, a intercedere per lui presso il padre, tramite Siverio de' Siverii suo ufficiale, perché fosse incluso nella imminente "nuova distributione de officii", e ad ottenergli, per l'anno dopo, la reintegrazione per altra porta di Reggio, quella di S. Pietro, al solito stipendio (e documentata dal solito Libro della Masseria, per pagamenti dal marzo del 1499 al febbraio del 1500). Ancora Isabella s'interessava, tra il luglio e l'agosto del 1499, presso Francesco Rangoni capitano ducale di Reggio, perché la porta fosse resa abitabile per il C., "quando li acaderà venirli": dal che si arguisce che non avesse obbligo di residenza o che questa non fosse possibile; e nei mandati di pagamento ritroviamo menzione di quell'Andrea suo nipote.
Di fatto il C. era a Mantova, e letterariamente operoso, nel febbraio e nel giugno, data di due lettere al marchese Francesco (a Gonzaga) e ad Isabella (a Sachetta), nella prima delle quali s'accenna a una prossima partenza dalla città, e si offre una "Comedia amorosa de amicitia" in corso di composizione, nell'altra si accompagna a Isabella la tragedia Pamphila (già rappresentata "la quaresima passata") come "nunzio" dell'invio e della dedica della raccolta dei Sonetti faceti. E di soggiorni mantovani c'è traccia negli stessi sonetti, per la presenza e il ricordo di diversi personaggi gonzagheschi, buffoni di corte, suoi commensali, il musico Giovan Angelo Testagrossa, e Gian Cristoforo Romano medaglista, con lui e con due di quelli, Galasso e Diodato, recentemente insignito del titolo di "baron di Francia", ossia affetto da mal francese (son. 251): secondo altro sonetto (503), evento verificatosi dopo l'agosto del 1499 (i sonn. 225-227, riferiti alla calata francese del 1494, sembrano semmai accennare a una ferita causatagli da un cavallo). I supposti approcci, viceversa, con Ippolito d'Este, fratello d'Isabella, sono al massimo materia di vivace rappresentazione di due sonetti (195, 196) forse retrodatabili all'elevazione di quello al cardinalato (1493). Il Poeta appare tuttavia a Ferrara (non è escluso soltanto in fantasia) il 14 sett. 1499, in una epistola in forma di frottola a Isabella, in cui si descrive l'attesa della città per l'imminente arrivo di lei. Ma il suo recapito sembra tuttavia mantovano, se il 15 ottobre un sonetto del Prete di Correggio in risposta ad uno suo non identificato era inviato per lui a Isabella dal cognato Giovanni Gonzaga; presso il quale, in altro sonetto (333), il C. vagheggiò di passare il resto della vita. Del capitanato reggiano, più nessuna notizia. Un anno dopo, nell'autunno del 1500, lo troviamo a Novellara (forse legato a Giovan Pietro Gonzaga conte di Nogarola, più tardi signore della città, e in quel tempo in lite col marchese), in corrispondenza ancora con Isabella per la restituzione di un mantello, e ancora bisognoso di sue lettere "in racomandatione del suo ofitio". Il declinare della sua fortuna e della sua salute (non della sua vena) sembra andar di pari passo col tracollo del Moro, di cui era stato esaltatore e difensore, in polemica anche con Panfilo Sasso (sonn. 159-165), ma anche amaro accusatore (sonn. 488-502, e in particolare 497-498, 502) al tempo della sua fuga (settembre 1499). Un figliuolo gli era stato sottratto da quel Gabriello Lazioso con cui era in lite per il mantello, e le due questioni s'intrecciano nella relativa corrispondenza; ed è forse lo stesso colto a Mantova in flagrante peccato di sodomia, poi (23 marzo 1500) fatto scarcerare dallo stesso marchese in considerazione della sua giovane età. Un altro figliuolo, colpito da sifilide e straziato da un medicastro spagnuolo, gli morì il 5 genn. 1501. Lo stesso giorno (10 gennaio) che ne informava il marchese, gli proponeva in altra lettera una nuova commedia "amorosa ... e piacevole", ricevendone uno sprezzante rifiuto in cui il "loco ove era", cioè Novellara, e il merito del poeta sono associati in un unico giudizio. È questo l'ultimo cenno di vita del C., che moriva, poco più di un anno dopo a Ferrara, il 29 apr. 1502 (la data è annotata nel codice di sue rime I. 408 della Comunale di Ferrara, c. 5v).
Gli amici, tuttavia, non lo dimenticarono. A parte l'obbligatorio epitaffio dedicatogli dal bolognese Girolamo Casio nel suo Libro intitulato cronica (Bologna 1525), e un sonetto dell'altro bolognese Diomede Guidalotti, compreso nel Tyrocinio delle cose volgari edito nel 1504 (dei prossimi lo rievocheranno ancora il Bibbiena, in un sonetto, tra gli eredi di Serafino Aquilano, e per bocca sua il Castiglione nel Cortegiano, II, 67, il Berni nel sonetto delle "Vaghezze di messer Guazzalletto medico", e accostandolo al Berni il Bandello in una sua novella, I, xxxiv, e Nicolò Franco nelle Rime contro l'Aretino;Cassio da Narni nella Morte del Danese, edita nel 1521, Galeotto Del Carretto nel Tempio d'Amore, in una rassegna di poeti del tempo, e così Antonio Alamanni in un suo sonetto; e meno benevolmente Lelio Manfredi in una sua visione in terza rima, l'Ariosto nella satira VI, vv. 94-96, accostandolo per la maldicenza all'Aretino, e l'Aretino stesso, nel Ragionamento delle Corti, Venezia 1538, accomunandolo a Serafino Aquilano nella facilità del verseggiare e nel poco guadagno trattone; mentre la citazione di Leonardo nel Codice Atlantico, c. 4r, sembra semplicemente conferirgli l'auctoritas di un proverbio), Isabella, saputo che il Correggio andava cercando e raccogliendo le sue cose, in una lettera a lui appena del 13 giugno 1502 che trova pronto riscontro da parte del destinatario, rivendicava i diritti conferitigli dallo stesso C. nel 1499. La promessa doveva esser mantenuta nove anni dopo da un discepolo suo e del Correggio, Gian Francesco Gianninello, con un codice splendidamente ornato di cui la marchesa accusa ricevuta il 18 dic. 1511, premurandosi insieme di un decente contraccambio, che consisterà nel dono, nel maggio del 1513, del ritratto del poeta fatto dipingere su tavola a Francesco de' Bonsignori da Verona, scolaro del Giambellino e del Mantegna: ritratto oggi perduto, come l'altro fatto in vita dallo stesso e ricordato dal C. in un sonetto (42), e di cui il pittore conservava uno "schizzo in carta". Anche del codice si persero presto le tracce. Nel 1531, tra marzo e giugno, era stato a Verona in prestito a Francesco Berni, che l'aveva richiesto, "forse per qualche convenienza tra l'ingegno di colui e il suo", tramite Francesco dalla Torre, che nel restituirlo l'aveva accompagnato d'un giudizio che, stante l'espressa condizione posta da Isabella, dovrebbe essere dello stesso Berni. Nell'estate del 1532 era stato inviato a Bologna ad Alessandro Bentivoglio, che a sua volta l'aveva restituito, facendogli per giunta rifare uno dei fermagli, che recavano il motto d'Isabella. Qualche anno dopo non compare già più nell'inventario dei libri della marchesa compilato dopo la sua morte (1539).
Ma il C. aveva provveduto in tempo alla sua fama. E come "l'efigie sua" l'aveva "scritta in carte", a gara, quasi, con quella "pinta, e cum grand'arte" da Francesco da Verona (son. 42), così aveva messo in versi "ogni facezia sua", compiendone la raccolta in 533 sonetti, da quello proemiale di presentazione a Isabella, all'ultimo, "Ecco la morte", con cui si licenzia dal libro e nomina i suoi esecutori testamentarii (Niccolò da Correggio primo di tutti, e subito il Gianninello e il Casio); aggiuntovi in fine il capitolo in morte di Beatrice d'Este, e premessovi un Dialogo (a sua volta introdotto dalla lettera dedicatoria a Isabella) ad imitazione di quelli dei morti di Luciano (ma anche del Charon del Pontano, edito nel '91, e da cui trasse più d'uno spunto): una discesa all'inferno (e un primo giudizio sul mondo, dall'altra riva, e sui suoi personaggi), ma a provvisoria giustificazione del mancato compimento dell'opera e della promessa; per cui Plutone, pur serbandogli il posto, rimanda il suo spirito sulla terra. Il sonetto proemiale s'impegnava per la consegna del volume "prima che maggio nasca". Se si tratta di quello del 1502, il C. non aveva sbagliato i suoi conti, e fu sorpreso dalla morte proprio all'ultimo istante. Il volume, comunque, era ormai pronto, se non nella copia di dedica, nel ben più prezioso originale autografo (o copia d'autore), così com'era stato messo insieme a poco a poco: almeno inizialmente sfuggito alle ricerche del Correggio e degli altri amici, e in ogni caso (servisse o no d'esemplare al Gianninello) rimasto di privata circolazione; già nel '700 approdato alla Bibl. Ambrosiana di Milano, dove lo rinvenne nel 1893 Erasmo Percopo, che doveva farsene editore quindici anni dopo.
Dai primi del '500 alla metà dell'800, salvo il breve successo del manoscritto Gianninello e il suo passaggio, soprattutto, per le mani del Berni (unico geniale discepolo fra una schiera d'imitatori, e che forse contribuì ad oscurare la sua fama), e tolte le due edizioni della Pamphila del 1508, la fortuna letteraria e la conoscenza dell'opera poetica del C. è, come la natura di questa, del tutto occasionale, affidata alla diffusione di singoli esemplari o di piccole serie di componimenti e alla loro confluenza spicciola in miscellanee e raccolte eterogenee. Evidentemente occasionale è il primo sonetto edito, quello in morte dei Bellincioni compreso nella prefazione del Tanzi alle rime del fiorentino (Milano 1493), come i tre in morte del Boiardo premessi all'edizione scandianese del 1495 dell'Orlando innamorato; e per le stampe primo-cinquecentesche fino ai Commentari delCrescimbeni, alle Rime oneste del Mazzoleni e alle Rime burlesche del Fanfani, il C. si può dire fosse rappresentato da un sonetto, "Signori, io dormo in un letto a vettura", che non è nemmeno suo, ma del fiorentino Iacopo Corsi. E miscellanee di varia formazione sono per lo più i manoscritti che serbano rime sue (e spesso, sotto il suo nome, non sue) e che offrirono materia e spunto, man mano, alla ripresa dell'interesse per quelle: dal codice Ferrarese, chefornì già al Baruffaldi due sonetti (ma uno solo del C.) per le Rime scelte di poeti ferraresi (1713), al Pistoiese, già noto a mons. Enrico Bindi, e da cui piluccò il Fanfani per IlpiovanoArlotto (1858) e successivamente (ma assai più dal primo) il Targioni Tozzetti, a due dell'Estense di Modena prima utilizzati, col Pistoiese, dal Cappelli per la sua raccoltina del 1865, ai due Magliabechiani checoi quattro precedenti costituirono la base della prima sistematica raccolta delle sue Rime, a cura dello stesso Cappelli e di Severino Ferrari (1884). Il frammento conservatoci dal cod. 2618 dell'Universitaria di Bologna costituisce dunque una testimonianza eccezionale, purtroppo rimasta interrotta, di una prima silloge d'autore, e della sua destinazione. Ma ben più rilevante apparve, dal catalogo dei codici Trivulziani uscito giusto il 1884, quella del cod. 979 di quella biblioteca, forte di 388 sonetti, e subito sospettato d'essere la copia in possesso del Correggio, comunque classificato come apografo dal Renier, che doveva interamente pubblicarlo, con indicazioni di nuovi codici miscellanei, nel 1888. La scoperta, cinque anni dopo, e successivamente la pubblicazione dell'autografo, non solo permetteva di completare il corpus delle rime e d'accertare la validità delle attribuzioni precedenti (ciò che non implica che rime non comprese nell'autografo vadano tolte ipsofacto al C. - non sono comunque suoi i 23 sonetti contro il Cosmico dell'Estense α. H. 6. 1, né i 23 sonetti contro Niccolò Ariosto dell'altro Estense, e la tesi del Percopo di un petrarchismo giovanile, precedente la scelta del genere comico, è poggiata su basi troppo fragili, e su testi, quando non di malcerta attribuzione, di dubbia riferibilità a tale modello: fatto sta che ai 533 sonetti dell'autografo il Percopo ne accoda solo 5 estravaganti, a cui vanno aggiunti 15 in morte del Bellincioni, del Boiardo e del Cosmico - non è certo che il sonetto citato dal Castiglione nel Cortegiano, II, 67 non sia il travestimento mnemonico di uno giunto fino a noi, son. 238); non solo confermava l'ipotesi del Ferrari di un ordinamento delle rime per argomenti e l'attendibilità del modello da lui assunto delle Rime del Bellincioni del '93, effettivamente tenuto presente dal C.; ma offriva un sicuro e definitivo termine di confronto testuale, oltre che attraverso le varianti di cui è portatore e registratore, conferendo ad alcuni manoscritti valore di testimonianza di redazioni (e destinazioni) anteriori, secondo almeno tre diverse stratificazioni: la più vicina alla definitiva rappresentata dal Trivulziano e da gran parte dell'Estense α. H. 6. 1, e per altro verso dal cod. Ferrarese;lapiù remota da alcuni componimenti dell'Estense, dal Pistoiese e dal Sessoriano 413della Nazionale di Roma, rispetto ai quali il Bolognese s'individua almeno per la sua diversa destinazione.
Sotto questo rispetto l'opera dell'editore dell'autografo è senz'altro meritoria (anche se suscettibile di più attente e sistematiche verifiche). Meno, pur raccomandandosi per tutta una serie di contributi positivi, quella del commentatore e dello storico, nella stessa edizione e nel parallelo studio sul C.: per la tendenza a promuovere ogni minimo cenno a documento biografico e culturale, e per la duplice implicazione d'ordine morale (con riflesso sul giudizio di carattere) di cui è caricata quella che è un'operazione eminentemente letteraria e ascritta a un genere ben preciso: nel senso di un impegno civile, sulla scorta dell'invettiva politica e della polemica di costume, e nel senso di una corruzione della società e degli uomini, vista la spregiudicatezza della materia e dell'espressione. Oggi, ricondotta la figura del "poeta maledetto" e del profeta disarmato delle sciagure d'Italia a una più convincente misura letteraria e nei termini di una deliberata e decisiva esperienza dello stile comico calato nelle vicende quotidiane (naturalmente esaltata da particolari circostanze sociali e storiche), come riconoscimento d'una specifica funzione del letterato in un certo ambito di civiltà cortigiana, l'opera poetica del C., almeno in quella che è la sua più autentica e assidua espressione, il sonetto nella forma consacrata dal Burchiello (ossia con coda, eventualmente iterabile, di settenario più distico di endecasillabi a rima baciata), appare meglio come la puntuale e pronta risposta (il C. parla di "epigrammi in sonetti") all'occasione del giorno e l'immagine stessa dell'eventualità, privata o pubblica, sciorinata e composta in una specie di "gazzettino" perpetuo (Renier) che è insieme il suo "ritratto" e quello delle cose d'Italia, del contingente di cui si compone a poco a poco la storia. Perfetto assimilatore, in questo, della lezione del Burchiello (la storia come passa per le bocche e le orecchie della gente, ricevuta e interpretata secondo la dimensione dell'effimero, delle cose e delle attese di tutti i giorni: del comico appunto), e insieme traducendo in termini poetici la sempre più incalzante richiesta d'informazioni (immagine anch'essa del precario e dell'incontrollabile), ormai largamente affermatasi e quasi istituzionalizzata nella comune pratica epistolare (non è peraltro provato che egli fosse informatore dei Medici da Ferrara). Dell'accusa sin d'allora mossagli, "Di tutto quel che vedi fai sonetti", si faceva un vanto e un emblema, sbandierandolo in cima a uno d'essi (son. 86, v. 1), magari col sottinteso compiacimento della reminiscenza ovidiana ("quod temptabam dicere, versus erat").
Il fatto che il libro dei sonetti tenda ad organizzarsi per temi e argomenti (ovviamente senza distinzioni troppo rigide e con continui trapassi e commistioni) conferma il costituirsi in "genere" di questo "giornalismo" poetico che ammette, accanto alla "situazione" politica, spesso vigorosamente tratteggiata, al bollettino, via via, delle previsioni, non di rado in forma di ammonimento, e alla cronaca locale, il pezzo di colore, il commento e l'inchiesta di costume, e fin l'articolo di stagione, con la celebrazione di alcune festività religiose. Gli strumenti sono anzitutto, coerentemente all'occasionalità della materia, l'invenzione imperterrita del linguaggio della comunicazione, il continuo "per-così-dire" delle perifrasi (e addirittura dell'antonomasia e del bisticcio) prima che della metafora, fino alla crittografia burchiellesca e al gergo; e per altro verso la diretta proposta della notizia, fino ad includere la stessa richiesta di questa (in sonetti che cominciano "Che fa San Marco?", "Che fa il re Franco?", "Che si dice...?" ecc.), col ricorso al dialogo; addirittura l'intervista, come in uno dei sonetti di colloquio con Djem (381), dove l'esotico interlocutore funge da osservatore esterno. La stessa tematica comica (talvolta, magari, in funzione antifrastica) delle case cadenti, delle magre cene, delle notti disagiate, delle cavalcature sfinite, insomma dell'enoi, e delle invectivae, del ritratto sordido e della requisitoria oscena, fino all'autocaricatura (con la bella decorazione del mal francese), è insieme espressione di un'insofferenza e di un'insoffribilità della condizione umana e dei tempi e l'angolo d'approccio della realtà e della storia. Per cui, più che una fonte di notizie, il libro dei sonetti è il luogo in cui la cronaca si rende viva e si entra in relazione con essa. Anche le sue relazioni letterarie, col Correggio, il Boiardo, il Sasso, il Bendedei, il Collenuccio, il Bellincioni, il Bramante, per citare i più in vista (e si confronti un son. come il 66, con la tavola aggiornata dei valori), si rivelano attraverso l'occasione del colloquio in versi (e della tenzone): l'ultima, quella del Dialogo che apre il volume.
Degli altri scritti del C., questo è l'unico avvicinabile ai sonetti, difatti ideato come prefazione (e insieme ricapitolazione) della raccolta. Il capitolo in terza rima in morte di Beatrice d'Este ricalca i motivi e i moduli delle "disperate" (e semplicemente con tale titolo circolò, magari sotto nome altrui, fino alle soglie di questo secolo). La Pamphila traveste sotto i nomi classici di Filostrato e Panfila i casi tragici della novella boccaccesca (Decam. IV, 1) di Guiscardo e Ghismonda (Tancredi principe di Salerno è ora Demetrio re di Tebe, onde il titolo sostitutivo che indusse il Quadrio a supporre una seconda tragedia del C.), già tradotta in latino dal Bruni e in rima da Francesco Accolti, e tra '500 e '600 messa più volte in scena: con qualche trasformazione, e rimpolpando la vicenda di digressioni sulla vita cortigiana ed elegiache effusioni. Composta in terza rima e in 5 atti, presenta come intermezzi cori moraleggianti in forma di canzone a ballo di ottonari, affidati ad Amore, a quattro Sirene, alle tre Parche, ad Atropos. Seneca dice il prologo e fornisce talvolta i colori. Tutto questo per compiacere come sapeva al rinascente gusto del teatro antico, e con risultati mediocri per non dire grotteschi. Il D'Ancona suppone che, dedicata al duca Ercole, fosse rappresentata a Ferrara alla presenza stessa d'Isabella, che vi si trovava appunto intorno al 26 febbr. 1499, anche se dalla lettera del C. del giugno non emerge in modo sicuro che Isabella la conoscesse. Quanto alla commedia "De amicitia", si sa solo, dalla lettera al Gonzaga di quel febbraio, che vi si toccava "per interlocutori paliatamente" della vita del marchese e, come "amorosa", si concludeva con la celebrazione di nozze, verosimilmente quelle di lui con Isabella.
Documenti. I documenti relativi alla famiglia (portata al catasto del 1450, atti e notizie varie riguardanti il padre, un fratello, i figli - Archivio comunale e Archivio arcivescovile di Pistoia, Archivio di Stato di Modena) furono pubblicati da E. Percopo in appendice (II, i-viii) al suo A. C. e i suoi "sonetti faceti", Roma 1913 (ma estr. dagli Studi di lett. ital., VI[1904-06], pp. 299-920), pp. 610-13, e già utilizzati dal medesimo nell'art. La famiglia di A. C., in Bull. stor. pist., II(1900), pp. 49-52. I documenti relativi alla vertenza per debiti del 1479 (Archivio comun. di Pistoia, Atti de' cancellieri de' Priori)e ai due capitanati delle porte di Reggio (Archivio di Stato di Reggio, Libro autentico della Masseria)furono pubblicati sempre dal Percopo, studio cit., appendice I, i-iii e v-xv, pp. 605-10. Il doc. iii relativo a un Pistoia "e tre tamburini soi conpagni" (Archivio di Stato di Modena) non offre garanzia di riferibilità al Cammelli. La lettera del duca Ercole al capitano di Reggio del 12 apr. 1494 (Archivio di Stato di Modena, Lett. autogr. d'ill. personaggi)fu pubblicata sempre dal Percopo, Nuovi documenti su A. C., i figliuoli e i suoi sonetti, in Rass. crit. d. lett. ital., XIX (1914) pp. 245 s. Lettere del C. o riguardanti lui e la raccolta Gianninello dei suoi sonetti (Archivio di Stato di Modena, Arch. per materie, Letterati, b. 13; Archivio di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, serie F. II, 8, b. 2453; serie E. XXXIX. 3, b. 1354; serie E. XLV. 3, Venezia, b. 1465), pubbl. da A. Cappelli in appendice alle Notizie di A. C. detto il Pistoia, nell'ediz. delle Rime edite ed inedite di A. C. detto il Pistoia, a cura sua e di S. Ferrari, Livorno 1884, pp. XLIII-LIX, e nel corpo stesso delle Notizie, pp. XL-XLI (le due al duca Ercole del 1497 e 1498 già dallo stesso Cappelli nei Sonetti giocosi di A. da Pistoia, Bologna 18653 pp. 19 ss.). Le due lettere di Isabella e Niccolò da Correggio riguardo alla raccolta dei sonetti pubblicate da R. Renier, Nuovi docc. sul Pistoia, in Giorn. stor. d. lett. ital., V (1885), pp. 319 s. (ma la seconda già edita da Q. Bigi, Nicolò Postumo signore di Correggio, in Memorie postume, Padova 1862, VI, per cui cfr. Giorn. stor. della letter. italiana, XXII [1893], p. 68 n. 2). Ivi, p. 319, anche il documento del soggiorno romano del 1490. Le due lettere da Roma firmate "Antonius de Pistorio" del 1453 e 1458 (cod. Ambrosiano Z. 219, cc. 9192 e 9195) segnalate dal Percopo, A. C. e i suoi "sonetti faceti", p. 617; quella del 1454 pubblicata da D. Giampietro, Il carteggio originale di Francesco Sforza, in Arch. stor. ital., s. 4, I (1878), p. 359. La dedicatoria a Ludovico il Moro della silloge di sonetti del cod. dell'Universitaria di Bologna 2618 si legge in I sonetti del Pistoia giusta l'apografo Trivulziano, a cura di R. Renier, Torino 1888, p. 402. L'intervento di Isabella per la restituzione dell'ufficio del 1498 è documentato dalla risposta di Siverio de' Siverii pubblicata da A. Luzio e R. Renier, La cultura e le relazioni letterarie di Isabella d'Este Gonzaga, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXXIV(1902), p. 197, e dal Percopo, A. C. e i suoi "sonetti faceti", p. 22 n. 3, l'altro, per il restauro della porta S. Pietro, con la risposta del Rangoni e il ringraziamento di Isabella, da R. Renier, Del Pistoia, in Riv. stor. mantovana, I (1885), p. 75 n. 1 (e cfr. Giorn. stor. d. lett. ital., XXXIX[1902], p. 197 n. 2). La lettera con cui Giovanni Gonzaga accompagnava il sonetto del Prete di Correggio al C., in A. Luzio-R. Renier, Mantova e Urbino: Isabella d'Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche, Torino-Roma 1893, p. 90 (e cfr. degli stessi autori, Relazioni di Isabella d'Este Gonzaga con Ludovico il Moro e Beatrice Sforza, in Arch. stor. lomb., XVII[1890], p. 153). La lettera di Francesco Gonzaga per la scarcerazione del figlio del C. del 23 marzo 1500 pubblicata da L.-G. Pélissier, Les rélations de François de Gonzague marquis de Mantoue avec Ludovic Sforza et Louis XII, in Annales de la Fac. des Lettres de Bordeaux, XV (1893), p. 82 (e cfr. Giorn. stor. d. lett. ital., XXXIX[1902], p. 199 n. 1). La risposta di Isabella alla lettera per la cappa, in Renier, Del Pistoia, p. 75 n. 2, a p. 86, la risposta (14 gennaio) del Gonzaga alla lettera del 10 genn. 1501.
Manoscritti. Autografi: Milano, Bibl. Ambrosiana H. 223 inf., contenente il Dialogo, 535 sonetti faceti (533 del C. e 2 a lui dello Strazzola e del Cosmico) e il cap. La nuda terra s'ha già messo il manto (interamente edito, a cominciare dall'ultimo pezzo, da E. Percopo, Una "disperata" famosa, in Raccolta di studi crit. dedicata ad A. D'Ancona, Firenze 1901, pp. 708-12, e I sonetti faceti di A. C. secondo l'autografo ambrosiano, Napoli 1908); Archivio di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, serie E. XXXI. 3, Ferrara, b. 1235, frottola "Madonna mia illustrissima" a Isabella d'Este (edita a cura di A. Cappelli e S. Ferrari, Rime edite ed inedite di A. C. detto il Pistoia, cit., pp. 23-29). Altri manoscritti: Bologna, Bibl. universitaria, 2618, sec. XVI, cc. 108r ss. (26 sonetti preceduti da lettera dedic. al Moro, serie incompleta); Budapest, Bibl. com., cod. Zichy, sec. XV-XVI, cc. 6v-15r (3 sonetti del C. e uno a lui attribuito); Ferrara, Bibl. comunale, I. 408, sec. XVI in., cc. 5r-33r, 252v, 273r (52 sonetti del C. o a lui attribuiti tra rime di poeti estensi); Firenze, Bibl. nazionale, II, ii, 109, sec. XVII (4 sonetti e l'incipit di altri 8 del C. o a lui attribuiti, in spogli di altri codd. di mano del Magliabechi); Magliab. VII. 25, sec. XV ex., c. 130v (2 sonetti attr. al C.); Magliab. VII, 1125, sec. XVI, c. 53v (contiene il son. dello Strazzola cui rispose il C. col son. 400); Palatino 218, sec. XV (son. 378 adespoto); Palatino 325, sec. XVI (sonn. 378 e 407); Gubbio, Bibl. comunale, XVIII, F. 34, sec. XVI (contiene il cap. in morte di Beatrice d'Este); Milano, Bibl. Trivulziana, ms. 979, sec. XV-XVI, di cc. 194 (contiene, uno per facciata, 388 sonetti del C.; edito interamente dal Renier, I sonetti del Pistoia, cit.); Modena, Bibl. Estense, ms. α. H. 6. 1, sec. XVI in. (15 sonetti del C., in miscellanea di poeti volgari del tardo '400, più i 23 sonetti, adespoti, contro il Cosmico); ms. α. W. 2. 11, sec. XVI in., Gasp. Sardi Adversaria, autogr. (contiene adespoti, di altra mano, i 23 sonetti contro Niccolò Ariosto); Parigi, Bibl. naz., It. 1047, sec. XVI, cc. 38v-42v (contiene la disperata in morte di Beatrice d'Este); Pesaro, Bibl. Oliveriana, 54, sec. XVI in., di mano di Annibale di Pandolfo Collenuccio (contiene il son. 378 datato Roma, 4 maggio 1490 e la disperata per Beatrice d'Este); Piacenza, Bibl. comunale, Rogiti del notaio M. A. Gatti, 1473-1501 (sonn. 378 e 405); Pistoia, Bibl. Forteguerriana, ms. D. 313 (cod. Tonti), sec. XVI, di rime di Paolo Panciatichi (autogr.) e d'altri (50 sonetti del C. o a lui attribuiti); Roma, Bibl. Corsiniana, ms. 1092 (44. C. 22), sec. XVI (6 sonetti del C. ed uno a lui attribuito); Ibid., Bibl. naz., Sessoriano 413, sec. XV ex., miscellanea di rime di ambiente milanese (11 sonetti del C. e 2 a lui diretti, più, adespoti, i 23 sonetti contro il Cosmico); Venezia, Bibl. Marciana, ms. It. IX. 113, sec. XVI (6 sonetti del C., copia del cod. Corsiniano); It. IX. 363, sec. XVI in., di mano di Marin Sanudo, cc. 10r-11v, 72v-79r (6 sonetti del C., e 12 sonetti di vari autori, Strazzola, Girolamo Bellapiera, Francesco Campanato, M. Sanudo, Giorgio Sommariva, Bartolomeo Micheli, e anonimi, a lui diretti); It. XI. 66, sec. XVI, cc. 413r-414r (6 sonetti del C. e uno a lui attribuito); Verona, Bibl. comunale, ms. 1657, del 1494, autogr. di Giorgio Sommariva (3 sonetti del Cammelli).
Edizioni. La bibliografia delle stampe antiche e fino alla prima raccolta del 1865 di sonetti del C. si ricompone su quelle fornite dall'ediz. delle Rime edite ed ined. di A. Cappelli e S. Ferrari, cit., pp. XII-XIV, dall'ediz. de Isonetti del Pistoia di R. Renier, cit., pp. XIX-XXVIII, e dall'ediz. de Isonetti faceti di E. Percopo, cit., p. XXV n. 1 (14 stampe). Qui merita solo ricordare che alcune di queste recano solo il son. "Signori, io dormo in un letto a vettura" che non è del C., ma di Iacopo Corsi; e che prima dell'ultima, e cioè dei 18 sonetti pubblicati sparsamente in successivi numeri del Piovano Arlotto, I (1858), da P. Fanfani, erano editi in tutto 20 sonetti del Cammelli. Del 1865 è la raccolta dei Sonetti giocosi di Antonio da Pistoia e sonetti satirici senza nome d'autore, tratti per la prima volta da vari codici, a cura di A. Cappelli, Bologna (Scelta di curiosità lett. inedite o rare, n. 58), comprendente 20 sonetti dal cod. Estense α. H. 6. 1 e dal cod. Pistoiese, tutti meno uno del C., e per lo più inediti, e i 23 sonetti contro Niccolò Ariosto dall'altro cod. Estense. Altri 18, tutti inediti, ne pubblicava O. Targioni Tozzetti, dal codice Ferrarese, in Sonetti politici e burleschi inediti di A. C. detto il Pistoia, per nozze Casini-Fabbri e Ruschi-Fabbri, Livorno 1869; e vari altri l'anno stesso e negli anni seguenti il medesimo, in diverse pubblicazioni (Due sonetti ined. del Pistoia, Ferrara 1869; Ghirlandella di brevi scritture sacre e profane dei secc. XIV, XV e XVI, Livorno 1870; in IlMare, Gazzettino estivo, Livorno 1872, nn. 7 e 11; Antol. della poesia ital., a cura di O. Targioni Tozzetti, Livorno 1883, pp. 295, 298; e cfr. Rime edite ed ined., cit., pp. XIV-XV), e P. Volpini, Per nozze avv. Pellegrino Ducceschi-Leonilda Masi, Pistoia 1880 (cfr. Rime edite ed ined., cit., p. XV), entrambi dal cod. Ferrarese, ilTargioni Tozzetti ancora dal Pistoiese per Nozze Marradi-Foraboschi, Livorno 1883. Nel 1884 uscivano a Livorno le cit. Rime edite ed inedite di A. C. detto il Pistoia, comprendenti 118 sonetti tra editi ed inediti, del C. e a lui attribuiti, o a lui diretti, sulla base delle testimonianze manoscritte e a stampa fino allora note, ordinati per temi, e accompagnati da una trentina di analoghi esempi di contemporanei; i 23 sonetti contro il Cosmico e i 23 contro Niccolò Ariosto, come d'incerto autore; la frottola, fino allora inedita, a Isabella d'Este; la Pamphila, non più ristampata dal '500; oltre a un'importante appendice di lettere (recensioni di G. S. Scipioni, in Giorn. stor. d. lett. ital., V [1885], pp. 242-58; di R. Renier, Del Pistoia, in Riv. stor. mantovana, I [1885], pp. 72-87; di S. Morpurgo, in Riv. di critica, I [1884], pp. 14 ss.; di C. De Lollis, in Napoli letteraria, I [1884], n. 11; di anonimo, in IlFanfulla della Domenica, VI[1841], n. 28). Seguivano, a cura del Renier, singole anticipazioni dal nuovo cod. Trivulziano (4 sonetti: in Arch. stor. lombardo, XIII [1886], pp. 518 n., 808 n., 810 n. 5; in Miscell. filologicaCaix-Canello, Firenze 1886, p. 274 n.), che veniva pubblicato dal medesimo, Isonetti del Pistoiagiusta l'apografo Tribulziano, cit., nel 1888 (314 sonetti inediti o editi solo in antiche stampe, più altri 3 pure inediti dal Bolognese 2618, più altri di incerta attribuzione pubblicati nell'Introduzione: recensioni di A. Gaspary, in Literaturblattf. germ. u. roman. Philol., IX [1888], pp. 273-76; di V. Cian, in Riv. stor. ital., V [1888], pp. 78-88; di E. Percopo, in Il Propugnatore, n.s., I, [1888], 1, pp. 249-90). Lo stesso Renier pubblicava in quell'anno altri 4 sonetti, di cui 2 inediti, dal cod. Sessoriano, in Poeti sforzeschi in un cod. di Roma recentemente segnalato, in Rass. emiliana, I (1888), pp. 15-26. La pubblicazione, nel 1908, a cura del Percopo, de I sonetti faceti di A. C. secondo l'autografo Ambrosiano, cit., con l'apparato delle varianti degli altri codd. (108 son. inediti, appendice di sonetti non compresi nell'autografo ma sicuramente del C. e di sonetti a lui diretti, ampio commento, e indice dei nomi: recensione di R. Renier, in Giorn. stor. d. lett. ital., LIII [1909], pp. 375-79) chiude praticamente ogni ricerca intorno ai testi. Il Dialogo è compreso nella stessa edizione. Il capitolo in morte di Beatrice d'Este, già edito in due antiche stampe popolari come La disperata (La disperata. Sventurato pelegrino. Littera d'amore, s.l. né d., e Cerbero invoco composto per Simone Sardini senese... El contrario di Cerbero... La disperata composta da Antonio de Tibaldi [cioèTebaldeo] Ferrarese, Firenze?, sec. XV ex.?, Torino, per F. de Silva? - un esemplare della seconda a Bologna, Casa Carducci, 4. D. 118), e incluso tra le opere di Serafino Aquilano dalla Giuntina fiorentina del 1516 e sue ristampe, era stato pubblicato sull'Ambrosiano nel 1901 dallo stesso Percopo, Una "disperata" famosa, cit., pp. 701-18, con la Lauda contro "La nuda' terra" dita disperata, ossia la risposta per le rime, di Antonio Salvazo (mutila in due codd. della Marciana, It. IX. 396 e 430).La Pamphila era stata stampata la prima volta a Venezia nel 1508 da Manfrino Bono di Monferrato, in due distinte edizioni: Philostrato e Pamphila doi amanti, tragedia di Antonio de Pistoia, 1508, e la stessa... novamente impressa, MCCCCCVIII a dì XVI del mese de setembrio;era stata più volte ristampata negli anni seguenti (Venezia, Melchiorre Sessa, 1516; Venezia, Zorzi de Rusconi milanese, 1518; s.l. né d. a istanzia di M. F. Benvenuto), ed era riprodotta in fine delle Rime edite ed inedite del 1884.
Bibl.: Anche la bibliografia critica, praticamente legata alle fortune testuali, segue la stessa parabola. Nelle compilazioni erudite settecentesche e del primo '800 (G. M. Crescimbeni, Comentarj... intorno alla sua Istoria della volgar poesia, Venezia 1730-31, I, p. 305; II, 2, pp. 255, 329 s., IV, p. 58; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, Venezia-Bologna-Milano 1739-52, II, pp. 210, 556 s., III, 1, pp. 58, 64, Indici, pp. 99 s.; F. A. Zaccaria, Bibliotheca Pistoriensis, Torino 1752, pp. 177 s., 228; G. Tiraboschi, Storia della lett. it., Modena 1790, VI, 2, p. 903; L. Ughi, Diz. degli uomini ill. ferraresi, Ferrara 1804, I, pp. 39 s.; P. L. Ginguené, Storia della letter. ital., Milano 1823-25, VIII, p. 20; P. Emiliani-Giudici, Storia della lett. ital., Firenze 1855, II, p. 138) il C. è essenzialm. l'autore della Panfila, e le scarse notizie del poeta comico sono per lo più fondate sulle testimonianze dei letterati del primo '500. Il Crescimbeni ripubblica comunque il son. "Signori, io dormo", e il Quadrio, che distingue due tragedie sulla base del doppio titolo, Filostrato e Panfila e Demetrio re di Tebe (in questo ricalcato dallo Zaccaria, dal Tiraboschi, dal Ginguené e dall'Emiliani-Giudici), dà notizia dei codici Estensi e del cod. Bolognese (allora Trombelli). Le prime raccolte del secondo '800, dai Sonetti giocosi del 1865 alle Rime ed. ed inedite del 1884, e la pubblicazione dei primi documenti, se rappresentano talvolta il facile sfruttamento di filoni di testimonianze venute alla luce, rispondono tuttavia e insieme sono stimolo a un primo fervore d'interesse e di ricerche intorno al poeta e al personaggio, a cominciare dalle stesse Notizie premesse dal Cappelli all'una (pp. 5-22) e all'altra raccolta (pp. XXV-XLII), prontamente passate agli atti da V. Capponi nella Bibliografia pistoiese, Pistoia 1874, p. 73, e nella Biografia pistoiese, Pistoia 1883 (ma cominciata a uscire nel 1878), pp. 78-83 (e cfr. G. Carducci, La gioventù di L. Ariosto e la poesia latina in Ferrara, Bologna 1875, ora in Opere [ediz. naz.], XIII, pp. 287-92; R. Renier, Nuovi documenti sul Pistoia, in Giorn. stor. d. lett. it., V, [1885], pp. 219 s.; Id., Del Pistoia, in Riv. stor. mantov., I [1885], pp. 72-87; V. Cian, Un decennio della vita di P. Bembo (1521-1531), Torino 1885, pp. 231 s.; e di L. Frati il tentativo di attribuire al C. trenta Sonetti satirici contro Ferrara in un codice Bentivolesco del sec. XV, in Giorn. stor. d. lett. it., IX[1887], pp. 215-32). Ma è soprattutto intorno alla silloge trivulziana e poi a quella ambrosiana, e attraverso una più ampia ricognizione della tradizione dei testi, la valutazione dei riferimenti storici in essi contenuti e una sistematica esplorazione docum., ad opera del Renier (in Riv. stor. it., II [1885], p. 425; Poeti sforzeschi in un cod. di Roma..., cit.; Buffoni, nani e schiavi dei Gonzaga, Roma 1891, pp. 20 ss.), di V. Rossi (Poesie storiche sulla spediz. di Carlo VIII in Italia, nozze Renier-Campostrini, Venezia 1887, Poesie storiche, a proposito di una recente pubblicazione, in Arch. veneto, XXXV[1888], pp. 207-25; Il canzoniere ined. di A. Michieli detto Squarzola o Strazzola, in Giorn. stor. d. lett. it., XXVI [1895], p. 69 n.) e di E. Percopo (Isonetti del Pistoia, a proposito di una recente pubblicazione, in Il Propugnatore, n.s., I [1888], 1, pp. 249-90; Un ignoto poemetto a stampa di V. Calmeta, in Riv. crit. d. lett. it., I[1896], pp. 143-48; Un libretto sconosciuto di Panfilo Sasso, in Studidi lett. it., I[1899] pp. 194 ss.; recens. ad A. Chiti, Un son. ined. di Francesco Cammelli, Pistoia 1899, in Rass. crit. d. lett. it., IV [1899], p. 143; La famiglia di A. C., in Bull. stor. pist., II [1900], pp. 49-62), che la figura e l'opera del C. raggiunge la sua storica definizione, con riflesso anche sulla storia generale (cfr. A. Gaspary, Storia della lett. it., Torino 1891, II, 1, pp. 202, 235 s.; A. D'Ancona, Origini del teatro italiano, Torino 1891, II, pp. 375-79, e dello stesso già Ilteatro mantovano nel sec. XVI, in Giorn. stor. d. lett. it., V [1885], pp. 25 s., 28; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1898, pp. 383, 398-401; ma si veda anche F. Gabotto, La storia genovese nelle poesie del Pistoia, in Giorn. ligustico, XV [1888], pp. 81-121; Id., Nuovistudi sul Pistoia, in La letteratura, III [1888], 1, p. 3; Id., Isonetti del Pistoia contro il Cosmico, ibid., IV [1889], 9, p. 3; F. C. Pellegrini, in Giornale storico della letteratura italiana, XII [1888], p. 256 n.; L. Frati, Notizie biografiche di G. B. Refrigerio, ibid., pp. 340 s.; G. S. Scipioni, Un poeta burlesco nel Quattrocento, in Gazzetta letteraria [Torino], XII [1888], pp. 61 ss.; E. Verga, Saggio di studi su B. Bellincioni, Milano 1892, pp. 26-29; G. Marpillero, I "Suppositi" di L. Ariosto, in Giorn. stor. della letter. italiana, XXXI [1898], pp. 300 s.; D. Provenzal, Dei sonetti contro il Cosmico attr. al Pistoia, in Bull. stor. pist., II [1900], pp. 146-51; E. O. Mastrojanni, G. G. Pontano e Carlo VIII, Napoli 1901; e la breve bibliografia di G. Rossi in Giorn. stor. d. lett. it., XXX[1897], pp. 30 ss.). La pubblicazione de Isonetti faceti di A. C. da parte del Percopo, nel 1908, era accompagnata da quella dell'ampio studio dello stesso, A. C. e i suoi "sonetti faceti", Roma 1913 (ma estr. da Studi di lett. it., VI (1904-06) che, nonostante le molte approssimazioni e prevaricazioni, e la rinarrazione dell'intera produzione del C., resta la massima raccolta d'informazioni sull'uomo e sulla sua opera. Del Percopo si ricordino ancora i Nuovidocumenti su A. C., i figliuoli e i suoi sonetti, in Rass. crit. d. lett. it., XIX (1914), pp. 244-48; e si aggiungano di C. Mazzi, le Notizie intorno alla famiglia di A. C., in Bull. stor. pist., XVIII (1916), pp. 123 s. Ancora un particolare contributo di G. Bertoni, Intorno a un sonetto dialettale attr. al Pistoia, in Giorn. stor. d. lett. it., LV(1910), pp. 455 ss. Ma ormai il C., mentre trova stabile sistemazione nei quadri della storia letteraria (e valga il già cit. Quattrocento di V. Rossi) e in quella dei generi letterari (E. Bertana, La tragedia, Milano 1906, pp. 12-16; V. Cian, La satira, Milano 1923, I, pp. 360-84, 512; C. Previtera, La poesia giocosa e l'umorismo, Milano 1939, I, pp. 265-72, 284, 324), è fatto oggetto solo di apprezzamenti di carattere letterario, in scritti per di più di sconfortante mediocrità, quando non assolutamente insignificanti (F. Bugiani, "Filostrato e Panfila", tragedia di A. C. detto il Pistoia, nozze Bugiani-Gelli, Pistoia 1896; W. G. C. Byvanck, Pistoja, een Italiaansch humorist van de 15e eeuw, in De Gids LXVI [1902], 3, pp. 339-50; P. Rezzesi, A. C. detto il Pistoia, Sondrio 1902; A. Angeloro, "Filostrato e Panfila", "tragedia scura" di A. C., Napoli 1907; D. Clarizia, Un poeta giocoso del Rinascimento, il Pistoia, Salerno 1929). Del tutto marginale la scheda di B. Croce, Un sonetto del Pistoia, in Poesia ant. e mod., Bari 1941, pp. 200-208. Ultimi e meno inconsistenti interventi (nell'ambito delle tradizionali acquisizioni): C. Pardi, Le rime storiche del Pistoia (commento storico ai sonetti 372-529), in Bull. stor. pist., XLVI-XLVII (1944-45), pp. 3-20; XLVIII (1946), pp. 15-27; XLIX (1947), pp. 41-64; A. Piromalli, A. C., in Convivium, XXIX (1961), pp. 531-54; e cfr. D. De Robertis, in Storia della lett. it., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, III, Milano 1966, pp. 626-29.