CAMMEO di Francia
La più grande delle sardoniche antiche, lavorata a ben cinque strati con raffigurazioni di personaggi imperiali romani, la cui identificazione ha fatto di questo celebre gioiello uno dei più discussi monumenti dell'antichità. Si conserva al Cabinet des Médailles annesso alla Bibliothèque Nationale di Parigi. La datazione accettata dai più è al secondo venticinquennio del I sec. d. C. Artisticamente è evidente l'ispirazione alla tradizione glittica ellenistica, ma l'esecuzione non è di qualità molto alta, inferiore a quella della "Gemma Augustea". Probabile la derivazione da una grande composizione pittorica o toreutica.
Conosciuto fin dal Medioevo, viene citato per la prima volta nel tesoro della S.te-Chapelle sotto Filippo di Valois; si ritiene che fosse stato portato a Parigi dai crociati di ritorno da Costantinopoli, dove il cammeo sarebbe passato dal tesoro dei Cesari in Roma. Donato da Filippo di Valois a Clemente VI, fece parte del tesoro papale ad Avignone per essere poi donato a Carlo V che lo rimise nella S.te-Chapelle dopo averlo adornato di una ricca montatura e di un piedistallo decorato con le figure dei dodici apostoli in nicchie gotiche: in tutto questo periodo la scena raffigurata sul cammeo era identificata come Giuseppe alla corte del Faraone e come tale esposta al pubblico ed alla venerazione dei fedeli nelle ricorrenze. Nel 1619 il Peiresc vi riconobbe l'apoteosi di Augusto; nel XVII sec. la pietra prese il nome, datole da Jacques le Roy, di Agate de Tibère; nel 1625 fu copiata dal Rubens. Nel 1791, avendo l'Assemblea Nazionale decretato la vendita dei beni conservati nella S.te-Chapelle, le reliquie ivi contenute furono rimesse a S. Denis e il cammeo, con le altre pietre preziose, ai Cabinet des Médailles. Di qui fu rubato e portato ad Amsterdam, dove fu spogliato della sua cornice. Ritrovato, fu incastonato in una nuova cornice neoclassica, opera di A. Delafontaine allievo del David. Nel 1832 la cornice, giudicata nociva all'effetto della raffigurazione, fu abolita.
Il cammeo è diviso in tre scene. L'interpretazione che ne fu data dagli eruditi del sec. XVIII portava a riconoscere, nella scena centrale, la missione di Germanico in Oriente nel 17 d. C. e la sua apoteosi. Secondo questa interpretazione le varie figure sarebbero: al centro Tiberio (1), accanto a lui, anch'essa in trono, Livia (2) sua madre, vedova di Augusto; davanti, Germanico (3), che si arma accanto alla madre Antonia (14); vicino è il piccolo Caligola (10), vestito in abito militare presso la madre Agrippina (9). Dietro il trono di Livia, Druso Minore (11), figlio di Tiberio, che accompagnò Germanico in Oriente, accanto alla moglie Livilla (12), sorella di Caligola. In alto, sul Pègaso, ancora Germanico (6) divinizzato; al centro Augusto (5), velato, assunto in cielo, sulle spalle di Enea (4), che si distingue per la veste frigia; a sinistra, con lo scudo, Druso Maggiore (7), padre di Germanico.
Questa interpretazione, divenuta tradizionale, è stata sottoposta a revisione negli ultimi anni.
Il Curtius pensando al carattere ufficiale di un oggetto così prezioso ed ai contrasti tra Tiberio e Germanico, e partendo dalla considerazione che i tratti fisionomici del guerriero davanti a Tiberio (3) e di quello sul Pègaso (6) non concordano e non possono rappresentare lo stesso personaggio, nota che l'avvenimento deve essere anteriore al 29 d. C. perché qui Livia appare viva (essa morì nel 29) come tutte le figure rappresentate nella zona centrale, e posteriore al 23 d. C., perché è già morto Druso che compare nella zona superiore del cammeo dove sono raffigurate solo figure divinizzate e perciò defunte. Si tratterebbe allora (7) non di Druso Maggiore padre di Germanico, ma di Druso Minore, figlio di Tiberio, morto nel 23 d. C., i cui noti tratti fisionomici ben corrispondono; le due scene si riferirebbero perciò ad un avvenimento verificatosi tra il 23 ed il 29 d. C. Le conclusioni del Curtius sono le seguenti: il cammeo rappresenta Caligola che si presenta a Tiberio in qualità di Princeps Iuventutis, cioè di capo della organizzazione giovanile della Iuventus, carica che lo designa come successore al trono; in alto l'apoteosi di Germanico padre di Caligola. La data di esecuzione sarebbe poco posteriore all'inizio del regno di Caligola (37 d. C.). I personaggi rappresentati sarebbero: al centro Tiberio (I) e Livia (2); Caligola che si mette l'elmo (3); Iuventus Augusta (14); Honos (9) con corona e rotulo, con il piccolo Tiberio Gemello (10) - figlio di Druso Minore e di Livilla, sorella di Caligola - nato nel 20 d. C. e fatto uccidere da Caligola nel 37. Dietro il trono sarebbero Claudio (11), che leva il braccio in alto, testimone dell'apoteosi del fratello Germanico; Agrippina Maggiore (12), moglie di Germanico, madre di Caligola. Nella scena superiore Germanico (6) sul Pègaso sale all'Empireo; dall'altro lato ascende Druso Minore (7), figlio di Tiberio designato a succedere al trono dopo la morte di Germanico, che qui reca lo scudo d'argento, ricordato anche nelle sue biografie come dono dell'ordine dei cavalieri quando egli era stato nominato Princeps Iuventutis. Al centro Augusto (5), sorretto non da Enea ma da Alessandro Magno (4), che tiene il globo, emblema del suo dominio sul mondo: egli è come il simbolo della continuità ideale tra il regno di Alessandro e quello rinnovato di Augusto. Il barbaro (13) presso il trono di Tiberio può essere Tiridate III, che visse a corte e fu elemento importante nella politica di espansione verso l'Oriente. Il Curtius pensa ad una derivazione del c. da una rappresentazione figurata più ampia a causa di un certo affollamento delle figure, specie nella zona centrale.
Una tesi diversa ha presentato il Poulsen: egli ammette che la scena debba riferirsi ad un episodio degli anni tra il 23 ed il 29 d. C., ma nota che in quegli anni Caligola, nato nel 12, era ancora un fanciullo, e per giunta tenuto in disparte rispetto agli altri figli di Germanico: in quel periodo di tempo erano in auge Nerone e Druso, i due figli maggiori di Germanico che Tiberio raccomandò al Senato come unica speranza della Patria (Suet., Tib., 54; Tac., Ann., vi, 8, 9) dopo la morte di Druso Minore avvenuta nel 23. Specialmente in vista era Nerone di Germanico che nel 29, come dice Tacito (Ann., iv, 59), fu designato proximus successioni. Propone perciò l'identificazione della figura (3) già creduta Germanico e Caligola, con Nerone di Germanico. Troppo poco sappiamo della sua vita per poter indicare l'avvenimento al quale si riferisce la rappresentazione. Per il Poulsen le armi presso il personaggio, il Persiano presso il trono, i barbari nella zona inferiore, alludono ad un trionfo: si avrebbe perciò la rappresentazione di un ritorno vittorioso di Nerone di Germanico (3) davanti a Tiberio (1), con accanto la moglie Giulia (14) che sta per togliergli l'elmo; l'altro fratello, Druso Germanico (11), dietro al trono, solleva un trofeo; il bimbò in armi a sinistra sarebbe Caligola (10), conforme alla tradizione.
Lo Charbonneaux, discutendo le varie ipotesi, osserva che difficilmente si può delimitare l'avvenimento rappresentato tra gli anni 23 e 29 perché Tiberio è rappresentato divinizzato e perciò già morto; lo stesso si deve dire per Livia.
Altri studiosi ancora hanno discusso la figurazione del c. (v. bibliografia) e, tra questi, è da segnalare lo studio della Bruns che porta a conclusioni che, se accettate, svaluterebbero del tutto l'importanza iconografica del cimelio. Da osservazioni condotte sull'originale essa nota l'incongruenza della pettinatura femminile della prima figura a sinistra (9) e della terza (14), con le pettinature del I sec.: sono infatti pettinature vicine a quelle usate da Matidia e Sabinà, cioè di età adrianea. Inoltre la raffigurazione del personaggio portato in cielo a significare la sua consacrazione non si trova nel periodo giulio-claudio; la prima figurazione, su moneta, di un divus sull'aquila è quella della consacrazione di Adriano e di Sabina; la precede nel tempo la simile figurazione nel soffitto del fornice dell'arco di Tito. Se ne dovrebbe trarre la conclusione che la scena nell'alto del campo non poteva essere concepita nel I sec. d. C. Inoltre Tiberio riconobbe la consacrazione al solo Augusto; perciò non è possibile pensare a Druso o a Germanico. Continuando nel suo studio la Bruns nota vari ritocchi: la testa di "Tiberio" avrebbe avuto in origine la barba, poi abrasa; solo se barbata, infatti, la scena poteva essere interpretata nel Medioevo come Giuseppe davanti al Faraone, data la costante iconografia del Faraone nell'arte francese del Medioevo e del Rinascimento. La testa di Livia è ritoccata; inconcepibili le calzature del guerriero davanti all'imperatore; nella zona in alto il divus ha la corona radiata spuntata; la figura ascende senza le ali; molto ritoccata la figura del Pègaso e strano il putto. Da tutto ciò la Bruns deduce che la figurazione del c. va interpretata in modo molto diverso. Nella figura centrale (1), che doveva avere la barba, la Bruns riconosce Adriano con il quale cominciano le rappresentazioni di consacrazioni sotto forma di rapimento verso il cielo. Le altre figure sarebbero Sabina (2) ed Elio Cesare (3); nella figura (4) in alto si dovrebbe riconoscere Mitra. La datazione, secondo quest'ultima ipotesi, sarebbe al 136 d. C. II c., inoltre, sarebbe stato rilavorato in Francia alla corte di Caterina dei Medici, che gli storici paragonavano alla corte augustea. In questa occasione la figura di Adriano sarebbe stata trasformata in quella di Tiberio con lo scopo di simboleggiare la gloria della casa di Valois considerata la continuatrice della casa di Augusto, e tutti gli altri personaggi avrebbero rappresentato i familiari della corte francese: Enrico II (7), Francesco I (5), Francesco II (6), Enrico II di Lotaringia (10), Enrico III (3), Elisabetta (14), Carlo IX (1), Caterina dei Medici (2), Duca di Alençon (11, Marco Aurelio) Margherita di Valois (12). In tal modo il c. antico sarebbe divenuto il "Grand Camée de France". La ipotesi, per quanto sorretta da ampia documentazione, non è stata sinora accettata da altri studiosi.
Bibl.: W. Babelon, Camées de la Bibliothèque Nationale, parigi 1897, p. 120, tav. XXVIII; L. Curtius, in Röm. Mitt., XLIX, 1934, pp. 119-156; J. Gagè, in Rev. Ét. Anciennes, XXXVII, 1935, pp. 165-484; J. V. Balsdom, in Journ. Rom. Stud., XXVI, 1936, pp. 152-160; F. Poulsen, Danske Vid. Selskab; Arch. Kunsthist. Meddeleser, II, i, 1937, pp. 32-45; II, 5, 1939, pp. 15-16; id., Probleme der römischen Ikonographie, 1937, p. 32 ss.; E. Hohl, in Klio, XXXI, 1938, pp. 269-284; A. Piganiol, Ber. VI. Kongress für Arch., 1940, pp. 487-488; B. Schweitzer, in Klio, XXXIV, 1942, pp. 328-356; A. W. Byvanck, in Historia, IX, 1943, pp. 25-32; 55-59; id., in Mnemosyne, XIII, 1947, p. 238; J. Charbonneaux, in Mélanges Picard, I, Parigi 1949, p. 170; G. Bruns, in Mitt. d. D. Arch. Inst., VI, 1953, pp. 71-115, tavv. 29-34; A. Rumpf, in Bonner Jahrbücher, 155-156, 1955-1956, p. 120 ss.