CAMORRA
(VIII, p. 560)
La c. è una forma criminale assimilabile alla mafia nei metodi e negli interessi, ma che nel passato ha avuto origini, caratteristiche, costumi diversi e del tutto autonomi. Fino a qualche decennio fa con il termine c. si indicava quella particolare organizzazione criminale sorta a Napoli dalla plebe all'inizio dell'Ottocento.
Di questa setta, diffusasi poi nelle province di Napoli, Salerno e Caserta, non si hanno notizie prima del 1820, né il termine, prima di quella data, compare abbinato al significato di organizzazione criminale. L'unico dato che sembra farne risalire la nascita a un periodo anteriore è dato dal nome che la setta si diede, ''Bella società riformata'', che lascia intendere l'esistenza di un'organizzazione precedente, di cui quella dell'Ottocento sarebbe solo una continuazione con ''riforma''. La c. nasce come ''setta segreta''. Nel suo statuto domina l'elemento solidaristico e di mutua assistenza. I riti di iniziazione, basati sull'obbedienza, sembrano ricalcare quelli della massoneria. La plebe napoletana era fuori da qualsiasi organizzazione economica e politica: un ''ceto senza rappresentanza'', che faceva sentire la sua opinione unicamente con le sommosse e le rivolte che ciclicamente segnavano la vita della città. La c. fu dunque una specie di partito politico o di ''corporazione'' della plebe napoletana, il ''partito dei violenti''. Questa setta, largamente studiata, ha proliferato con alterne vicende fino alla fine dell'Ottocento. Perciò se per c. si intende il tipo di organizzazione criminale che ha dominato la vita dei ceti popolari e plebei napoletani, si può dire tranquillamente che essa è iniziata e finita nell'Ottocento. Si è comunque continuato a parlare di c., facendo riferimento ad alcune caratteristiche comuni a forme criminali ricorrenti nella città di Napoli e in Campania.
La c. è stata all'inizio un fenomeno criminale urbano; la mafia, invece, ha avuto un lungo insediamento nelle campagne. I due fenomeni sono segnati fortemente dal luogo di nascita. Fenomeno legato ai mali di Napoli e alle condizioni di vita di un sottoproletariato esteso, la c. si è sempre mostrata con le tipiche caratteristiche urbane, quali il carattere di massa, l'organizzazione centralizzata, confuse aspirazioni sociali e ribellistiche, segni visibili della comune appartenenza (modo vistoso di vestire, uso del gergo, perfino un particolare taglio di capelli); la mafia, invece, legata al latifondo e alla sua evoluzione, ha mantenuto per un lungo periodo ''valori'' e caratteristiche ''rurali'' quali il privilegiare la discrezione e non il clamore attorno alle proprie azioni, la sostanza e non l'apparenza dell'atto criminale, il prevalere della struttura familiare e non l'organizzazione di massa.
La c. rappresentava l'unica vera mobilità sociale della plebe, una specie di legge di evoluzione in cui solo i violenti emergevano oltre la soglia della sopravvivenza. In una città piena di violenti e sbandati, il libero corso della violenza avrebbe impedito la convivenza sociale. Essa pertanto veniva disciplinata, ritualizzata e quindi ''contenuta''. Non a caso lo statuto della c. prende il nome di frieno (''freno'').
Tutta la complessa gerarchia della setta indicava un tentativo di disciplina, ritualizzazione e gerarchizzazione della violenza. E si pensi che mentre la mafia già nella seconda metà dell'Ottocento usava la lupara per i suoi delitti in imboscate nelle campagne siciliane, la c. usava ancora il coltello fin quasi alla fine del secolo 19°. L'assassinio di Cuocolo, un basista di furti, e di sua moglie, da cui prenderà le mosse un celebre processo che darà un duro colpo alla c. della città, fu un assassinio di coltello, e siamo nel 1906. Questo non deve implicare, come spesso è avvenuto, una minore pericolosità ed efferatezza dei camorristi rispetto ai mafiosi. Il delitto nella c. è solo l'ultimo atto di una controversia; un atto ''importante'' che non può essere deciso dal singolo.
Il carattere prettamente plebeo di questa associazione criminale comincia a modificarsi nell'ultimo quarto del 19° secolo, quando l'allargamento del ceto politico-amministrativo e degli aventi diritto al voto (1882-1889) accresce le occasioni di contatto e di scambio tra c. e politica. Di questo rapporto dà uno spaccato preciso la cosiddetta inchiesta Saredo sulla vita politica e amministrativa di Napoli (1901), inchiesta decisa all'indomani del processo tra il parlamentare napoletano Casale e il giornale socialista La Propaganda, che aveva smascherato i contatti dell'uomo politico con ambienti camorristici. Nonostante ciò la c. non riuscì a compiere il salto sociale, infiltrandosi nella classe dirigente e stabilendo rapporti organici con i ceti possidenti, così come avvenne, nello stesso periodo, per la mafia.
All'inizio del 20° secolo si determinarono a Napoli condizioni del tutto nuove per effetto dei processi di industrializzazione, per la nascita del movimento operaio organizzato, per la massiccia emigrazione, per il completamento dello sventramento dei quartieri più miseri: tutti fattori che restrinsero spazio e prospettive per una organizzazione criminale incapace di adeguarsi alle trasformazioni sociali in atto. Il processo Cuocolo (1911), con alla sbarra tutti i capicamorra della città, segna l'ultima delle tante repressioni della c., che la metterà per anni fuori gioco.
Il carattere prettamente urbano della c. viene così ad attutirsi, anche per il diffondersi nelle più fertili campagne circostanti di forme di criminalità legate specificamente alla commercializzazione dei prodotti agricoli. A differenza del mafioso che si poneva tra rendita fondiaria e contadini, il camorrista di campagna svolge le sue funzioni di mediazione tra il contadino e il mercato, caratterizzandosi come figura atipica di un capitalismo mercantile poco e male sviluppato in una agricoltura ricca e intensiva ma caratterizzata dallo spezzettamento della proprietà fondiaria e dal basso potere contrattuale sul mercato.
Nel periodo fascista il fenomeno sembra quasi del tutto scomparire. Nel secondo dopoguerra una presenza della c. si segnala di nuovo nei mercati agricoli, controllati da uomini violenti come Pascalone 'e Nola, vittima celebre di un clamoroso delitto (1955) che provocò la vendetta di sua moglie Pupetta Maresca. Uomini del genere sono quelli che determinano i prezzi, al punto da venire chiamati ''presidenti dei prezzi''.
A Napoli città, una nuova presenza della c. può fissarsi intorno al 1961. È l'anno in cui viene chiuso il porto franco di Tangeri e i depositi delle società venditrici di tabacco si spostano all'altezza delle coste iugoslave e albanesi. Questo spostamento del centro dei traffici del contrabbando di sigarette dà una nuova centralità al porto di Napoli.
In questo periodo cambia anche l'organizzazione del contrabbando per effetto della modifica del sistema dei pagamenti, con l'esazione in anticipo della metà del costo dell'intero carico, e del noleggio della nave, mentre lo sbarco viene garantito soltanto al limite delle acque territoriali; c'è quindi bisogno di cospicui capitali e di notevoli capacità organizzative, che vengono forniti dalla mafia siciliana. Nei primi anni Sessanta Napoli diventa così il centro del contrabbando, determinando uno scontro tra le cosche mafiose e i clan marsigliesi. Avvantaggiata dalla scelta di Napoli come soggiorno obbligato per molti suoi esponenti di spicco, la mafia si preoccupa di organizzare stretti rapporti con alcuni esponenti della criminalità locale (Zaza, Nuvoletta, Bardellino, ecc.).
Una seconda data significativa va collocata alla metà degli anni Settanta, quando l'aumento del valore del dollaro riduce l'importanza del contrabbando di sigarette. Un sistema che aveva permesso a decine di migliaia di persone, nel suo periodo di massima espansione, di sopravvivere, comincia a sfaldarsi, ponendo l'urgente necessità di destinare questa organizzazione capillare ad altri traffici: è così che fa il suo ingresso la droga sul mercato napoletano. E siamo già a ben altra storia.
La c. contemporanea è, in tal senso, un fenomeno sviluppatosi nell'ultimo ventennio, e ha assunto in poco tempo un ruolo non paragonabile a quello svolto fino a pochi anni prima. Mentre infatti della c. non si occupò la Commissione parlamentare antimafia, istituita nel 1962 e conclusasi nel 1976, solo pochi anni dopo, nel 1982, essa è viceversa al centro sia della nuova legge antimafia detta La Torre-Rognoni (l. 13 settembre 1982, n. 646, con la modifica della l. 23 dicembre 1982, n. 936), sia della nuova Commissione antimafia. Si pensi a un altro dato: mentre la speculazione edilizia che interessò Palermo tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta ha avuto come protagonista la mafia, non si segnala quasi nessun ruolo svolto dalla c. nella massiccia trasformazione urbanistica che interessò Napoli nello stesso periodo.
Questa rapidissima evoluzione della c. da criminalità secondaria a criminalità di importanza nazionale e internazionale non ha precedenti nella storia della criminalità del 20° secolo, né può essere spiegata solo con il peso della ''tradizione'' che, come abbiamo già visto, non ha fornito alla c. le basi per una stabile e permanente presenza sulla scena sociale e politica di Napoli e della Campania. Due sono stati gli elementi che hanno determinato questa improvvisa accelerazione: da un lato il peso assunto nel traffico internazionale della droga, dall'altro il controllo di una parte dell'economia pubblica, che in Campania ha ricevuto un fortissimo impulso dopo il terremoto del novembre 1980. L'intero processo di sviluppo della Campania, dopo la drastica riduzione del peso dell'industria causata dal disimpegno delle Partecipazioni Statali, è stato condizionato dall'erogazione di migliaia di miliardi per la ricostruzione. Mai prima si era concentrata nell'area campana una spesa pubblica così ingente. La c. troverà ''l'economia del terremoto'' fortemente congeniale alla sua espansione imprenditoriale, capace di farle superare le sue due principali difficoltà storiche: un rapporto organico con l'economia legale, un rapporto non ''mercenario'' ma interno al potere politico-istituzionale.
''L'affare Cirillo'' (1981), la liberazione dell'assessore regionale democristiano della Campania sequestrato dalle Brigate rosse, tramite l'intercessione del capocamorra Cutolo, sollecitata − secondo taluni atti processuali − dai servizi segreti su indicazione di esponenti della DC, sembra conferire alla c. una ''legittimazione''. A questo punto la c. comincia a caratterizzarsi secondo due modelli di organizzazione. Il modello che è stato definito della ''c.-massa'', e che Cutolo darà alla sua banda detta ''Nuova camorra organizzata'', e il modello della ''c.-impresa'' seguito da quei clan camorristici, già da tempo in contatto organico con la mafia, che si raggruppano sotto il nome di ''Nuova famiglia'' per constrastare Cutolo. Più che di c., è perciò il caso di parlare di ''camorre''.
La caratteristica principale della banda di Cutolo è il superamento della distinzione tradizionale tra attività delinquenziali comuni e funzioni criminali superiori. Nella banda c'è di tutto e c'è posto per tutti. È considerata ''nobile'' qualsiasi attività delinquenziale. Proprio per questo la c. cutoliana si configura insieme come organizzazione criminale centralizzata e gangsterismo urbano, come violenza giovanile e aspirazioni sociali, come criminalità-spettacolo e legame con il potere politico. Con Cutolo il crimine quasi si ideologizza, diventa occasione di veloce ricchezza e di promozione sociale per una enorme massa di giovani violenti dei grandi e medi agglomerati cresciuti attorno a Napoli come un'unica degradata periferia urbana. Per rispondere all'ambizione di controllare tutto il ciclo del delinquere Cutolo supera la struttura a base familiare e di cosca, tipica del modello mafioso, e crea un modello criminale a struttura ''aperta''. In questo modo Cutolo si è incontrato con la devianza giovanile, l'ha reclutata nei luoghi dove vive collettivamente (vicoli, periferie urbane, carceri), l'ha compattata e le ha dato la certezza che con la violenza non si è più un emarginato, ma ''qualcuno''. Proprio questo tipo di organizzazione ''aperta'' si è però dimostrata alla lunga più esposta allo sfaldamento, sia per i colpi inferti dagli avversari e da un numero consistente di ''pentiti'' (non riscontrabile in nessun'altra organizzazione criminale), sia per la repressione avvenuta con le massicce operazioni di polizia del 1983-84.
È impressionante notare come la c.-massa presenti alcune caratteristiche simili alla c. ottocentesca: l'organizzazione di massa, il monopolio sugli affari illegali, vaghe aspirazioni sociali, la rappresentanza ''politica'' dei più violenti. Questo dato fa interrogare sulle cause che hanno permesso, a distanza di un secolo, il verificarsi di condizioni sociali e politiche entro cui si è riprodotto un fenomeno criminale che, con quelle caratteristiche, sembrava finito.
La sconfitta del ''progetto'' cutoliano di monopolizzare tutte le attività illegali permette l'espansione della c.-impresa. La maggiore ''funzione economica'' svolta dagli enti locali dopo il terremoto del 1980, la direzione ''politica'' dell'economia tramite una massiccia immissione di spesa pubblica, l'aggiramento delle leggi come regola amministrativa dominante, il sistema clientelare e discrezionale nell'uso e nella distribuzione delle risorse pubbliche, sono tutti fattori che favoriscono il consolidamento imprenditoriale di una c. interessata al reinvestimento di capitali illegali, derivanti essenzialmente dal traffico di droga.
Proprio per le caratteristiche brevemente illustrate della c.-massa e della c.-impresa, non si può parlare di esse come ''antistato''. Le ''camorre'' si sono rafforzate, hanno assunto un ruolo mai avuto nel passato, non per l'assenza dello stato, ma per particolari modalità con cui lo stato ha ''modernizzato'' questa regione centrale del Mezzogiorno, e per gli esiti di questa trasformazione. Nell'esplodere delle c. c'è il segno di questioni non risolte, quali la questione urbana, la questione giovanile, il rapporto tra politica ed economia, il confine tra legale e illegale dentro una trasformazione pilotata dall'alto, sotto il segno della spesa pubblica, nell'assenza di una economia di mercato e nel contesto di una debole base produttiva e industriale.
In conclusione, la c., diversamente dalla mafia, non ha conosciuto una lineare continuità storica. In quanto fenomeno criminale a forte caratterizzazione sociale, essa è stata sempre molto ''ricettiva'' delle trasformazioni economiche e sociali che si sono di volta in volta determinate nel corso della storia di Napoli e della Campania. Perciò la c. è sembrata, per lunghi periodi, scomparire, perdere di ruolo e di importanza, soprattutto in concomitanza con cambiamenti profondi nel ruolo e nelle condizioni di vita degli strati che tradizionalmente ne hanno rappresentato i luoghi di reclutamento e di influenza. La c. è ricomparsa prepotentemente sulla scena, dopo anni di silenzio o di latenza. È ricomparsa alla fine di un ciclo di politiche speciali verso il Mezzogiorno, iniziato negli anni Cinquanta e conclusosi a metà degli anni Settanta. Queste politiche hanno cambiato il volto del Mezzogiorno e anche della Campania, ma evidentemente non hanno radicalmente modificato le condizioni storiche che sono state alla base dell'insediamento camorristico. Anzi, dal terremoto in poi, hanno addirittura fornito alla c. quel legame organico con l'economia legale e con il sistema politico-amministrativo la cui mancanza era stato il suo punto debole.
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