Camp David, vertice di
Camp David, vèrtice di <kämp dèivid ...>. – Vertice israelo-palestinese tenutosi nel luglio del 2000 a Camp David, residenza di campagna del presidente degli Stati Uniti nel Maryland, e fortemente voluto dall’allora presidente Bill Clinton. Le delegazioni dei negoziatori erano guidate dal primo ministro Ehud Barak per Israele e dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese Yāsir ‘Arafāt. Il vertice, infruttuoso, ha segnato simbolicamente la fine del processo di pace iniziato a Oslo nel 1993 e ha inaugurato una lunga fase di stallo nelle trattative, che ha finito per accrescere distanze e tensioni tra le parti in un decennio contraddistinto da aspri conflitti in tutta la regione mediorientale. La complessità degli argomenti in questione, il cui cuore era costituito dal problema di Gerusalemme Est (v. Gerusalemme) e dal destino dei profughi palestinesi, ha determinato il fallimento degli incontri. Se da un lato Barak si è spinto per la prima volta a mettere in discussione il controllo, ma non la sovranità, di Israele sulla totalità di Gerusalemme (pur se in una formulazione ancora molto generica), e si è mostrato disponibile ad ampliare la percentuale di territorio della Cisgiordania da cedere ai palestinesi, dall'altro lato ‘Arafāt ha ribadito il diritto del popolo palestinese ad avere indietro le terre occupate dagli israeliani non sotto forma di concessione, ma secondo quanto stabilito dalla risoluzione 242/1967 dell'ONU (v. Israele-Palestina, processo di pace). L’entità dell’offerta israeliana a Camp David ha ruotato intorno al 91% della Cisgiordania: i territori in questione erano però spezzati in due o più tronconi privi di continuità. Barak e Clinton hanno imputato ad ̔Arafāt una rigidità eccessiva durante il negoziato, ma questa poteva trovare una spiegazione nella crescente frustrazione del popolo palestinese, cui dal riconoscimento di Israele con gli accordi di Oslo non era venuto alcunché: né la fine dell’occupazione e l’implementazione degli accordi, né un miglioramento nelle condizioni di vita, né un alleggerimento dei controlli e degli impedimenti a muoversi, né soprattutto il congelamento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Le accese polemiche scatenatesi alla fine del vertice sono derivate dal gioco propagandistico tra le parti per l’attribuzione della responsabilità del fallimento delle trattative e hanno scavato un solco profondo nelle relazioni tra israeliani e palestinesi.